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venerdì 13 giugno 2025

Bolle di recensioni: Heart Eyes (2025) e Presence (2025)

Siccome rischiavano di cadere nel dimenticatoio e slittare a chissà quando, ho deciso di accorpare un paio di brevi opinioni su due horror (totalmente diversi tra loro) visti qualche tempo fa, anche perché nel frattempo, finalmente, Heart Eyes è uscito anche nei cinema italiani (alla buon'ora, gente!!). Quello di Soderbergh, invece, è ancora inedito nel nostro Paese, chissà perché! ENJOY!

Heart Eyes (Josh Ruben, 2025)

Avevo visto Heart Eyes già parecchio tempo fa, ma era finito vittima della marea di post ai quali avevo dato la precedenza. Nulla di male, perché nel frattempo è stato distribuito anche in Italia, e va bene parlarne oggi, anche se sarò un po' più stringata nel parlare del nuovo film di Josh Ruben. E non perché non sia bello, beninteso! Heart Eyes è uno slasher "di cuore", letteralmente. Segue tutte le regole del genere ma, siccome tra gli sceneggiatori c'è l'adorabile Christopher Landon, l'horror si mescola senza soluzione di continuità ad un altro tipo di film, in questo caso la commedia romantica. Sì perché Heart Eyes, o HEK, come viene chiamato nel film, adora uccidere le coppie proprio il giorno di San Valentino e l'intero film ruota attorno all'equivoco che vede la protagonista, Ally, e un suo nuovo collega di lavoro, Jay, venire scambiati per due innamorati che tubano, per tutta una serie di circostanze che vi lascio il piacere di scoprire. Inutile dire che, come in tutte le commedie romantiche che si rispetti, i due protagonisti si innamoreranno davvero l'uno dell'altra nel corso della pellicola. Superfluo anche dire che Heart Eyes li seguirà molto da vicino, lasciandosi dietro una scia di persone uccise con metodi molto fantasiosi e coreografici. Josh Ruben, con un budget più consistente rispetto al suo primo film da regista (parlo di Scare Me, purtroppo non ho ancora avuto modo di vedere A cena con il lupo), conferma di saperci fare, di avere un occhio brillante per la messinscena e per i dettagli stilosi o originali, mai fini a se stessi, come conferma il favoloso look del killer (opera di Tony Gardner, che già aveva realizzato le maschere di Freaky, Auguri per la tua morte e Totally Killer) e non avete idea di quanto mi piacerebbe vederlo all'opera con qualche horror più "serio". Per quanto mi riguarda, Heart Eyes merita anche solo per l'esilarante inizio, la somma presa per il culo di tutte le falsissime storie a tema amore, fidanzamento e matrimonio che si vedono nei feed di Instagram, ma in generale è una visione divertentissima e intelligente, che non annoia neppure per un secondo, oltre che zeppa di belle facce (Devon Sawa in primis, sempre graditissimo!). Se ci fosse un sequel non mi lamenterei, anche perché vorrei vedere la faccia dello sugar daddy di Monica.  

Presence (Steven Soderbergh, 2024)

Tra challenge, uscite cinematografiche e altri film, ci ho messo un po' a scrivere un post su Presence, il che si tradurrà in maggior brevità rispetto al solito, anche perché la mia memoria ha delle difficoltà a richiamare alla mente un'opera così poco emozionante, dopo due settimane dalla visione. Presence avrebbe dovuto uscire il 6 febbraio in Italia ma si è perso nel limbo distributivo di una Lucky Red evidentemente interessata a portare altri film al cinema, e ora pare abbiano deciso di distribuirlo il 24 luglio, quando la maggior parte dei cinema saranno chiusi. Poco danno, se mi posso permettere. Presence non mi ha granché entusiasmata, anzi, ammetto di avere avuto non poche difficoltà a rimanere sveglia durante la visione, e questo nonostante sia molto interessante dal punto di vista dell'esecuzione. Il film, infatti, è stato girato con una piccola videocamera digitale direttamente dal regista, e mostra per tutta la sua durata il punto di vista soggettivo di una presenza (da qui il titolo), di uno spirito, all'interno di una casa. La narrazione è costituita esclusivamente di ciò che la presenza vede e sente, con tutto ciò che ne consegue. Il problema di Presence, per quanto mi riguarda, è che la trama non è nulla di che, i personaggi sono appena abbozzati e, spesso, vengono introdotte alcune questioni in apparenza importantissime che si concludono in un nulla di fatto, come se la presenza non avesse alcun interesse a seguirle. Lo stesso tema dell'elaborazione del lutto, da cui prende il via tutta la vicenda (la famiglia della giovane Chloe decide di cambiare casa dopo il trauma subito dalla ragazza, alla morte improvvisa della sua migliore amica), dà semplicemente il la ad una serie di conflitti familiari isterici, con la giovane colpevolizzata dal fratello, ignorata dalla madre e sostenuta solo da un padre privo di polso, una serie ripetuta di dinamiche familiari fastidiose all'interno delle quali si inserisce, da un certo punto in poi, una vena thriller angosciante. Presence, salvo per il modo in cui è stato realizzato, riesce in effetti a sorprendere solo sul finale, con una conclusione spiazzante in grado di dare un perché anche alle scelte tecniche. Peccato che il film diventi interessante solo nei suoi ultimi, concitati e persino commoventi minuti.

domenica 8 marzo 2020

Panama Papers (2018)

Durante le vacanze di Natale ho recuperato, complice anche l'interesse del Bolluomo, Panama Papers (The Laundromat), diretto da Steven Soderbergh nel 2018.


Trama: dopo un incidente mortale accorso al marito, Ellen si ritrova coinvolta in una frode finanziaria che ha ramificazioni in tutto il mondo.



Alla fine di Panama Papers ho dovuto confrontarmi a lungo col Bolluomo perché, lo confesso candidamente, non ci ho capito nulla. Sarà molto difficile dunque scrivere un post sul film perché molte delle cose di cui parla non hanno alcun senso per me: capisco il concetto di società di facciata, capisco anche quello di società fiduciarie, mi perdo un po' in quello di riassicurazione, ma mettere assieme tutto ciò è dannatamente complesso perché, pur essendo una persona dalla mente "astratta", l'assenza di beni tangibili e la riduzione in mere cifre, nomi o scatole vuote mi frantuma il cervello. Alla fine di tutto il film, l'unica domanda che avevo in testa è "Ma come ca**o fa tutto questo ad essere legale?". Ecco, appunto, qui casca l'asino, casca la Streep col suo sentito appello finale e casca persino Obama, nelle leggi americane c'è qualcosa che non va per consentire tutto questo, per permettere l'esistenza di compagnie che creano società di facciata residenti nei cosiddetti paradisi fiscali, spesso frodando la povera gente e riciclando denaro, ma tant'è. Di gravemente illegale, in tutto questo, non c'è nulla, e i responsabili (il gatto e la volpe Mossack e Fonseca, persone realmente esistenti) rischiano al massimo tre mesi di galera e un buffetto di simpatia, con l'ammonizione di non farlo mai più. E benché il tutto venga spiegato in maniera molto ironica dai già citati gatto & volpe interpretati, per l'occasione, da un Gary Oldman con accento tedesco e da Antonio Banderas, forse a causail titolo italiano fuorviante uno rischia davvero un po' di perdersi perché i cosiddetti Panama Papers compaiono giusto all'ultimo, in guisa di pietra dello scandalo che porta il mondo intero ad aprire gli occhi su un enorme segreto di Pulcinella, mentre dall'alto della mia ignoranza avrei pensato che sarebbe stata Ellen ad agitare le acque e mettere al muro gli alti papaveri della finanza criminale con la perseveranza delle persone normali.


Quindi, sarà perché ci ho capito poco, al punto che spesso ho dovuto fare dei bei rewind (santa Netflix!) a causa di repentini cali della palpebra, ma Panama Papers non mi ha entusiasmata molto. Innanzitutto è troppo sbilanciato verso la commedia ma non ha l'arguzia di un film scritto e diretto da Adam McKay, nonostante l'accattivante utilizzo di capitoli o rotture della quarta parete, inoltre racconta vicende (a mio parere, ovvio) poco coinvolgenti; solo con la storia di Ellen si potrebbe empatizzare al punto da provare schifo, mentre quella del miliardario africano con figlia a carico o quella ambientata in Cina e basata su fatti realmente accaduti sembrano quasi dei tapulli aggiunti per allungare un po' il brodo, di base perché, come ho scritto su, le azioni di Ellen sono una goccia nel mare e non così rilevanti ai fini della condanna di Mossack e Fonseca (come direbbe Ortolani, si possono fare mille speculazioni ma qui trattasi di CULO). Ho percepito, tra l'altro, una voglia di rincorrere la guest star quasi fine a se stessa, tanto che molti nomi di spessore vengono sprecati in due/tre sequenze di raccordo velocissime e dimenticabili; un esempio su tutti, Sharon Stone, che non avevo riconosciuto e che ho notato solo grazie ai titoli di coda, ma non va meglio a James Cromwell, Robert Patrick o David Schwimmer, comparsi e poi subito liquidati come nemmeno Greg Grunberg all'interno delle opere targate J.J.Abrams. Onestamente un po' mi spiace, visti i grandi nomi coinvolti e la fiducia che da anni mi smuove davanti a ogni nuova uscita di Soderbergh ma stavolta il suo ultimo lavoro mi ha lasciata un po' insoddisfatta. Alla prossima, che dire.


Del regista Steven Soderbergh ho già parlato QUI. Gary Oldman (Jurgen Mossack), Antonio Banderas (Ramon Fonseca), Meryl Streep (Ellen Martin), James Cromwell (Joe Martin), Robert Patrick (Capitano Paris), David Schwimmer (Matthew Quirk), Jeffrey Wright (Malchus Irvin Bonchamp), Sharon Stone (Hannah) e Matthias Schoenaerts (Maywood) li trovate invece ai rispettivi link.


Melissa Rauch, la Bernadette di The Big Bang Theory, interpreta la figlia di Meryl Streep. Se Panama Papers vi fosse piaciuto recuperate The Wolf of Wall Street e La grande scommessa. ENJOY!

lunedì 9 luglio 2018

Unsane (2018)

Nonostante un weekend intenso, che mi ha portata a rimandare la visione de La prima notte del giudizio, sono comunque riuscita a rimanere aggiornata sulle uscite settimanali grazie a Steven Soderbergh e all'ultimo film da lui diretto, Unsane.


Trama: Sawyer Valentini è una ragazza traumatizzata da un pesantissimo episodio di stalking accorso nel suo passato. Convinta di non essere in grado di superare il terrore da sola, Sawyer decide di recarsi in un centro comportamentale dove viene internata a causa di un inghippo burocratico e dove comincia a vedere il suo stalker dietro ogni angolo...


Quest'anno il superlavoro a cui si costringe Soderbergh (ma non aveva smesso di dirigere film o ricordo male io?) lo ha portato ad essere spesso presente nelle sale italiane, con due pellicole che più diverse non si può. Da una parte abbiamo La truffa dei Logan, divertente e quasi coeniano nella sua rappresentazione di personaggi al limite del borderline, diretto con tutti i crismi del caso; dall'altro, abbiamo questo Unsane, thriller ripreso interamente con un I-Phone 7 che rispetto al film precedente risulta quasi "piccolino", una sorta di divertissement. Peccato che di divertente Unsane non abbia proprio nulla e che, anzi, nella prima parte spinga lo spettatore a provare un'angoscia incredibile per la facilità con cui un paio di legalissime gabole presenti all'interno del complesso sistema sanitario-assicurativo americano possano privare una persona della libertà senza che né polizia né avvocati possano metterci becco. La storia, infatti, prevede che la protagonista, reduce da una terrificante esperienza di stalking e per questo costretta a cambiare città, lavoro e abitudini, non sia più in grado di relazionarsi normalmente con nessuno e decida quindi di chiedere aiuto ad un centro comportamentale. La povera Sawyer si aspetta di parlare con uno psichiatra e concordare un paio di incontri, non di più, invece si ritrova internata dopo avere messo una firma su fogli mai letti con attenzione (cosa sbagliatissima!!). Ora, il bello di Unsane è che la protagonista, interpretata da una fantastica Claire Foy, sia fondamentalmente una persona che ne ha le palle piene di vedersi mettere i piedi in testa da chicchessia e che si ritrova all'improvviso trattata da pazza, privata dei suoi diritti e costretta ad affrontare delle infermiere equiparabili a kapò, col risultato che la degenza di un giorno si prolunga inevitabilmente nel tempo in virtù dei suoi violentissimi scatti di rabbia. E poi, ovviamente, c'è lui, lo stalker, la cui presenza improvvisa all'interno della struttura potrebbe essere l'ennesimo segno di come Sawyer sia effettivamente matta da legare oppure la persona più sana del mucchio, dottori ed infermieri compresi.


Quest'incertezza sulla quale si costruisce l'intera prima metà del film è ciò che rende Unsane un gioiellino di suspance anche a fronte di una storia molto banale, già raccontata in decine di altri film simili, mentre la seconda parte si appoggia maggiormente all'aspetto più horror del genere thriller e in generale diventa abbastanza prevedibile ma non per questo sgradevole. Due aspetti interessanti hanno tuttavia catturato la mia attenzione, al di là della già citata bravura di Claire Foy, incazzosa e terrorizzata dall'inizio alla fine. Il primo aspetto è la forza con la quale, a un certo punto, Sawyer affronta il suo stalker, con un monologo fiume da applauso, in cui si concentra un tale mix di odio, disgusto, frustrazione e desiderio di fare male che bisognerebbe campionarlo e farlo ascoltare, a mo' di tortura, a tutti coloro (uomini e donne) che si fissano talmente tanto su una persona da distruggerle la vita, fantasticando su un amore impossibile ed egoista che bisogna assolutamente imporre sull'altro... per fare cosa, poi? Per raddoppiare l'inadeguatezza e l'infelicità? Ah, che bella cosa. Il secondo aspetto ad avermi colpita è la scelta di girare il film con un I-Phone 7. Nonostante, tecnicamente, non dimostri nulla se non che Soderbergh è in grado di realizzare un prodotto pulito e assolutamente guardabile persino con l'ausilio di un telefonino, io l'ho intesa come espressione di nera ironia. Infatti, Sawyer è alternativamente costretta a rinunciare al cellulare (e a tutte le app ad esso connesse, Facebook e Instagram in primis) in quanto principale mezzo attraverso cui lo stalker può arrivare a conoscere tutto di lei e dei suoi amici o familiari, oppure a dipendere da esso per cercare di riconquistare la sua libertà; il fatto che il regista sfrutti proprio questo mezzo per riprendere le sventure della ragazza rende ancor più, a mio avviso, l'idea di  impotenza e vulnerabilità davanti a un occhio nascosto, invadente e malevolo. O forse, per carità, Soderbergh voleva solo fare il figo, tutto può essere. A prescindere, consiglio comunque la visione di Unsane, ottimo thriller per rinfrescare le calde serate estive!


Del regista Steven Soderbergh ho già parlato QUI. Joshua Leonard (David Strine), Amy Irving (Angela Valentini), Juno Temple (Violet) e Matt Damon (poliziotto, non accreditato) li trovate invece ai rispettivi link.

Claire Foy interpreta Sawyer Valentini. Inglese, ha partecipato a film come L'ultimo dei templari, The Lady in the Van e a serie quali The Crown. Anche, ha 34 anni e due film in uscita tra cui Quello che non uccide, dove interpreterà Lisbeth Salander.


Se Unsane vi fosse piaciuto recuperate Ratter: Ossessione in rete. ENJOY!

venerdì 1 giugno 2018

La truffa dei Logan (2017)

Ieri è uscito in Italia La truffa dei Logan (Logan Lucky), diretto nel 2017 dal regista Steven Soderbergh. Siccome ne ho letto bene un po' ovunque ho deciso di dargli una chance...


Trama: dopo essere stato licenziato, Jimmy Logan decide di tentare un furto alla Charlotte Motor Speedway durante una delle corse più importanti dell'anno, affiancato dai fratelli e da altri peculiari figuri, in barba alla famigerata "sfortuna" dei Logan...



Avevo un po' lasciato perdere Soderbergh dopo aver visto l'ammorbante Knockout - Resa dei conti e più che La truffa mi sarei aspettata quindi La FUFFA dei Logan, motivo che mi ha spinta a non recuperare subito il film in questione nonostante fosse disponibile da mesi in rete. Poi hanno cominciato a proiettare i trailer al cinema e, nonostante la solita imbecillità del titolo italiano che ignora la sottotrama per cui i Logan avrebbero delle enormi botte di sfiga proprio quando tutto per loro comincia a girare bene, mi sono fatta attirare dall'immagine di un Daniel Craig tatuato e ossigenato e mi sono gettata nella visione. Il motivo per cui La truffa dei Logan andrebbe snobbato al cinema e visto in lingua originale non appena disponibile in DVD, Bluray o streaming legale, è la sua natura di "Ocean's Seven-Eleven", radicato in quel West Virginia magnificato nella canzone di John Denver dove gli abitanti sono grezzi e "provinciali", a voler far loro un complimento (altrimenti si può utilizzare il raffinato termine "Hillbilly", più calzante); tra una canzone folk e un concorso di bellezza alla Little Miss Sunshine, tra signore in viola e birra, tra delinquentelli di campagna e lavoratori precari, si dipana la trama di questo heist movie che manca della raffinatezza, per l'appunto, di un Ocean's Eleven ma non della suo sottile umorismo o della capacità di avvincere il pubblico. A onor del vero, ci vuole un po' prima di affezionarsi a Jimmy e ai suoi compari, perché la costruzione dei personaggi è assai simile a quella di un film dei Coen, con protagonisti malinconici e un po' stundai affiancati da spalle mai abbastanza weird o strabordanti da riuscire a colpire subito l'attenzione dello spettatore. Anche Clyde e Joe Bang, gli unici che spiccherebbero per le loro peculiarità fisiche o per lo "stile", sono infatti figure che vanno "fatte decantare" e che acquistano spessore man mano che il film procede, mai troppo esagerate, perfettamente amalgamate all'interno di quest'opera corale dove chiunque ha una sua importanza fondamentale, anche il personaggio apparentemente più inutile. Come raramente accade in questo genere di pellicole, il piano che porta al furto è plausibile e logico, non richiede personaggi con abilità fuori dal comune, ed è perfettamente inserito all'interno di una realtà che più USA non si può, quella delle corse NASCAR, che ogni anno inchiodano davanti allo schermo milioni di americani e che sono delle istituzioni intoccabili (non a caso, Jack e il fratello alla fine sono sconvolti all'idea di profanare una simile icona americana!).


Per quanto mi riguarda, l'unica cosa che non ho apprezzato troppo è proprio la location del furto, che sicuramente ha consentito a Soderbergh di sfoggiare la sua abilità di regista  ma mi ha anche costretta a "subire" una paio di giri di pista in auto (se c'è una cosa che non sopporto è la Formula 1 e qualunque cosa le somigli anche solo vagamente...), e per fortuna le sequenze incriminate sono poche, degnamente surclassate da una delle evasioni più esilaranti della storia del cinema e persino da un momento di commozione in cui la canzone Country Road la fa da padrone. Ma a parte tutto, ciò che mi ha stupita di La truffa dei Logan sono gli interpreti, anche perché sia Channing Tatum che Adam Driver non rientrano nel novero dei miei preferiti, invece qui danno veramente il bianco. Zoppo, barbuto e appesantito, addosso a Jimmy Logan persino la monoespressività di Channing Tatum diventa funzionale e si annulla nella generale rappresentazione del personaggio, mentre con la sua naturale bruttezza e l'aria di chi non capisce mai quello che gli sta succedendo, Adam Driver è meglio come loser senza braccio (anzi, senza mano e avambraccio) piuttosto che come malvagio intergalattico. Detto questo, anche il resto del cast è validissimo. Daniel Craig, col capello ossigenato e ricoperto di tatuaggi, è meraviglioso come avevo sperato guardando il trailer e in mezzo a tutto il cucuzzaro di attori più o meno riconoscibili, "mascherati" come sono da bifolchi, spunta persino Seth McFarlane, impegnato nell'offrire al pubblico il suo strepitoso accento british con un personaggio che avrei visto benissimo indosso ad Andy Nyman. L'unica domanda che mi pongo, alla fine del film, è: ma perché una volta Hilary Swank era una delle attrici più quotate del mondo e adesso si limita a fare delle comparsate che a momenti non accetterebbero nemmeno dei caratteristi? Mah, mistero della fede! Comunque datemi retta, recuperate La truffa dei Logan perché è molto ben fatto e divertente.


Del regista Steven Soderbergh ho già parlato QUI. Channing Tatum (Jimmy Logan), Riley Keough (Mellie Logan), Katie Holmes (Bobbie Joe Chapman), Adam Driver (Clyde Logan), Seth McFarlane (Max Chilblain), Daniel Craig (Joe Bang), Brian Gleeson (Sam Bang), Katherine Waterston (Sylvia Harrison), Sebastian Stan (Dayton White) e Hilary Swank (Agente Speciale Sarah Grayson) li trovate invece ai rispettivi link.

David Denman interpreta Moody Chapman. Americano, ha partecipato a film come Big Fish - Le storie di una vita incredibile, Chiamata da uno sconosciuto, Shutter - Ombre dal passato, Regali da uno sconosciuto - The Gift e serie quali E.R. - Medici in prima linea, Jarod il camaleonte, X-Files, CSI: Miami, Angel, Senza traccia, Bones, Grey's Anatomy, Due uomini e mezzo, True Detective e Outcast. Ha 45 anni.


Jack Quaid interpreta Fish Bang. Americano, ha partecipato a film come Hunger Games, Hunger Games: La ragazza di fuoco e Tragedy Girls. Anche sceneggiatore e produttore, ha 26 anni e un film in uscita, inoltre interpreterà Hughie nell'imminente serie The Boys.


Michael Shannon e Matt Damon erano entrati a far parte del cast ma hanno entrambi dovuto rinunciare perché impegnati in altri progetti. Detto questo, se La truffa dei Logan vi fosse piaciuto recuperate Ocean's Eleven e i suoi sequel! ENJOY!

venerdì 27 febbraio 2015

Knockout - Resa dei conti (2011)

Siccome in questo periodo sto guardando parecchi film "pesi" mi è venuta voglia di alternarli a qualche pellicola un po' più tamarra per evitare di uscirci di testa. Con questa intenzione ho quindi recuperato Knockout - Resa dei conti (Haywire), diretto nel 2011 dal regista Steven Soderbergh.


Trama: dopo una missione finita malissimo, l'agente Mallory scopre di essere stata incastrata e che il suo datore di lavoro (nonché ex-fidanzato) la vuole morta. Ovviamente la donna non se ne starà a guardare e cercherà vendetta...



Riuscite ad immaginare il diludendo nello scoprire che la tanto bramata tamarreide è in realtà un action patinato zeppo di flashback? A rischio di beccarmi una botta di capra sgarbiana mi sento di affermare senza dubbio che Knockout - Resa dei conti è un affronto al genere nonché un enorme inganno per lo spettatore, peggio ancora puzza vagamente di The Counselor - Il procuratore e mi ha ammorbata talmente tanto che ho rischiato di perdermi la visione di Fassbender in deshabillé. E questa è una cosa grave, una cosa a cui mai si rimedia. Beninteso, il mio astio deriva principalmente dalla trama e dall'utilizzo di un personaggio principale assai distante dai miei canoni di donna forte e carismatica (leggi: Leeloo, Beatrix Kiddo, Nikita, Hit-Girl, solo per fare un paio di nomi); sulla carta, l'idea di una donna sola contro tutti in un mondo in mano agli uomini sarebbe stata una figata ma in realtà la trama di Knockout è zeppa di momenti morti in cui i personaggi si guardano in cagnesco o parlano, parlano e parlano come se l'intera pellicola fosse un dramma esistenziale, mentre Mallory Kane è una virago senza alcun carisma, tutta tecnica marziale e niente passione, perennemente scazzata al punto che mentre tutti parlano, parlano e parlano ancora... lei sta muta, a cogitare sul perché della sua esistenza ingrata e probabilmente a cercare di far esplodere l'interlocutore col pensiero. Ho trovato assai poco riuscito il mix di action e spy story perché il primo richiede poca raffinatezza e molta innovazione mentre il secondo necessita di qualcosa di più elegante e sottile per funzionare al meglio e il risultato finale per Knockout è quello di un film ibrido dove la vendetta della protagonista deve passare necessariamente attraverso un paio di "machiavellici" personaggi che non sanno neppure perché diamine sono finiti lì ma si vantano comunque della cosa.


Per fortuna Soderbergh è comunque un regista capace e stiloso e si sbizzarrisce con inquadrature prese da angoli insospettati ed arditi, si permette di riprendere un silenzioso corpo a corpo davanti ad uno splendido tramonto, regala (dopo tanta sofferenza, va detto) un finale esilarante che lascia allo spettatore il compito di immaginare cosa succeda al "villain supremo"... però, che camurrìa dover aspettare questi pochi zuccherini. Il problema è che Knockout è zeppo di attori famosi ma, a parte l'elegante Fassbender e il particolare Antonio Banderas, tutto il cast è o sprecato oppure utilizzato malissimo. Parlando di quelli che compaiono per più di cinque minuti (Douglas, Paxton e Kassovitz non fanno praticamente testo) Gina Carano, come ho detto sopra, è sicuramente una lottatrice bravissima ma è anche un gatto di marmo inespressivo, costretta ad un certo punto in un abito da sera che, poverino, urla vendetta mentre Ewan McGregor, con quella sua faccetta carina da ragazzino svagato, è adatto al ruolo di cattivissimo boss come potrei esserlo io. Il peggior attore della pellicola è però sicuramente Channing Tatum e io mi chiedo come possa ancora avere una carriera questo quarto di bue visto che, se non ci fossero stati i sottotitoli, probabilmente avrei pensato che il buon Tatum parlasse una lingua totalmente avulsa dalle regole base della pronuncia americana. Per tutti i motivi di cui sopra, dunque, dichiaro Knockout - Resa dei conti nettamente inferiore per passione e tamarreide ai begli action con i quali sono cresciuta nonché pellicola buona solo per chi snobba questo genere di cinema "basso" ma vorrebbe comunque sfogarsi con qualche pugno ben dato. Mi dispiace ma per me non è la stessa cosa!


Del regista Steven Soderbergh ho già parlato QUI. Di Channing Tatum (Aaron), Michael Douglas (Alex Coblenz), Antonio Banderas (Rodrigo), Ewan McGregor (Kenneth), Michael Fassbender (Paul) e Bill Paxton (John Kane) ho già parlato ai rispettivi link.

Gina Carano interpreta Mallory Kane. Ex lottatrice di arti marziali e concorrente di American Gladiators, ha partecipato a film come Fast & Furious 6. Anche produttrice, ha 33 anni e quattro film in uscita.


Mathieu Kassovitz interpreta Studer. Francese, lo ricordo per film come L'odio, Il quinto elemento e Il favoloso mondo di Amélie. Anche regista, produttore e sceneggiatore, ha 47 anni.


Dennis Quaid avrebbe dovuto interpretare John Kane ma per impegni pregressi ha dovuto rinunciare ed è stato così sostituito da Bill Paxton. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate Nikita, Kill Bill e Drive. ENJOY!

martedì 11 giugno 2013

Behind the Candelabra (2013)

Quest’anno ho seguito sporadicamente il Festival di Cannes ma qualcosa ha comunque attirato la mia attenzione, come la notizia che Michael Douglas, uscito vittorioso dalla battaglia contro la malattia, ha rischiato di portarsi a casa la Palma d’oro come miglior attore per il film TV Behind the Candelabra, diretto da Steven Soderbergh e tratto dall’autobiografia Behind the Candelabra: My Life With Liberace di Scott Thorson. Incuriosita, ho deciso di dare un’occhiata…


Trama: il giovane Scott Thorson conosce il famosissimo pianista Liberace che, nonostante la differenza di età, si invaghisce di lui e lo prende in casa come amante e tuttofare. La turbolenta relazione va avanti per anni, tra plastiche facciali, droga e capricci…


Behind the Candelabra è un film scandaloso. Nel senso che è uno scandalo averlo relegato al circuito televisivo e avergli rifiutato la distribuzione cinematografica perché “troppo gay”, come ha dichiarato uno stupito Soderbergh. A maggior ragione, è scandaloso per un pubblico italiano: quando ci va bene, le nostre produzioni televisive contemplano la presenza di Beppe Fiorello e un uso banalmente professionale della cinepresa, mentre in America si beccano una tripletta di pezzi grossi mica da ridere e una pellicola che non sfigurerebbe tra i premiati alla prossima notte degli Oscar, un gioiellino che a tratti mi ha ricordato il meraviglioso Angels in America. Certo, ammetto di aver fatto fatica a sopportare i primi 20 minuti di Behind the Candelabra ma non tanto per l’argomento trattato, quanto per il personaggio di Liberace, un viscido, megalomane e leppegoso incrocio tra Elton John e Malgioglio. Se considerate che la sottoscritta, da bambina, era innamorata persa del Michael Douglas versione All’inseguimento della pietra verde, potete tranquillamente immaginare lo shock che ho subito vedendolo conciato come la Regina, circondato da orridi barboncini, con una capigliatura improponibile persino per Baudo e la voce da peppia isterica, aggravata dalla “R” moscia alla Elmer Fudd. Un annullamento totale in un personaggio scomodo, un'interpretazione che conferma la grandezza di un attore che, all'alba dei 70 anni, ha ancora voglia di mettersi in gioco e stupire alla faccia del cancro che ha minacciato la sua vita (per quanto spari comunque parecchie meenchiate: il cancro lo avrebbe provocato il sesso orale? Da quando la patata è radioattiva? La prossima vita fuma meno sigarette, vah...).


Behind the Candelabra, dunque, andrebbe visto anche solo per Michael Douglas, ma la verità è che il biopic in sé prende da morire. Soderbergh, infatti, ha deciso di trattare questa vicenda fatta di bassezza morale e artisti megalomani con il tono ironico che meritava, senza lesinare sequenze al limite del trash che tuttavia non stonano affatto, anzi, rendono perfettamente il clima d'ipocrisia che regnava nello show business di fine anni '70: Liberace è palesemente gay ma è circondato da uno stuolo di cupi avvocati e collaboratori dall'aspetto quasi mafioso (tra i quali spicca un Dan Aykroyd in formissima) che, distribuendo soldi e "consigli" a destra e manca, riescono a mettere a tacere tutti i pettegolezzi e a soddisfare ogni vizio del capriccioso artista. Tra lustrini, paillettes, gioielli, la casa di Zsa Zsa Gabor sontuosamente trasformata nel santuario di Liberace, ragazzetti dalle chiappe sode che non vedono l'ora di venire "scoperti" dal vecchio marpione, numeri musicali in perfetto Las Vegas style, tutto appare nuovo, ricco e bello se filtrato dall'occhio innocente del campagnolo Scott, interpretato da un Matt Damon imparrucchinato ma perfetto. Mano a mano che la storia prosegue, però, ci viene mostrato quello che si nasconde "dietro il candelabro" e cambia anche il punto di vista del ragazzo, che viene letteralmente plasmato (e rovinato) nella carne e nello spirito da Liberace, così che tutto il torbido dell'ambiente viene a galla, ricollegandosi agli assai meno innocenti anni '80, travolti dal nero spettro dell'AIDS. Depravazione a bizzeffe, dunque, ma anche amore e idealizzazione di una figura che, probabilmente, a noi italiani non dirà nulla ma che ha sicuramente segnato un'epoca negli USA: la sequenza finale, pacchianissima ma assolutamente geniale, palesa tutti i sentimenti del protagonista verso colui che ne è diventato amante, amico, fratello e padre, una figura talmente fuori dagli schemi e megalomane da trascendere la sua natura di essere umano e trasformarsi in icona anche agli occhi di chi si è illuso di averlo conosciuto davvero.

Un irriconoscibile Rob Lowe si prepara alla vista della sconvolgente foto-Speedo..
Se Michael Douglas è incredibile e Soderbergh si da indubbiamente da fare con la macchina da presa, realizzando persino un'onirica sequenza in bianco e nero, la bellezza di Behind the Candelabra risiede però anche nell'incredibile attenzione dedicata alle scenografie e, soprattutto, ai costumi e al make up: nel corso della pellicola Matt Damon cambia gradualmente da ragazzotto belloccio quasi sovrappeso ad azzimato figurino devastato dalla chirurgia plastica, mentre un trashissimo e meraviglioso Rob Lowe sperimenta sulla sua pelle la "cura Joan Crawford" che lo rende un inespressivo e tiratissimo dottorino impossibilitato persino a chiudere le palpebre. I costumi riprendono fedelmente le fantasmagoriche mise indossate dal vero Liberace, tra cui una pelliccia di volpe con lo strascico lungo quasi 5 metri e tempestata di cristalli, ma l'accessorio che ho preferito in assoluto è l'imbarazzante, vergognosissimo SPEEDO col pacco incrostato di strass indossato da Matt Damon in una delle scene cult, che potete vedere nella foto che segue. Nulla da dire sul six pack, tanta roba. Deliri a parte, se cercate un prodotto veramente ben diretto, ben recitato e ben realizzato e non vi scandalizzano scene pesantemente omoerotiche al limite della pedofilia, Behind the Candelabra è il film che fa per voi!

Buon Dio...!
Del regista Steven Soderbergh ho già parlato qui. Matt Damon (Scott Thorson), Dan Aykroyd (Seymour Heller) e David Koechner (l’avvocato) li trovate invece ai rispettivi link.

Michael Douglas interpreta Liberace. Grandissimo attore americano, lo ricordo per film come i meravigliosi All’inseguimento della pietra verde e Il gioiello del Nilo, Attrazione fatale, Black Rain – Pioggia sporca, Wall Street (con il quale ha vinto l’Oscar come miglior attore protagonista), La guerra dei Roses, Basic Instinct, Un giorno di ordinaria follia, Spiriti nelle tenebre, The Game – Nessuna regola, Delitto perfetto, Traffic, Tu io e Dupree Wall Street – Il denaro non dorme mai; inoltre, ha partecipato alla serie Will & Grace e doppiato un episodio di  Phineas & Ferb. Anche produttore e regista, ha 69 anni e quattro film in uscita.


Scott Bakula interpreta Bob Black. Americano, ha partecipato a film come Signore delle illusioni, American Beauty, Source Code e alle serie Matlock, Desperate Housewives e Two and a Half Men. Anche produttore e regista, ha 59 anni e due film in uscita.


Rob Lowe (vero nome Robert Hepler Lowe) interpreta il Dottor Jack Startz. Americano, ha partecipato a film come I ragazzi della 56ma strada, Hotel New Hampshire, Sant’Elmo’s Fire, Fusi di testa, L’ombra dello scorpione, Austin Powers, Austin Powers – La spia che ci provava, Austin Powers in Goldmember e ha doppiato un episodio de I Griffin. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 49 anni e un film in uscita.


Nonostante io sia rimasta scioccata alla vista di un Michael Douglas che si atteggiava come l’ultima delle culandre pazze, poteva andare peggio perché per il ruolo di Liberace era stato interpellato anche Robin Williams. Non so se sarei riuscita a sopportare la distruzione di un mio mito dell’infanzia, giuro. A parte questo, se Behind the Candelabra vi dovesse piacere, cercate anche J.Edgar e The Aviator. ENJOY!!

mercoledì 14 settembre 2011

Contagion (2011)

Forse perché il 2012 si sta avvicinando, il mio Multisala sta facendo il miracolo e si sta impegnando per mettere in programmazione bei film che non avrei mai creduto di poter vedere al cinema nella mia zona. Ieri sera sono riuscita così ad andare a vedere Contagion, la nuova pellicola del regista Steven Soderbergh.



Trama: Un terribile e mortale virus si diffonde in pochissimi giorni in tutto il pianeta. Mentre autorità mondiali, luminari della medicina e giornalisti cercano di trovare una soluzione, i pochi sopravvissuti cominciano a fare i conti con la paura e il caos…



Pur essendo uno dei pochi film “originali” in uscita, Contagion riprende un trend già in voga negli anni ’70, ovvero quello delle pellicole catastrofiche che radunavano un gran numero di famosissime star dell’epoca. Originale, quindi, con riserva, anche se l’approccio ad una trama di per sé non innovativa viene portato avanti con piglio assai asettico e documentaristico, concedendo poco allo spettacolo. Soderbergh decide di puntare molto sui fatti e di girare un film sobrio, privo di fronzoli o immagini ad effetto (uniche eccezioni la terribile sequenza dell’autopsia su Gwyneth Paltrow e la commovente scena finale del prom casalingo, accompagnata dalla splendida musica degli U2), dal montaggio serrato ed implacabile come la diffusione del virus che vorrebbe rappresentare. Un drink all’aeroporto, un viso lucido di sudore, primi piani di mani che toccano oggetti che vengono passati ad altre mani, didascalie con nomi di città e relativo numero di abitanti, panoramiche di hotel, autobus, condomini, metropoli: Contagion come da titolo si concentra giustamente sulla dinamica del contagio e sulla conseguente ondata di panico collettivo e “fobia dell’altro” che influenzano ogni cosa, dalle alte decisioni governative ai più semplici rapporti umani.



Il risultato è un film sicuramente ben recitato (Kate Winslet e Jude Law sono strepitosi!), molto bello ed ottimamente confezionato, che stringe lo spettatore in una morsa di ansia dall’inizio alla fine, evitando di ammorbarlo con spiegazioni scientifiche troppo dettagliate o complesse, e che alla fine non si sofferma troppo su nessun personaggio, preferendo mostrare un campionario di varia umanità per coprire il maggior numero di punti di vista possibili. Certo, all’uscita dal cinema ho origliato i pareri “a caldo” di alcune persone, e secondo loro il difetto più grande di Contagion è proprio questo, la decisione di raccontare tante piccole storie senza approfondirle troppo. Personalmente non l’ho preso come un difetto ma come un ulteriore mezzo per accentuare il realismo della pellicola perché, diciamoci la verità, nel corso di una pandemia dubito che tutti i giorni accadano costantemente, ad ogni singola persona, eventi degni di essere narrati: molto meglio, quindi, mostrare spizzichi e bocconi di vicende più o meno interessanti e lasciare anche qualche dubbio, storie che potranno essere ulteriormente raccontate o continuate se qualcuno lo vorrà. A dire il vero la cosa che però mi ha colpita di più è l’assenza di personaggi totalmente positivi o negativi (a parte Jude Law che è un bel bastardo, ma in modo particolare) e di qualsivoglia riferimento alla religione; in Contagion nessun personaggio ricerca il conforto della fede, non ci sono santi né predicatori che inneggiano alla fine del mondo, solo una disperata fiducia nella scienza e nell’informazione alternativa, un’ancor più disperata diffidenza verso le autorità e il desiderio di proteggere il proprio mondo, per quanto sia piccolo. Chissà cosa farei io in un caso come questo. Mah. Per ora posso solo dire che Contagion mi è piaciuto e lo consiglio.



Di Matt Damon (Mitch), Gwyneth Paltrow (Beth), Jude Law (Alan), Laurence Fishburne (Dr. Cheever), Kate Winslet (Dr. Mears), Elliot Gould (Dr. Sussmann), ho già parlato nei vari post a loro dedicati, che potete leggere cliccando sui link.

Steven Soderbergh è il regista della pellicola. Americano, lo ricordo per film come Sesso, bugie e videotape, Out of Sight, Traffic (che gli è valso l’Oscar come miglior regista), Ocean’s Eleven – Fate il vostro gioco, Ocean’s Twelve e Ocean’s Thirteen. Anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 48 anni e tre film in uscita.



Marion Cotillard interpreta la Dottoressa Orantes. Francese, ha partecipato a film come Taxxi, Taxxi 2, Taxxi 3, Big Fish – Le storie di una vita incredibile, Un’ottima annata, La vie en rose (che le è valso l’Oscar come miglior attrice protagonista) e Inception, oltre ad un episodio della serie Highlander. Ha 36 anni e un film in uscita, Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno.



John Hawkes (vero nome John Perkins) interpreta Roger. Per la serie, “dove t’ho già visto?”: ma sei Pete!! Pete, il povero, sfigatissimo commesso seviziato dai fratelli Jeko in Dal tramonto all’alba!! E non solo, ovviamente. Potete trovare l’attore americano in film come Scary Movie, Freaked – Sgorbi, Congo, Incubo finale, Identità, Miami Vice o in serie come Millenium, Nash Bridges, E.R. – Medici in prima linea, Buffy l’ammazzavampiri, X- Files, Più forte ragazzi, 24, Taken, Senza traccia, CSI e Lost. Ha 52 anni e quattro film in uscita.



Rimaniamo in tema di attori. Tra chi ce l’ha fatta, segnalo Jennifer Ehle, che nel film interpreta la dottoressa Hextall mentre ne Il discorso del re era la moglie di Logue. Passando a  chi, invece, non ce l’ha fatta,  si era pensato di assegnare il ruolo (marginale ma a suo modo importante) di Beth a Jennifer Connelly che, in quanto premio Oscar, in questo cast all star non avrebbe sfigurato. Se vi fosse piaciuto Contagion suggerirei di guardare almeno L’inferno di cristallo, film catastrofico che da piccola mi terrorizzava e dal quale pare Soderbergh abbia tratto ispirazione per la sua ultima pellicola. Intanto che lo cercate, vi lascio col trailer di Contagion... ENJOY!

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