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martedì 23 luglio 2024

Bolla Loves Bruno: Genitori cercasi (1994)

Stavo quasi per saltarlo, invece nella rassegna dedicata a Bruce Willis è finito anche Genitori Cercasi (North), diretto nel 1994 dal regista Rob Reiner e tratto dal romanzo North: The Tale of a 9-Year-Old Boy Who Becomes a Free Agent and Travels the World in Search of the Perfect Parents di Alan Zweibel.


Trama: la vita del piccolo North è costellata di successi, almeno finché la natura menefreghista dei genitori non comincia ad incidere sui suoi risultati sportivi e scolastici. Disperato, North decide così di mettersi alla ricerca di due genitori migliori...


Non avevo mai visto Genitori cercasi, forse non lo avevo mai nemmeno sentito nominare. Avevo deciso di non guardarlo, in quanto Bruce Willis era segnato nei credits di Imdb come "narratore", poi mi sono capitate sott'occhio un paio di immagini in cui l'attore era vestito da coniglio pasquale e ho capito che non potevo perdermi assolutamente il film. Ho quindi guardato Genitori cercasi come faccio di solito, senza informarmi al riguardo né leggere critiche pregresse, e non avete idea dello stupore quando sono venuta a sapere, il giorno dopo la visione, che il film in questione è universalmente considerato uno dei più brutti mai girati, nonché uno dei pochissimi stroncati da Roger Ebert senza possibilità di appello. Di più, Bruce Willis non doveva neanche esserci. Come molti altri insieme a lui (andate a vedere nelle info in fondo al post) era rimasto schifato dalla sceneggiatura ed era stata l'allora moglie Demi Moore, reduce dal successo di Codice d'onore, a convincerlo a partecipare, ed è stato un miracolo che la sua carriera non sia finita nel cesso come quella di Rob Reiner, fino a quel momento considerato regista infallibile e, in seguito, destinato a un flop dietro l'altro. Ora, non pretendo di saperne più di Roger Ebert, anzi, dinnanzi a lui m'inchino, ma tutto questo odio verso Genitori cercasi mi è parso ingiustificato. E' una commedia senza alcuna pretesa di essere seria, filtrata dalle fantasie di un bambino, e come tale è un'opera d'intrattenimento che mira solo a divertire lo spettatore con le sue trovate esagerate. Mi spingo fino a dire una cosa impopolare, che probabilmente mi varrà la cancellazione del blog e una condanna a morte da parte di ogni cinèfilo dell'Internet che si rispetti: a me Genitori cercasi, a livello di sceneggiatura e personaggi sopra le righe, ha ricordato tantissimo lo stile di Wes Anderson, e se quest'ultimo fosse un regista "da remake" sono convinta che potrebbe considerare l'insana idea di riportarlo sul grande schermo con i suoi inconfondibili tratti distintivi. 


Ma perché, in soldoni, Genitori cercasi ha generato tanto odio? Beh, in primis per il suo razzismo diffuso e per gli stereotipi che perpetra. Quando North parte alla ricerca dei genitori "perfetti", comincia la sagra della presa in giro, tra texani da circo, hawaiiani che dichiarano di sentirsi sottovalutati dai parenti americani, francesi dall'umorismo discutibile e alaskani usciti dritti da una distorta idea di qualche ignorante dell'800. Mentirei se dicessi che non è imbarazzante vedere Kathy Bates con "red face" annessa per interpretare l'Inuit, ma c'è anche da dire che questi stereotipi sono talmente enfatizzati e ridicoli, che nessuno potrebbe sentirsi seriamente offeso; allo stesso modo, è stupido inalberarsi perché la scelta di North, nel prefinale, ricade sulla tipica famigliola wasp e quindi automaticamente perfetta (ragazzi, ma ci hanno messo John Ritter e l'idea era di affiancargli Suzanne Somers di Tre cuori in affitto, di cosa stiamo parlando?), cosa dovrebbe scegliere un bambino bianco degli anni '90, di andare a stare con i Jefferson? In realtà, Genitori cercasi funge da blando racconto di formazione per un bimbo che inizia il film ritenendosi il centro del mondo ed emblema di perfezione, mentre alla fine del viaggio capisce di non essere meglio di altri e di doversi accontentare di un amore imperfetto ma sincero, proprio dopo aver visitato diversi luoghi "da sogno" che sono tali solo sulle cartoline, o per una vacanza di un paio di settimane. Il tutto viene raccontato seguendo i cliché di un thriller politico, perché mentre North cerca di trovare il suo posto nel mondo, una nemesi improbabile trama alle sue spalle per sovvertire l'ordine mondiale proprio sfruttando il gesto ribelle del protagonista, con tanto di killer prezzolati, video contraffatti e informatori segreti che diventano preponderanti verso la fine del film. Come potete leggere, la pellicola è pieno di trovate sciocche, giocose ed esagerate, e tutto sta ad entrare nel mood di un'opera essenzialmente parodica, pensata per un pubblico infantile, anche se mi sono divertita persino io.


Quanto a Bruce Willis, protagonista di questa rassegna, non ritengo si sia sputtanato, né che la sua performance sia la peggiore della sua carriera, anzi. L'attore, qui, fa "Bruce Willis", tirando fuori il meglio dei personaggi che hanno contribuito a definire la sua cifra stilistica cinematografica; dotato di un talento naturale per la commedia, asservito nel tempo a ruoli da eroe, Willis ciccia fuori per dare una mano a North in ognuno dei suoi viaggi, incarnandosi, di volta in volta, in uomo carismatico ma rozzo, saggio scoglionato dalla vita che può dare il meglio sia come attore di successo, sia come working class hero, sia come figura mitologica, sia come poveraccio scappato di casa. L'interazione con Elijah Wood, all'epoca tredicenne sulla cresta dell'onda, è tenera e divertente perché il ragazzino gli tiene testa ma senza risultare supponente, in più viene a crearsi proprio un clima di fiducia che fa del "narratore" uno strumento di salvezza non solo fisica, ma anche morale. Oltre a un Bruce Willis a mio parere in formissima, all'interno del cast trovate tantissimi attori amati che non si sono tirati indietro di fronte all'overacting richiesto (Jon Lovitz più o meno fa sempre lo stesso personaggio, ma il giudice di Alan Arkin è talmente sopra le righe da fare il giro) e, soprattutto, Matthew McCurley. Costui è un piccolo mostro che è sparito dalle scene dopo una manciata di film, probabilmente dopo aver perso quell'aria da simil Maculay Culkin che deve avergli fornito gli ingaggi all'epoca, ed è un peccato, perché la sua interpretazione del viscido bastardello Winchell è la cosa più esilarante del film. Al quale, neanche a dirlo, vi invito a dare un'occhiata, anche solo per darmi della matta: è introvabile sui servizi streaming e sul mercato dell'home video, neanche avessero voluto cancellarne il ricordo, ma su Youtube è disponibile per intero e in buona qualità. Fatemi sapere!


Del regista Rob Reiner ho già parlato QUI. Elijah Wood (North), Julia Louis-Dreyfus (mamma di North), Bruce Willis (Narratore), Jon Lovitz (Arthur Belt), Alan Arkin (Giudice Buckle), Dan Aykroyd (Pa Tex), Graham Greene (Papà alaskano), Kathy Bates (Mamma alaskana), John Ritter (Ward Nelson) e Scarlett Johansson (Laura Nelson) li trovate invece ai rispettivi link.


Pronti per il valzer dei gran rifiuti? John Candy era stato scelto per il ruolo di Pa Tex ma ha rifiutato perché trovava offensivi gli stereotipi all'interno della sceneggiatura, di conseguenza Reiner ha chiesto a Robin Williams, che era però già impegnato sul set di Mrs. Doubtfire - Mammo per sempre. Altri due che hanno espresso disgusto verso lo script e declinato con grazia sono Mel Brooks e Peter Falk, contattati per interpretare il nonno alaskano; anche Kathy Bates trovava orrenda la sceneggiatura, ma ha partecipato al film per ringraziare Reiner di averle fatto vincere l'Oscar con Misery non deve morire. ENJOY!

martedì 9 gennaio 2018

Stand by Me - Ricordo di un'estate (1986)

Ormai sono dieci anni che esiste il Bollalmanacco e mi rendo conto che, nell'elenco dei film "recensiti", mancano alcuni capisaldi fondamentali. Uno di essi è Stand by Me - Ricordo di un'estate (Stand by Me), diretto da Rob Reiner nel 1986 e tratto dal racconto Il corpo di Stephen King, contenuto nella raccolta Stagioni diverse.


Trama: quattro ragazzini decidono di intraprendere un lungo viaggio per andare a vedere il cadavere di un loro coetaneo, scoperto dal fratello di uno di loro. Lungo il cammino, tra uno scherzo e un pericolo, alcuni di loro cresceranno e cominceranno a pensare al futuro...



Essendo sempre stata una ragazzina più attratta dalla fantasia e dall'horror più che da altro genere di storie, il mio rapporto con Stand by Me non si è cementato nel tempo come accaduto ad altri miei amici o conoscenti e il film di Rob Reiner non è mai entrato a far parte del mio novero di film cult. Anzi, non vorrei sbagliare ma credo che questa sia stata la seconda volta in cui sono riuscita a vederlo tutto e purtroppo devo ammettere che non ricordo di avere letto il racconto di Stephen King (dev'essere successo quell'estate in cui tra King, Bret Easton Ellis e libri di scuola assortiti devo aver toccato i due/tre titoli la settimana). Trainata dalla visione di It e in cerca di qualcosa di breve da vedere con Mirco, ora che comincio un po' a conoscere i suoi gusti, sono tornata a riguardare Stand by Me dopo decenni e a farmi catturare dalla malinconica avventura di quattro ragazzini in cerca di un cadavere, accompagnati da una delle colonne sonore più belle ed iconiche di sempre. All'età di 36 anni ho finalmente capito perché da bambina il film non aveva fatto presa su di me; tolta la "patina" di commedia in cui i quattro amici scherzano tra loro e si prendono in giro, le loro disavventure non sono quelle dinamiche di un Marty McFly che cerca di mettere a posto la linea temporale o di una Fairuza Balk intrappolata in una Oz da incubo, bensì il compendio di una giornata "qualunque" che porta tutti i protagonisti, consapevolmente o meno, a un crocevia che una bambina non può arrivare a comprendere. Quella che viene mostrata nel film è l'ultima, memorabile "missione" di un branco di perdenti che di lì a poco avrebbero preso tutti strade diverse per non vedersi mai più e l'intera pellicola è permeata da quest'atmosfera "sospesa", di attesa e timore per il futuro, del desiderio di liberarsi da una cittadina che condanna chi rimane ad una vita da sfigato, delle colpe dei padri che ricadono su figli inconsapevoli, di bulli stupidamente crudeli e più penosi delle loro vittime, di bambini che escono di casa per raccogliere mirtilli e incontrano invece la morte. Insomma, più che un'avventura quella di Gordie e compagnia sembra l'ultimo grido disperato di ragazzini che vorrebbero tenersi stretta la loro infanzia, per quanto orribile, e la loro amicizia, prima che esse vengano spazzate via dai problemi e dalle regole dell'età adulta, quelle stesse "convenzioni" che non permetteranno la coesistenza di un gruppo di caratteri così eterogeneo.


"Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Cristo, chi li ha?" Questa è la frase che chiunque ricorda dopo aver visto Stand by Me e non a caso è quella che racchiude il senso dell'intera vicenda. Gordie, Chris, Teddy e Vern sono una ben strana accozzaglia di mocciosi, ben distanti dal suscitare l'istantanea simpatia dei Goonies, se vogliamo rimanere in tema Feldman; di loro, solo Gordie è dotato di una caratteristica peculiare, il biglietto che, alla faccia del padre che aveva occhi solo per il figlio maggiore defunto, lo porterà via dalla cittadina in qualità di narratore, di creatore di storie, di persona capace di superare i limiti della realtà. Gli altri, poverelli, sono dei perdenti fatti e finiti. Chris è sì il migliore amico di Gordie ma è fatto di una pasta diversa, probabilmente è il più adulto del gruppo e l'unico in grado di vedere le cose per quello che sono, provandone ovviamente un enorme dolore: tuttavia, il ragazzo che dovrebbe essere il peggiore di tutti a causa di una storia familiare poco felice risulta alla fin fine la mente del quartetto, capace di infondere coraggio in chi merita di perseguire i suoi sogni ma anche abbastanza lucido da capire che Teddy e Vern, per quanto amati, per quanto anch'essi amici, sono condannati ad essere lasciati indietro e a vivere l'esistenza della white trash perché troppo stupidi (o, nel caso di Teddy, probabilmente troppo traumatizzati) per crearsi un destino diverso. Eppure tutto questo non conta perché a dodici anni, ovviamente, non ci si pensa e conta solo lo stare bene, il litigare, il cercare un modo per non soccombere alla follia del mondo "adulto", il crearsi inconsapevolmente ricordi che dureranno una vita e che meritano di essere messi su carta per venire magari tramandati ai propri figli. E' proprio da queste sensazioni che non mi riesce di mettere nel post in maniera comprensibile che nasce, da una storia amarissima di Stephen King (non clemente come Reiner nel decretare il destino finale delle proprie creature), un film dolceamaro che ha accompagnato generazioni di spettatori, in miracoloso equilibrio tra commedia, coming of age e dramma, con in più quel tocco di follia capace di renderlo strano ed indimenticabile: come non ricordare, infatti, la terribile vendetta del ciccione alla gara di mangiatori di torte?


In questo periodo di "ritorno agli anni '80" Stand by Me è diventato uno dei film più saccheggiati da produzioni come Stranger Things e il nuovo It, sia per lo stile dei ragazzini protagonisti sia per gli omaggi ad intere sequenze come quella, al cardiopalma, del treno in arrivo, eppure per chi "c'era", per chi 'sti maledetti anni '80 cantati da Raf li ha vissuti, buona parte del fascino della pellicola risiede anche nella bravura di attori dal destino triste quanto quello dei personaggi che interpretano. Più che il Gordie Lachance di Wil Wheaton, chi rimane inevitabilmente nel cuore è il fragile, umanissimo Chris Chambers interpretato dallo sfortunato River Phoenix, ragazzino accusato ingiustamente e messo davanti alla banalità della cattiveria umana e del pregiudizio dal comportamento scorretto di un'insegnante (sfido chiunque a non piangere con lui durante lo sfogo nel bosco), assieme ad un Corey Feldman particolarmente ispirato e complesso; non è da tutti a quindici anni riuscire a dar vita a un personaggio come quello di Teddy, stupido e tragico al tempo stesso, emblema dell'amico cazzone che sicuramente tutti abbiamo avuto eppure talmente segnato dalla follia del padre da spezzare il cuore a un sasso. Se penso che questi due attori dal fulgido futuro sono uno morto per overdose e l'altro condannato a vedersi la carriera distrutta da droga, pedofilia, depressione e quant'altro, Stand by Me diventa automaticamente non solo il ricordo di un'estate ma anche e soprattutto la metafora di un'epoca mitica, che ora tendiamo inspiegabilmente ad idealizzare, ma che nascondeva dentro di sé marciume ed insidie abilmente celate che non tutti sono riusciti a superare per emergerne più maturi e forti. Col senno di poi (e non con la mentalità di una bambina sognatrice, perfettamente a suo agio nella beata ignoranza di un paesino pacifico) Stand by Me ha così finalmente raggiunto anche per me lo status di cult che tutti gli attribuiscono da anni, perché se è vera la frase "non ho più visto film come quelli che ho visto a 12 anni" è altrettanto vero che certe cose si apprezzano al meglio solo invecchiando. Ulteriore conferma, per inciso, che il mio rapporto d'amore col Re è ben lungi dall'essere già privo di sorprese!


Del regista Rob Reiner ho già parlato QUI. River Phoenix (Chris Chambers), Corey Feldman (Teddy Duchamp), Jerry O'Connell (Vern Tessio), Kiefer Sutherland (Asso Merrill), Bradley Gregg (Caramello Chambers), Marshall Bell (Mr. Lachance), Frances Lee McCain (Mrs. Lachance), Richard Dreyfuss (Lo scrittore) e John Cusack (Denny Lachance) li trovate invece ai rispettivi link.

Wil Wheaton interpreta Gordie Lachance. Americano, lo ricordo per film come Giochi stellari, La fattoria maledetta, Scuola di eroi, Flubber - Un professore tra le nuvole e Sharknado 2, inoltre ha partecipato a serie quali Casa Keaton, I racconti della cripta, Star Trek: The Next Generation, Oltre i limiti, CSI - Scena del crimine, Numb3rs, Criminal Minds e The Big Bang Theory; come doppiatore, ha lavorato nel film Brisby e il segreto di Nimh e per serie come The Slayers, I Griffin, Robot Chicken e Teen Titans Go!. Anche sceneggiatore e produttore, ha 45 anni.


River Phoenix aveva fatto l'audizione per il ruolo di Gordie ma il regista lo ha ritenuto più adatto per quello di Chris; quest'ultimo avrebbe dovuto essere interpretato da Corey Haim (amico fraterno di Corey Feldman, per inciso) ma l'attore ha preferito unirsi al cast di Lucas mentre Adrian Lyne ha lasciato il timone a Rob Reiner perché impegnato nelle riprese di 9 settimane e 1/2. Detto questo, se Stand by Me - Ricordo di un'estate vi fosse piaciuto recuperate I Goonies e It (la versione nuova). ENJOY!


mercoledì 29 gennaio 2014

The Wolf of Wall Street (2013)

In totale ritardo rispetto al resto del mondo, con somma vergogna ovviamente, martedì sono finalmente andata anch'io a vedere l'ultima fatica del mio amato Martin Scorsese, The Wolf of Wall Street, da lui diretto nel 2013 e candidato a 5 Oscar: Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura non originale (la pellicola è tratta dall'autobiografia del vero Jordan Belfort), Leo Di Caprio Miglior Attore protagonista e Jonah Hill Miglior Attore non protagonista. Inutile dire che tifo per tutti loro!


Trama: il film racconta la vita sregolata, dissoluta e lussuosissima di Jordan Belfort, soprannominato giustamente Lupo di Wall Street per il modo spregiudicato con quale si arricchiva in borsa sulle spalle dei poveri gonzi...


A scanso di equivoci, togliamoci il dente: The Wolf of Wall Street non è IL capolavoro di Martin Scorsese ma è sicuramente uno dei suoi Capolavori, senza ombra di dubbio il migliore che abbia girato da dieci anni a questa parte. Per raggiungere l'apice avrebbe dovuto essere meno supercazzola e più tragicomico, così da consacrarsi definitivamente nel mio personale Olimpo, dove regnano incontrastati Quei bravi ragazzi e Casinò, con i quali The Wolf of Wall Street ha comunque parecchi punti in comune, in primis la forsennata, psichedelica e roboante parabola di autodistruzione in cui s'imbarca il protagonista a causa innanzitutto dei suoi peccati e, secondariamente, per colpa di consiglieri e amici poco fidati. Come già ai tempi Jimmy, Henry e Asso Rothstein, anche Jordan Belfort è un lupo e su questo non ci piove, un capobranco nato che non esita a spolpare vive le sue prede per "dare da mangiare" ai suoi seguaci, un Bravo Ragazzo della finanza che consapevolmente rinuncia a controllare i suoi appetiti e si annulla in un vortice di sesso, droga e denaro; a differenza degli altri, famosissimi criminali scorsesiani, però, Jordan ha il carisma, il cervello e, soprattutto, l'indipendenza del self made man capace di vendere (per citare Ghostbusters 2) "fumo e merda" ai boccaloni che gli capitano sotto tiro senza dover temere ritorsioni da parte di qualche sanguinario e permaloso boss della mala. Jordan è il capobranco, sopra di lui c'è solo l'FBI e sotto c'è un gruppo di scimmie ammaestrate alla "fine" arte dell'eloquio e della menzogna, dei burini con vestiti firmati, dei Neanderthal che venerano solo due dèi, Jordan e il Denaro, e che prendono a sputi, insulti e schiaffi chiunque non rientri nel ristretto novero dei loro idoli (il dialogo relativo ai nani o l'incontro con Steve Madden sono scioccanti in tal senso): persone vuote, stupide e, soprattutto, incapaci ed improduttive che, grazie ad apparenze e lingua svelta, vendono il nulla a gente altrettanto idiota, il paradosso su cui è costruita la nostra società.


Scorsese si siede davanti alla macchina da presa e ci riporta fedelmente questo mondo tribale, volgare, ridicolo e a tratti aberrante, senza ergersi a giudice ma mostrando alternativamente distacco e partecipazione, lasciando allo spettatore la scelta di rimanere affascinato o disgustato dalle immagini che scorrono sullo schermo. Sfruttando tutta la sua sapienza nel campo della regia, della fotografia e del montaggio, il vecchio Martin inganna impercettibilmente i nostri occhi assecondando gli stati psicofisici del protagonista e creando alla bisogna sequenze stridenti o leggermente sfocate quando Jordan è completamente fatto, ci stordisce con pregevoli piani sequenza, ci immerge nei balli, nei canti e nella depravazione (nei riti!) senza sorvolare su nessun dettaglio, nemmeno quello più scabroso, riempie lo schermo con primi piani e mezze figure del protagonista rendendolo un Dio anche ai nostri occhi, mescola senza soluzione di continuità immagini di repertorio, cartoni animati, spot veri ed inventati in un florilegio di immagini, dialoghi e musiche praticamente ininterrotto; Scorsese ubriaca consapevolmente il suo pubblico, conscio del fatto che almeno per il 90% i risvolti "finanziari" della vicenda non verranno recepiti e passeranno in secondo piano fino a risultare ininfluenti... proprio quello su cui contava Jordan nel corso della sua attività. Il risultato sono tre ore che sembrano una, dove l'attenzione non cala nemmeno per un attimo, anche perché Scorsese realizza senza dubbio il suo film più spassoso: la sequenza dove viene mostrato l'effetto del Quaalude prima al ralenti e poi in tempo reale è esilarante ma mai come quella del confronto "mentale" tra Jordan e il banchiere svizzero, che mi ha lasciata annientata e in lacrime a ridere da sola in mezzo alla sala gremita.


E a proposito di ridere, Di Caprio è mortale. L'avevo già detto per Django Unchained, lo ripeto: Leo, io ti ho perdonato. Tu sei un grande attore e io una capra svizzera che finalmente ha aperto gli occhi, continua su questa strada e non farmi pentire di quello che ho scritto. Di Caprio è nato per il ruolo di Jordan, si annulla completamente nel personaggio e in un attimo passa dal più squallido degrado ad essere il Re del Mondo, un carismatico sobillatore di dipendenti o un'ameba che rantola giù dalle scale in una delle scene più esilaranti dell'anno. Dire che è perfetto sarebbe un eufemismo, così come sarebbe riduttivo dare tutto il merito a lui e dimenticare lo stuolo di grandiosi caratteristi e sgnacchere che lo accompagnano, lo svergognato (nel senso di coraggiosissimo e senza vergogna) Jonah Hill in primis, ma non dimentichiamo Tappetino, il cinese mangione, un irriconoscibile Jon Bernthal e tutti gli altri "soggettoni" che magari compaiono solo per pochi istanti. In un lampo di genio, che spero sia voluto, Scorsese ha utilizzato un grandissimo attore (McConaughey) per insegnare al protagonista come si recita a Wall Street e ha messo tre registi  (Jon Favreau, Rob Reiner e Spike Jonze) a "dirigerlo"e cercare di frenare e regolare le sue ambizioni, per quanto inutilmente; inoltre, proprio per sottolineare la natura "pop" e a modo suo comica, caricaturale, dei personaggi rappresentati, non lesina la presenza di attori tirati fuori a forza dalle più famose serie televisive o di comici apprezzatissimi. E qui mi fermo. Ci sarebbero mille altre cose che vorrei dire ma davanti ai Capolavori tendo a perdermi inutilmente, diventando prolissa ma raffazzonata; ci sarebbero diecimila altre cose che sicuramente ho perso ma un film simile andrebbe visto perlomeno quattro o cinque volte per essere compreso e sviscerato appieno; ci saranno milioni di errori in queste mie indegne parole ma spero che da esse traspaia anche quell'Amore per Scorsese che dura fin dai miei primi passi nel meraviglioso mondo del Cinema e cazzo, questo è quello che conta. Non perdetevi assolutamente The Wolf of Wall Street, in italiano o in lingua originale, non fatevi assolutamente spaventare dalla durata o da altri futili pregiudizi perché questo è Cinema Vero, quello da vedere necessariamente in questi tempi di orrenda sciatteria.

Soocare.
Del regista Martin Scorsese (che in originale si può sentire parlare per telefono con Leonardo Di Caprio quando il suo personaggio vende le prime Penny Stocks) ho già parlato qui. Di Leonardo Di Caprio (Jordan Belfort), Matthew McConaughey (Mark Hanna), Kyle Chandler (agente Patrick Denham), Rob Reiner (Max Belfort), Jon Favreau (Manny Riskin), Jean Dujardin (Jean Jacques Saurel), P.J. Byrne (Nicky “Tappetino” Koskoff), Shea Whigham (Capitano Ted Beecham) e Spike Jonze (compare, non accreditato, nei panni di Dwayne, il “broker” che introduce Jordan al mondo delle penny stocks) ho già parlato ai rispettivi link. 

Jonah Hill (vero nome Jonah Hill Feldstein) interpreta Donnie Azoff. Americano, lo ricordo per film come 40 anni vergine, Suxbad: Tre menti sopra il pelo, Una notte al museo 2 – La fuga, 21 Jump Street, Django Unchained e Facciamola finita; come doppiatore, ha lavorato a film come Dragon Trainer, Megamind e l’imminente Lego Movie, oltre che per un episodio de I Simpson. Anche sceneggiatore e produttore, ha 30 anni e quattro film in uscita. 


Jon Bernthal interpreta Brad. Americano, famoso per essere stato lo Shane di The Walking Dead, lo ricordo per film come World Trade Center, Una notte al museo 2 – La fuga e Il grande match, inoltre ha partecipato ad altre serie come CSI: Miami, How I Met Your Mother, Numb3rs e doppiato un episodio di Robot Chicken. Anche animatore, ha 36 anni e un film in uscita. 


Ethan Suplee interpreta Toby Welch. Indimenticabile “comparsa” di moltissimi film di Kevin Smith nonché spalla di Jason Lee in My Name Is Earl, lo ricordo per l'appunto in pellicole come Generazione X, In cerca di Amy, American History X, Dogma e Clerks II. Americano, ha 37 anni e tre film in uscita.


Tra le millemila comparse che popolano la pellicola spunta anche Jake Hoffmann, figlio di Dustin, nei panni di Steve Madden (tra l'altro la scena è stata praticamente co-diretta da Steven Spielberg) e anche il vero Jordan Belford, che presenta Di Caprio alla folla sul finale. Se poi anche voi, come me, vi siete chiesti dove diavolo se l'è tirato fuori Matthew McConaughey quella sorta di rituale fatto al ristorante davanti ad un perplesso Di Caprio, sappiate che è una specie di "riscaldamento" che l'attore fa ogni volta prima di recitare. Per quanto riguarda gli attori esclusi, Amber Heard aveva fatto il provino per essere Naomi, ma alla fine il ruolo è andato all'australiana Margot Robbie; Julie Andrews era stata invece considerata per il ruolo di zia Emma mentre Ridley Scott avrebbe dovuto dirigere il film e per fortuna è finito a fare quella ciofeca di The Counselor o non avremmo avuto un simile capolavoro scorsesiano! Detto questo, se The Wolf of Wall Street vi fosse piaciuto, guardate anche Casinò, Quei bravi ragazzi, Il falò delle vanità e Wall Street. ENJOY!

mercoledì 8 febbraio 2012

La storia fantastica (1987)

Altro post dedicato ad un altro mito della mia infanzia. A dire il vero meno “mitico” di altri, poiché ho avuto meno occasioni di vederlo, ma pur sempre bello. Sto parlando del film La storia fantastica (The Princess Bride), diretto nel 1987 dal regista Rob Reiner e tratto dal romanzo La principessa sposa di William Goldman.


Trama: il nonno di un bambino costretto a letto da un’influenza decide di leggergli la storia della principessa Bottondoro e del suo amato Westley, legati da un vincolo di vero amore che rischia di spezzarsi quando quest’ultimo scompare in mare e Bottondoro viene chiesta in sposa dal viscido principe Humperdink…


La storia fantastica può essere visto come il giusto precursore di quel genere che poi sarebbe ritornato a spopolare in tempi recenti grazie all’orco Shrek. E’ una fiaba, è vero. Ci sono giganti, spadaccini, principesse (qualche bacio, con buona pace del piccolo costretto a letto), incantesimi e pirati, ma il tutto è riletto in chiave decisamente ironica, prendendo in giro i cliché del genere e mostrandolo allo spettatore attraverso il racconto di un nonno, spesso interrotto dalle rimostranze o dai dubbi di un nipotino “moderno”, smaliziato e assuefatto ai videogiochi che, suo malgrado, verrà alla fine catturato dalla storia di Westley e Bottondoro. Vista la simpatia e la particolarità dei personaggi coinvolti, lo spettatore non può che venire catturato a sua volta, e non c’è da stupirsi se chi, come me, lo ha visto in televisione per anni, ricorda ancora i nomi dei protagonisti e le loro battute.


Al di là di Bottondoro che, come tutte le principesse, aspetta solo di essere salvata (anche se è un bel peperino e anche un po’ stronzetta), è impossibile dimenticarsi del loquace Westley e, soprattutto, dei personaggi di “contorno”, a partire dal trio formato da Vizzini, Inigo e Fezzik: il primo, uno scaltro e malvagio siciliano (doppiato con doveroso ed esilarante accento nella versione italiana), il secondo, uno spadaccino di origini spagnole che ricerca ossessivamente la vendetta per il padre ucciso vent’anni prima e infine il terzo, un gigante buono amante delle rime. I continui battibecchi tra i tre personaggi e le successive scene dove Westley deve affrontarli sono le più riuscite ed esilaranti del film, ma anche il vanesio Humperdink, il torturatore albino e il vecchietto dei miracoli non scherzano. Purtroppo, bisogna ammettere che La storia fantastica risente un po’ dell’usura del tempo; per fortuna, però, è costruito in modo che il suo “cuore” possa comunque resistere inalterato, nonostante la parte avventurosa della pellicola sia effettivamente datata (un esempio su tutti: l’imbarazzante ratto della palude palesemente interpretato da un mimo, quasi quasi peggiore delle bestie presenti in The Killer Shrews!). Per gli amanti dell’horror, risulta inoltre decisamente simpatico vedere Cary Elwes legato e torturato in una meravigliosa segreta à la Saw, come gli succederà poi in tempi più recenti. Postilla nerd a parte, La storia fantastica è un film che merita molto, anche per le musiche di Mark Knopfler. Quindi, se non lo avete visto a suo tempo, rimediate!


Del regista Rob Reiner ho già parlato qui. Tra gli attori già citati sul Bollalmanacco segnalo invece Chris Sarandon (il principe Humperdink) e Wallace Shawn (Vizzini).

Cary Elwes (vero nome Ivan Simon Cary Elwes) interpreta Westley. Per me, questo attore inglese rimarrà per sempre Robin Hood – Un uomo in calzamaglia, ma ha partecipato ad altri film come Hot Shots!, Dracula di Bram Stocker, Mowgli – Il libro della giungla, Bugiardo bugiardo, L’ombra del vampiro, Saw – L’enigmista e a serie come Hercules, Oltre i limiti, X – Files e Law & Order. Attivo anche come doppiatore, ha prestato la voce per un episodio di Pinky and the Brain e ha doppiato il Pilota in Le avventure di Tin Tin: il segreto dell’unicorno. Anche produttore, ha 49 anni e nove film in uscita.


Mandy Patinkin (vero nome Mandel Bruce Patinkin) interpreta Inigo Montoya. Assurto al ruolo di “idolo australiano” dopo aver visto le pubblicità di Criminal Minds nella terra dei canguri, ha partecipato al film Dick Tracy, a un episodio della serie Hercules e ne ha doppiato uno de I Simpson. Ha 59 anni.


Robin Wright (vero nome Robin Virginia Gayle Wright) interpreta Bottondoro. Americana, ex moglie di Sean Penn, la ricordo per film come Forrest Gump, Toys – Giocattoli, Tre giorni per la verità, She’s so lovely – Così carina, Bugie baci bambole e bastardi, Unbreakable – Il predestinato e l’orrendo Beowulf, oltre che per la soap opera Santa Barbara. Anche produttrice, ha 44 anni e tre film in uscita, tra cui l’imminente Millenium: uomini che odiano le donne, dove interpreterà la giornalista Erika Berger.


Peter Falk intepreta il nonno. Famosissimo per il suo ruolo di Tenente Colombo nell’omonima serie, ha partecipato anche a film come Angeli con la pistola (che gli è valso la sua seconda nomination all’Oscar come migliore attore non protagonista, mentre la prima era arrivata l’anno precedente con Sindacato assassini) e Invito a cena con delitto, oltre a serie come Alfred Hitchcock presenta e Ai confini della realtà. Anche produttore, regista e sceneggiatore, è morto per colpa dell’Alzheimer proprio l'anno scorso, all’età di 83 anni.


Carol Kane (vero nome Carolyn Laurie Kane) interpreta la vecchia Valerie. Americana, ha partecipato a film come Quel pomeriggio di un giorno da cani, Io & Annie, il geniale S.O.S. Fantasmi, La famiglia Addams 2, Mosche da bar e Amiche cattive, oltre a serie come Two and a Half Men e Ugly Betty. Ha anche doppiato il corto Kung Fu Panda: Secrets of the Furious Five ed episodi delle serie Tiny Toon Adventures, Aladdin e I Griffin. Ha 59 anni e due film in uscita.


Billy Crystal (vero nome William Jacob Crystal) interpreta il vecchio e miracoloso Max. Uno dei più famosi comici americani, lo ricordo per film come Getta la mamma dal treno, Harry, ti presento Sally, Scappo dalla città – La vita, l’amore e le vacche, Hamlet, Harry a pezzi, I perfetti innamorati; ha inoltre prestato la voce per i film Monsters & Co., Il castello errante di Howl, Cars – Motori ruggenti e partecipato alle serie Love Boat e Friends. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 63 anni e quattro film in uscita, tra cui I Muppet e il prequel di Monsters & Co., Monsters University.


André The Giant, che interpreta Fezzik, è stato un grandissimo campione di wrestling e ha rivaleggiato nientemeno che con il mitico Hulk Hogan, mentre il piccolo Fred Savage lo potete ritrovare in Austin Powers in Goldmember nei panni dell’agente segnato dall’infame… booozzo!!! A proposito di André the Giant, pare che il suo ruolo fosse stato “concupito” da un esordiente e allora sconosciuto Arnold Schwarznegger, che se ne era incapricciato dopo aver letto il romanzo di William Goldman, da cui è stato appunto tratto il film. Peccato che, nel momento in cui la realizzazione della pellicola si era concretizzata, Schwartzy era diventato troppo famoso e la produzione non poteva più permettersi di pagare il suo cachet, quindi si è ripiegato sul gigante scandinavo. Per finire, se La storia fantastica vi fosse piaciuto, consiglio la visione (e la lettura) dei bellissimi Stardust e Lemony Snicket – Una serie di sfortunati eventi. ENJOY!

martedì 13 settembre 2011

Misery non deve morire (1990)

Lo Shining di Kubrick è senza dubbio il film più famoso e più bello tratto da un’opera di Stephen King. Però bisogna ricordare che c’è un altro film, sicuramente meno innovativo e particolare per quanto riguarda regia e adattamento, ma altrettanto bello e degno di rappresentare l’opera che vorrebbe portare su schermo. Sto parlando di Misery non deve morire (Misery), diretto nel 1990 dal regista Rob Reiner.



Trama: Paul Sheldon è un famosissimo scrittore, la cui fama è legata principalmente alla serie di romanzi dedicati all’eroina Misery. Un giorno viene sorpreso da una tempesta di neve su una stradina di montagna e ha un gravissimo incidente, a cui sopravvive solo perché viene trovato e salvato dall’ex infermiera Annie Wilkes, la sua “fan numero uno”. Sheldon scoprirà così che ci sono destini peggiori della morte…



In vita mia ho letto ben pochi libri più inquietanti di Misery. Ogni pagina di quel romanzo è permeata da tale un senso di “sospensione”, di attesa, di paura, da essere quasi insostenibile. Annie Wilkes, infermiera dall’oscuro e ambiguo passato e decisamente “reale” nella sua implacabile follia, è un babau peggiore di qualsiasi mostro “fantastico” possa mai venire partorito da mente umana. Il miracolo di Misery non deve morire è che la stessa tensione che si vive leggendo il libro ci viene riversata addosso guardando il film, che vive proprio dell’interpretazione della grandissima Kathy Bates (che non a caso ha vinto l’Oscar quell’anno, come migliore attrice protagonista). E’ quasi ipnotico vedere come nel lasso di un secondo la sua espressione possa cambiare dall’adorante al distaccato al depresso al rabbioso, trasformando una semplice infermiera in un mostruoso, granitico ed implacabile idolo malvagio che incombe sul povero scrittore immobilizzato a letto, con il quale non possiamo fare altro che immedesimarci, e per il quale proviamo una grande pena anche se, diciamocelo, è ben lungi dall’essere un personaggio accattivante o simpatico.



Assieme alla splendida interpretazione della Bates ci sono altri elementi che concorrono a rendere Misery non deve morire un piccolo capolavoro della suspance e dell’horror. Innanzitutto l’ovvia scelta dell’ambientazione: quella maledetta camera in cui rimane bloccato Sheldon, di cui arriviamo a conoscere ogni anfratto, compresa l’inutile finestra che mostra solo il cortile; la casa zeppa di barriere architettoniche di ogni genere (ovviamente le scale, ma anche le porte chiuse, i coltelli irraggiungibili, le statuine che cadono al minimo tocco…); infine il freddo paesaggio di montagna, innocuo all’apparenza ma in realtà pericolosissimo, proprio come Annie. E come in un perfetto thriller “hitchcockiano” c’è pochissimo sangue, assenza ampiamente compensata da una delle scene più raccapriccianti della storia del cinema, una mutilazione brutale eseguita con un sangue freddo spietato (anche se nel libro è ben più terribile…). Inutile dire che consiglio spassionatamente la visione di Misery non deve morire, soprattutto in lingua originale, dove potrete godere dell’assurdo linguaggio “pulito” di Annie (“you cockadoodie” o “you dirty bird” penso siano gli insulti più geniali mai coniati), e anche la lettura di Misery, ovviamente.

Rob Reiner (vero nome Robert Reiner) è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Stand by Me – Ricordo di un’estate, La storia fantastica, Harry ti presento Sally, Codice d’onore (nominato all’Oscar come miglior film) e Storia di noi due. Anche attore, sceneggiatore, produttore e compositore, ha 64 anni e un film in uscita.



Kathy Bates (vero nome Kathleen Doyle Bates) interpreta Annie Wilkes. Secondo me una delle più grandi attrici viventi, la ricordo per film come La brillante carriera di un giovane vampiro, Dick Tracy, lo splendido Pomodori verdi fritti – alla fermata del treno, L’ombra dello scorpione, L’ultima eclissi, Diabolique, Titanic, Rat Race e A proposito di Schmidt. Ha inoltre partecipato ad episodi delle serie Love Boat, Una famiglia del terzo tipo e Six Feet Under. Americana, anche regista e produttrice, ha 63 anni e due film in uscita.



James Caan interpreta Paul Sheldon. Attore americano passato alla storia per il ruolo di Sonny Corleone ne Il Padrino (che gli ha fruttato una nomination all’Oscar come miglior attore non protagonista), lo ricordo anche per altri film come 1941: Allarme a Hollywood, Dick Tracy ed Elf. Anche regista, ha 71 anni e sei film in uscita.



Richard Farnsworth interpreta lo sceriffo Buster. Americano, lo ricordo per film come Un giorno alle corse, Via col vento, I dieci comandamenti, Spartacus e Una storia vera, il suo ultimo film, che gli ha portato la seconda nomination all’Oscar, come miglior attore protagonista (la prima era stata quella come miglior attore non protagonista per il western Arriva un cavaliere libero e selvaggio). Purtroppo si è suicidato nel 2000, all’età di 80 anni.



Lauren Bacall (vero nome Betty Joan Perske) interpreta Marcia Sindell. Quando ho letto il suo nome nei titoli di testa ho pensato “ma è proprio QUELLA Lauren Bacall?”. Sì, è proprio quella, la storica compagna del mitico Humphrey Bogart, la stessa che ha recitato in film come Acque del sud, Il grande sonno, Come sposare un milionario, Assassinio sull’Orient Express e, ultimamente, in pellicole come Dogville e Birth – Io sono Sean. Ha anche doppiato la versione inglese de Il castello errante di Howl. Americana, ha 87 anni.



Frances Sternhagen interpreta Virginia. Se siete stati fan di E.R. vi ricorderete di quest’attrice americana per il ruolo della madre di John Carter. Altrimenti, la potrete vedere nel film Doc Hollywood – Dottore in carriera e nelle serie Oltre i limiti, Law & Order e Sex & The City. Ha inoltre doppiato un episodio de I Simpson. Americana, ha 81 anni e un film in uscita.  



Trovare l’attore per il ruolo di Paul Sheldon pare sia stata un’impresa epica. All’inizio era stato contattato Jack Nicholson, che aveva già interpretato uno scrittore “kingiano” nel capolavoro Shining di Stanley Kubrick, e che ha rifiutato proprio per questo motivo. Poi, alla lista si sono aggiunti nomi del calibro di Kevin Kline, Michael Douglas, Harrison Ford, Dustin Hoffmann, Robert De Niro, Al Pacino, Gene Hackman, Robert Redford e Warren Beatty, ma la maggior parte di loro ha rifiutato perché il personaggio sarebbe stato messo in ombra da quello di Annie Wilkes. Anjelica Huston e Bette Midler erano invece in lizza per il ruolo di Annie, ma per fortuna hanno entrambe declinato l’offerta. Tra l’altro, Stephen King si è così innamorato della bravura di Kathy Bates, che il libro Dolores Claiborne lo ha scritto proprio pensando all’attrice. Del film pare esista una versione indiana (con davvero pochissime differenze di trama) del 2003 dal titolo Julie Ganapathy. E cerchiamolo! Nel frattempo che io cerco, intanto, voi guardatevi il trailer originale di Misery non deve morire... ENJOY!!

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