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mercoledì 2 luglio 2025

Elio (2025)

Benché poco pubblicizzato, la settimana scorsa sono andata a vedere Elio, diretto e co-sceneggiato dai registi Adrian Molina, Domee Shi Madeline Sharafian.


Trama: Elio Solis è un bimbo che, dopo la morte dei genitori, è stato affidato alla zia. Sentendosi solo in un mondo che gli va troppo stretto, Elio sogna di venire rapito dagli alieni, e un giorno questi rispondono al suo appello...


Sapete che non mi perdo un film della Pixar, nemmeno quando orde di bonobi urlanti su internet gioiscono del suo insuccesso senza neppure averlo visto. Elio, che ha avuto la sventura di uscire subito dopo il fortunato live action di Lilo e Stitch e poco prima dell'imminente Fantastici 4, è stato trattato dalla Disney come un lavoretto en passant, da pubblicizzare poco (strano non l 'abbiano inserito subito nel catalogo Disney +!), e ha ovviamente risentito di queste miopi scelte di marketing. Probabilmente, ha anche sofferto i ritardi dovuti al lungo sciopero SAG/AFTRA del 2023, che ha permesso allo studio di rimaneggiare completamente un'opera che avrebbe dovuto essere realizzata essenzialmente dal regista e sceneggiatore Adrian Molina, partendo da sue esperienze autobiografiche, e che poi è stata rivista in un'ottica più "universale" e affidata a Domee Shi a Madeline Sharafian quando Molina è stato chiamato a co-dirigere il seguito del suo fortunatissimo lungometraggio Coco. Insomma, Elio è un film nato disgraziato in partenza, eppure basterebbe dargli una chance per capire che è un'opera dolcissima e fantasiosa, benché non al livello dei capolavori Pixar. Elio racconta, appunto, la storia di Elio Solis, un bambino rimasto orfano che vorrebbe venire rapito dagli alieni e portato su altri mondi. Il perché, è comprensibile. Ad Elio non è rimasto nulla sulla Terra; non ha genitori, non ha amici, la zia gli vuole bene ma non sa come gestirlo e, per crescerlo, ha rinunciato alla sua carriera di astronauta, il che fa sentire il ragazzino ancora più solo e in colpa. Il desiderio di Elio è così forte e doloroso che gli impedisce di accettare o apprezzare ciò che lo circonda, e il protagonista non si rende conto di essere lui stesso a rendersi la vita ancora più insopportabile e difficile di quanto non sarebbe normalmente. Nonostante tutto, un giorno i sogni di Elio diventano realtà: gli alieni lo scambiano per il leader della Terra e lo rapiscono per portarlo su un mondo da sogno, dove tutti gli sono amici e lo reputano importante. Ovviamente, non è tutto oro quello che luccica. Elio capirà presto che solitudine ed incomprensioni sono all'ordine del giorno anche nello spazio e che è solo aprendosi realmente agli altri, con tutti i nostri pregi e difetti, dando fiducia a chi ci vuole bene, che la nostra vita può migliorare pian piano, anche se non è proprio quella che sognavamo. Il messaggio di Elio è chiaro, così come sua la natura di racconto di formazione. A quello di Elio si affianca, infatti, anche il percorso dell'adorabile Glordon, bioccoletto ciccioso che non riesce a comunicare con l'iracondo padre e che vorrebbe sottrarsi a un futuro da tiranno e guerriero che non gli si confà; anche in questo caso, si sottolinea l'importanza della fiducia e del dialogo, che ci porta a considerare nemico chi, in realtà, è goffo ed insicuro quanto noi. In soldoni, spesso l'etichetta di "diverso", di "strano", in accezione negativa, siamo noi stessi ad appiccicarcela addosso, e gli altri si comportano di conseguenza, rendendo ancora più difficile staccarla.


Mettendo un attimo da parte i messaggi profondi, Elio funziona per la verosimiglianza con cui viene ritratto il protagonista, un bambino zeppo di fantasia e iperattivo, la cui "stupidità" ricorda molti dei giochi e dei voli pindarici che facevamo da bambini. La fervida fantasia del protagonista viene rispecchiata dalla varietà incredibile degli alieni che popolano il Comuniverso; la cifra stilistica di Elio è un mix di elementi naturali (presi da creature marine, insetti o invertebrati), design pop al limite del "giocattoloso" e aspetti onirici, quasi psichedelici, che si traducono in un caleidoscopio di colori ammorbidito da una fotografia che definirei quasi "acquatica". La qualità prevalentemente variopinta e dinamica di Elio cozza in maniera assai efficace con l'ambientazione fatta di rossi e neri che definisce tutto ciò che è legato a Grigon e ai suoi scagnozzi, e con sequenze ambientate sulla Terra che farebbero la felicità di ogni appassionato di cinema di fantascienza. Come già accadeva in Toy Story 4, infatti, i realizzatori di Elio si dimostrano fini conoscitori delle dinamiche inquietanti tipiche del genere, specialmente quando contaminato con l'horror, e inseriscono efficacissimi rimandi a La cosa, L'invasione degli ultracorpi, persino Terminator e Venerdì 13 (e chissà quanti altri film che non ho colto) e, onestamente, se non avessi saputo di stare guardando un cartone Pixar, a un certo punto me la sarei fatta abbastanza sotto. Piccole strizzate d'occhio agli adulti, che non snaturano un film pensato essenzialmente per bambini, che tratta con garbo ma senza fare troppi sconti temi difficili come la morte, il bullismo, la natura distaccata di alcuni genitori. Tra le melodie di Rob Simonsen, il musetto triste di Elio, l'espressivissimo Glordon (gli mancano gli occhi, ma vi sfido a non provare pena quando scoppia a piangere disperato) e lo sguardo finale che Olga riserva al nipote, ammetto di essermi sciolta in lacrime e, anche se l'intento del film era diametralmente opposto, ho sperato, per un istante, che qualcuno lassù arrivasse a prendermi per farmi vivere un'avventura galattica, proprio io che non sopporto la fantascienza. Però che bello, per una volta, sognare di visitare mondi lontani, così zeppi di colori e di allucinanti, utilissime tecnologie!


Dei co-registi e co-sceneggiatori Adrian MolinaDomee Shi ho parlato ai rispettivi link. Zoe Saldaña (voce originale di Olga Solís) la trovate invece QUA.

Madeline Sharafian è la co-regista e co-sceneggiatrice del film. Americana, è al suo primo lungometraggio. Anche animatrice, storyboarder e produttrice, ha 32 anni. 


Se Elio vi fosse piaciuto, recuperate Red, Over the Moon - Il fantastico mondo di Lunaria, Lilo & Stitch e Luca. ENJOY!

venerdì 30 giugno 2023

Elemental (2023)

In settimana sono riuscita ad andare a vedere Elemental, l'ultimo film della Pixar, diretto e co-sceneggiato dal regista Peter Sohn.


Trama: Amber è una fiammella che vive in un quartiere di Element City assieme ai suoi anziani genitori, coi quali manda avanti un negozio. L'incontro con Wade, fatto d'acqua, la costringerà a mettere in discussione se stessa e la sua vita...


Non so se lo avete notato ma ultimamente va di moda dire che i prodotti Disney fanno schifo. Cioè, ultimamente va di moda dire che qualunque cosa fa schifo, di solito senza nemmeno avere visto/provato la cosa in questione, ma spalare merda sulla Disney sembra diventato uno sport nazionale. C'è un fondo di motivazioni corrette in questa "moda", non sarò io a negarlo: la necessità di creare prodotti di rapido consumo per lo streaming o franchise remunerativi, di cavalcare la terrificante onda nostalgica analizzata ottimamente dal Doc QUI, ha creato una sovrabbondanza di prodotti scadenti, banali, tecnicamente discutibili, buoni per una serata e poi condannati all'oblio quando va bene, oppure orribili quando va male. Oltre a questo, la Pixar ci ha abituati anche troppo bene con le sue opere storiche, di conseguenza ogni prodotto sottostante l'asticella del capolavoro non viene considerato come un bel film, ma direttamente una cacca fumante. Onestamente, questo atteggiamento mi ha un po' stufato ed è uno dei motivi per cui non leggo quasi nulla prima di andare a vedere un film, ché a me il bianco e nero tranchant non sono mai piaciuti e preferisco il grigio, o l'arcobaleno, come nel caso di questa meravigliosa esplosione di colori che è Elemental. A me l'ultima opera della Pixar è piaciuta parecchio e il sentimento che non mi abbandona dalla sera della visione è innanzitutto un'ammirazione spropositata per chi si è ingegnato a progettare ed animare un mondo complesso che tenesse conto dell'interazione fisica tra i quattro elementi, costretti a convivere all'interno di Element City; in una città dominata dall'acqua (l'elemento principale, la "classe ricca") gli animatori hanno dovuto trovare il modo di inserire l'aria in forma di buffe nuvolette, la terra come piante semoventi, e ovviamente il fuoco, l'elemento di disturbo costretto a venire confinato all'interno di un quartiere apposito, pena l'estinzione delle fiammelle o l'incenerimento degli alberi. Ogni edificio, oggetto, cibo, luogo, sport è declinato in chiave "elementale" e ci sarebbero tante di quelle possibilità da esplorare che non basterebbe un film di due ore, oltre al fatto che sarebbe difficile anche mantenere non solo la qualità dell'animazione eccelsa di cui si può godere in Elemental ma anche i capolavori cromatici nati dall'interazione tra acqua e fuoco (per non parlare della sequenza che vede protagonisti i coloratissimi fiori di Vivisteria) che mi hanno lasciata letteralmente a bocca aperta.


Un po' più "semplice", ma non meno valida, è la trama di Elemental. Questa volta la Pixar gioca la carta della storia d'amore tra due persone completamente diverse, incompatibili come il fuoco rappresentato da Ember e l'acqua rappresentata da Wade; l'appartenenza dei due a classi sociali che più distanti non si può da' il la ad un discorso sull'immigrazione, la ghettizzazione e tutto il carico di aspettative e paure che si portano sulle spalle i figli di chi ha lasciato tutto per raggiungere un mondo (presumibilmente) migliore. Questo, assieme a una minaccia incombente atta a fomentare ancora più i sentimenti di inadeguatezza provati da chi, dopo decenni, si sente ancora straniero e giudicato, concorrono a rendere più dinamico e profondo un canovaccio abbastanza tradizionale per il genere "love story". Inoltre, i due personaggi principali vengono arricchiti proprio dalle peculiarità tipiche della loro natura, con Wade che è trasparente e puro come l'acqua, dotato di un'empatia fuori dal comune, mentre Amber è passionale e fumina, oltre che smossa dal "fuoco" dell'arte, ed è anche per questo che diventa un piacere seguire la coinvolgente e tenera evoluzione del loro rapporto. Non pensiate adesso che Elemental sia un film cupo o sdolcinato, anzi. I momenti ironici e dinamici sono moltissimi, con gag simpatiche (ma mai invasive) legate all'interazione tra elementi o ad alcune peculiarità delle famiglie dei protagonisti, ma ci sono anche quei momenti di riflessione e commozione "adulte" a cui la Pixar ci ha abituati e che rendono i film di questa casa di produzione perfetti sia per i genitori che per i figli. A patto, ovviamente, che i primi siano intelligenti: mammina cara, se il tuo pargolo si lamenta perché il corto che precede Elemental (il commovente Carl's Date, che riprende i personaggi di Up) NON E' Elemental e quindi non gli interessa, la risposta adeguata è "Fregancazzo, stai zitto comunque per rispetto degli altri" non che lo ignori fino all'inizio del film per poi premiarlo con un "Hai ragione, ma adesso è cominciato il film VERO, quindi bisogna stare seri", perché la prossima cosa vera e seria che ti arriverà in faccia sarà una mia cinquina. E viva i buoni sentimenti!!   


Del regista e co-sceneggiatore Peter Sohn ho già parlato QUIMamoudou Athie (Wade Ripple), Ronnie Del Carmen (Bernie) e Catherine O'Hara (Brooke) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Elemental vi fosse piaciuto recuperate Zootropolis e Inside Out. ENJOY!

mercoledì 16 marzo 2022

Red (2022)

Domenica sera ho riattivato l'abbonamento a Disney + solo per godermi Red (Turning Red), l'ultimo film Pixar diretto e co-sceneggiato dalla regista Domee Shi, scelleratamente relegato allo streaming quando invece avrebbe meritato ben più ampia distribuzione...


Trama: Mei Mei ha 13 anni ed è convinta di poter spaccare il mondo, nonostante si impegni per non dare neppure una delusione alla mamma. I casini cominciano quando un crogiolo di emozioni mai provate prima la trasforma in un enorme panda rosso...


Se devo essere onesta, i miei 13 anni non li ricordo proprio e per fortuna. Non che adesso sia Charlize Theron, ma a quell'età ero davvero un piccolo cesso vestito male, goffa da morire, con gli occhiali, l'apparecchio, quel fisico demmerda per cui non sei né cicciona né secca ma semplicemente un blob informe con le tette, presa tra il desiderio di nascondermi alla vista del mondo per tutto il resto della mia esistenza e quello di cominciare anche io ad uscire con qualche ragazzo, tra la necessità di sviluppare una mia personalità e la volontà di non deludere comunque i miei genitori; non stupisce, dunque, che di quegli anni ricordi solo un insopportabile, benché vago, senso di disagio e la sensazione di non capire né me né chi mi circondava. Insomma, alla faccia delle recensioni d'oltreoceano, che sottolineano quanto sia impossibile trovare "relatable" il personaggio di Mei Mei, io ho capito benissimo tutto quello che Domee Shi e soci volevano trasmettere con questo film, e non certo perché lo hanno ambientato nel 2002 (lì avevo già 21 anni e i problemi erano altri) ma perché ho vissuto sulla mia pelle buona parte delle esperienze della protagonista senza dovermi necessariamente trasformare in un graziosissimo, morbidosissimo panda rosso (magari mi fosse successo!). Red altro non è, infatti, che una delicata ma comunque neppure troppo trattenuta metafora dei problemi della pubertà, che raramente sono poetici ed aulici ma sono "stupidi", disgustosi, caotici, puzzolenti, tragici ed esagerati, e lo stesso vale ovviamente per le gioie e le passioni, da cui veniamo sopraffatti al punto da perdere la ragione. A Mei Mei è "semplicemente" questo che succede. La bambina modello che non vede l'ora di stare con la madre e fare, di base, quello che piace a quest'ultima, "chiusa" in un mondo protetto e controllato, comincia a diventare permeabile agli stimoli esterni, i ragazzi in primis, e a poco a poco scopre di essere un individuo unico, benché imperfetto, con pregi e difetti che prima sembravano insospettabili. 


Questi cambiamenti improvvisi (legati in primis allo sviluppo fisico ed ormonale, all'arrivo delle mestruazioni e al divenire donna a tutti gli effetti) vengono rappresentati dall'incapacità di Mei Mei di tenere a freno la sua trasformazione in un buffo panda rosso ogni volta che un'emozione la travolge, cominciando proprio con la lussuria, inusuale per un film Pixar ma naturalissima per una ragazzina che comincia a sognare i primi baci e forse anche approcci un po' più approfonditi (la scoperta dei disegni "pornografici" che mandano su tutte le furie la madre è da antologia), fomentata dal periodo storico più adatto a questo tipo di sensazioni, ovvero quello in cui spuntavano boy band da tutte le parti. Invece di fungere da mero veicolo di nostalgia "moderna", i fighettissimi e fittizi 4*Stars, diretti discendenti di NSync, Backstreet Boys e soci, diventano uno degli snodi fondamentali della trama in quanto fonte di isteria e caldane, fulcro di scontri generazionali e anche un modo per scoprire verità insospettabili su ancor più insospettabili persone, un'altra dimostrazione che chiunque può avere nascosto nel petto un panda rosso senza che questo si scateni per distruggere tutto.


Al di là del design buffo e bambolottesco sia dei personaggi principali che del panda, oltre che all'abbondanza di momenti esilaranti e di citazioni che spaziano dagli anime a Ghostbusters, Red si conferma dunque un prodotto molto profondo, che mira a parlare al cuore di tutti gli spettatori. I più piccoli saranno sicuramente deliziati dagli aspetti superficiali di una trama avventurosa che non cala mai di ritmo, dalla colonna sonora scoppiettante e dal design coloratissimo di un film giustamente stra-curato a livello di animazioni, i ragazzini più grandi penso possano facilmente riconoscersi in Mei Mei o in una delle sue amiche e magari riuscire a gestire un po' meglio tutti gli enormi cambiamenti da affrontare ogni giorno, facendo anche affidamento su amici e genitori, mentre questi ultimi potrebbero aprire un po' gli occhi e ricordare che anche loro sono stati degli esseri goffi e assurdi e dare una mano ai propri figli o nipoti in cerca di aiuto senza giudicare le loro non condivisibili scelte. Ho apprezzato tantissimo, durante il poetico e commovente finale, la connessione che gli autori hanno provato a creare tra un presente (ormai passato) fatto di piccoli, enormi problemi quotidiani che persistono nonostante un'epoca e una società che dovrebbero essere più tolleranti e aperti, e un passato in cui dolore, frustrazioni e rimpianti venivano ingiustamente imposti a causa di una fondamentale incapacità di comunicare e una chiusura mentale impossibile da abbandonare e da non riversare sui propri figli; dopo averlo già fatto nel devastante corto Fuori dal bosco, la Disney cerca anche in questo caso di sottolineare l'importanza di trarre esempio dagli sbagli dei propri genitori e cercare di non ripeterli coi figli, un messaggio fondamentale ed indirizzato agli adulti, che arricchisce ulteriormente quello principale, più universale. Nonostante tutto, comunque, disonore sulla Disney che nasconde questi gioiellini riservandoli allo streaming, e solo tanto amore per Domee Shi, sperando che il suo prossimo film possa raggiungere un pubblico ben più vasto!


Di Sandra Oh, che in originale doppia tutte le versioni di Ming, ho già parlato QUI mentre James Hong, che doppia Mr. Gao, lo trovate QUA.

Domee Shi è la regista e co-sceneggiatrice del film. Cinese, è al suo primo lungometraggio ma ha già vinto l'Oscar per il delizioso corto Bao. Anche animatrice e doppiatrice, ha 33 anni.


A doppiare la temibile Nonna è nientemeno che la Madame Gao di Daredevil, l'attrice Wai Ching Ho. ENJOY!

martedì 22 giugno 2021

Luca (2021)

Intristita dalla scelta di destinarlo solo allo streaming, domenica ho comunque recuperato Luca, l'ultima fatica Pixar diretta e co-sceneggiata dal regista Enrico Casarosa.


Trama: Luca Paguro è un piccolo mostro marino che, dopo l'incontro con un suo simile, scopre di poter acquistare sembianze umane appena uscito dall'acqua. I due decidono di conquistare la libertà partendo con l'esplorazione della cittadina di Porto Rosso...


Sfortunato questo Luca, ultimo, poetico frutto della Pixar. Sfortunato perché, in quanto ambientato durante una mitica estate ligure, sarebbe stato perfetto per venire proiettato nelle arene all'aperto della nostra regione, invece la Disney ha deciso di non distribuirlo al cinema e di gettarlo nel calderone del suo servizio di streaming online, penalizzando non poco le belle immagini della pellicola. Da una parte, meglio così: guardare Luca doppiato è un delitto punibile con la pena di morte visto l'assoluto divertimento derivante dal mix di inglese, pesantissimo accento italiano e frasi interamente pronunciate nella nostra lingua che rende il cartone una festa non solo per gli occhi ma anche per le orecchie; a mio avviso, l'unica cosa intelligente da fare per evitare l'inevitabile piattume dell'adattamento nostrano sarebbe stato calcioruotare Orietta Berti, la Litizzetto e Fazio e affidare ogni locuzione italiana ai Pirati dei Caruggi (che hanno realizzato questo geniale trailer) così da creare un favoloso mix di italiano e dialetto genovese, ma purtroppo questo non è un mondo perfetto e non lo sarà mai. Frustrazioni linguistiche a parte, com'è questo Luca? Delizioso, non c'è altro modo per descriverlo. Fresco come una vacanza al mare negli anni '60 (fidatevi, la poesia nel frattempo si è persa o forse sono io che ormai detesto i turisti con tutta me stessa), filtrato dagli enormi occhioni di un mostriciattolo a cui il mare sta stretto, tutto in Luca profuma dell'innocenza dell'infanzia, della fantasia di chi ancora deve scoprire non solo il mondo ma anche ciò che si staglia appena fuori dall'uscio di casa, della malinconica consapevolezza che prima o poi l'estate/infanzia finirà per lasciare spazio all'autunno e alle scelte di vita, che implicano anche lasciarsi alle spalle amicizie ed affetti o mettere da parte alcuni sogni per inseguirne altri, senza mai dimenticare la spinta dei primi entusiasmi.


Alla faccia della Sirenetta, a Luca e Alberto basta uscire dall'acqua per ottenere sembianze umane, ma ciò non rende le cose più facili: i genitori di Luca minacciano di confinarlo nientemeno che negli abissi, a Porto Rosso è aperta la caccia ai mostri marini, in generale piccoli e grandi inconvenienti incombono su due caratteri molto diversi, due amici (Luca, più piccolino ed innocente, Alberto, di qualche anno più grande e più smaliziato) che anelano alla libertà che solo la mitica Vespa può offrire. Si unisce alla coppia una ragazzina, Giulia, vacanziera genovese che risulta strana agli occhi dei ragazzini del posto, outsider nonostante la sua natura di essere umano perché presa di mira dal bulletto del paese. Giulia e Alberto diventano così i due poli necessari allo sviluppo della personalità di Luca, perché l'energia e il coraggio "rozzi" del secondo vengono in qualche modo "incanalati" dalla vivacità intelligente della prima, in un continuo scambio reciproco di esperienze, divertimento e anche litigi che farà crescere tutti e tre, non solo Luca. A fare da sfondo a questa rocambolesca amicizia e alla fuga di Luca dal fondo del mar c'è la bellissima Porto Rosso, un compendio di tutta la bellezza che potete trovare nelle Cinque Terre nonché luogo che tira fuori il meglio dell'arte dei disegnatori della Pixar, tra colori vivaci e scorci talmente realistici che parrebbe davvero di essere in Liguria, nonché tutta una serie di elementi iconografici per chiunque sia capitato in Italia almeno una volta. Si potrebbe discutere sull'abbondanza di stereotipi presenti in Luca, ma poiché Casarosa è italianissimo e il film è filtrato dai suoi ricordi di vacanze infantili la cosa è anche normale e d'altronde io d'estate mi ammazzo di pesto e gelato, un po' come fanno i protagonisti del film, e posseggo persino una Vespa quindi non sono la persona adatta per un pippone antinazionalista; inoltre ho apprezzato molto anche la colonna sonora con successi anni '60 o canzoni un po' più recenti ma debitrici di un certo stile pop (come Il gatto e la volpe di Bennato, calzantissima), nonché le mille citazioni di Mastroianni, Fellini e persino I soliti ignoti, quindi direi che con me Luca ha fatto proprio centro anche se continuo a preferirgli Pierluca, ça va sans dire


Di Jacob Tremblay (voce originale di Luca Paguro), Maya Rudolph (Daniela Paguro), Peter Sohn (Ciccio) e  Sacha Baron Cohen (zio Ugo) ho parlato ai rispettivi link.

Enrico Casarosa è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio dopo il corto La luna (inoltre doppia il giocatore di carte e il pescatore furioso). Nato a Genova, anche animatore, ha 51 anni.


Jack Dylan Grazer
è la voce originale di Alberto Scorfano. Americano, lo ricordo per essere stato l'Eddie Kaspbrak di It e It - Capitolo 2, inoltre ha partecipato ad altri film come Tales of Halloween, Beautiful Boy e Shazam!. Ha 18 anni e un film in uscita.


Marina Massironi
è la voce originale della Signora Marsigliese. Nata a Legnano, storica "spalla" di Aldo, Giovanni e Giacomo, la ricordo per film come Tre uomini e una gamba, Così è la vita, Tutti gli uomini del deficiente e Chiedimi se sono felice. Ha 58 anni.


Non vi venga in mente di saltare i titoli di coda. Non tanto per la scena post credit quanto per i deliziosi disegni che raccontano, in parte, il destino dei personaggi dopo la fine del film. ENJOY!


domenica 3 gennaio 2021

Soul (2020)

Buon anno a tutti, innanzitutto, sperando che il 2021 porti solo cose belle. Il 2020 ne ha portata sicuramente una, almeno in campo cinematografico, ed è Soul, diretto e co-sceneggiato dai registi Pete Docter e Kemp Powers. Vi avviso che questo sarà un post molto personale, quindi avete tutto il diritto di fermarvi qui, dove dico che Soul è splendido e merita di essere visto, per poi tornare alle vostre faccende.


Trama: Joe è un insegnante di musica il cui unico sogno è quello di sfondare nel mondo del jazz. Proprio quando sta per arrivare, inaspettata, la sua occasione, Joe finisce in coma e cerca in tutti i modi di tornare nel suo corpo...


In un anno brutto come questo, Soul può distruggere una persona o può salvarla. In ogni caso, di sicuro è un film che fa riflettere. L'anno prossimo, ahimé, compirò 40 anni. Un tempo era già una bella età, anzi, se rileggo oggi i libri scritti da Stephen King, a 40 anni si era già considerati decrepiti; adesso, certo, non è proprio così ma più o meno vuol dire che sono già arrivata a metà della mia vita e che la parte migliore ce l'ho ormai alle spalle. Non mi è stato quindi molto difficile identificarmi con Joe, uomo di mezza età con una grande passione per la musica il quale, brutto da dire, nella vita non ha mai combinato un belino: ringrazio dal profondo Pete Docter e soci per avermi dato la prima mazzata più o meno a venti minuti dall'inizio del film, quando Joe mostra all'animella 22 la sua esistenza noiosa e monotona, priva di eventi particolarmente significativi, successi o sogni che diventano realtà. Una vita simile, giustamente, è impossibile che offra a 22, anima che a cominciare un'esistenza sulla Terra non ci pensa nemmeno, un motivo per cambiare idea. Certo, anche il Seminario dell'Io non è il posto più esaltante dell'universo ma almeno è un posto conosciuto e sicuro, mentre la Terra è piena di incognite e, se dev'essere altrettanto noiosa, tanto vale rimanere "non nati", a far disperare anime importanti che hanno tagliato ogni traguardo possibile e immaginabile e non si capacitano del fatto che 22 sia così "banale". Ah, la banalità. Probabilmente prima che spuntasse questa piaga che sono i social, molte meno persone avevano una percezione chiara di essere banali, medie se non mediocri, prive di una "scintilla" capace di farle spiccare in mezzo a una marea di persone tutte uguali e tutte omologate, ma adesso tutti DEVONO spiccare in qualcosa e i confronti sono sempre meno costruttivi, sempre più legati all'imperativo di venire "guardati" ed "ammirati", possibilmente invidiati. C'è gente che quest'anno, durante i vari lockdown, ha guardato in se stessa e ha riflettuto sulla propria esistenza in senso costruttivo e positivo, io purtroppo non ho avuto nemmeno quel lusso, anzi, ho continuato la mia banale vita di tutti i giorni che, ovviamente, è andata peggiorando: lutti, depressione, malanni assortiti, un senso di paura e precarietà costante, una perenne mancanza di tempo per fermarmi, riflettere o rilassarmi, pianti a giorni alterni e un odio crescente verso tutto e tutti, in primis verso me stessa. 


Non c'è da stupirsi se, per più di metà film, guardando Soul, ho pensato: porca puttana, sono come Joe. Prendete il miraggio del posto fisso. Io per ora ce l'ho, lavoro dal 2007 sempre nello stesso posto, ma mi piace quello che faccio? Nemmeno per sogno, lo faccio perché devo, così come Joe insegna musica senza capire davvero perché, senza metterci anima ma solo un costante senso di rimpianto e frustrazione, che si accresce il giorno in cui entra in coma proprio quando avrebbe la sua occasione di diventare un musicista vero. Le occasioni perdute, che ci impediscono di guardare al presente e al futuro perché è molto più facile piangere sulla sfiga che abbiamo sempre avuto; eppure, se ci si mette nei panni di 22 invece, magari si scopre che la sfiga non è tale ma è facilmente sostituibile da una nostra fondamentale mancanza di coraggio. Un esempio "recente"? Non ho fatto l'artistico non per sfiga, ma perché (ah, anche lì, le "voci" che ci costringono all'immobilità e al disprezzo verso noi stessi) mi dicevano che non mi avrebbe portata a nulla, anche se amavo disegnare. Grazie a questo cambio di rotta ho scoperto di amare le lingue, certo, ma l'amore per il disegno mi è rimasto e quest'anno è crollato tutto quando, dopo un paio di corsi on line, ho capito di essere mediocre ed incapace, cosa che mi ha resa ancora più depressa di quanto già non fossi. Posso solo ringraziare Mirco, un paio di amici online che mi hanno incoraggiata con dei regali a tema, il maestro del corso e sì, anche Soul, se in questi giorni di festa ho cominciato a guardare a questa incapacità (e alle opere ben più belle di tutti i miei compagni di corso e di un sacco di amici su Facebook) e a tutte le cose che mi fanno male da anni con un po' di coraggio, cercando di accettare quel che è stato e quel che sono e provando a migliorarmi, anche di poco, senza arrendermi e, soprattutto, cercando di godere di quel che ho.


Questo per dire che Soul ci insegna che la vita, con tutte le sue difficoltà spesso anche terribili, può essere bella. E che banalità, direte voi, e avete ragione. Soul ci insegna che la vita è bella anche nella sua normalità, ma SOLO se noi vogliamo che lo sia, solo se riusciamo ad armarci del coraggio di accettare quello che abbiamo senza rinunciare a migliorarlo e migliorarci ma soprattutto senza abbatterci se vediamo che proprio non si riesce. Joe, concentrandosi sull'obiettivo di sviluppare la sua "scintilla", ha di fatto smesso di vivere: "Poor Joe", come avrebbe detto con disprezzo mammà Soprano, non vede al di là del suo naso, non vede gli studenti che gli chiedono aiuto, non si interessa di amici e conoscenti, non percepisce i problemi altrui né la bellezza di quello che lo circonda e io, purtroppo, mi sono resa conto di essere uguale a lui. Uguale a lui e anche un po' uguale a 22, che per paura e per la pesantezza dei giudizi altrui, rinuncerebbe alla possibilità di qualcosa di nuovo, magari spaventoso ma magari anche positivo, chissà. E' riunendo queste due anime, "jazzando" sulle ali dell'improvvisazione e di punti di vista differenti, che forse è possibile davvero dare un senso all'esistenza e imparare a vivere, non solo a sopravvivere come sto (stiamo?) facendo ora. E' lo schiaffo finale di Soul a far aprire gli occhi definitivamente ed è uno schiaffo che, per qualche minuto prima dell'inevitabile happy end, mi ha distrutta dalle lacrime: Joe alla fine capisce, purtroppo lo fa troppo tardi, proprio quando rinuncia alla propria vita per salvare 22 dalla tristezza oscura che l'ha annullata. E' lì, giuro, che ho pregato irrazionalmente che il cartone non finisse con la morte di Joe e dove l'unica cosa che ho pensato è stata: e sua madre? E le vecchiette? E i suoi amici, i suoi studenti, così orgogliosi di lui anche quando avevano davanti il "normale" Joe? E la sua vita banale? Credeteci o no, sto scrivendo il post (sconclusionato, me ne rendo conto) con difficoltà, perché ho le lacrime agli occhi e il magone a ripensare alla vergogna e alla paura provata guardando Soul, e anche al piccolo senso di speranza e voglia di cambiare che mi ha lasciato. Sicuramente è stato il film giusto al momento giusto e, come tutte le opere, è impossibile che scateni le medesime sensazioni in tutti coloro che ne fruiranno, ma io mi sento (dopo averli maledetti spesso nel corso del film) di ringraziare Docter e soci per questo piccolo gioiellino, che mi fa riflettere da giorni.  


Del co-regista e co-sceneggiatore Pete Docter ho già parlato QUI. Jamie Foxx (voce originale di Joe), Alice Braga (Jerry), Phylicia Rashad (Libba) e Angela Bassett (Dorothea) li trovate invece ai rispettivi link. 

Kemp Powers è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo lavoro dietro la macchina da presa. Americano, è anche attore e produttore.


Tina Fey
è la voce originale di 22. Attrice comica del Saturday Night Live, ha partecipato a film come Anchorman 2 - Fotti la notizia e a serie quali 30 Rock; come doppiatrice ha lavorato in Ponyo sulla scogliera, Megamind e serie come Spongebob Squarepants, Phineas e Ferb, I Simpson. Americana, anche sceneggiatrice e produttrice, ha 50 anni.


Graham Norton
, presentatore ufficiale dell'Eurovision per la BBC, presta la voce a Spartivento. Se Soul vi fosse piaciuto recuperate Il libro della vita, Inside Out, La sposa cadavere, Coco... e, ovviamente, cercate su Youtube qualunque cosa riguardi La linea di Osvaldo Cavandoli, che mi è tornata in mente ogni volta che compariva Terry! ENJOY!

mercoledì 2 settembre 2020

Onward - Oltre la magia (2020)

Al cinema all'aperto sono riuscita, nonostante le avverse previsioni meteo, a guardare anche Onward - Oltre la magia (Onward), diretto e co-sceneggiato dal regista Dan Scanlon.



Trama: all'età di 16 anni, Ian è un giovane elfo insicuro che vive nel mito di un padre mai conosciuto. In occasione del suo compleanno, la madre consegna a lui e al fratello Barley, nerd appassionato di fantasy, un oggetto appartenuto proprio al loro padre, che catapulterà entrambi in una grande avventura...



Onward è uno dei film Disney Pixar più sfortunati, incappato proprio nel periodo Covid e costretto a venire rimandato più volte prima di uscire in sala. Molti se l'erano già guardato su Disney +, moltissimi, ovviamente, lo avevano recuperato per vie traverse, ma io non ho intenzione di pagare l'abbonamento per una piattaforma di ladri e ho fatto voto di non andare mai a pesca di film Pixar, quindi ho aspettato pazientemente che Onward arrivasse in sala, ancor meglio nelle arene estive. Nel frattempo, ne avevo sentito parlare abbastanza tiepidamente e dopo la visione non posso che confermare la natura "minore" dell'ultimo arrivato in casa Disney Pixar, il quale di sicuro non diventerà mai un capolavoro memorabile, eppure lo stesso gli ho voluto bene. "Onward", infatti, non indica l'andare oltre la magia, come da sottotitolo italiano, ma gioca con la terminologia tipica delle quest fantasy invitando i protagonisti e gli spettatori a guardare al futuro e ad andare avanti, custodendo nel cuore il passato senza rimpianti, cercando di crescere e vivere la vita più soddisfacente possibile; Ian, protagonista del film, non ha mai conosciuto il padre (morto probabilmente di cancro, come si evince da uno straziante dialogo tra fratelli) e vive nel costante ricordo di altri, che descrivono il genitore come una persona intelligente, divertente, piacevole e a modo suo geniale. Ovviamente, il ragazzo è un insicuro cronico e l'"ombra" del genitore incombe su di lui quanto quella del fratello Barley, un perdigiorno dalla personalità debordante che non perde occasione di coinvolgere Ian in epiche figuracce, finché un giorno i due non ricevono in regalo dal padre un bastone corredato di pietra magica, un lascito rarissimo all'interno di un mondo in cui la magia è stata abbandonata in favore delle comodità moderne. La magia darebbe a Ian la possibilità di coronare il suo sogno più grande, incontrare il padre, ma qualcosa va storto e i due fratelli devono imbarcarsi in un epico viaggio per far sì che l'incantesimo torni a funzionare.


Il viaggio di Ian e Barley è una quest che copre tutte le caratteristiche di un'avventura fantasy, resa ironica dallo stravolgimento dei topoi del genere, tutti privati di epicità poiché avvicinati alla natura prosaica dell'epoca moderna (la Manticora che gestisce un locale per famiglie, i folletti che non volano ma vanno in moto, comode autostrade che portano in posti virtualmente inaccessibili, aerei che solcano i cieli, cellulari e quant'altro), ma la simpatia dell'elemento parodico viene stemperata da un senso costante di perdita imminente, dalla consapevolezza, da parte di Ian, di stare mancando l'occasione di poter conoscere suo padre e parlargli e posso assicurarvi che il finale di Onward è qualcosa di straziante, un happy ending a metà che priva gli spettatori di una gioia e una speranza magari fasulle ma di sicuro apprezzabili in un'opera di finzione. A vederlo con gli occhi di un adulto, Onward è sì un racconto di formazione basato sulla graduale presa di consapevolezza di come non siano solo i genitori i pilastri fondamentali della nostra esistenza, ma anche la sistematica distruzione dei sogni di un ragazzino, che alla fine non riesce a coronare il suo desiderio più grande, costretto a palesare la sua raggiunta maturità rinunciandoci. Forse per questo a molti non è piaciuto, oltre al fatto che questo argomento pesantissimo stride con l'abbondanza di gag e l'aria "sciocchina" dell'intera operazione, che necessitava di un po' di equilibrio in più tra le sue due anime. Come ho detto, a me è piaciuto, però: ho trovato i due protagonisti adorabili e perfettamente bilanciati tra loro (così come il "terzo incomodo" che li accompagna) e ho apprezzato l'idea di affidarsi alla magia fino a un certo punto, preferendo puntare su cervello, sulla complicità e sul sostegno della famiglia per raggiungere determinati obiettivi. Certo, Onward non entrerà mai nell'olimpo dei cartoon Pixar memorabili, ma i bambini dovrebbero divertirsi a guardarlo e noi adulti ci ritroveremo, tra una risata e l'altra, a toglierci furtivi una lacrima dall'occhio, sperando di non arrivare a fine visione troppo depressi.


Del regista e co-sceneggiatore Dan Scanlon ho già parlato QUI. Tom Holland (voce originale di Ian Lightfoot), Chris Pratt (Barley Lightfoot), Octavia Spencer (Manticora) e Tracey Ullman (Grecklin) li trovate invece ai rispettivi link.

Julia Louis-Dreyfus è la voce originale di Laurel Lightfoot. Americana, ha partecipato a film come Troll, Hannah e le sue sorelle, Harry a pezzi e a serie quali Seinfeld e 30 Rock; come doppiatrice ha lavorato in A Bug's Life - Megaminimondo, Due fantagenitori e I Simpson. Anche produttrice e sceneggiatrice, ha 59 anni.


Se Onward - Oltre la magia vi fosse piaciuto recuperate Zootropolis. ENJOY!

domenica 23 settembre 2018

Gli Incredibili - Una normale famiglia di supereroi (2004)

Con l'uscita del sequel, ho deciso di recuperare Gli incredibili - Una normale famiglia di supereroi (The Incredibles), diretto e sceneggiato nel 2004 dal regista Brad Bird.


Trama: dopo anni di successi e fama, Bob Parr è stato costretto a dismettere la sua identità segreta di Mr. Incredible e a vivere come una persona normale assieme alla moglie, un tempo Elastigirl, e ai tre figlioletti. Ma una misteriosa organizzazione lo richiama in servizio...



Non vedevo Gli Incredibili dalla sua uscita al cinema, nel lontano 2004, chissà perché. E pensare che ero uscita dalla sala entusiasta e avevo acquistato il DVD doppio appena si era reso disponibile, per poi lasciarlo lì a prendere polvere, benché avessi adorato il film di Brad Bird. Sono passati ben quattordici anni da allora e posso dire tranquillamente che Gli Incredibili non ha perso smalto, anzi: semmai, questo gioiellino della Pixar ha acquistato ancora più valore ai miei occhi, dopo innumerevoli cinecomics che non sarebbero nemmeno degni di allacciargli le scarpe. Ciò che rende Gli Incredibili così prezioso è la sua natura estremamente seria, rispettosa dei canoni di un genere che viene sfruttato per veicolare un messaggio positivo da fare arrivare ai piccoli mentre i grandi, per una volta, possono gustarsi un "film di supereroi" come si deve, senza vergognarsi di essere costretti ad accompagnare figli e nipoti. I modelli, per qualcuno che mastica un minimo di fumetti, sono chiari, ché la storia si ispira in parte a una pietra miliare come Watchmen e in parte, ovviamente, alle saghe degli X-Men e non solo per i poteri dei personaggi (anzi, sia per nomi che per poteri i membri della famiglia Parr forse ricordano più i Fantastici 4). Abbiamo quindi il protagonista, ex Mr. Incredible, costretto a vivere un'esistenza normale dopo i fasti da supereroe, quando l'opinione pubblica ha cominciato a considerare un pericolo quelli come lui, con conseguenze deprimenti quali vecchiaia, decadimento fisico, lavoro insoddisfacente, desiderio di rimembrare i vecchi tempi con gli amici ma abbiamo anche dei ragazzini che si ritrovano dotati di poteri e non possono usarli perché costretti a nascondersi, pena il venire nuovamente sradicati dall'ambiente in cui vivono, che è un po' ciò che accade ai mutanti Marvel; a cercare di tenere in piedi la famiglia c'è la caparbia Helen, ex Elastigirl, la quale deve farsi nume tutelare della ragione familiare per quanto, sicuramente, anche lei vorrebbe tornare ai bei tempi della giovinezza e della fama, quando la sua natura non era "solo" quella di casalinga ma di donna forte capace di sventare i crimini e salvare il mondo. Insomma, Gli Incredibili riporta sullo schermo le frustrazioni delle persone normali, le rende "super" e per questo ancora più condivisibili, in una trama che riesce a coniugare azione seria e divertimento, con degli eroi buoni e un villain fatto e finito che condivide con loro la stessa, impotente rabbia davanti all'idea di essere considerato normale e quindi, erroneamente, inutile o non speciale. A tal proposito, poiché Gli Incredibili affronta con estrema serietà la parte di trama strettamente legata alla sua natura di "cinecomic" (sicuramente più di quanto ha fatto, in tempi recenti, un Thor: Ragnarok qualsiasi), il villain merita davvero questo appellativo, ché Syndrome è malvagio nel midollo e non si fa scrupoli a lasciarsi alle spalle un cumulo di supereroi morti per affermare la propria supremazia, cosa che a momenti non accade nemmeno nei film Marvel o, perlomeno, non viene sbattuta in faccia allo spettatore come se nulla fosse per mano di quei burattini senza fichi che continuano a farci passare per supercattivi (Thanos a parte).


Detto questo, non è che il film di Brad Bird sia qualcosa di improponibile per i piccoli spettatori, anzi. Gli Incredibili riesce ad essere anche assai lieve e divertente, coniuga le sue due identità meglio di quanto farebbe un supereroe, in un equilibrio che ha del miracoloso. Sfruttando i cliché del genere riesce infatti a far sorridere adulti e bambini grazie ad un ex super in piena crisi d'identità (Mr. Incredible in borghese è buffissimo) e a un paio di altri personaggi piazzati ad hoc, come la divina stilista Edna, doppiata magistralmente in italiano da Amanda Lear, e ovviamente il piccolo Jack Jack, pupotto sbrodolante e dallo sguardo folle che si fa protagonista di una delle sequenze più sorprendenti e riuscite del film. Gli stessi poteri dei protagonisti hanno una resa assai divertente, basti pensare al modo in cui il corpo di Elastigirl può plasmarsi in mille modi diversi, cosa che rende Gli Incredibili uno dei più riusciti film di supereroi anche per un altro motivo: l'accuratezza con la quale sono state realizzate sia le scene d'azione che gli ambienti in cui si muovono i personaggi. La combinazione dei vari poteri dei nostri, oltre al modo in cui vengono scoperti o ri-scoperti è molto fantasiosa e di conseguenza entusiasmante per lo spettatore, basti solo pensare ai campi di forza della piccola Violetta utilizzati in sincrono con la velocità del fratello, ma c'è anche un senso palpabile di "normale" umanità nel metterli in mostra, cosa che li rende ancora più veri, come quando Elastigirl si sofferma davanti a uno specchio all'interno della base per controllare come cade il nuovo costume su un corpo di donna plurimamma. Sfondi, dettagli e ambientazione, nonché la colonna sonora, sono invece debitori dei film di spionaggio, quelli di James Bond in primis, e i supereroi, così come i villain, sono dotati di accessori ipertecnologici, automobili zeppe di gadget, armi e robot pericolosissimi e dal design vintage e per questo ancora più affascinante, oltre che raffinato. Se a questo aggiungete un'animazione e un character design perfetti, che non mostrano il fianco a difetti nemmeno dopo quattordici anni, capirete perché Gli Incredibili rimanga ancora oggi uno dei film Pixar migliori... e anche perché sono terrorizzata all'idea di affrontare il sequel!


Del regista e sceneggiatore, nonché voce di Edna, Brad Bird ho già parlato QUI. Craig T. Nelson (voce originale di Bob Parr/Mr. Incredible), Holly Hunter (Helen Parr/Elastigirl), Samuel L. Jackson (Julius Best/Frozone), Jason Lee (Buddy Pyne/Syndrome) e Wallace Shawn (Gilbert Huph) li trovate invece ai rispettivi link.


I due anziani sul finale sono rispettivamente Frank Thomas e Ollie Johnston, due dei nove animatori storici della Disney, che prestano anche le voci ai personaggi. Gli Incredibili - Una normale famiglia di supereroi era stato già "completato" all'epoca da due corti, l'esilarante Jack Jack Attack e Mr.Incredible and Pals, che non ho mai visto ma che dicono essere altrettanto divertente e ben realizzato. Nell'attesa di vedere Gli Incredibili 2 recuperateli e... ENJOY!

mercoledì 3 gennaio 2018

Coco (2017)

Buon 2018 a tutti! Vi faccio gli auguri oggi perché il post di El Bar l'avevo già scritto mesi fa mentre questa è la prima volta che mi metto a scrivere sul blog con l'anno nuovo e spero di non essere arrugginita perché vorrei parlare bene di Coco, diretto e co-sceneggiato nel 2017 dal regista Lee Unkrich e co-diretto (nonché co-sceneggiato) da Adrian Molina. NO SPOILER, ovvio.


Trama: desideroso di diventare un musicista benché osteggiato dalla famiglia, il piccolo Miguel ruba una chitarra dalla tomba del famosissimo Ernesto de la Cruz proprio nel dia de los muertos e, a causa di una maledizione, finisce per rimanere bloccato nell'aldilà...


L'ho già scritto su Facebook ma lo ripeto anche qui: Coco è uno dei film più belli del 2017 e, come ha detto il buon Sauro di Solaris, ha fregato tutti i blogger che, come me, avevano già stilato le loro classifiche. Ben lontano dall'essere una pallida imitazione de La sposa cadavere o, come avrei temuto, del pregevole Il libro della vita, Coco è un'altra vittoria della Pixar, che è riuscita a confezionare l'ennesimo capolavoro non solo di animazione ma anche e soprattutto di sceneggiatura. L'idea di partenza, oltre alla caratterizzazione del protagonista, è in effetti molto simile a quella del film di Gutiérrez; ne Il libro della vita c'era un torero che voleva diventare musicista, qui abbiamo il piccolo rampollo di una famiglia di calzolai che vorrebbe intraprendere la stessa strada ma, mentre Manolo veniva da una stirpe di toreri che con la musica non avevano mai avuto nulla a che fare, Miguel sa che la sua antenata ha espressamente vietato ai propri discendenti di approcciarsi alla musica dopo essere stata abbandonata da un marito spinto dal desiderio di diventare famoso. Coco si apre dunque col triste racconto di Mamá Imelda, prima di una serie di matriarche forti e determinate, molto vicine all'immagine di "donna del sud" sdoganata dai simpatici sketch di Casa Surace, armate di ciabatta e pronte a rifocillare gli amati nipotini ma anche impossibili da contraddire e incredibilmente testarde e fiere, e continua nel modo più bello possibile. Coco infatti non parla solo di contrasti familiari e di desideri di libertà affidati al solito protagonista intraprendente e baciato dal talento ma è soprattutto una pellicola sulla Famiglia con la F maiuscola e su un concetto di morte che è quanto di più distante da quello cupo e disperato sdoganato in anni di animazione per bambini, una diversità che non si limita alla rappresentazione coloratissima di un aldilà da sogno; Coco, per la prima volta da che ricordi, parla della morte con naturalezza rendendola parte dell'inevitabile ciclo vitale e sottolinea l'importanza della commemorazione dei defunti come fonte di forza per chi è rimasto in vita, anche quando sembra che le memorie ad essi legate siano solo negative oppure terribilmente tristi. La testardaggine di Miguel, al quale vanno sin dall'inizio le simpatie dello spettatore, si trasforma nel corso del film in un'arma a doppio taglio che fa riflettere sulla necessità di "ascoltare tutte le campane" senza lasciarsi accecare da rabbia e pregiudizi e, soprattutto, senza allontanarsi da chi, benché sbagliando e per quanto in modo maldestro, ci ha comunque sempre voluto bene.


L'importanza di "ascoltare" e cercare di capire le ragioni degli altri si traduce, ironicamente, in un film a tema musicale che di musica, fortunatamente, ne ha ben poca all'interno. A differenza del corto che precede la pellicola, quel Frozen - Le avventure di Olaf sul quale tornerò più avanti, Coco non è zeppo di numeri musicali, anzi, è molto parco e si riduce a quattro, massimo cinque siparietti assolutamente funzionali alla trama ed importantissimi, brevi e molto accattivanti (senza parlare, ovviamente, dello score "di sottofondo", realizzato da un Michael Giacchino particolarmente ispirato). La musica, d'altronde, ha tenuto la famiglia di Miguel arroccata sulle sue posizioni per decenni e probabilmente ha costretto la maggior parte dei membri a prendere una strada diametralmente opposta alle loro aspirazioni ed è giusto che essa venga dosata con parsimonia nel corso del film, come qualcosa che Miguel, giovane ed entusiasta, deve ancora imparare a gestire... e anche come una magia capace di richiamare ricordi, emozioni e gioia di cantare. Quel che non manca a Coco è invece la bellezza di sequenze animate mozzafiato, all'interno delle quali spicca un aldilà non soltanto coloratissimo e soffuso della magica luce arancione del tagete messicano, ma anche strutturato in modo che ogni cosa all'interno dello skyline vintage della città dei morti (solcato da magnifici spiriti guida) ricordi il volto di un calavera; e se le citazioni a Frida Kahlo, favolosa nume tutelare del film, sono allo stesso tempo esilaranti e bellissime (il numero delle ballerine sulla papaya mi ha uccisa sulla poltrona) e il flashback iniziale realizzato animando i festoni di carta è un piccolo capolavoro, quello che mi ha colpita di più guardando Coco è stata la delicatezza del character design. Con questo non mi riferisco tanto agli eleganti teschi dipinti che popolano il regno dei morti, per quanto comunque bellissimi, ma piuttosto alla verosimiglianza con cui gli animatori hanno riportato in maniera stilizzata i tratti somatici tipici di un popolo fino a creare quel capolavoro di nonnina tutta rughe e lunghe trecce bianche che ha rischiato di strapparmi il cuore dal petto proprio ora che la mia, di nonna, non sta troppo bene; la nonna di Miguel è bellissima, con una faccia tenera tutta da amare come si farebbe con qualunque vecchina veneranda ed è la prima volta che mi capita, sempre in un film per bambini, di vedere la vecchiaia riproposta, pur con tutti i suoi difetti (malattie comprese, ché qui si parla di alzheimer), in maniera così dolce e rispettosa quando di solito gli anziani vengono usati o come delle specie di Yoda o messi a mo' di burberi rompiscatole. Quindi andate, andate a vedere Coco, portatevi manciate di fazzoletti, preparatevi a ridere, emozionarvi e piangere senza ritegno... e, soprattutto, armatevi di santa pazienza prima che inizi.


Sì perché prima di Coco c'è, ahinoi, il "corto" Frozen - Le avventure di Olaf. VENTIDUE MINUTI difficili da sopportare persino per me (che ho adorato Frozen e mi sono divertita anche col corto precedente, Frozen Fever), durante i quali un bambino si è alzato è ha detto al padre "Ma papà, io mi sto annoiando!". E ne hai ben donde, povero patato! Il problema non è che Olaf, il pupazzo di neve con la voce da pittima che "ama i caldi abbracci", sia il protagonista praticamente assoluto, quanto piuttosto che i VENTIDUE MINUTI siano TUTTI cantati. Tutti, santiddio. L'unico momento in cui mi sono esaltata/commossa è stato quando le note di "Do You Want to Build a Snowman?" hanno fatto capolino, per il resto se nel 2019 mi daranno un Frozen 2 interamente cantato e imperniato per l'ennesima volta sulla tristezza derivante dall'infanzia perduta di Elsa e Anna andrò ad impiccarmi a un albero di Natale perché, signore mie, quanto ancora la vogliamo tirare avanti con sta storia di Elsa che si deprime perché per colpa sua Anna non ha mai avuto una famiglia, una festa, un legame fraterno, un chediaminenesò? E basta, dai, tiriamo fuori un po' di palle! Anche perché diverse catene cinematografiche americane hanno ritirato il corto, quindi non devo essermi rotta le scatole solo io... (e poi non avete idea di quanto sia piacevole guardare i colori di Coco dopo venti minuti di toni freddi)


Del regista e co-sceneggiatore Lee Unkrich ho già parlato QUI mentre Cheech Marin (la voce originale del poliziotto che parla con Hector) lo trovate QUA.

Adrian Molina è il co-regista e co-sceneggiatore del film. Americano, è alla sua prima esperienza come regista ma ha già lavorato in casa Pixar come sceneggiatore e animatore in Ratatouille, Monster University e Il viaggio di Arlo. Ha 32 anni.


Gael García Bernal è la voce originale di Hector. Messicano, ha partecipato a film come Amores perros, Y tu mamá también - Anche tua madre, I diari della motocicletta, La mala educación e a serie come Mozart in the Jungle. Anche produttore, regista, cantante e sceneggiatore, ha 40 anni e due film in uscita.


Benjamin Bratt è la voce originale di Ernesto de la Cruz. Americano, ha partecipato a film come Demolition Man, Catwoman, Doctor Strange e La fratellanza mentre come doppiatore ha lavorato in Cattivissimo me 2. Anche produttore e cantante, ha 55 anni.


La voce originale di Papá Julio è quella del regista Alfonso Arau. Se Coco vi fosse piaciuto, potete trovare su internet il corto Dante's Lunch: A Short Tail, avente per protagonista il cane guida di Miguel e, in aggiunta, potete guardare Ratatouille, Inside Out, Il libro della vita e Up. ENJOY!



venerdì 14 aprile 2017

Ralph Spaccatutto (2012)

Nel 2012 il regista Rich Moore, anche in veste di co-sceneggiatore, realizzava Ralph Spaccatutto (Wreck-It Ralph) e io ho dovuto attendere fino alle feste natalizie del 2016 per guardarlo e addirittura aprile per pubblicare il post!!


Trama: Ralph è il cattivo del videogioco Felix Aggiustatutto Jr. ma col tempo si è stufato di vivere da reietto, odiato da tutti gli abitanti del videogame. Per provare a Felix e gli altri di essere in grado di diventare un eroe, cerca di rubare una medaglia d'oro da Hero's Duty ma finisce per errore nel gioco Sugar Rush, un mondo fatto di dolciumi dove gli abitanti si fronteggiano in spericolate corse coi go-cart...



Chissà perché, dopo mesi di attesa, avevo finito per snobbare Ralph Spaccatutto. Ho cercato ma non trovo traccia nel blog dei motivi che mi hanno spinta ad andare a vedere Vita di Pi piuttosto che il film Disney di quell'anno, quindi posso solo pensare che le recensioni tiepide degli appassionati mi avessero dissuasa dall'affrontare quello che, a conti fatti, è un omaggio ai videogiochi vintage. Da ignorante qual sono, credevo che Felix Aggiustatutto fosse un gioco realmente esistito, invece pare che l'abbia inventato la Disney, ma ciò non toglie che il film sia pieno di riferimenti più o meno velati a famosissimi personaggi del mondo videoludico quali Sonic, i protagonisti di Street Fighter (che si beccano le citazioni migliori, peraltro), Qubert, Pac-Man e mille altri che, in quanto poco appassionata del genere, non ho potuto riconoscere. Al di là di questo gioco citazionista, quella di Ralph Spaccatutto è una validissima e "tipica" storia Disney, con una bella morale di fondo. Ralph è costretto "per contratto" ad essere cattivo ma giustamente si è stufato di dover per questo essere isolato dai suoi comprimari "buoni". Per mettere una pezza alla sua condizione cerca di diventare un Eroe, snaturando completamente il suo modo d'essere e combinando solo casini, ignorando le sue abilità di distruttore in quanto portatrici sane di catastrofe e sguardi indignati; l'incontro con Vanellope, glitch del videogioco Sugar Rush incarnatosi in una bimbetta sboccata e peperina, gli aprirà ovviamente nuovi orizzonti e lo porterà a capire che essere sé stessi non significa necessariamente rimanere bloccati in una determinata etichetta, basta solo convincersi (e convincere gli altri) di essere in grado di usare le proprie capacità e predisposizioni al meglio. Voler essere qualcos'altro (o qualcun altro) è solitamente fonte di guai per tutti, soprattutto quando le nostre azioni sono mosse da invidia e disperazione, sentimenti negativi che è sempre meglio tenere sotto controllo per riuscire al meglio nella vita. Se tutto ciò vi sembra pedante, sappiate che messo su schermo con la sceneggiatura scoppiettante di Rich Moore e compagnia la cosa risulta molto più convincente, oltre che emozionante e divertente, soprattutto grazie all'intelligente scelta di affidare il timone della storia a due anti-eroi come Ralph e Vanellope che di buono, zuccheroso e perfettino non hanno proprio nulla.


Oltre alle divertentissime citazioni che, purtroppo, ho recepito solo per metà, e al gusto vintage che tuttavia nel 2016 risulta già stra-abusato (almeno per me ma, oh, come sempre viva gli anni '80, ci mancherebbe!!!) Ralph Spaccatutto vince innanzitutto per l'assenza di canzoncine e poi per l'abilità con la quale designer e animatori hanno saputo riproporre visivamente un insieme di mondi fantasiosi e ognuno dotato della propria personalità. L'idea geniale di raccontare il micro-cosmo di una sala giochi, dove nell'orario di chiusura i personaggi comunicano tramite un porto franco che somiglia tantissimo alla Central Station di New York, prevede un'infinità di ambienti e character design realizzati ognuno secondo uno stile diverso di videogame: c'è lo sparatutto, il gioco anni '80, l'ambiente zuccheroso simile ai vari Candy Crush di Facebook, il picchiaduro, ecc. ecc. Di base il character design dei personaggi ha qualcosa di simile per tutti (tranne per quelli non originali, chiaro) eppure ogni abito, taglio di capelli, modo di camminare inserisce ciascun eroe in un contesto ben preciso, anche quando si trova fuori dal suo ambiente. In tal senso, le scenografie hanno dell'incredibile e non si limitano a riproporre i luoghi tipici del singolo videogioco ma immaginano e creano elementi che vanno oltre ciò che ai giocatori è consentito di vedere: la festa in casa di Felix è esilarante ma il modo in cui vengono utilizzati i dolci che compongono l'universo di Sugar Rush ha del geniale e creano un insieme di mezzi, case e abiti che, se venissero messi in commercio, probabilmente farebbero la felicità di ogni ragazzina appassionata di pupazzetti. E poi, diciamocelo, Ralph Spaccatutto vince anche solo per il suo geniale ed ironico utilizzo dei flashback "traumatici" e per la migliore coppia vista sullo schermo negli ultimi anni (coppia che, per inciso, spero torni nell'annunciato Wreck-It Ralph 2!) quindi dategli una chance e non aspettate tanto quanto ho fatto io per guardarlo.


Del regista e co-sceneggiatore Rich Moore (che presta la voce ad Aspro Bill e Zangief) ho già parlato QUI. John C. Reilly (Ralph), Sarah Silverman (Vanellope), Jack McBrayer (Felix), Alan Tudyk (Re Candito) e Dennis Haysbert (Generale Ologramma) li trovate invece ai rispettivi link.

Jane Lynch è la voce originale di Calhoun. Americana, ha partecipato a film come Il fuggitivo, Fatal Instinct, Lemony Snicket - Una serie di sfortunati eventi, 40 anni vergine, Talladega Nights - The Ballad of Ricky Bobby, Alvin Superstar, Paul e a serie quali Party of Five, Una famiglia del terzo tipo, Dharma & Greg, Dawson's Creek, Una mamma per amica, X-Files, La zona morta, La vita secondo Jim, Friends, CSI - Scena del crimine, Weeds, Desperate Housewives, My Name is Earl, Due uomini e mezzo e Criminal Minds; come doppiatrice, ha lavorato nelle serie I Griffin, American Dad!, The Cleveland Show, I Simpson, Manny Tuttofare, Phineas and Ferb e nei film L'era glaciale 3 - L'alba dei dinosauri e Shrek e vissero felici e contenti. Anche produttrice, ha 57 anni e un film in uscita, il seguito di Ralph Spaccatutto.


Come ho già accennato, l'anno prossimo dovrebbe uscire il seguito di Ralph Spaccatutto, in cui, apparentemente, Ralph spaccherà internet. Non vedo l'ora. Nell'attesa, se il film vi fosse piaciuto recuperate Big Hero 6 e la trilogia di Toy Story. ENJOY!

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