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mercoledì 12 dicembre 2018

Strade perdute (1997)

Ogni tanto è sempre bene incrociare la via con David Lynch, regista e co-sceneggiatore di questo Strade perdute (Lost Highway), da lui diretto nel 1997.


Trama: il sassofonista Fred comincia a ricevere strani video che hanno per oggetto lui e la moglie Renee. Travolto da un escalation di terrore e violenza, Fred finisce in carcere ma, dopo una notte, nella sua cella si risveglia misteriosamente il giovane Pete, meccanico dai mille segreti.



Strade perdute è un incubo, per i protagonisti del film e per lo spettatore. Inutile cavare un senso da quanto passa sullo schermo, benché un senso forse ci sia e si chiami "fuga psicogena", una malattia mentale che prevede il distacco dal sé con conseguente, importante amnesia relativamente all'identità di chi ne è affetto. Detta così, avrebbe quasi senso e spiegherebbe alcune delle cose che vengono mostrate in Strade perdute ma sarebbe solo la punta dell'iceberg. Il film di Lynch è infatti un noir che segue due storie differenti ma con elementi comuni le quali, sul finale, in qualche modo arrivano a ricongiungersi; protagonista è un sassofonista che un giorno, dopo aver compiuto apparentemente un omicidio, si risveglia nella cella della prigione nei panni di un'altra persona, un ragazzo di nome Pete Dayton. Fuga psicogena, dunque, concretizzata nell'effettivo mutare dell'aspetto di una persona, ma non solo, perché Fred/Pete, in qualche modo, pare avere anche la facoltà di viaggiare nel tempo o, perlomeno, di subirne i capricci, riversati nella sua testa dolorante come flashback o fast forward di qualcosa accaduto all'uno o all'altro. E in mezzo, come in ogni noir che si rispetti, c'è la femme fatale che per l'occasione si sdoppia e il malvagio che perseguita, prima come un nome e poi fisicamente, entrambi i protagonisti. C'è anche la carta jolly di un inquietante uomo misterioso, forse lui stesso veicolo di follia e squilibrio, un alieno capace di saltare nel tempo e di sfruttare Fred/Pete per scopi imperscrutabili o semplicemente il frutto della malattia mentale del protagonista, che vede incarnato in questo essere misterioso il suo stesso senso di colpa, la propria pazzia, il terrore per i crimini commessi fatto in forma di uomo. E mentre Fred, sassofonista sposato ad una moglie che forse lo tradisce e impegnato in lavoretti sporchi, è una figura "arrivata" ed affascinante, Pete è bello ma sfigato, vorrebbe la vita di Fred e la ricerca seguendo la chimera di una bionda fatale impegnata nel campo del porno, in un afflato di autodistruzione che forse il sassofonista eviterebbe se non ci fosse costretto.


Ma chissà se quanto ho scritto sopra è vero, ché al momento questo Strade perdute mi è parso il film più complesso di Lynch (di Mulholland Drive ho vaghi ricordi, Inland Empire non l'ho proprio visto, abbiate pazienza) e anche, mi perdonino i fan, quello meno affascinante nonostante il senso di inquietudine palpabile dato da sequenze ed inquadrature ormai iconiche e zeppe di colori "forti" che bucano l'oscurità, come il giallo della riga frammentata di mezzaria oppure il rosso delle porte, per non parlare del blu di uno schermo enorme che riversa sul protagonista l'incubo del tradimento e dell'orrore oppure del bianco di un volto spettrale ed inumano. Sarà che il noir è un genere che a me dice poco o sarà che due protagonisti come Bill Pullman e Balthazar Getty mi hanno entusiasmata ben poco, surclassati dalla bellezza imbarazzante della doppia Patricia Arquette, splendida come mora e assolutamente divina come bionda (e quanto mi ha ricordato la dicotomia Laura/Madeleine Palmer), una donna che visse due volte ed entrambe costantemente sull'orlo del peccato e della perdizione, ma del film ho apprezzato la colonna sonora più di tutto il resto. Nello score di un Badalamenti a mio avviso meno ispirato del solito compaiono infatti pezzi degli Smashing Pumpkins, dei Rammstein, di Marilyn Manson, perfetti per le scene che accompagnano e in grado di fomentare lo spettatore nonostante il delirio effettivo che è questo Strade perdute. Il quale, ribadisco, è sicuramente un gran film e l'ennesimo esempio della bravura, della genialità di David Lynch, ma non è stato in grado di toccare le mie corde come altre sue opere. Chissà che guardando Mulholland Drive ed Inland Empire , "cugini" ideali di questa pellicola, non mi si apra un mondo, visto che l'idea di rivederlo per capirci qualcosa in più di sicuro c'è!


Del regista e co-sceneggiatore David Lynch ho già parlato QUI. Bill Pullman (Fred Madison), Patricia Arquette (Renee Madison / Alice Wakefield), Gary Busey (Bill Dayton), Giovanni Ribisi (Steve "V") e Robert Loggia (Mr. Eddy / Dick Laurent) li trovate invece ai rispettivi link.

Balthazar Getty interpreta Pete Dayton. Americano, ha partecipato a film come Il signore delle mosche, Natural Born Killers, Dredd - La legge sono io e a serie quali Streghe, Ghost Whisperer, Alias, Medium e Twin Peaks: Il ritorno. Anche produttore, ha 43 anni e un film in uscita.


Richard Pryor interpreta Arnie. Americano, lo ricordo per film come Giocattolo a ore, Superman III, Non guardarmi: non ti sento e Non dirmelo... non ci credo. Anche sceneggiatore, produttore e regista, è morto nel 2005, all'età di 65 anni.


Michael Massee, che interpreta Andy, era il Funboy de Il corvo nonché l'attore che ha, materialmente, ucciso Brandon Lee nello sciagurato stunt finito male; immancabile, all'interno di un film di Lynch, l'adorabile Jack Nance, che qui interpreta Phil, ma a un certo punto spunta anche Marilyn Manson, in guisa di attore porno. Detto questo, se Strade perdute vi fosse piaciuto recuperate Mulholland Drive, Inland Empire, Velluto blu e Cuore selvaggio. ENJOY!



mercoledì 6 aprile 2016

The Wannabe (2015)

Seguendo il mio strampalato metodo di recupero film talvolta capita d'imbattermi in pellicole praticamente sconosciute come The Wannabe, scritto e diretto nel 2015 dal regista Nick Sandow.


Trama: Thomas è un giovane criminale innamorato dello stile di vita dei mafiosi e il suo idolo è in particolare John Gotti, di cui segue con insistenza ogni fase del processo che lo vede imputato. Un giorno Thomas incontra Rose, la donna che diventerà sua complice nei costanti tentativi di arrivare a farsi un nome nella malavita newyorkese...



Per farvi un'idea del perché abbia deciso di guardare The Wannabe, dovete sapere innanzitutto che il produttore esecutivo della pellicola è il mio adorato Martin Scorsese, quindi ho pensato che se il buon Martino aveva dato la sua benedizione alla pellicola, sicuramente la stessa avrebbe meritato una visione. A ciò si è aggiunta la presenza di un'attrice che apprezzo molto, Patricia Arquette, e dell'adorato Michael Imperioli (che, ahimé, si vede davvero pochissimo), mentre il protagonista Vincent Piazza, così come il regista Nick Sandow, erano due incognite. Il risultato di questa visione "a scatola chiusa" è stato un film che parte apparentemente senza sapere dove andare a parare, rendendo lo spettatore partecipe dei tic di un ragazzo cresciuto nel mito cinematografico di criminali e mafiosi, al punto da diventare uno dei più ferventi sostenitori di John Gotti durante il processo che negli anni '90 lo ha visto inquisito per associazione a delinquere. La prima parte del film, che racconta anche la nascita della storia d'amore tra Thomas e Rose, è un collage di sequenze in cui lui tenta invano di attirare l'attenzione di chi è già "nel giro" e in cui entra in contatto con "Il Gemello", altro spettatore del processo che si suppone abbia dei legami con uno dei giurati; da questo punto la storia prende una piega meglio definita e comincia a concentrarsi sulla frustrazione di Thomas il quale, rifiutato dalla mala newyorkese, decide di prendersi la rivincita andando a derubare con Rose tutte le bische gestite dalla mafia ed infilandosi nel tipico tunnel di autodistruzione scorsesiano fatto di droga, arroganza e metodi raffazzonati. The Wannabe trova quindi il suo punto di forza nella seconda parte della pellicola, che si fa più solida ed avvincente a mano a mano che aumentano i punti di contatto con la storia vera da cui trae spunto, quella di Thomas e Rosemarie Uva, due novelli Bonnie & Clyde misteriosamente trovati assassinati a New York la mattina di Natale del 1992.


The Wannabe, in sostanza, tiene fede al suo titolo "volendo essere" una pellicola scorsesiana ma ritrovandosi, come succede al suo protagonista, mancante della grandeur e del profondo senso tragico del regista, cosa che la rende una visione abbastanza piacevole ma non troppo memorabile. La colpa, se di colpa si può parlare, risiede nelle due incognite di cui sopra, Nick Sandow e Vincent Piazza. Il primo, da regista e da sceneggiatore ricorre a troppi cliché del genere (purtroppo temo sia una cosa inevitabile) e solo in rarissime occasioni sceglie di girare delle sequenze oniriche, soprattutto quando Thomas e Rose sono strafatti dopo l'incalcolabile quantità di cocaina fumata, o particolari; il secondo, con quel faccino un po' anonimo da guappetto di strada, ha sicuramente del potenziale ma viene eclissato spesso e volentieri da una Patricia Arquette alla quale i ruoli di coguarona strafatta e con qualche problema di sanità mentale calzano ormai alla perfezione. In definitiva quello che frega The Wannabe è l'aver scelto un approccio superficiale quanto quello con cui il protagonista si avvicina alla "cultura" mafiosa, viziato da preconcetti cinematografici che lo portano ad ignorare le profonde ed antiche radici della stessa, all'interno della quale brulicano non tanto gangster azzimati ed eleganti bensì poveri contadinassi dal cervello fino ma dalla mentalità gretta; piuttosto che l'ennesima variazione sul tema mi sarebbe piaciuto vedere qualcosa che approfondisse il caso giuridico di John Gotti, un po' come sta facendo l'intelligentissima ed entusiasmante serie American Crime Story con il processo a O.J. Simpson. Chissà, magari i realizzatori mi accontenteranno nelle prossime stagioni!


Di Patricia Arquette (Rose) e Michael Imperioli (Alphonse) ho già parlato ai rispettivi link.

Nick Sandow è il regista e sceneggiatore della pellicola, inoltre interpreta Anthony. Americano, ha diretto film come Ponies. E' anche attore (famoso per il suo personaggio nella serie Orange Is the New Black) e produttore.


Vincent Piazza interpreta Thomas. Americano, ha partecipato a film come Jersey Boys e a serie come I Soprano e Broadwalk Empire. Anche produttore, ha 40 anni e due film in uscita.


Doug E. Doug (vero nome Douglas Bourne) interpreta il Gemello. Americano, ha partecipato a film come Mo' Better Blues, Jungle Fever, Dr. Giggles, Arac Attac - Mostri a otto zampe e a serie come Cosby, inoltre ha lavorato come doppiatore in Shark Tales. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 46 anni e un film in uscita.


Se The Wannabe vi fosse piaciuto recuperate Rob the Mob, basato sulla stessa storia; io non l'ho visto ma magari è interessante. ENJOY!


lunedì 23 febbraio 2015

Oscar 2015

Buon lunedì a tutti! Ieri notte sono stati assegnati i premi Oscar, c'è da dire senza troppe sorprese. Tolto il miglior film ho infatti azzeccato più o meno tutti i pronostici, rimanendo delusa ovviamente dal fatto che L'amore bugiardo - Gone Girl non abbia portato a casa nemmeno mezza statuetta. Si sapeva ma non è comunque una bella cosa. Bando alle ciance però e vediamo come s'è svolta più o meno la serata che, come al solito, non ho guardato. Ho capito che la diretta su Cielo cominciava alle 23, ma i premi cominciavano ad assegnarli alle 2 di notte.. ma anche no, grazie!! ENJOY!


L'unica vera sorpresa della serata è stata la schiacciante vittoria di Birdman su Boyhood, risultato a cui non avrei dato un euro ma che mi rende comunque felice visto quanto ho amato il film di Iñárritu, premiato come miglior Regista. Birdman porta a casa non solo la statuetta per il Miglior Film ma anche quella per la miglior Sceneggiatura Originale e, giustamente, per la splendida Fotografia di Emmanuel Lubezki. Stranamente, all'accattivante Montaggio Sonoro di Birdman è stato preferito quello di American Sniper, probabilmente per dare un premio anche al povero Clint Eastwood rimasto a bocca asciutta.


Nessuna nuova dal fronte del Miglior Attore Protagonista. Eddie Redmayne vince giustamente per La teoria del tutto confermando così l'unica caratteristica positiva di un film altrimenti dimenticabile.


Senza troppe sorprese, l'Oscar per la Migliore Attrice Protagonista va a Julianne Moore, anche lei unica stella fulgida di un film che si regge interamente sulla sua interpretazione. Rimango dell'idea comunque che Rosamund Pike sarebbe stata una scelta migliore e più coraggiosa ma d'altronde a presentare la serata c'era Neil Patrick Harris e chi ha visto Gone Girl saprà che il poveraccio non è stato trattato benissimo dalla bella Rosamunda!


All'urlo di Not Quite My Tempo, J.K. Simmons sbaraglia la concorrenza e si accaparra giustamente l'Oscar per il Miglior Attore Non Protagonista. Per la cronaca, Whiplash ha vinto anche per lo splendido Montaggio e per il Sonoro, due premi sacrosanti per un film che avrebbe comunque dovuto meritare di più (per esempio il premio per la Miglior Sceneggiatura Originale, che è andato invece a The Imitation Game, a mo' di contentino).


Gaudio e giubilo per l'adorata Patricia Arquette, che in Boyhood ha dato davvero il bianco e ha giustamente vinto l'Oscar come Miglior Attrice Non Protagonista. E' paradossale ma questo è l'unico premio conferito a Boyhood, che partiva come strafavorito ed è stato brutalmente ridimensionato.


Diamo un'occhiata anche agli altri premi, perlomeno a quelli di cui posso parlare con un minimo di cognizione di causa. L'amatissimo Grand Budapest Hotel ha vinto una marea di Oscar tecnici (e vorrei ben vedere, era un gioiello!!!!); quello che mi rende più orgogliosa è ovviamente quello conferito a Milena Canonero per i meravigliosi Costumi, al quale si aggiungono Miglior Trucco, Miglior Scenografia e Miglior Colonna Sonora Originale. A proposito di colonne sonore, il bellissimo Selma si becca un altro dei "contentini" della serata, venendo premiato solo per l'orrenda canzone Glory di Common e John Legend. Rimanendo in tema contentini, il "nuovo 2001 Odissea nello spazio (mwaahahahahmavaciappàiratt'!)" Interstellar porta a casa solo l'Oscar per gli Effetti Speciali, assieme alle pernacchie e gli sputi di chi come me lo ha ridimensionato dopo l'orchitica visione. Concludo con il sommo scorno di aver visto vincere nella categoria Miglior Film d'Animazione una robetta (per quanto gradevole) come Big Hero 6 e non il capolavoro Ghibliano La storia della principessa splendente e con la promessa di recuperare Ida, Miglior Film Straniero. Ci si risente nel 2016!!

lunedì 12 gennaio 2015

Golden Globes 2015

Buon lunedì a tutti, ladies and gentlemen! Probabilmente a quest'ora non interesserà più a nessuno ma siete pronti a leggere le mie impressioni sui Golden Globes 2015? Quest'anno ho avuto ben poche soddisfazioni ed ero anche meno spinta a tifare (se mancano Quentin e Martin la fangirl che è in me si addormenta) ma almeno un paio di premi mi hanno strappato gridolini di felicità, altri mi hanno uccisa (il trattamento riservato a Fincher e Gone Girl è stato vergognoso!), altri hanno alimentato un'insana curiosità per i film che stanno per arrivare, si spera, in sala. Boyhood si conferma uno dei più papabili candidati ad ottenere almeno un paio di Oscar ma anche Birdman, che dovrebbe uscire da noi il 5 febbraio, e La teoria del tutto, che uscirà giovedì, sembrano abbastanza qualificati! ENJOY!


Miglior film - Drammatico
Boyhood (USA, 2014)
L'unico film che ho visto tra i nominati merita assolutamente la statuetta visto che è stato uno dei più belli dell'anno scorso!

Miglior film - Musical o commedia
Grand Budapest Hotel (The Grand Budapest Hotel, USA/Germania/UK, 2014)
Mi sarei stupita del contrario! Ho adorato l'ultima pellicola di Wes Anderson e sono contenta che la giuria dei Golden abbia provato la stessa cosa. St. Vincent è carino ma non meritava neppure la nomination, mentre sono curiosissima per Birdman e Into the Woods, due dei film che aspetto di più per questa stagione!


Miglior attore protagonista in un film drammatico
Eddie Redmayne in La teoria del tutto
Redmayne non mi ha fatta impazzire negli altri film in cui l'ho visto ma sospendo il giudizio e segno questo La teoria del tutto, di cui parlano molto bene.

Miglior attrice protagonista in un film drammatico
Julianne Moore in Still Alice
Primo colpo al cuore. Non ho visto Still Alice quindi non posso giudicare ma, santo Dio, DOVEVA vincere Rosamund Pike per quell'interpretazione fenomenale in Gone Girl! Cacca sulla giuria, a prescindere.

Miglior attore protagonista in un film musicale o commedia
Michael Keaton in Birdman
Anche Birdman mi manca; sicuramente avrei gradito molto la vittoria dei fenomenali Christoph Waltz e Ralph Fiennes per Big Eyes o Grand Budapest Hotel ma siccome ho sempre amato Keaton mi fido e attendo Birdman con ancor più ansia!

Faccia da: toglietemi il Golden ma non il panozzo!
Miglior attrice protagonista in un film musicale o commedia
Amy Adams in Big Eyes
Mah, Christoph ha fatto di meglio tuttavia sono contenta anche per la Adams, anche perché mi sono persa le performance delle altre candidate (no ma bello questo blog, me ne rendo conto. Non so un cavolo!!!).


Miglior attore non protagonista
J.K.Simmons in Whiplash
Attore che apprezzo molto, film che non conosco, ahimé. Un po' mi spiace per il povero Ethan Hawke in Boyhood ma sono comunque contenta.

Miglior attrice non protagonista
Patricia Arquette in Boyhood
Forse il premio che più mi ha soddisfatta. Come sa chi ha letto il post dedicato al film, ho adorato la Arquette in Boyhood, spero che porti a casa anche l'Oscar!!

Miglior regista
Richard Linklater per Boyhood
Scende una lacrima a commemorare sia Fincher che Anderson, soprattutto il primo. Per carità, Linklater ha compiuto una grande impresa ma se confrontiamo la regia di Boyhood e Gone Girl non c'è davvero storia. A Boyhood poteva anche "bastare" il premio come miglior film, su.


Miglior sceneggiatura
Alejandro González Iñárritu, Armando Bo, Alexander Dinelaris, Nicolás Giacobone per Birdman
Niente, Birdman si riconferma il film DA VEDERE per questo 2015. Però almeno un "contentino" a Gone Girl potevano darlo, eh.

Miglior canzone originale
Glory di Common e John Legend, per il film Selma
Quelle di Lana Del Rey per Big Eyes e di Lorde per The Hunger Games - Il canto della rivolta sono due mattonate sulle balle; non ho ancora sentito Glory ma John Legend di base non mi spiace affatto!

Miglior colonna sonora originale
La teoria del tutto di Jóhann Jóhannsson
E mi toccherà guardarlo questo film, ho capito! Ringraziando il Signore quel noioso di Zimmer è rimasto a bocca asciutta per Interstellar che può soltanto sperare di rifarsi agli Oscar.

Miglior cartone animato
Dragon Trainer 2 (How to Train Your Dragon 2, USA 2014)
Prima che arrivino gli Oscar organizzerò un recupero sia del primo Dragon Trainer che di questo, giuro. Quest'anno, tra l'altro, non ho visto neppure uno dei nominati anche se Box Trolls mi intrigava parecchio.

Miglior film straniero
Leviafan (Russia 2014)
Come al solito, davanti al film straniero rimango in silenzio perché non ne conosco neppure uno. Questa storia di corruzione e disperazione mi intriga parecchio però, speriamo che Leviafan possa venire distribuito anche da noi!


Due righe anche sulle serie TV, sulle quali come al solito non posso pronunciarmi visto che ne seguo pochissime. Fargo scalza a sorpresa True Detective come miglior miniserie (e a questi punti dovrò recuperarle entrambe) e consente anche a Billy Bob Thornton di vincere l'ambita statuetta, Kevin Spacey porta a casa il Golden Globe per House of Card, Maggie Gyllenhaal fa sì che nemmeno quest'anno l'adorata Jessica Lange vinca per American Horror Story e il mio buon amico Toto sarà felice di sapere che Joanne Froggatt ha invece tenuto alto il nome di Downton Abbey. E con questo è tutto... ci si risente per gli Oscar! ENJOY!

venerdì 7 novembre 2014

Boyhood (2014)

In questi giorni sono finalmente riuscita a guardare il film sulla bocca di tutti, Boyhood, diretto e sceneggiato nel 2014 (o meglio, girato nel corso di 12 anni) dal regista Richard Linklater.


Trama: il film segue letteralmente la crescita di Mason, dall'età di 5 anni fino ai 18, e le vicissitudini della sua disastrata famiglia...



Alla fine di Boyhood mi sono ritrovata a riflettere parecchio su quello che avevo visto, rimanendo sveglia nel letto più di quanto normalmente farei. In particolare, mi tornavano in mente le parole della madre del protagonista (una Patricia Arquette che dovrebbero far partecipare a più film) mentre, in lacrime, guarda il figlio partire per il college ed esclama queste parole, che riporto pari pari: "This is the worst day of my life. I knew this day would come, except why is it happening now? First I get married, have kids, end up with two ex-husbands, go back to school, get my degree, get my masters, send both my kids off to college. What's next? My own fucking funeral? [...] I just thought it would have been better." Pensavo solo che sarebbe stato meglio. Che cosa, il distacco? O forse la vita? In quanti l'abbiamo già pensato, in quanti lo penseremo davanti ai figli grandi, in quello che sarà "il peggior giorno", quando ci guarderemo indietro e penseremo a quali traguardi abbiamo raggiunto nella vita, SE li avremo raggiunti, e a quanto poco di emozionante ed importante ci rimarrà da fare? Il film si intitola Boyhood, il protagonista è il piccolo Mason, ma io ho focalizzato tutta la mia attenzione su quella madre che nella vita non ne ha mai azzeccata una, che è passata da un marito fannullone e sognatore a due ubriaconi della peggior specie e che, alla fine della fiera, si ritrova sola davanti all'amara verità dell'esistenza, una verità enunciata dall'ex marito e ripetuta come un mantra in svariate sequenze della pellicola: infanzia ed adolescenza sono una fucina di emozioni e sentimenti che, quasi inevitabilmente, l'età adulta incanalerà fino a farli affievolire e consumare, fiaccandoli con responsabilità, preoccupazioni, scelte, fallimenti, lavoro, famiglia, problemi economici e quant'altro.


La maggior parte di noi comuni mortali va al cinema per emozionarsi con storie straordinarie, pregne di significato, divertenti, paurose, per vivere un paio d'ore nei panni di qualcun'altro; Linklater ci "frega" e lo stesso ci cattura, realizzando un film che copre dodici anni di vita di un ragazzino e della sua famiglia, all'interno dei quali non succede nulla di particolarmente eclatante né vengono mostrati personaggi "speciali" o degni di particolare interesse ma "solo" uno spaccato di esistenza come ce ne sono milioni di altri all'interno della civiltà occidentale, con piccoli traguardi, pochi successi e troppi fallimenti. Laddove Malick trovava la poesia e la mano divina, Linklater mostra solo ciò che è prosaico, addirittura triste se vogliamo. So che sono una persona da bicchiere mezzo vuoto ma, ribadisco, al di là delle gite col papà, delle confidenze tra fratelli, delle feste e dei piccoli traguardi di Mason, quello che ho percepito guardando Boyhood è stata la costante e drammatica contrapposizione tra la speranza della giovinezza e la disillusione dell'età adulta; sequenze come quella in cui la madre di Mason neppure più sorride davanti ai ringraziamenti del ragazzo a cui ha cambiato la vita consigliandogli di iscriversi a scuola, quella in cui il padre ammette di essere stato costretto dagli eventi a diventare "quell'uomo noioso che tua madre avrebbe voluto" invece di continuare a vivere un'esistenza scapestrata o quella in cui il prof di Mason stronca con due inconfutabili parole ogni sua convinzione di essere speciale sono sequenze che mi hanno magonata più di quanto immaginavo possibile e che, neanche a dirlo, mi hanno messo addosso un indescrivibile ansia per il futuro e un incredibile rimpianto per ciò che poteva essere e che non è stato, per svariati motivi.


Per evitare di sprofondare nel disagio e nella depressione, da inguaribile cinefila mi tocca allora cercare conforto nell'inconfutabile bellezza di questo Boyhood, che trova fondamento in un lavoro incredibile durato dodici anni, dove l'affiatamento del cast dev'essere stato necessario e comprovato, quasi ai livelli di una famiglia. Mi tocca trarre forza dalla colonna sonora che, come nella vita reale, accompagna e rende indelebili i momenti più importanti dell'esistenza di Mason, sia quelli belli che quelli brutti, avvicinandolo maggiormente a quello strano padre-bambino il cui inquilino ha davvero accompagnato Bob Dylan in parecchi concerti. Mi tocca ripensare, ovviamente, alle belle e naturali sequenze con cui Linklater è riuscito a rendere fantastica anche la quotidianità; tra le mie preferite ci sono il dialogo tra Mason e la ragazzina in bicicletta, il saluto della petulante sorellina alla prima casa, lo sguardo verso i genitori dalla finestra, accompagnato dall'ingenua speranza che i due si possano rimettere insieme, i dialoghi solitari tra Mason e il padre (un favoloso Ethan Hawke) e, ovviamente, quel finale aperto in cui tutte le speranze del protagonista si cristallizzano in una camminata in mezzo alla natura, in un momento in cui il futuro è miracolosamente scomparso e c'è solo l'attimo. Quell'attimo che non siamo noi a dover prendere, perché è lui che prende noi, quando gli va. Avrei ancora mille cose da dire su Boyhood ma mi rendo conto che, per la natura stessa del film, sarebbero anche troppo personali e serie per un blog cazzaro come questo. Fatevi quindi il favore di andare a vedere una delle migliori pellicole dell'anno e abbandonatevi a tutte le sensazioni che vi potrà suscitare!


Del regista e sceneggiatore Richard Linklater ho già parlato QUI. Patricia Arquette (Mamma) ed Ethan Hawke (Papà) li trovate invece ai rispettivi link.

L'attrice che interpreta Samantha è Lorelai Linklater, figlia del regista: pare che intorno al quarto/quinto anno di riprese la ragazza avesse perso interesse verso il progetto e avesse chiesto al padre che il suo personaggio venisse ucciso ma ovviamente Linklater ha rifiutato! Se fosse stato invece il regista a morire davvero nel corso dei dodici anni del progetto, Ethan Hawke avrebbe preso il suo posto dietro la macchina da presa. Per concludere, se vi fosse piaciuto Boyhood non saprei davvero cosa consigliarvi di guardare vista la particolarità del progetto; scorrete la filmografia di Linklater e lasciatevi ispirare da questo eclettico regista! ENJOY!


domenica 9 giugno 2013

Johnny Depp Day: Ed Wood (1994)


Eccoci di nuovo qui a festeggiare il compleanno di un mito cinematografico! Questa volta non c’è stata praticamente alcuna incertezza, l’attore di cui si parlerà oggi ha sbaragliato la concorrenza conquistandosi la simpatia di più di metà di questo gruppetto di blogger (anche se io avevo votato Bruce Campbell u__u) e l’ha spuntata persino sull’Albertone nazionale. Prepariamoci dunque a fare tanti auguri a John Christopher Depp II, meglio conosciuto come Johnny Depp, che oggi compie 50 anni tondi tondi. Passano gli anni e questo figliolo non perde in bellezza, nonostante, almeno con me, abbia perso un po’ in stima vista la sua ultima tendenza a fossilizzarsi su personaggi più o meno tutti simili… e pensare che fino a pochi anni fa, se c’era un attore eclettico, in grado di scrollarsi di dosso la sua nomea di sex symbol ed interpretare ruoli davvero fuori dagli schemi era proprio Depp! Esempio eclatante è il film che ho scelto di recensire per l’occasione, ovvero Ed Wood, diretto nel 1994 dall’amico fraterno Tim Burton. Ricordandovi che presto Depp tornerà sugli schermi con The Lone Ranger e, in futuro, probabilmente anche come Capitan Sparrow, vi dico non ENJOY ma…. BEWARE!!


Trama: il film percorre i primi anni di carriera di Edward D. Wood Jr., alias Ed Wood, universalmente riconosciuto come il peggior regista del mondo, concentrandosi in particolare sul suo rapporto con un Bela Lugosi ormai vecchio e dimenticato…


Prima di cominciare la recensione di Ed Wood, devo fare una vergognosissima confessione: non ho mai visto un solo film diretto dal regista di Poughkeepsie, prima per ignoranza, poi per paura di rovinare il mito quasi “romantico” cantato dal protettore dei reietti Tim Burton. Piuttosto che esclamare davvero “chemmerda!” davanti a Plan 9 From Outer Space preferisco guardare questo delizioso film in bianco e nero dove Ed Wood ha la faccia cialtrona e stralunata di Johnny Depp, che qui parla con la “s” sibilante a causa della mancanza di mezza arcata dentale superiore e si mostra svariate volte “en travesti”. Il regista peggiore del mondo non ha nulla da invidiare, pur essendo personaggio realmente esistito, ai migliori freak dell’universo Burtoniano e il suo estenuante tentativo di farsi accettare dalla Hollywood che conta viene raccontato con un tale sovrapporsi di toni grotteschi e lirici che il poveraccio parrebbe quasi un degno erede del più malinconico Edward mani di forbice. Johnny Depp, non a caso, incarna entrambe le figure e non potrebbe essere altrimenti vista la sua comprovata natura di alter ego del regista, tuttavia credo che Edward avrebbe avuto paura di Ed; logorroico, inguaribilmente ottimista, impossibilitato a stare fermo e dotato di grande faccia tosta, Wood è colui che nega l'evidenza, che per perseguire il suo Sogno (paragonabile, nella sua mente, a quello del grande Orson Welles e perché non dovrebbe essere così? Esistono sogni più piccoli di altri?) non guarda in faccia a nessuno e mente persino a sé stesso. Un ego gigante in un uomo dotato di passione e fantasia ma privo di talento, un uomo che trova conforto nella sua parte femminile avvolgendosi in morbidi maglioni d'angora, un mezzo debosciato dotato però di grandissima umanità.


A tal proposito, lo so che il post dovrebbe essere dedicato a Johnny Depp ma, per quanto il festeggiato sia adorabile con la sua aria stralunata, quando fa la danza del ventre con una parrucca bionda oppure quando, come un invasato, ripete a menadito gli orribili dialoghi previsti dalla sceneggiatura, la presenza veramente indimenticabile della pellicola è Martin Landau (premiato ovviamente con l'Oscar come miglior attore non protagonista) nei panni di un Bela Lugosi alla fine della propria carriera. E' impossibile non provare pietà per una delle icone horror per eccellenza, per il dramma umano di un vecchio dipendente dalla morfina, solo e dimenticato a tal punto che la maggior parte della gente lo crede morto... ed è impossibile non provare almeno un po' di nervoso davanti alla faccetta giuliva di Depp quando il suo personaggio assume contemporaneamente il ruolo di amico fraterno e sfruttatore del povero Lugosi: Burton mostra più volte l'ambiguità di Ed Wood, sincero e sfegatato fan del vecchio Dracula ma anche affarista consapevole del vago richiamo ancora esercitato sugli spettatori da Bela Lugosi, tanto che la sua decisione di lanciare Plan 9 From Outer Space come l'ultimo film dell'attore (sfruttando un brevissimo girato originale a dir poco commovente e utilizzando poi una controfigura col volto costantemente coperto dopo la morte di Bela) potrebbe essere sia un goffo modo di omaggiarlo, sia una bieca operazione commerciale. Il problema è che lo spettatore non capirà mai qual è il VERO Ed Wood, cosa ci sia di sincero dietro la maniacale volontà di raggiungere la fama e conquistare il pubblico di tutta l'America. Ed è qui che risiede molta della bellezza di questo film peculiarissimo.


Spendo ancora qualche parola sulla realizzazione. Ed Wood dimostra di essere un gioiellino a partire dai titoli di testa, che racchiudono tutti gli elementi della "poetica" del disgraziato regista, nonché per il modo in cui viene introdotta la storia narrata, presentata da Criswell, eccentrico e sedicente "veggente" diventato poi parte della sgangherata cricca del regista. In ogni sequenza vengono riproposte le scene madri dei primi film di Ed Wood e il goffo modo in cui, probabilmente, sono state veramente realizzate e ogni passaggio viene accompagnato dalla splendida musica di Howard Shore (con richiami da Il lago dei cigni di Tchaikovsky ogni volta che Lugosi si avvicina alla morte) e impreziosito dai meravigliosi costumi di Colleen Atwood. Tim Burton riempie la pellicola con tante di quelle citazioni da far impazzire un cinefilo e dirige un cast di attori della Madonna tra i quali, oltre a Johnny Depp e Martin Landau, spiccano Bill Murray, Patricia Arquette, Sarah Jessica Parker, Jeffrey Jones e Lisa Marie (che interpreta la splendida, sensualissima antenata della mia Elvira, Vampira - solo, non andatelo a dire a Cassandra Peterson visto che ha vinto la causa intentatale da Maila Nurmi per plagio!). Insomma, non credo vi serva ancora qualche motivo per guardare il capolavoro che è Ed Wood, cercatelo e non ve ne pentirete!!


Johnny Depp è una presenza importante del Bollalmanacco, ecco a voi tutti i post in cui è comparso il nostro. ENJOY!

Paura e delirio a Las Vegas (1998), dove si annulla negli scomodi ed esilaranti panni di Hunter S. Thompson.

Pirati dei Caraibi, la trilogia (2003-2007), Pirati dei Caraibi: oltre i confini del mare (2011): con il cialtronissimo Capitan Jack Sparrow, Johnny Depp crea un nuovo personaggio che diventa subito icona.

Sweeney Todd (2007), dove lo vediamo cupo antieroe in cerca di una sanguinosissima vendetta.

Alice in Wonderland (2010), davvero poco "moltoso". Un passo falso in odor di deliranza e diludendo, sia per Depp che per Burton.

Dark Shadows (2012) nei panni del vampiro Barnabas Collins, Depp da il meglio di sé ma il film è troppo pasticciato per convincere come dovrebbe.

E ovviamente non possono mancare i bellissimi post degli altri blogger che hanno deciso di omaggiare il genetliaco di Johnny Depp!!!

50/50 Thriller
Bette Davis Eyes
Combinazione casuale
Director's cult
Era meglio il libro
Il Cinema spiccio
In central perk
Montecristo
Movies Maniac
Pensieri Cannibali
Recensioni ribelli
Scrivenny
The Obsidian Mirror
Triccotraccofobia
Viaggiando (meno)
White Russian Cinema
CriticissimaMente
Dal romanzo al film

martedì 19 febbraio 2013

Al di là della vita (1999)

Parlare dei miei autori preferiti è contemporaneamente un piacere ed una sfida. Oggi tocca al divino Martin Scorsese, che nel 1999 dirigeva questo particolarissimo Al di là della vita (Bringing Out the Dead), tratto dall'omonimo romanzo di Joe Connelly.


Trama: Frank è un paramedico perseguitato dai fantasmi delle persone che non è riuscito a salvare. Privato del sonno e carico di alcool ed altre sostanze, non sarà facile per il povero Frank superare i turni di notte sull'ambulanza e mantenere il contatto con la realtà...


Scorsese nella sua veneranda e venerabile carriera ne ha girati di film strani... ma Al di là della vita è forse uno dei più particolari. A suo modo grottesco e allucinante come potevano essere Fuori Orario e Taxi Driver, ma allo stesso tempo più maturo e "pulito", già sulla strada che avrebbe portato ad altri lavori forse meno personali come quelli più recenti, Al di là della vita si mantiene in equilibrio tra queste due fasi della carriera di Marty e si conferma, almeno dal mio punto di vista, una sorta di mosca bianca da riguardare ed apprezzare a poco a poco. Per quanto riguarda la regia, la fotografia e il montaggio, posso tranquillamente parlare di capolavoro: l'odissea di Frank è un delirio di immagini rallentate, accellerate all'improvviso, scandite da musica "nera", con prospettive ribaltate, scene oniriche e contorni sgranati che conferiscono alla pellicola un'aria a tratti allucinata e a tratti quasi religiosa, soprattutto nei momenti in cui le immacolate divise degli infermieri si animano di una bianca luce soffusa.


La stessa vicenda di Frank assomiglia, mi si perdoni il paragone, a quella di un Cristo moderno. Il protagonista di Al di là della vita percorre una sorta di via crucis nelle strade di una caotica e pericolosa Manhattan, dividendo il suo cammino verso la salvezza in tre "tappe" che corrispondono a tre giorni e tre colleghi diversi: il primo giorno con il pragmatico Larry, dei tre il più cinico e coi piedi ben piantati in terra, il secondo giorno con il religioso e filosofico Marcus e il terzo con il folle Tom, bramoso di sangue e violenza. Perseguitato dai fantasmi e dal senso di impotenza, consapevole di non avere la facoltà di salvare tutte le vittime della strada e per questo schiacciato dalla responsabilità, il povero Frank si ritrova come sballottato, inerme e confuso davanti a questi modi così diversi di affrontare la vita e la morte, allo stesso tempo comprensibili ed alieni. Unica ancora di salvezza dal caos che alberga nella vita e nella città del paramedico è Mary, che il protagonista idealizzerà fin dall'inizio del film. Più Maddalena che Maria, la ragazza, con tutti i suoi difetti, diventerà emblema di purezza e pace per Frank, che per tutto il film cercherà di starle accanto e confortarla dopo i frequenti malori del padre, anche a costo di far soffrire quest'ultimo e tenerlo in vita contro la sua volontà. Soltanto nel finale il protagonista imparerà che la salvezza e la pace risiedono anche nella morte e che un medico non potrà mai essere Dio: pensarlo, vivere come una colpa ogni vita persa e ogni intervento andato male porta soltanto alla follia e all'impossibilità di avere un'esistenza serena.   


Probabilmente ho sproloquiato, ma per parlare della poetica di Scorsese servirebbe un esperto di cinema, cosa che io non sono. Passiamo dunque, molto più prosaicamente, agli attori. E partiamo dal protagonista, uno stupendo Nicolas Cage. Con quella faccia perennemente strafatta, moscia, inespressiva, è assolutamente perfetto per il ruolo dell'allucinato Frank, preda delle visioni, della stanchezza e dell'alcool. Davanti al folle Nicolas tutti gli altri attori, persino John Goodman, scompaiono. E i duetti con Patricia Arquette sono contemporaneamente dolcissimi e grotteschi, con lui che cerca palesemente di conquistarla (a modo suo, ovviamente) e lei che giustamente è preoccupata solo per suo padre. La brava Patricia, col la sua voce particolare e quell'aspetto innocente che nasconde un passato poco pulito è l'interprete ideale per un personaggio ambiguo come quello di Mary e la fanciulla si riconferma una delle mie attrici preferite. Lascio a voi il piacere (o la pazienza, se avete voglia di leggere ancora un po') di scoprire gli altri ottimi attori che arricchiscono questo splendido film. Una pellicola non per tutti i gusti, sicuramente, ma che non dispiacerà ai fan di Scorsese e a quanti vogliano godersi un'interessante opera d'autore.


Del regista Martin Scorsese (che si nasconde anche dietro una delle voci che comunicano via radio con i paramedici) ho parlato qui. Nicolas Cage (Frank Pierce), John Goodman (Larry), Ving Rhames (Marcus) e Queen Latifah (la voce di Love) li trovate invece ai rispettivi link.

Patricia Arquette interpreta Mary Burke. Sicuramente una delle mie attrici preferite, la ricordo per film come Nightmare 3: I guerrieri del sogno, il meraviglioso Una vita al massimo, Ed Wood, L’agente segreto, Strade perdute, Nightwatch – Il guardiano di notte, Stigmate e per la serie Medium. Americana, anche regista, ha 44 anni e quattro film in uscita.


Tom Sizemore (vero nome Thomas Edward Sizemore Jr.) interpreta Tom Wolls. Americano, lo ricordo per film come Nato il quattro luglio, Una vita al massimo, Assassini nati, Heat – la sfida, Relic – l’evoluzione del terrore, Salvate il soldato Ryan, Nemico pubblico,  Pearl Harbor L’acchiappasogni, inoltre ha anche partecipato alla serie CSI: Miami. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha  51 anni e ben diciassette film in uscita. 


Segnalo anche la presenza nel cast del cantante Marc Anthony (il tossico Noel), ex marito di Jennifer Lopez, e di Aida Turturro, che amo ricordare come odiosa sorella del boss Tony Soprano, nei panni dell’infermiera Crupp. Per concludere, se Al di là della vita vi è piaciuto consiglio la visione di Taxi Driver, sempre di Scorsese. ENJOY!

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