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martedì 11 marzo 2025

Mickey 17 (2025)

Domenica sra sono andata a vedere Mickey 17, l'ultimo film scritto e diretto dal regista Bong Joon Ho, tratto dal romanzo Mickey7 di Edward Ashton.


Trama: dopo aver contratto ingenti debiti con un pericoloso criminale, Mickey Barnes decide di candidarsi come "sacrificabile" e andare nella colonia spaziale Niflheim. La sua condizione gli impone di morire e poi venire ricreato da una sorta di stampante, almeno finché le cose non cominciano ad andare ancora più storte...


Avevo sbirciato (non leggo mai veramente le recensioni prima di guardare i film e scrivere i post per il blog...) pareri assai tiepidi sull'ultima fatica di Bong Joon Ho. Per questo, nonostante il trailer mi avesse ispirato fin dalla prima visione, sono andata al cinema con aspettative abbastanza basse e forse, proprio per questo, mi sono molto divertita guardando Mickey 17. Come al solito, non ho letto il romanzo da cui è tratto, quindi non posso fare paragoni, ma Mickey 17 è una satira abbastanza corrosiva su una società che mastica e sputa il prossimo, sui riccastri e politici (non si fanno nomi ma il modello è abbastanza chiaro) che, dopo aver mangiato a sazietà nel nostro pianeta fino a rovinarlo, guardano a nuovi pascoli più verdi, e a ricrearsi un mondo a loro immagine e somiglianza. Mickey Barnes, ragazzo non proprio brillantissimo, decisamente incapace a scegliersi i migliori amici, rimane invischiato in una storiaccia di debiti e minacce di morte. Decide quindi di imbarcarsi nella missione spaziale capitanata dal politico Kenneth Marshall, candidandosi come "sacrificabile" per avere la certezza di lasciare la Terra. Un sacrificabile è il frutto di una tecnologia proibita in grado di clonare le persone e ricrearle con i ricordi della "versione" precedente, quindi può venire utilizzato per esperimenti e compiti mortali, senza troppi problemi morali (che sulla Terra, invece, ci sarebbero, visto che la tecnologia è stata bandita). I problemi cominciano quando il diciassettesimo Mickey, uscito in esplorazione sull'inospitale pianeta ghiacciato denominato Niflheim, sopravvive inaspettatamente, all'insaputa di chi, nel frattempo, ha creato la sua diciottesima versione. Dati i presupposti, e la voce narrante rassegnata e un po' babbea del povero Mickey, il film risulta un'opera spassosa e grottesca, ma non priva di momenti di riflessione; il protagonista viene trattato come un balocco da manipolare a piacimento, al limite oggetto di una curiosità morbosa ("Cosa si prova a morire?" è la domanda che tutti gli rivolgono), ma la sua condizione è un giusto un gradino sotto quella dei suoi compagni di viaggio, semplici "mezzi" per garantire a Marshall e alla moglie di soddisfare il loro ego ridicolo. Come ogni conquistatore da operetta, Marshall segue la sua ridicola visione, eleva simboli vuoti a segni divini, tratta qualsiasi vita come inferiore, soprattutto quella degli autoctoni, che diventano vittime di diffidenza e pregiudizio tanto quanto il povero Mickey, relegato al rango di sub-umano. La satira di Mickey 17 non è molto sottile, ma è sicuramente efficace, e tolti gli elementi sci-fi non si fa granché fatica a scorgere tristi scorci del nostro marcissimo presente.


Ora verrò bersagliata dalle "medaglie d'oro di sputo" (ciao, Lucio!) ma non mi ritengo granché esperta di Bong Joon Ho, quindi non stupitevi della mia incapacità di cogliere gli elementi salienti del suo stile, cosa che mi ha portata ad apprezzare ugualmente Mickey 17, nonostante sia stato accusato di essere "troppo americano". Posso dire che, a tratti, durante la visione mi è tornato in mente Okja, sia per i tanti elementi grotteschi della trama, sia per il sembiante dei mostrilli "striscianti" che compaiono nella pellicola; questi ultimi, a dire la verità, mi hanno ricordato anche l'Ohmu di Nausicaa della Valle del vento, un baluardo gentile ma feroce contro la stupidità umana e il desiderio di conquistare, inquinare, calpestare la natura, compresa quella umana. A questo proposito, gli effetti speciali non mi hanno fatto venire voglia di strapparmi gli occhi, come purtroppo accade sempre più spesso, e alcune sequenze, coadiuvate da una bella fotografia e un ottimo montaggio, mi hanno decisamente galvanizzata. Per quanto riguarda gli attori, col senno di poi sarebbe forse stato meglio guardare Mickey 17 in lingua originale, visto che Robert Pattinson funge anche da voce narrante, ma ho comunque apprezzato lo sforzo infuso dall'attore nell'interpretare Mickey nelle sue diverse incarnazioni, ognuna con un tratto caratteriale diverso, oltre alla noncuranza con la quale sfoggia un look simile a quello del Lloyd di Scemo e più scemo. Bravissimi, ovviamente, anche Mark Ruffalo, sempre più a suo agio nei ruoli weird di uomini di merdissima, e Nostra Signora Toni Collette, alla quale il regista ha confezionato una sequenza perfetta per la sua natura di horror queen, ma la piacevole novità è stata Naomi Ackie (già protagonista di Blink Twice)nei panni del personaggio più sensato e umano della pellicola. Se deciderete di andare al cinema a vedere Mickey 17, il mio consiglio per godervelo al meglio è dimenticare Parasite e le pellicole più autoriali di Bong Joon Ho; l'ultima opera del regista è decisamente più commerciale e "normale",se mi passate il termine, ma è un viaggio molto divertente e pieno di momenti inaspettati, che secondo me vale la pena intraprendere. Basta solo sapere a cosa andrete incontro!
 

Del regista e co-sceneggiatore Bong Joon Ho ho già parlato QUI. Robert Pattinson (Mickey Barnes), Steven Yeun (Timo), Naomi Ackie (Nasha), Daniel Henshall (Preston), Mark Ruffalo (Kenneth Marshall), Toni Collette (Ylfa) e Steve Park (Zeke) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Mickey 17 vi fosse piaciuto recuperate Source Code e Infinity Pool. ENJOY!

martedì 29 settembre 2020

Le strade del male (2020)

Non ho ancora trovato il coraggio di guardare Sto pensando di finirla qui e la gioia di avere Lupin The First su Amazon Prime Video si è infranta contro la presenza del solo audio italiano (va bene, mi avete convinto, compro il BluRay a scatola chiusa piuttosto che strapparmi le orecchie con il nuovo, orribile doppiaggio!) quindi ho deciso di tentare Le strade del male (The Devil All the Time), diretto e co-sceneggiato dal regista Antonio Campos a partire dal romanzo omonimo di Donald Ray Pollock.


Trama: nella provincia americana del primo dopoguerra si incrociano i destini di mezza dozzina di persone perseguitate dalla sfortuna, ossessionate dalla fede e in generale afflitte da un destino sanguinoso.


A dimostrazione del fatto che in questo periodo sono completamente avulsa dal mondo cinèfilo che conta, de Le strade del male non sapevo nulla di nulla, a malapena ero consapevole del fatto che ci fosse Tom Holland come attore principale ma a dire il vero credevo si trattasse di un horror. Trattasi invece di southern gothic, dove l'orrore esiste, certo, ma è intrinsecamente legato a una società superstiziosa e corrotta, dominata in parte da Dio (e dall'ossessiva ricerca della sua benevolenza, qualcosa che spesso sconfina nella follia religiosa) e in parte da uomini violenti, pericolosi e senza scrupoli, là dove le donne "fortunate" possono ambire ad essere mogli e madri amate ma niente di più, mentre per quelle sfortunate l'unico destino è una vita misera probabilmente conclusa con una morte violenta. All'interno della provincia rurale americana post- seconda guerra mondiale si intrecciano dunque le vicende di svariati personaggi, in un alternarsi di diversi piani temporali: il protagonista principale è Arvin Russell, ragazzo di cui seguiamo la vita dall'infanzia dominata dal padre religioso e violento fino ad arrivare a una faticosa maturità come orfano e "fratellastro" di una ragazza complessata e tristemente piegata, anche lei, dalla religione, e attorno a lui gravitano altre povere anime identificabili in una coppia di serial killer, un poliziotto corrotto, un predicatore lussurioso e un altro predicatore completamente pazzo. Come ho scritto su, i destini di tutti questi personaggi arrivano a incrociarsi tra passato e presente, accompagnati dalla voce narrante di Donald Ray Pollock, a tratti caustica e spesso amaramente ironica, come se trovasse assai divertente farsi beffe delle illusioni di esseri dannati fin dal principio, all'interno di una struttura circolare in cui tutto torna sul finale e che ha molto del noir. Non è sempre facile seguire queste vicende, dilatate in più di due ore di film all'interno delle quali la sceneggiatura pare spesso perdersi in dettagli insignificanti, pesantezze varie e squilibri (non ho letto il romanzo ma la vicenda dei due serial killer mi pare preponderante al suo interno mentre qui ha un'utilità pari a zero o quasi, e sembrerebbe quasi una nota di colore aggiunta per sconvolgere ancor più lo spettatore), eppure il risultato è interessante e talvolta inaspettato, soprattutto se si pensa agli attori coinvolti.


Abituati a vedere Tom Holland nei panni dell'amichevole Uomo Ragno di quartiere, fa piacere notare l'impegno profuso dal fanciullo nello scrollarsi di dosso facili etichette e spingersi ad indossare le vesti di un personaggio con cui non è facile empatizzare, nonostante il carico di sfiga che si porta appresso. Arvin è infatti un ragazzo privo di qualità, un animaletto preso in trappola che cerca di sopravvivere e di tenersi stretto quel poco che la vita gli ha dato, in primis la sorellastra Lenora, ma che per il resto nasconde il proprio nucleo dagli occhi dello spettatore, che arriva a volergli bene quasi per reazione all'odio smisurato verso la maggior parte dei comprimari, papà Willard compreso (il cui dolore e la cui follia sono comprensibili ma, insomma, certe scene spezzano il cuore). Tom Holland affronta dunque tutto il film compreso in una furia e una disperazione intensi, inusuali per l'attore, che può così tenere testa a un Robert Pattinson meravigliosamente leppego, al solito, inquietantissimo Bill Skarsgård e all'altro campione di laidità del film, un Jason Clarke che fa venire voglia di togliersi la pelle di dosso dallo schifo; complimenti vivissimi anche all'ex Dudley Dursley, Harry Melling, il cui sguardo spiritato è perfetto per il ruolo di predicatore invasato, e anche all'irriconoscibile Sebastian Stan, altro membro della scuderia Marvel capace di un gradevolissimo trasformismo. E il cast femminile? Come ho scritto più su, le donne de Le strade del male sono l'equivalente di accessori soggetti al volere di Dio o dell'uomo e ciò comporta uno spreco di talenti come quello di Mia Wasikowska o Haley Bennett, mentre Riley Keough ed Eliza Scanlen si difendono come possono nel tempo che viene loro concesso. In definitiva, Le strade del male è un ibrido strano ed inusuale per il catalogo Netflix, che probabilmente non incontrerà il gusto di un buon numero di utenti della piattaforma ma che a me è comunque piaciuto, nonostante alcuni difetti. Il mio consiglio è quello di recuperarlo, possibilmente a mente fresca. 


Di Robert Pattinson (Reverendo Preston Teagardin), Haley Bennett (Charlotte Russell), Tom Holland (Arvin Russell), Bill Skarsgård (Willard Russell), Riley Keough (Sandy Henderson), Mia Wasikowska (Helen Hatton), Sebastian Stan (Lee Bodecker) e Jason Clarke (Carl Henderson) ho parlato ai rispettivi link. 

Antonio Campos è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Afterschool e Christine. Anche produttore e attore, ha 37 anni.


Harry Melling interpreta Roy Laferty. Inglese, famoso per il ruolo di Dudley Dursley nella saga cinematografica di Harry Potter, ha partecipato a film come Edison - L'uomo che illuminò il mondo e La ballata di Buster Scruggs. Ha 31 anni e due film in uscita. 


Eliza Scanlen, che interpreta Lenora, era la Beth di Piccole donne. Chris Evans avrebbe dovuto interpretare il ruolo di Lee Bodecker ma ha dovuto rinunciare perché impegnato in altri lavori. Se il film vi fosse piaciuto recuperate Frailty - Nessuno è al sicuro, Hell or High Water (su Netflix), Prisoners (su Chili e altre piattaforme simili) e Non è un paese per vecchi (su Amazon Prime Video). ENJOY!

martedì 1 settembre 2020

Tenet (2020)

Tenet, diretto e sceneggiato da Christopher Nolan, è il primo film che sono tornata a vedere al cinema dopo quasi sei mesi di lontananza dalle sale. Purtroppo, la gioia del ritorno tanto atteso è stata sciupata dalla gestione scellerata del Multisala savonese (spero che invece altrove le regole vengano rispettate), che mi ha costretta a quasi tre ore con la mascherina indosso a causa del mancato rispetto del distanziamento tra le poltrone: a Savona, infatti, se prenotate in due (lasciamo perdere le strisce di 6/7 persone, congiunte manco per le palle ma fatte entrare senza problemi) gli unici posti che rimangono liberi sono quello subito a destra e quello subito a sinistra sulla stessa fila, per le file davanti e dietro vi deve andar di culo e ovviamente io e il Bolluomo ci siamo ritrovati con un branco di ragazze tutte rigorosamente senza mascherina a distanza di un braccio dalla schiena, mentre davanti c'erano sì due posti liberi ma per mero caso. Shame, dunque, sul Multisala Diana: con tutta la buona volontà di sostenere il cinema visto come merita (ero dell'idea di andare a vedere TRE film questa settimana) sarò costretta a fare selezione giusto dei film che non voglio assolutamente perdermi sul grande schermo o di quelli che non posso recuperare in nessun altro modo, ché mettere a repentaglio così la salute dei miei famigliari e dei miei amici sarebbe davvero da sconsiderati.


Trama: un agente CIA si ritrova invischiato in un complotto "temporale" atto a distruggere l'umanità.


Dopo essermi sfogata un po' sulla questione Covid, torniamo a parlare di cinema. Avete visto che bella trama stringata ho messo qua sopra, eh? Potrei dire che volevo evitare di incappare in spoiler ma la verità è che Tenet questo è, spogliato da tutte le sue complicatissime ed inesplicabili teorie legate alle leggi dell'entropia e della fisica temporale, che ringrazio proprio tantissimo Robert Pattinson, Aaron Taylor-Johnson, Kenneth Branagh e la sciura indiana per esserci venuti incontro con doverose delucidazioni, ma avete presente quel suono che udite nel cervello quando provate a fare operazioni matematiche più difficili delle addizioni? Io sento proprio un crackrackrack come se cercassero di girare i lati del cubo di Rubick più vecchio e rotto del mondo, non scherzo, è un suono fisico di rotelle che si inceppano, ed è un suono che ho sentito spesso durante la visione di Tenet, al punto che un bel momento ho pensato: "ma sai cosa? Sono al cinema, questa è una ca**o di spy/action story, facciamo che ogni volta che Pattinson mi fissa dallo schermo chiedendomi silenziosamente se ho capito io annuisco e mi godo il delirio immaginifico Nolaniano?". Fatto questo, ve lo giuro, Tenet diventa una bellezza, uno 007 popolato da personaggi intelligentissimi che fanno cose fighe perché sono fighi, che riescono a tirare tutte le fila di un complotto talmente complesso da far fare a Di Caprio e soci in Inception (che io continuo a preferire a livello di trama, fatemi causa) la figura dei poveri sfigati impegnati in una storiellina per bambini. E il bello di tutto questo è che il difficile è solo per i personaggi, lo spettatore può tranquillamente rilassarsi e sapere che l'obiettivo è evitare la distruzione del mondo e sconfiggere il cattivissimo Branagh, punto. Come poi ci si riesca è un altro paio di maniche, stavolta non c'è comunque il pericolo di sentirsi stupidi e non capire il nucleo del film, grazie quindi a Nolan per la gentilezza: d'altronde, giusto gli americani potrebbero non conoscere il quadrato del Sator e smascellarsi dallo stupore per la sapienza del regista, visto che di base tutti i riferimenti a Sator, Arepo, Tenet, Opera e Rotas sono solo degli easter egg inutili (e io che già ero partita da casa spiegando a Mirco mille fantasiose teorie legate ad anagrammi e palindromi. No).


Si diceva, dunque, della bellezza di Tenet e delle sue scene girate in buona parte senza l'ausilio di effetti speciali, il che le rende ancora più pregevoli. Dall'inizio al cardiopalma ambientato all'opera, passando per un grandioso "incidente" aereo durante il quale ho sostituito ai protagonisti Lupin e Jigen nella mia mente bacata di fangirl, arrivando a deliranti corpo a corpo, ancor più deliranti inseguimenti in macchina e lunghissime sequenze in cui passato e presente si intrecciano con gente che va avanti ma contemporaneamente anche indietro mentre gli edifici scoppiano e non scoppiano c'è davvero l'imbarazzo della scelta, roba da far piangere John Wick di commozione. Nolan con la sua cinepresa e l'ausilio del montaggio piega letteralmente il tempo al suo volere e lo spettatore viene immerso in questo assurdo mondo privo di leggi della fisica (e tuttavia rigorosamente regolato da esse) come se la sala cinematografica non esistesse più, grazie anche all'assurda colonna sonora di Ludwig Goransson, soggetta anch'essa agli sbalzi temporali che condizionano la storia. In tutto ciò, la bellissima Elizabeth Debicki svetta letteralmente come una dea facendosi ricordare come unica presenza femminile in tutto il film (non è l'unica ma le povere Clémence Poésy e Fiona Dourif è come se nemmeno ci fossero) e John David Washington cerca di non sfigurare in un ruolo di agente segreto iperfigo che sarebbe stato più che perfetto, mi duole dirlo, per suo padre o quel gran gnocco di Idris Elba, facendosi spesso rubare la scena da un Kenneth Branagh bastardo fino al midollo (mi si dice che il suo accento originale sia assai ridicolo,  fortunatamente il doppiaggio ci mette una pezza) e da un Robert Pattinson che acquista importanza e spessore a mano a mano che la storia prosegue. In definitiva, essendo partita con la convinzione che mi sarebbero cadute le gonadi come durante Interstellar e Dunkirk, mi sono goduta tantissimo questo Tenet, film da vedere rigorosamente in sala; a mio avviso i livelli di The Prestige e Inception sono ben lontani ma perlomeno stavolta Nolan ha realizzato un film complesso ma godibile, più vicino al genere che preferisco, cosa che mi ha reso simpatica anche la volontà di essere comunque un maledetto snob. Andatelo a vedere in fiducia e sperabilmente anche in completa sicurezza!


Del regista e sceneggiatore Christopher Nolan ho già parlato QUI. Elizabeth Debicki (Kat), Robert Pattinson (Neil), Kenneth Branagh (Andrei Sator), Aaron Taylor-Johnson (Ives), Clémence Poésy (Laura), Fiona Dourif (Wheeler), Michael Caine (Michael Crosby), Himesh Patel (Mahir), Wes Chatham (Sammy) e Martin Donovan (Victor) li trovate invece ai rispettivi link.

John David Washington interpreta "il protagonista". Americano, figlio di Denzel Washington, ha partecipato a film come Malcom X BlackKklansman. Anche produttore, ha 36 anni e due film in uscita.


Se Tenet vi fosse piaciuto, recuperate Inception (lo trovate su Netflix), Source Code (lo trovate su Netflix e RaiPlay) e magari anche L'esercito delle 12 scimmie. ENJOY!

domenica 19 gennaio 2020

The Lighthouse (2019)

Oggi parlerò del film che a Natale ha fatto sfracelli sia tra gli amanti del cinema in generale che dell'horror in particolare, ovvero The Lighthouse, scritto e co-sceneggiato dal regista Robert Eggers.


Trama: due uomini sono costretti a rimanere per mesi su un'isolotto, deserto salvo per il faro al quale devono fare manutenzione. A poco a poco, i due si ritroveranno preda della follia.


Sono costretta a cominciare il post citando paro paro la bellissima recensione di Lucia, perché la differenza del formato scelto da Eggers per le riprese è la prima cosa che salta all'occhio guardando The Lighthouse e io di queste cose purtroppo non so nulla: "The Lighthouse è stato girato in 35mm e in un formato stretto e lungo, 1.19:1, che era quello utilizzato dagli studios all’inizio dell’era del sonoro, e di conseguenza dagli horror della Universal, come è noto, fortemente influenzati dall’espressionismo, se non altro grazie alla presenza di tantissimi tedeschi sui set. Ma non solo: la pellicola del film è trattata con un procedimento ortocromatico, atto a evocare la fotografia del XIX secolo" (cit. Ilgiornodeglizombi). Ci avete mai fatto caso a quanto sia angosciante vedere, per l'appunto, un vecchio horror della Universal o, ancor peggio (meglio), un esempio del cinema espressionista tedesco? Al netto di tutte le ingenuità delle trame o dell'assenza degli effetti speciali "de paura" che tanto apprezziamo al giorno d'oggi, ciò a cui reagisce la mente, per quanto obnubilata da CGI e smartphone, sono i terrificanti giochi di luce ed ombra in cui si muovono i personaggi, quel costante senso di oppressione dato dalle riprese "strette", gli angoli sghembi di cineprese usate ancora in modo pionieristico e fantasioso e tutto questo si può ritrovare, tranquillamente, all'interno di The Lighthouse. Film che più minimal non si può, durante il quale compaiono sullo schermo solo due attori (quattro, per amor di precisione) e al massimo mezza dozzina di ambienti, nessuno dei quali viene mostrato nella sua interezza o con abbondanza di dettagli, ma sempre da angolazioni ristrette, soffocanti e scure da morire. Se andiamo a vedere l'unico momento chiaro e luminoso è quello in cui Dafoe e Pattinson guardano direttamente nella cinepresa, quasi volessero salutare assieme al pubblico la civiltà e la loro sanità mentale, perché da lì in poi comincerà un delirio ininterrotto di cui, sinceramente, non mi sento mica in grado di parlare.


Robert Eggers racconta un caso di cabin fever da manuale, dove tuttavia la fever si estende all'intero isolotto in cui il povero (ma nemmeno tanto, se andiamo a vedere) Ephraim Winslow, giovane ed inesperto tuttofare, si ritrova a dover convivere con Thomas Wake, lupo di mare provetto e soprattutto faccia di merda di prim'ordine, un ubriacone che non perde occasione di vessare Ephraim relegandolo ai compiti più ingrati e faticosi e impedendogli di avvicinarsi alla luce del faro, graal proibito in più di un senso. E' un mix di elementi perturbanti e decisamente negativi, affastellati l'uno sull'altro, a erodere lentamente la mente di Ephraim assieme ad ogni certezza dello spettatore, che si ritrova testimone di un incubo che avrebbe probabilmente fatto gioire Lovecraft in persona; la spietatezza degli elementi naturali (che sia una tempesta, il terreno roccioso dell'isolotto o persino i maledetti gabbiani) e di tutto ciò che è tangibile, come la bastardaggine di Wake, la fatica, la mancanza di sonno o l'isolamento, si uniscono al superstizioso terrore di leggende marinare alle quali forse sarebbe meglio credere, così come sarebbe meglio rispettare gli antichi adagi e ogni forma di superstizione legata al mare, pena il venire annientati dallo stesso. Tanti piccoli elementi vanno ad accumularsi e ci trascinano di peso dove vuole Eggers, ovvero in una dimensione dove non esistono certezze, il confine tra realtà e immaginazione si annulla e persino vecchi marinai (o presunti tali) diventano delle terribili divinità adirate.


A tal proposito, è incredibile cosa possa fare la fotografia di un film unita all'abilità del regista con la macchina da presa e al carisma di un attore. Ora verrò uccisa da orde di cinèfili scandalizzati per questo collegamento astruso ma guardando The Lighthouse mi è venuto in mente che Dafoe era anche nel cast di Aquaman, avvinto da pixelate di CGI pacchiana per riuscire a diventare una creatura acquatica; ecco, a Eggers invece è bastato "nulla" per farlo diventare un mostro terrificante, l'ira di Nettuno personificata, un essere inimmaginabile che avrebbe potuto mangiarsi Momoa e sputarlo per dispetto. E vogliamo parlare di Pattinson? Anzi, parliamo un po', Robert. Sei un pirla, fattelo dire. Chiccazzo te l'ha fatto fare di andarti a infognare nella cloaca di haters che infestano il fandom di Batman quando tu, come la tua ex, sei perfetto per i ruoli borderline all'interno di film realizzati da signori registi e non c'entri veramente una fava col cinema commerciale? Ti prego, ripensaci. Ti servono soldi? Te li presto io, piuttosto, ma non abbandonare le sceneggiature che ti costringono in personaggi ambigui, disperati, "brutti" e pronti a perdere l'umanità perché ti calzano alla perfezione, ragazzo mio, e questo The Lighthouse ne è la dimostrazione. Anche perché non è da tutti reggere un film sulla schiena senza farsi mangiare dal carisma di quel satanasso di Dafoe, terrificante persino quando sta zitto o si limita a scrivere su un diario. The Lighthouse, lo avete visto, è entrato nella mia top 5 di fine anno e mi rende molto triste l'idea che ancora non ci sia una distribuzione italiana perché, anche se non riesco a parlarne come dovrei, è splendido. E' vero, sarà un incubo da tradurre, adattare e doppiare, ma un film così DEVE essere visto su grande schermo, a costo di farlo uscire sottotitolato, perché è giusto che Eggers ottenga anche in Italia la fama che merita.


Del regista e co-sceneggiatore Robert Eggers ho già parlato QUI. Willem Dafoe (Thomas Wake) e Robert Pattinson (Ephraim Winslow) li trovate invece ai rispettivi link.


Se The Lighthouse vi fosse piaciuto recuperate il film precedente del regista, lo splendido The VVitch. ENJOY!

martedì 16 luglio 2019

High Life (2018)

Ho uno strano metodo di scelta dei film quando mi ritrovo a non sapere cosa guardare. Seguendolo, anche memore del fatto che già Lucia ne aveva parlato, ho affrontato la visione di High Life, diretto e co-sceneggiato nel 2018 dalla regista Claire Denis.



Trama: all'interno di un'astronave alla deriva nello spazio, un gruppo di detenuti cerca di sopravvivere mentre una scienziata tenta di perpetuare la specie.



High Life è un film che richiede pazienza e un po' di apertura mentale. Non lo dico per sembrare più intelligente di quanto non sia, sapete bene che sono una capra ignorante, è solo che fa caldo, la gente potrebbe aver voglia di staccare il cervello o divertirsi con qualcosa di più dinamico, mentre High Life sembra quasi un film d'altri tempi. Interamente ambientato all'interno di una claustrofobica astronave dal sapore retrò, con qualche squarcio di "esterno" che serve a contestualizzare un minimo la situazione in cui vengono a trovarsi i protagonisti e il loro passato, la pellicola non racconta proprio una "storia", bensì presenta sprazzi della stessa, microepisodi che costituiscono un puzzle incompleto ed inquietante, presentati non in maniera cronologica, ché i flashback e i fast forward
abbondano, quanto piuttosto seguendo associazioni di idee o ricordi. Fulcro della vicenda è Monte, giovane assassino che all'inizio vediamo completamente solo, impegnato a crescere una neonata; mano a mano che il film procede capiamo come Monte facesse parte di un equipaggio di carcerati mandati a studiare lontanissimi buchi neri, una missione suicida aggravata dalla presenza di una donna, Dibs, incaricata di preservare la specie e di creare nuove vite che possano portare a termine la missione in caso di morte dei membri dell'equipaggio. Le giornate che si svolgono all'interno dell'astronave hanno il sapore onirico di un incubo ad occhi aperti, alimentato dalla convivenza di animi tormentati, "rifiuti della società" sempre sull'orlo della follia i cui corpi vengono sistematicamente violati oppure costretti a incanalare le naturali pulsioni verso qualcosa di inanimato e spersonalizzante. Donne letteralmente usate come incubatrici, costrette a vedere i propri figli morire in un ambiente asettico ma velenoso, uomini usati come distributori di sperma, privati del piacere dell'atto sessuale con conseguenze talvolta fatali; ogni aspetto della (non) vita di queste persone viene controllato e reso in tutta la sua brutale e funzionale materialità e le uniche fonti di svago sono un rigoglioso orto e la cosiddetta "fuck box".


Mentre l'astronave è fatta di ambienti monocromatici ed ordinati, e la vita al suo interno è regolata da ritmi ben precisi, questi due luoghi deputati alla distrazione sono sporchi, disordinati ed incontrollabili, espressioni di vita caotica tanto quanto la piccola Willow, pargolotta di pochi mesi alla quale vengono dedicati i momenti più genuinamente poetici e commoventi di un film che è zeppo di scoppi di violenza e momenti sul filo dell'horror, una fantascienza contaminata non solo da altri generi, ma da un'atmosfera così malinconica da far star male. I dialoghi all'interno del film non sono molti, ci sono parecchie sequenze silenziose in cui a parlare sono gli sguardi e i gesti degli attori, impegnati a far vivere sullo schermo un copione scarno, dotato di molteplici chiavi di interpretazione e anche di momenti fisicamente disgustosi o comunque "fastidiosi" da vedere, nei quali i fluidi corporei vanno ad insozzare il sembiante solitamente patinato delle star. Sulla bravura di Juliette Binoche e Mia Goth (solo per citare le due attrici che conoscevo ma l'intero cast è sorprendente) non avevo dubbi ma mi ha stupita Robert Pattinson. Come la ex compagna Kristen Stewart, se tirato fuori dalle pellicole commerciali in cui, davvero, entrambi c'entrano come i cavoli a merenda, da prova di avere il phisique du role per questo genere di film un po' autoriali e sostiene interamente un ruolo che avrebbe rischiato di sfociare o nel ridicolo o nel patetico, trasmettendo l'idea di un uomo profondamente solo, condannato all'inferno a causa di un errore compiuto in gioventù e pronto a rinascere sotto lo sguardo vivace e penetrante di una bambina costretta a crescere all'interno di un'astronave. Probabilmente senza trovare l'happy ending, ché il finale di High Life è sospeso e lasciato alla libera interpretazione dello spettatore, ma l'importante è il viaggio e in questo caso è qualcosa per cui val la pena viaggiare. So che ciò che ho scritto fino a qui è incomprensibile ma quello che volevo dire, in sostanza, è di non perdere questo stranissimo, interessante film.


Di Juliette Binoche (Dibs) e Mia Goth (Boyse) ho già parlato ai rispettivi link.

Claire Denis è la regista e co-sceneggiatrice della pellicola. Francese, ha diretto film come Nénette e Boni, Beau travail, 35 rhums e White Material. Anche attrice, ha 72 anni.


Robert Pattinson interpreta Monte. Inglese, lo ricordo per film come Harry Potter e il calice di fuoco, la saga di Twilight, Cosmopolis e Maps to the Stars. Anche sceneggiatore e produttore, ha 33 anni e tre film in uscita.


Lars Eidinger interpreta Chandra. Tedesco, ha partecipato a film come Sils Maria, Personal Shopper e Dumbo. Anche compositore, ha 43 anni e sei film in uscita.


Claire Tran interpreta Mink. Inglese, ha partecipato a film come Sils Maria, Lucy e Valerian e la città dei mille pianeti . Ha 33 anni e un film in uscita.


Claire Denis avrebbe voluto affidare il progetto, pensato già nel 2002, all'attore Philip Seymour Hoffman, morto purtroppo nel 2014, mentre Patricia Arquette avrebbe dovuto interpretare Dibs ma ha rinunciato per impegni pregressi. ENJOY!


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