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martedì 18 novembre 2025

Eddington (2025)

Ho rimandato per via della Nuovi Incubi Halloween Challenge, ma alla fine sono riuscita a guardare Eddington, diretto e sceneggiato dal regista Ari Aster, solo per scoprire che io e lui ormai non andiamo più d'accordo.


Trama: durante la pandemia del COVID, lo sceriffo Cross e il sindaco Garcia si scornano a causa di dissidi sentimentali mai sanati. Le cose precipitano quando Cross decide di candidarsi come nuovo sindaco...


"Ad Aster servirebbe qualcuno di vessante e intimidatorio come la madre di Beau, che lo portasse a fermarsi e dubitare, invece di dare sfogo a tutto ciò che gli passa per la testa convinto che sia sempre cosa buona e giusta. Anche perché (diciamoci la verità senza timore di scatenare l'ira degli dèi) tre ore del pur bravissimo Joaquin Phoenix con la faccia triste del cane bastonato, che sciorina una lamentela dopo l'altra quando non è impegnato ad uggiolare o a balbettare scuse incomprensibili, sono un po' pesanti da sopportare." Apro il post con la citazione di un grande critico, ovvero la sottoscritta, che già ai tempi di Beau ha paura aveva le idee chiare relativamente alla logorrea cinematografica di Ari Aster e sperava che, nel frattempo, l'autore si sarebbe un po' ridimensionato. Aster mi ha ascoltata, in effetti, perché Eddington dura ben venti minuti meno di Beau ha paura. Peccato che, a differenza della sua penultima opera, che comunque non mi aveva spinta tra le braccia di Morfeo se non durante la sequenza dello spettacolo teatrale, Eddington sembri durare quanto un lockdown. Credo e spero fosse una cosa voluta, in quanto il film è ambientato proprio durante i primi tempi della pandemia mondiale, quando ancora pensavamo che non ne saremmo mai usciti e quando lo scontro tra le varie fazioni era all'apice della ferocia, tra mascherine, distanziamenti, decreti, paranoia, dubbi, complotti e quant'altro. Ci ricordiamo tutti (forse) com'era la situazione solo cinque anni fa, anche se sembra passato un secolo, e ricordiamo bene come ogni piccolo problema fosse esacerbato da un orribile clima di incertezza e nervosismo. Eddington parla proprio di questo, di piccole ma ben radicate antipatie e fastidi tutto sommato superabili, che si ingigantiscono fino a trasformare la cittadina di frontiera in una polveriera avente come fulcro due poli opposti. Da una parte c'è lo sceriffo Cross, un conservatore con moglie traumatizzata e suocera complottista a carico, il quale si oppone strenuamente a ogni prevenzione perché asmatico e perché convinto che il COVID non esista; dall'altra c'è lo sceriffo Garcia, sindaco democratico con mani in pasta ovunque e fautore di un progresso comunitario che in realtà porterà denaro solo a lui e pochi altri. Dopo una vita di reciproca diffidenza, alimentata da una (presunta?) passata relazione tra Garcia e Louise, la moglie di Cross, i due si scontrano definitivamente quando lo sceriffo, stufo della politica del rivale, decide di candidarsi sindaco, cominciando un'imbarazzante campagna elettorale a base di frasi fatte e scioccanti video su Facebook.


In mezzo a questo "duello" western 2.0, che avrebbe condotto John Wayne nella tomba tanto i contendenti sono molli, Aster infila le proteste per il black lives matter, il terrorismo, le derive estremiste di buona parte della popolazione americana, la questione delle armi, la pedofilia, gli imbonitori del web e chi più ne ha più ne metta. Un sovraccarico di informazioni e criticità che, sulla carta, sarebbe anche molto interessante, ma che preso così, a spizzichi e bocconi, si traduce in una pluralità di "spunti" assimilabile al bombardamento di informazioni da social e, allo stesso modo, fa poca presa sul cervello dello spettatore. Anche in questo caso, probabilmente, l'effetto era voluto. Per quanto mi riguarda, però, se l'aspetto portante della trama si perde in tanti piccoli punti appena accennati, trovo faticoso continuare a provare interesse per i protagonisti, ancor più se detti protagonisti sono ritratti come persone di rara antipatia, privi di spina dorsale, incapaci di esercitare anche un minimo controllo sulla propria vita. Tanti piccoli Beau, insomma, che non arriveranno ad avere paura di tutto, ma che non trovano altra risposta se non affidarsi alla violenza (che sia verbale, psicologica o fisica) ogni volta che si sentono messi con le spalle al muro. E pensare che Eddington non è privo di momenti coinvolgenti, anche perché Ari Aster, come ha già ampiamente dimostrato, ha un occhio di rara finezza per la messa in scena. Penso al prefinale del film, angosciante e concitato come quello dei migliori horror, alle ampie panoramiche sul grottesco finale, alla perfetta imitazione delle dinamiche che intercorrono all'interno dei social, alla rappresentazione della lucida follia dello sceriffo, a quel doppio, silenzioso schiaffo sulle note di Baby, You're a Firework, che fa crollare l'intera situazione. In quest'ultimo caso particolare, fanno molto Pedro Pascal e Joaquin Phoenix, che trasmettono in maniera incredibile la valenza grottesca e drammatica della sequenza; c'è da dire, purtroppo, che io ormai ho un problema enorme con Joaquin Phoenix e coi suoi "vinti", dopo una lunga serie di interpretazioni che, a mio avviso, hanno ulteriormente appesantito delle storie già non proprio leggere, Beau ha paura in primis. Come ho detto, problema mio, per carità, ma potrei anche aggiungere che avere tra le mani Austin Butler e, soprattutto, Emma Stone e sottoutilizzarli come ha fatto Ari Aster è un crimine punibile per legge. Io aspetto con ansia il momento in cui Aster lascerà un po' da parte la sua strabordante voglia di mostrare "quanto ne sa", per tornare alla carica con un'opera più asciutta e concentrata, magari rientrando nei ranghi dell'horror, a lui più congeniali. Insomma, gli servirebbe un bel trattamento Shyamalano, quella doccia di umiltà che potrebbe farmelo di nuovo amare. Non per augurargli il male, ma aspetto con fiducia.  


Del regista e sceneggiatore Ari Aster ho già parlato QUI. Joaquin Phoenix (Joe Cross), Emma Stone (Louise Cross), Pedro Pascal (Ted Garcia), Luke Grimes (Guy Tooley), Clifton Collins Jr. (Lodge) e Austin Butler (Vernon Jefferson Peak) li trovate invece ai rispettivi link.


Micheal Ward
, che interpreta Michael Cooke, era il coprotagonista del film Empire of Light, mentre Amélie Hoeferle, ovvero Sarah, era nel cast di Night Swim. ENJOY!

venerdì 28 febbraio 2025

Il robot selvaggio (2024)

Ai tempi dell'uscita ne avevano parlato tutti benissimo. In occasione delle tre candidature (Miglior cartone animato, Miglior colonna sonora originale, Miglior sonoro), ho dunque recuperato Il robot selvaggio (The Wild Robot), diretto e co-sceneggiato nel 2024 dal regista Chris Sanders.


Trama: Un robot di ultima generazione viene abbandonato su un'isola popolata di animali. La programmazione del robot si troverà a dover interagire con imprevisti ed emozioni...


Come ho potuto perdermi questo trionfo al cinema? E' la domanda che mi sono fatta tra le lacrime di commozione alla fine de Il robot selvaggio, uno dei lungometraggi animati più provanti, a livello emotivo, tra quelli visti negli ultimi anni. Purtroppo, se non ricordo male, a tenermi lontana dalla sala è tata una terribile concomitanza di influenze e orari a misura bambino (come se il genere fosse adatto solo ai più piccoli...), ma poco male; certo, mi dispiace non aver goduto sul grande schermo delle splendide immagini de Il robot selvaggio, ma un bel film rimane bello anche visto in piccolo. E Il robot selvaggio è davvero bellissimo. La trama parte dalla perdita di un carico di robot su un isola deserta; il modello ROZZUM, in particolare, è stato progettato per servire gli umani facendosi carico, ogni volta, di compiti diversi da svolgere al meglio. Una direttiva semplice, quella di ROZZUM, ma ardua da mettere in pratica quando non ci sono umani nei dintorni e gli unici esseri viventi sono degli animali, ignoranti di fronte alla tecnologia e per nulla disposti a farsi "migliorare" la vita. Istinti atavici e naturali inimicizie si scontrano con la fredda logica, almeno finché l'unità robotica non si ritrova a darsi degli obiettivi per far sopravvivere un pulcino di oca, diventato orfano proprio per causa sua. Se non avete ancora avuto modo di guardare Il robot selvaggio non starei a fare altre anticipazioni sulla trama. Vi dico solo che la storia di ROZZUM, rinominata Roz, è una profonda, splendida storia di amore ed amicizia, in tutte le sue forme. Il messaggio del film non si lega "solo" ad un invito alla tolleranza e alla comprensione, ma all'impegnarsi affinché chi amiamo possa trovare un posto dove i suoi talenti possano venire sviluppati al meglio, anche a costo di fare un passo indietro e offrire il più grande dei doni, la libertà. Ne Il robot selvaggio i personaggi si lasciano alle spalle preconcetti legati a loro stessi e agli altri, e riescono a fare quel passo in più per uscire da un microcosmo fatto di paura e limitazioni, affiancando ad idee "favolistiche" (come quella di animali di specie diverse che imparano a convivere per non rendere vano lo sforzo di un "mostro") immagini molto adulte e reali di morte (lunga vita agli opossum e al loro concetto di maternità!), tristezza e dolore, con un happy ending che non è scontatissimo, benché contenga il sapore della speranza. 


Chris Sanders
, partendo dal libro illustrato di Peter Brown, prende il meglio dai capolavori che lo hanno elevato tra i maestri dell'animazione odierna, e confeziona un'altra poetica storia dove i personaggi fanno della diversità la loro forza. Benché non abbia nessuna caratteristica umana o animale, il robot Roz è incredibilmente espressivo, dotato di una gamma emotiva interamente rappresentata da luci, colori, movimenti ed inquadrature ad hoc, e il bestiario che gravita attorno alla protagonista ha un sembiante contemporaneamente realistico e molto accattivante, soprattutto la volpe Fink (adoro le volpi animate fin da quando ero bambina e questa, a mio parere, è una delle migliori viste su schermo). La cosa incredibile de Il robot selvaggio, nonché quella che più mi ha fatta pentire di non averlo visto l cinema, è il modo in cui riescono a fondersi, rispecchiando alla perfezione in senso della trama, la tecnologia 3D di animazione dei personaggi e e una tecnica di colorazione ed illuminazione dotata delle stesse caratteristiche della pittura a mano libera. I fondali e le scene ambientate nella foresta sono dotati di una ricchezza e una profondità unici, ed è interessante vedere come i colori e la texture di Roz cambino mano a mano che la programmazione viene meno e subentra l'istinto che rende il robot, per l'appunto, selvaggio e sempre più integrato ed accettato dalla natura che lo circonda. Il risultato sono scene di pura perfezione, quasi dei quadri in movimento, che toccano l'apice nella splendida sequenza delle farfalle, o quella della migrazione delle oche, ma per quanto mi riguarda ogni fotogramma del film è un piccolo capolavoro. Importantissima anche la colonna sonora di Kris Bowers, epica e commovente, e il parterre di splendide voci che danno vita ai singoli personaggi, riconfermando (come se ancora servisse) Lupita Nyong'o come una delle attrici migliori in circolazione, talmente brava da infondere una profondissima umanità a Roz, pur mantenendo intatte le sue caratteristiche di "freddo" robot. Non ho ancora guardato Flow, e sapete quanto sia parziale verso i gatti, quindi non sono sicura che non lo preferirei a Il robot selvaggio; a prescindere, il film di Sanders è comunque un capolavoro che merita più di una visione, coi bambini ma anche da soli, così c'è meno vergogna a piangere senza ritegno!!


Del regista e co-sceneggiatore Chris Sanders ho già parlato QUI. Lupita Nyong'o (Roz / Rummage), Pedro Pascal (Fink), Kit Connor (Beccolustro), Bill Nighy (Collolungo), Ving Rhames (Fulmine), Mark Hamill (Spina) e Catherine O'Hara (Codarosa) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Il robot selvaggio vi fosse piaciuto recuperate Il gigante di ferro, Lilo & Stitch e Wall.E. ENJOY!

mercoledì 27 luglio 2022

Il talento di Mr. C (2022)

Meritava di uscire al cinema accolto con tutti gli onori del caso, invece noi italiani dobbiamo accontentarci di guardare Il talento di Mr. C (The Unbearable Weight of Massive Talent), diretto e co-sceneggiato dal regista Tom Gormican, sulle varie piattaforme di streaming e con un titolo che non gli rende giustizia. 


Trama: Nick Cage è ormai a un punto morto della sua carriera e sta meditando di smettere di recitare. Per raggranellare qualche soldo accetta di partecipare alla festa di compleanno di un riccone spagnolo e lì si ritroverà coinvolto in una storia di amicizia, spionaggio e criminali...


L'ho già detto e lo ripeto: come si fa a non amare Nicolas Cage? All'età di quasi 60 anni, con all'attivo 100 film, cifra raggiunta proprio con Il talento di Mr. C, lo si può amare o lo si può odiare ma, di sicuro, non gli si può rimanere indifferenti, soprattutto ora che internet gli ha regalato una nuova giovinezza a base di meme e gadget discutibili, rendendo oro (per quanto trash) ogni cosa toccata dal nostro. Ma spezziamo una lancia a favore di Nicolas, prima di passare al film, e smettiamola di parlare di attore incapace, perché non si nomina un massive talent dall'unbearable weight così, tanto per caso. In realtà, le pesantissime scelte infelici di Cage e la sua conseguente monoespressività parrucchinata o l'altrettanto parrucchinata verve trash hanno avuto un picco col nuovo millennio, prima il buon Nic ci aveva regalato parecchie interpretazioni da brivido oppure dignitose performance action in film anche buoni, e per fortuna da qualche anno è riuscito ad sfruttare la fama di attore demmerda per agguantare ruoli iconici in pellicole principalmente horror o di genere, la maggior parte delle quali anche belline, tornando a regalare allo spettatore momenti di pura gioia e facendosi volere di nuovo bene. Il talento di Mr. C è l'ultimo film destinato a rinfocolare il ruolo di icona moderna del versatile attore, talmente modesto, per inciso, che non avrebbe voluto nemmeno partecipare; badate bene, non siamo ovviamente nel territorio di quel capolavoro che era Essere John Malkovich, tuttavia il film di Tom Gormican è divertente e molto ironico, soprattutto perché si basa sull'"idea" che la gente ha di Nicolas Cage, un'immagine che quest'ultimo abbraccia senza vergogna e prendendosi talmente in giro da arrivare... a limonare se stesso. E questo non era stato mostrato nemmeno in Killing Hasselhoff ma, diciamoci la verità, The Hoff a Nic può giusto spicciare casa e lo stesso vale per la sceneggiatura del film di Darren Grant.


Il talento di Mr. C è infatti gradevole sotto molti aspetti, non solo in virtù dell'essere un progetto matto dedicato a Cage. Anzi, a mio avviso uno degli elementi migliori del film, oltre alla sua natura smaccatamente metanarrativa, tanto che la trama viene "decisa" o, meglio, anticipata dai protagonisti impegnati a realizzare un film (o a convincere l'interlocutore di starne realizzando uno), è la presenza del tenerissimo, imbranato Javi di Pedro Pascal. Quest'ultimo non è solo un espediente narrativo per dare un'ossatura alla trama e scatenare determinati eventi, ma diventa il ritratto del fan "sano", di colui che adora il suo mito e vorrebbe "vivere di avventure" con lui riuscendo anche ad essere umano ed empatico, benché magari un po' invadente, ben lontano dai matti che popolano internet in questi tempi malati. La strana coppia Nick Cage/Javi è divertentissima e frizzante, due caratteri che si compensano e danno vita a una bromance da antologia, equilibrando così quello che rischiava di essere un delirante one man show di Cage il quale, a onor del vero, riesce già da solo a trattenersi, almeno quando è nel personaggio (quando interpreta il suo giovane doppio è il Cage che tutti ci aspettiamo: un pazzo urlante in overacting). Ulteriore valore aggiunto di un film assai piacevole da guardare e, probabilmente, adatto anche a chi non ha particolare interesse per Cage (chi, di grazia, CHI mai oserebbe???) è l'abbondanza di citazioni legate ai "capolavori" del nostro, che arriva giustamente a prendersi per i fondelli profondendosi in un meraviglioso "Not the Bees!!" sul finale... ma, dovessi dire, la parte è ho preferito è il giusto vilipendio ai Duplass Brothers, che conferisce a Il talento di Mr. C tutto l'aMMore di cui dispongo. Guardatelo e vogliategli bene com'è giusto che sia, nell'attesa che esca Renfield!


Di Nicolas Cage (Nick Cage/Nicky), Pedro Pascal (Javi Gutierrez), Neil Patrick Harris (Richard Fink), David Gordon Green (regista) e Ike Barinholtz (Martin) ho già parlato ai rispettivi link.
 
Tom Gormican è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto anche il film Quel momento imbarazzante. Anche produttore e attore, ha 52 anni.


Tiffany Haddish interpreta Vivian. Americana, ha partecipato a film come 3ciento - Chi l'ha duro... la vince!, Il collezionista di carte e a serie quali Raven e My Name is Earl. Anche produttrice e sceneggiatrice, ha 43 anni e quattro film in uscita. 


Tra le guest star segnalo la presenza di Demi Moore nei panni della versione cinematografica di Olivia, al posto di Angelina Jolie, mentre Pedro Pascal ha sostituito Dan Stevens e David Gordon Green nientemeno che Tarantino (partecipazione che avrebbe reso il film IL capolavoro del 2022. Ahimé). Se Il talento di Mr. C vi fosse piaciuto recuperate Killing Hasselhoff, Il ladro di orchidee, My Name is Bruce e, ovviamente, Essere John Malkovich! ENJOY! 

mercoledì 6 febbraio 2019

Se la strada potesse parlare (2018)




A Savona è arrivato anche Se la strada potesse parlare (If Beale Street Could Talk), diretto e co-sceneggiato da Barry Jenkins a partire dal romanzo omonimo di James Baldwin e candidato a tre premi Oscar: Miglior Colonna Sonora Originale, Miglior Attrice Non Protagonista (Regina King) e Miglior Sceneggiatura Non Originale.


Trama: Trish e Fonny sono due innamoratissimi giovani di colore, il cui idillio viene spezzato da un'accusa di stupro ai danni del ragazzo. Trish, incinta, cerca di aiutarlo come può...


Dopo aver letto la recensione della Poison giuro che ero pronta ad aspettarmi il peggio da Se la strada potesse parlare e ammetto che di tanto in tanto, nel corso della visione, ripensavo alle sue parole e ridevo tra me e me. Perché è vero, il film di Barry Jenkins, pur durando un minuto meno delle canoniche due ore che ormai raggiungono persino i cartoni animati, ha dei tempi dilatatissimi, forse più di Roma, e in questi attimi che paiono infiniti si riversa tutto il sentimento d'aMMore che unisce gli sfortunati Trish e Fonny, giovanissimi ragazzi di colore nell'America degli anni '70. I due, per citare la Poison, "si guardano negli occhi" per un totale di almeno un'ora, si sorridono, si contemplano, si toccano, fanno all'amore, mentre tutto attorno a loro sembra non contare più nulla e il mondo diventa improvvisamente rosa, delicatamente illuminato da luci soffuse. Ma stiamo pur sempre parlando di giovani di colore in America, negli anni '70, e se Beale Street potesse parlare direbbe che persino i ragazzi innamorati dovrebbero stare attenti a non pestare i piedi al poliziotto bianco e stronzo sbagliato; così, senza sapere né come né perché e con un figlio in arrivo, Fonny si ritrova sul groppone un'accusa di stupro fasulla e tuttavia impossibile da confutare, perché la vittima, dopo aver testimoniato contro di lui, fugge in Portorico. Dal canto suo, Trish rimane invece incinta e se la famiglia di lei, nonostante la giovanissima età, accetta di fare innumerevoli sacrifici per aiutare lei, il nascituro e il genero, la famiglia di lui (tranne il padre) se ne lava le mani a causa di una madre orribilmente bigotta che avrebbe potuto e dovuto essere sfruttata di più. Stop, il film è "tutto qui". C'è la gioia di essere innamorati, il dolore di doverlo essere in un luogo dove si viene presi a pesci in faccia per il colore della pelle e dove anche chi è buono e retto è costretto a piegarsi al crimine a causa della povertà e dei pregiudizi, c'è la ferma volontà di lottare per preservare se stessi e le persone amate dalle brutture del mondo, il che, almeno per me, è abbastanza da non riuscire a tirare fuori il giusto cinismo della Poison.


E poi, non so, Barry Jenkins ha qualcosa che già mi aveva conquistata col tanto vituperato Moonlight e che mi impedisce di essere cattiva. Forse sono la sua capacità di infondere grazia e bellezza anche in situazioni dove due qualità simili sarebbero impossibili da trovare e il coraggio di metterle da parte quando la situazione lo richiede, come durante il confronto durissimo tra le famiglie di Fonny e Trish o quello, devastante, tra Sharon e la vittima dello stupro, personaggio contemporaneamente odioso e degno di pietà. Forse, banalmente, sarà che ho guardato Se la strada potesse parlare con opportune pause, senza sciropparmelo tutto dall'inizio alla fine rischiando l'effetto tedio. Tuttavia, è vero, Fonny e Trish sono anche TROPPO innamorati, eppure c'è una tale devozione nel loro sguardo, una tale fiducia (o speranza?) nella forza del loro amore, che alla fine si arriva a tifare un po' per loro, a sperare che i destini di coloro che vivono nella squallida Beale Street possano cambiare, per una volta, alla faccia di chi si impegna per farli rimanere sempre tristemente uguali. Sarà il potere della colonna sonora, bellissima e raffinata, di Nicholas Britell, che esplode nell'evocativa Eros, simbolo della passione tra i due protagonisti, sincera ed idilliaca come pochissime altre melodie utilizzate per creare il mood dell'unione fisica tra due personaggi. Anzi, probabilmente la colonna sonora è l'unica cosa davvero memorabile di Se la strada potesse parlare, e compensa due giovani protagonisti dotati indubbiamente di enorme alchimia ma non particolarmente eccelsi nella recitazione (lui biascica per mezzo film, lei è a tratti inutilmente leziosa, troppo per essere una voce narrante), fortunatamente supportati da un cast di "vecchi" all'altezza. Sarei curiosa di vedere se il romanzo da cui il film è tratto lascia così in secondo piano tutte le interessanti vicende familiari e i piccoli problemi criminali accennati qui e là nella pellicola di Jenkins ma, nell'attesa, direi che Se la strada potesse parlare non è uno dei peggiori recuperi pre-Oscar e vi consiglio di darci comunque un'occhiata. Magari, anche voi vi riscoprirete teneroni!


Del regista e co-sceneggiatore Barry Jenkins ho già parlato QUI. Diego Luna (Pedrocito), Finn Wittrock (Hayward), Ed Skrein (Agente Bell), Pedro Pascal (Pietro Alvarez), Colman Domingo (Joseph Rivers) e Dave Franco (Levy) li trovate invece ai rispettivi link.

Regina King interpreta Sharon Rivers. Americana, ha partecipato a film come Jerry Maguire, Nemico pubblico e a serie quali 24, The Strain e The Big Bang Theory. Anche regista e produttrice, ha 48 anni.






martedì 26 settembre 2017

Kingsman: Il cerchio d'oro (2017)

Avendo adorato il primo film non potevo perdere Kingsman: Il cerchio d'oro (Kingsman: The Golden Circle), diretto e co-sceneggiato dal regista Matthew Vaughn e ispirato al fumetto omonimo di Mark Millar. NO SPOILER, tranquilli.


Trama: ormai Eggsy è un Kingsman a tutti gli effetti e la sua vita procede nel migliore dei modi, almeno finché un'organizzazione criminale costringe gli agenti segreti inglesi a fuggire da Londra e allearsi coi "cugini" americani, gli Statesman.


Cosa gli vuoi dire a quello sfacciato di Matthew Vaughn? Quest'uomo è un truzzo esagerato, uno dei pochi ad aver capito che anche quando si parla di film d'intrattenimento bisogna fare sul serio, schiacciando sul pedale del cattivo gusto senza diventare antipatici (la scorsa volta c'era la Principessa p0rno, stavolta abbiamo una roba molto in stile titoli di testa di Senti chi parla!) e soprattutto creando un prodotto visivamente bello, con attori di un certo spessore in cerca di divertimento, basato su una storia che possa coinvolgere lo spettatore senza scadere nelle soluzioni facili o banali e, anche in quel caso, riuscendo comunque a renderle esaltanti. C'era riuscito già con Kick-Ass, vincendo ovviamente facile in quanto pesantemente spalleggiato dal folgorante fumetto di Mark Millar, aveva rinfrescato gli X-Men alla grande nel 2011 (e non a caso il franchise è andato calando dopo quel trionfo di X-Men - L'inizio) e nel 2014 era tornato a folgorare il pubblico con il primo Kingsman, la sagra scema dell'agente segreto inglese, una roba folle che andava a braccetto col ridicolo nobilitandolo e vestendolo da gentleman. Pur essendo amante di Kingsman mai avrei creduto in primis nella realizzazione di un sequel ma soprattutto di un seguito all'altezza del primo capitolo, invece Vaughn ce l'ha fatta anche stavolta e io non posso fare altro che volergli bene per mille motivi. Tanto per cominciare, Il cerchio d'oro si ricollega perfettamente alla pellicola del 2014 senza andare troppo a scomodare la memoria dello spettatore poco attento seppellendolo di dettagli impossibili da ricordare dopo tre anni ma facendo anche il gesto dell'ombrello agli "uomini fumetto" che non ne lasciano passare una agli sceneggiatori, i quali lavorando di lima sono riusciti a soddisfare anche i palati più esigenti (io per prima a un certo punto ho esclamato "Ma quello non aveva fatto quella fine...? E allora perché...?" prima di zittirmi e chinare il capo). Seconda cosa, Il cerchio d'oro presenta un'evoluzione di determinati personaggi, ci racconta qualcosina in più di quelli maggiormente amati e ne presenta altri con tutto il potenziale per diventare a loro volta dei beniamini, senza tuttavia farsi scrupoli quando si tratta di aumentare il bodycount: se è vero che un Kingsman non piange durante la missione e versa solamente una singola lacrima alla fine della stessa, in privato, è anche vero che alcuni colpi di scena sono crudeli tanto quanto l'inaspettata morte di Harry nel primo film e, come già accadeva nel 2014, la resa cartoonesca della violenza non toglie il fatto che anche Il cerchio d'oro scodelli al pubblico delle belle macellate.


Volendo trovare un difetto nella trama si potrebbe dire che Poppy, la villainess arrivata a sostituire Valentine (un Samuel L. Jackson "con zeppola" al quale comunque vanno i ringraziamenti post credits), è talmente pazza da rasentare il surreale e soprattutto che le scelte di un determinato personaggio sono guidate da motivazioni risibili ed infantili, ma sono due particolari che scompaiono davanti al gusto con cui Vaughn coreografa e riprende le sue esageratissime scene d'azione. Nulla a che vedere con la fisicità tecnica di Atomica Bionda, per carità, siamo su tutt'altro livello, però il risultato è altrettanto godurioso: il car chase iniziale lascia a bocca aperta, durante la sequenza in montagna è meglio chiuderla o si rischia di rimanere in debito d'ossigeno, i gadget dei nuovi Statesman (degna controparte "bovara" e cafona dei Kingsman) consentono la realizzazione di scontri corpo a corpo esaltanti quanto quelli del primo capitolo e persino delle sequenze riproposte che non vanno proprio come ci si aspetterebbe, in più stavolta ci sono persino i robot. I robot, santo cielo. In tutto questo, come ho detto, la cattiveria non manca e non si limita solo a qualche morto ammazzato in maniera particolarmente crudele. Al di là di un presidente particolarmente "trumpiano", la sceneggiatura punzecchia lo spettatore mediamente moralista e bigotto con un paio di domande scomode che probabilmente toccheranno più di un americano (ma non solo) e la risata sguaiata seguìta all'ennesima, coloratissima e cialtrona scena d'azione lascia spesso l'amaro in bocca. Fortuna che ad addolcire il tutto c'è Elton John. No, davvero. I Kingsman ereditati dalla prima pellicola sono meravigliosi, Colin Firth sempre più elegante e figo in primis, Julianne Moore si permette di gigioneggiare in maniera del tutto inaspettata, Jeff Bridges è una garanzia, Channing Tatum e soprattutto Pedro Pascal fanno il loro porco lavoro ma è SIR Elton John che merita il pagamento del prezzo del biglietto, lui e le sue canzoni, punte di diamante di una colonna sonora come al solito perfetta. La versione country della mia adorata Word Up e Take Me Home, Country Roads cantata da un Mark Strong in stato di grazia mi hanno mandata a casa canticchiando come nemmeno le colonne sonore congiunte di La La Land e Baby Driver sono riuscite a fare, ennesima dimostrazione di come Vaughn sappia mescolare sapientemente colonna sonora (ruffiana quanto volete ma sempre bella), regia, montaggio e una buona dose di truzzeria: d'altronde, che importa se Saturday Night's Alright (for Fighting) quando c'è casino di mercoledì? Bon, avevo promesso di non fare spoiler e dire altro sarebbe un delitto, aggiungo solo grazie Sir Matthew Vaughn per avermi resa felice come una bambina ancora una volta!


Del regista e sceneggiatore Matthew Vaughn ho già parlato QUI. Taron Egerton (Eggsy), Mark Strong (Merlino), Julianne Moore (Poppy), Colin Firth (Harry Hart), Michael Gambon (Artù), Channing Tatum (Tequila), Halle Berry (Ginger), Jeff Bridges (Champion), Pedro Pascal (Whiskey) ed Emily Watson (Capo di Stato Fox) li trovate invece ai rispettivi link.

Bruce Greenwood interpreta il Presidente degli Stati Uniti. Canadese, ha partecipato a film come Rambo, Orchidea selvaggia, Generazione perfetta, Truman Capote - A  sangue freddo, Déjà Vu - Corsa contro il tempo, Super 8, Come un tuono, l'imminente Il gioco di Gerald e a serie quali I viaggiatori delle tenebre e American Crime Story; come doppiatore, ha lavorato in serie come American Dad!. Anche produttore, ha 61 anni e due film in uscita.


Clara, fidanzata di Charlie, è interpretata da Poppy Delevingne, sorella maggiore di Cara già vista in King Arthur: Il potere della spada. Se Kingsman: Il cerchio d'oro vi fosse piaciuto, nell'attesa che esca un già annunciato terzo capitolo (e forse anche uno spin-off dedicato agli Statesman), recuperate Kingsman: Secret Service e il primo Kick - Ass. ENJOY!

martedì 28 febbraio 2017

The Great Wall (2016)

Per questioni logistiche sabato sera sono andata a vedere The Great Wall, diretto nel 2016 dal regista Zhang Yimou, invece di Trainspotting 2. Non temete, non ho intenzione di abbandonare Renton e soci...


Trama: Nell'anno mille, due mercenari alla ricerca della "polvere nera" arrivano fino alla Grande Muraglia cinese, dove un'armata cerca di contrastare l'attacco di mostri ancestrali proteggendo così la capitale del regno.


Non so effettivamente se riuscirò a raggiungere i due paragrafi standard di post ma proviamoci. Non è che The Great Wall non mi sia piaciuto però posso definirlo al massimo carino e, in verità, più ci penso più gli trovo dei difetti, anche perché sulla pellicola c'è veramente poco da dire. Innanzitutto, a livello di trama, ci troviamo davanti ad una leggenda, un racconto di mostri e combattenti, di mercenari che cercano di recuperare un senso dell'onore ormai perduto così come la fiducia nel prossimo e di altri mercenari che invece, giustamente, vogliono solo i soldi. C'è una condanna all'avidità umana, esemplificata dal desiderio di possedere la fantomatica "polvere nera" cinese, veicolo di morte e distruzione che l'uomo farebbe meglio a non conoscere neppure, quindi, in parallelo, corre anche un messaggio pacifista che all'interno di un blockbuster sta sempre bene. I personaggi sono tagliati con l'accetta ma non potrebbe essere altrimenti visto che la storia è stata scritta, tra gli altri, da quel Max Brooks che già ci aveva "regalato" lo script di World War Z, quindi se vi sembrerà di avere un senso di déja vu guardando The Great Wall sappiate che è normale; là c'erano gli zombi, qui i mostruosi Tao Tei, esseri alieni evocati dalla già citata avidità umana che si manifestano ogni sessant'anni, a contrastarli c'è un bel muro alto (come quello che proteggeva Gerusalemme in World Ward Z) e un manipolo di eroi modellati in base alle regole auree del genere sentai, almeno per quel che riguarda la gamma di colori, sui quali poi tornerò. In tutto questo, gli sceneggiatori sono anche riusciti ad infilare lo scontro culturale tra occidente e oriente, esemplificato nella figura di William, mercenario che nel giro di mezz'ora passa dall'essere ladro senza scrupoli ad eroe grazie al bel faccino di una badassissima comandante cinese che vola leggiadra come una gru affondando lance appuntite nelle gobbe dei Tao Tei. Insomma, come blockbuster avventuroso ci sta, così come la visione disimpegnata... il problema è che alla regia non c'è proprio l'ultimo degli strepponi.


Fa un po' strano che dietro la macchina da presa di questa co-produzione cinoamericana ci sia lo stesso regista di Lanterne rosse, Hero e La foresta dei pugnali volanti. Prendiamo come esempio Hero, che è il film di Yimou che ho rivisto più di recente. Da ogni fotogramma di quel meraviglioso omaggio allo wuxia trasparivano eleganza, ricercatezza, cura maniacale del dettaglio ed infinito amore per l'aspetto artigianale della settima arte; i colori erano utilizzati secondo un criterio narrativo, ed erano ancor più meravigliosi in quanto venivano ripresi non solo dai costumi ma dalle scenografie artificiali e dai paesaggi naturali. In The Great Wall, nonostante ci siano un paio di sequenze effettivamente mozzafiato ed elegantissime, come la miriade di palloni luminosi che salutano la dipartita del generale innalzandosi dalla Muraglia e l'attacco kamikaze delle gru azzurre, pare che Zhang Yimou si sia adagiato sugli allori del già diretto (la carrellata delle frecce che si abbattono sui mostri, per esempio) e che si sia fatto comprare dalla "comodità" della fredda CGI, per non parlare del kitschissimo tripudio di colori che sono le sequenze girate all'interno della pagoda con le vetrate, talmente psichedeliche da far male agli occhi. Mai, ovviamente, quanto le patacche colorate indossate dai protagonisti, una roba che probabilmente potrà giusto fare la gioia dei cosplayer a cui piacciono le sfide e che sì, consente al regista di piazzare un paio di immagini ad effetto con migliaia di comparse divise per tinta ma, in definitiva, risulta incredibilmente fasulla e... si può dire cinese o sfocio nel politically incorrect? Insomma, The Great Wall nel complesso non mi è dispiaciuto quanto avrei temuto ma è davvero poca roba, sicuramente non rimarrà impresso nella mia memoria e anzi, temo che probabilmente quando mi faranno il nome di Yimou non ricorderò nemmeno che l'abbia girato lui. E neppure che tra gli interpreti ci sia Willem Dafoe, in effetti.

Quando non sai come uscire dai guai chiama al volo i Power Rangers!
Del regista Zhang Yimou ho già parlato QUI. Matt Damon (William) e Willem Dafoe (Ballard) li trovate invece ai rispettivi link.

Andy Lau interpreta lo stratega Wang. Nato a Hong Kong, ha partecipato a film come Infernal Affairs, Infernal Affairs III e La foresta dei pugnali volanti. Anche produttore e regista, ha 56 anni e tre film in uscita.


Pedro Pascal interpreta Tovar. Cileno, ha partecipato a film come Bloodsucking Bastards e a serie quali Undressed, Buffy l'ammazzavampiri, NYPD, Charlie's Angels, CSI - Scena del crimine, Nikita, Il trono di spade e Narcos. Anche, ha 42 anni e un film in uscita, Kingsman: The Golden Circle.


L'attrice Tian Jing, che interpreta il comandante Lin Mae, tornerà sui grandi schermi con Kong: Skull Island e Pacific Rim: Uprising. Nelle prime fasi del progetto, Bryan Cranston avrebbe dovuto interpretare Ballard mentre Edward Zwick (tra coloro che hanno realizzato la sceneggiatura) avrebbe dovuto dirigere la pellicola con Henry Cavill nel ruolo di protagonista. Se The Great Wall vi fosse piaciuto recuperate il già citato World War Z e Pacific Rim. ENJOY!

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