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martedì 20 dicembre 2022

Triangle of Sadness (2022)

Ne ho letto così bene in giro che ho deciso di recuperare, prima della fine dell'anno, Triangle of Sadness, diretto e sceneggiato dal regista Ruben Östlund.


Trama: una crociera di lusso si trasforma in un naufragio per alcuni ricconi, tra i quali spiccano una coppia di modelli...


Ruben Östlund
è un regista e sceneggiatore di cui avevo apprezzato moltissimo Forza Maggiore, un cinico trattato sulle umane imperfezioni e la labilità dei legami, anche quelli che crediamo più saldi. In parte, Triangle of Sadness, diviso in tre atti, richiama le atmosfere di Forza Maggiore. Nel primo atto facciamo infatti la conoscenza di Yaya e Carl, due giovani modelli impegnati in una relazione non proprio alla pari, nella quale lei, pur essendo molto più famosa e ricca di lui, non esita ad assecondare tutti gli stereotipi del "sesso debole", consapevole di poter farlo in quanto bellissima e sulla cresta dell'onda; se in Forza Maggiore la causa scatenante dei dissidi era l'"attaccamento" a un tablet, qui lo scontro tra Yaya e Carl, con tutto quello che scatenerà le dinamiche del terzo atto, nasce da un conto non pagato, dall'immaturità di un maschietto alfa che, oltre ad essere invidioso, non sa bene come gestire la consapevolezza di essere inferiore alla compagna in quegli aspetti che dovrebbero essere propri di un uomo. Nel secondo atto, il disagio personale e amoroso di Yaya e Carl si unisce (pur venendo messo in secondo piano) alla più "banale" delle lotte di classe, consumata all'interno di uno yacht di lusso dove l'apparenza di un micromondo perfettamente regolato si infrange contro lo scoglio dello spirito autodistruttivo di un uomo che non ha più niente da perdere, il che ci porta dritti a un terzo atto che, per modo di dire, riassume e completa le questioni accennate nei primi due. Bloccati su un'isola deserta dopo un naufragio, i pochi superstiti dello yacht (tra i quali, ovviamente, Yaya e Carl) devono fare i conti sia con l'inutilità di chi è diventato ricco per mera botta di culo, sia con un ribaltamento di ruoli tanto giusto quanto grottesco, specchio di quei discorsi a base di frecciatine e risentimento malcelato che accompagnavano la cena iniziale dei due protagonisti. Il naufragio, così come il Covid, invece di rendere tutti migliori lascia o tutti uguali a prima oppure peggiora ulteriormente delle persone che della pigrizia e dei privilegi hanno fatto la loro ragione di vita, oltre a rendere ancora più disperati quelli che prima si trovavano ai più bassi livelli sociali.


Con Triangle of Sadness mi è parso che Ruben Östlund volesse sottolineare l'assoluta casualità delle umane fortune e l'incapacità delle persone di andare oltre a stereotipi sociali da loro stessi creati, con pattern che si ricreano sempre uguali anche quando le situazioni cambiano (si vedano le "concessioni" di Vera allo staff della nave o le interazioni tra Carl e Abigail); persino la situazione del naufragio è un cliché a cui i sopravvissuti si adattano senza troppo clamore, con echi da Signore delle mosche che vengono anticipati ma mai interamente realizzati, come se la società attuale fosse troppo anestetizzata persino per una vera rivoluzione violenta, come del resto dimostrano i deliranti confronti tra "capitalisti e comunisti", a base di frasi fatte, che rappresentano il fulcro del secondo atto. A proposito del secondo atto, ormai è famigerata la sequenza della cena, che, al di là dell'ovvio disgusto a cui sottopone lo spettatore, è realizzata con tutti i crismi di regia e offre un'altra interpretazione dello schifo assoluto nascosto dietro una realtà perennemente filtrata, dove dev'essere tutto splendido splendente (ma un'altra bella sequenza è quella iniziale, dove i modelli vengono trattati al pari di quarti di bue) per venire incontro allo sguardo di chi ormai non vede oltre lo schermo di un telefonino o la situazione contingente. Triangle of Sadness non è un film sottile, urla la sua metafora come Men di Garland, ma, poiché gli mancano la raffinatezza e il grandeur di quest'ultimo, risulta molto più simpatico, benché altrettanto imperfetto. A mio avviso, infatti, il terzo atto non regge il ritmo e l'acume dei primi due e si perde in alcune lungaggini a cui rimedia, in parte, un finale tragicamente ambiguo in cui la realtà prende a schiaffi Yaya e Carl a seguito di una tardiva presa di coscienza. Mentirei se dicessi che, dopo tutte le belle recensioni lette, non mi sarei aspettata qualcosa in più, ma Triangle of Sadness resta comunque un film bello e interessante, graziato da un'ottima regia e attori molto bravi, l'ennesima conferma del talento indiscutibile di Ruben Östlund.


Del regista e sceneggiatore Ruben Östlund ho già parlato QUI mentre Woody Harrelson, che interpreta il capitano, lo trovate QUA.

Harris Dickinson interpreta Carl. Inglese, ha partecipato a film come The King's Man - Le origini e Omicidio nel West End. Anche regista e sceneggiatore, ha 26 anni e due film in uscita. 


Se Triangle of Sadness vi fosse piaciuto recuperate Parasite e The Menu. ENJOY!

martedì 9 ottobre 2018

Venom (2018)

Venerdì sera, trascinata dal Bolluomo e con uno scazzo epico davanti alla coda di adolescenti in visibilio, sono andata a vedere Venom, diretto dal regista Ruben Fleischer.


Trama: durante un'indagine, il giornalista Eddie Brock viene in contatto col simbionte alieno Venom e la sua vita cambia per sempre...



Come sanno gli amici di Facebook, la mia avventura con Venom non è cominciata proprio benissimo. Dopo la coda estenuante, siamo finiti in QUARTA FILA, ovviamente mica al centro, eh no. In più, almeno un esponente dell'accozzaglia di millenials presenti in sala puzzava come un cataletto, ma roba che probabilmente 'sta creatura non ha mai visto la doccia. Io sono schizzinosa solo quando si tratta di cimici ma stavolta ho dovuto gettare la spugna e guardare l'intero film col naso tappato, respirando con la bocca. Con lo scazzo a mille, molto probabilmente ho SUBITO Venom invece di guardarlo, però il risultato a mio avviso cambia poco, ché il film di Fleischer è qualcosa che trasuda brutti anni '90 fin dalle prime sequenze, un ibrido creato da un folle tra il vecchio Spawn The Mask, pellicola quest'ultima di cui Venom ricalca pedissequamente più di una sequenza, al punto che a un bel momento mi sarei aspettata di vedere Eddie Brock "uccidere" i nemici sulle note di Cuban Pete. Razionalmente, potrei dire che Venom è un film "normale", quasi banale, né meglio né peggio dei puntuali compitini Marvel che arrivano come riempitivo tra un Avengers e l'altro (salvo Guardiani della Galassia); come dicevano in The Rocky Horror Picture Show, "I expected nothing and I had that... in abundance!", anche perché a me lo Spiderverse e Venom in particolare non sono mai interessati dunque non potrei nemmeno urlare al vilipendio del personaggio, che del villain ho giusto qualche vecchio ricordo non mutuato da Spider-Man 3 (mai visto). A tal proposito, sinceramente mi sarei aspettata una creatura ben più malvagia, non un simbionte tanto buonino che arriva al punto di dare saggi consigli d'amore al suo ospite o a battibeccare con lui come nemmeno nelle peggiori sequenze di Thor: Ragnarok, toccando l'apice del disagio confessando di essere lo "sfigato" della razza di appartenenza. E allora, ospite e simbionte fanno davvero una bella coppia visto che Eddie Brock è stato caratterizzato come poco più astuto di uno Stanley Ipkiss qualsiasi, il tipico giornalista sensazionalista alla Striscia la notizia che, una volta privato del suo status dal riccone di turno, vaga clueless per le strade della città a rimediare figure di tolla finché l'altrettanto sfigato Venom non comincia ad utilizzarlo come EdgarAbito, maledicendolo con una blandissima necrosi quasi totale degli organi interni in cambio della possibilità di fare una vita che wow!, levàti! Brutto citare nuovamente The Mask ma giuro che la trama è identica dall'inizio alla fine (c'è persino il cane simbionte), con la piccola differenza che Ipkiss sul finale capiva di non aver bisogno della maschera per essere figo mentre Brock rimane ancorato alla sua fondamentale inutilità e niente, serve materiale per un secondo Venom e per giustificare l'imbarazzante scena post credit che vede sprecato uno dei più grandi attori di sempre in virtù probabilmente della sua amicizia con Fleischer.


Ma ciò che più mi ha infastidito, ciò che davvero mi faceva alzare ogni volta gli occhi al soffitto maledicendo di non essere io stessa simbionte per falcidiare tutti i presenti in sala, è il potenziale sprecato. L'inizio di Venom è una sorta di Alien meets L'alieno, col simbionte che passa da un corpo all'altro sfruttando parecchi topos del body horror "psicologico", quello che non porta lo spettatore a vomitare le sue stesse interiora ma che comunque lo inquieta lo stesso. Ovviamente, tutto ciò viene mandato in vacca in tempo zero, con una sceneggiatura disonesta combinata col terribile spauracchio del PG-13. Davvero, non potevano i realizzatori giocare tutto sul sottilmente inquietante, sulla possessione, sull'incapacità di avere il controllo del proprio corpo invece di sottolineare la fame perenne di Venom, il suo desiderio di staccare teste... reso sullo schermo senza nemmeno UNA goccia di sangue? No, ragazzi, allora. Qui non abbiamo Thanos che schiocca le dita e puff!, la gente sparisce, abbiamo MOSTRI con le zanne che divorano teste e impalano persone con propaggini organiche, non puoi renderlo nella maniera più asettica possibile, come se stessimo parlando di noccioline. Non puoi privare lo spettatore, anche il più giovane, dell'ORRORE della cosa, perché Mombi in Nel fantastico mondo di Oz collezionava teste senza mostrarci una singola goccina di sangue ma Cristo se anche il più stupido dei bambini capiva le implicazioni della questione e non ci dormiva la notte, invece qui il risultato è "Venom mangia le teste? Ah, beh, sticazzi", che è il punto di non ritorno di una desensibilizzazione spaventosa. A ciò va aggiunta la voce di Venom. Ho controllato su Wikipedia perché ad un certo punto ho creduto che il doppiatore italiano del killer in Scary Movie fosse lo stesso di Venom, invece abbiamo da una parte Pino Insegno in un film comico e dall'altra Adriano Giannini in un... beh, in un film comico? Non si spiegherebbe altrimenti perché Venom è garrulo e perculante, una sorta di maggiordomo innamorato della sua voce che a un certo punto si profonde persino in un entusiastico "benone!" che mi ha causato più di un conato di vomito, la parodia di un malvagio come la si sentirebbe in una puntata dei Simpson. Ma perché? E soprattutto: perché Michelle Williams a un certo punto vaga per il film vestita da collegiale? Ma anche: perché Tom Hardy recita col pilota automatico? E infine: perché qualcuno dovrebbe scegliere di andare a vedere questo Venom?


Del regista Ruben Fleischer ho già parlato QUI. Tom Hardy (Eddie Brock/Venom), Michelle Williams (Anne Weying), Riz Ahmed (Carlton Drake/Riot) e Woody Harrelson (Cletus Kasady) li trovate invece ai rispettivi link.


Stan Lee compare in un cameo piuttosto lungo all'interno del film, che è provvisto di due scene mid e post-credit: la prima è direttamente collegata alla trama della pellicola o comunque apre la via ad un sequel, la seconda invece è una sorta di trailer per Spider-Man: Un nuovo universo, di cui il Dottor Manhattan ha parlato QUA. Ovviamente, il film in questione non è legato a Venom così come, per ora, non lo sono Spiderman: Homecoming né tanto meno Spider-Man, Spider-Man 2 e Spider-Man 3, all'interno del quale compare Venom per la prima volta. Se Venom vi fosse piaciuto potreste considerare il recupero di Life: Non oltrepassare il limite, il quale per qualche tempo è stato creduto (erroneamente) un prequel di Venom. ENJOY!



martedì 29 maggio 2018

Solo: A Star Wars Story (2018)

L'ho visto già venerdì, ché il Bolluomo voleva correre a vedere Chewbacca, ma solo oggi riesco a parlare di Solo: A Star Wars Story, diretto da Ron Howard. Chissà se ricorderò qualcosa... ah, NO SPOILER, of course.


Trama: fuggito dal suo pianeta natale e dalle fila dell'esercito imperiale, il giovane Han Solo si unisce a una banda di ladri per poter tornare a recuperare la sua bella...


Questo film avrebbe potuto, fortunatamente, intitolarsi Solo: A Chewbacca Story, visto che i veri momenti di gioia li offre l'amatissimo wookie, con i suoi versi, le sue facce, persino i suoi momenti introspettivi (e ce ne sono, giuro). Il vecchio Chewbacca è il personaggio che spicca di più all'interno della pellicola, assieme ad un Lando Calrissian in gran spolvero, e riesce ad eclissare gli altri protagonisti tagliati con l'accetta, abbastanza prevedibili dall'inizio alla fine, con qualche sporadica sorpresa a ravvivare il tutto. L'impressione che mi ha dato la sceneggiatura dei Kasdan padre e figlio è quella di un compitino scritto col pilota automatico, il tentativo di dare un background a un personaggio storico che forse non ne necessitava uno, e se i ribelli di Rogue One riuscivano a regalare emozioni legandosi alla saga in modo devastante e inaspettato, questo Han Solo ragazzino mette un po' di magone solo quando si pensa che Harrison Ford non lo interpreterà mai più, con somma tristezza del wookie. E dunque la domanda che percorre un po' tutto il film è: come ha fatto Solo a diventare lo spregiudicato e ironico contrabbandiere/ladro di Guerre Stellari, nonché il pilota migliore della galassia, quando all'inizio della pellicola lo vediamo giovincello innamorato (di una, per inciso, che non ha il grammo del carisma di Leia) e criminale non per scelta ma per necessità? Beh, il percorso è simile a quello dei tanti eroi scapestrati e cinici ma fondamentalmente buoni che popolano da decenni il cinema, la letteratura e i fumetti: l'ingenuità e l'eccessiva fiducia in sé stessi vengono a poco a poco smussate da una serie di intoppi, casini, tragedie, tradimenti, prove ed esperienze che ovviamente cominciano ad indurire il carattere del protagonista, tenuto comunque a freno dal saggio Chewbacca. C'è di bello che in Solo vediamo un Han alle prime armi e quindi alle prime esperienze come pilota, innamorato delle astronavi e sinceramente stupito da tutto ciò che si nasconde nell'immensità dello spazio, pronto a sfidare l'ignoto come qualsiasi ragazzino degno di questo nome, cosa che rende la seconda parte del film decisamente più emozionante della prima, sebbene l'incontro tra Ciubbe e Han valga da solo l'intera pellicola.


Per il resto, mi pare ci sia davvero poco da dire. Per quel che riguarda la regia, dietro la macchina da presa avrebbe potuto esserci qualunque regista fantoccio perché non ci sono sequenze particolarmente memorabili o degne di nota quindi, ancora una volta, cacca su Ron Howard per la sia natura di yes man; gli effetti speciali per contro sono perfetti e non mi sarei aspettata di meno, ho molto apprezzato lo pseudo Cthulhu che compare a un certo punto così come il sembiante del robot pasionario amico di Lando, però mi sono posta parecchie domande per quel che riguarda la fotografia e qui chiedo l'aiuto del pubblico da casa. E' soltanto al Multisala Diana di Savona che Solo è stato proiettato sotto l'effetto di una nebbiolina che rendeva tutto sfocato, scuro e talvolta anche illuminato male al punto da sembrare che alcune scene fossero state riprese in controluce? Devo cambiare occhiali o davvero la fotografia di Solo è quanto di più sciatto si sia visto quest'anno sul grande schermo? Nell'attesa di ricevere risposte, passiamo agli attori. Alden Ehrenreich è un buon Han Solo che non cerca di imitare Harrison Ford ma per il resto diciamo che ha la personalità di un cartonato, la Clarke è molto meglio di quando la imparruccano ne Il trono di spade e il suo sembiante è ottimo per il doppio ruolo di ragazzetta di strada e fatalona immersa nei giochi di potere fino ai gomiti, Woody Harrelson e Paul Bettany recitano col pilota automatico ma sono sempre belli da vedere quindi a loro perdono tutto e, tolto Chewbacca, il migliore della baracca è Donald Glover, un perfetto, cialtronissimo e fascinoso Lando Calrissian che meriterebbe uno spin-off capace di rispettarne le caratteristiche, quindi sicuramente non un prodotto per pargoletti come questo Solo. Poi, per carità, la pellicola di Ron Howard è piena di citazioni, omaggi e rimandi che probabilmente manderanno in brodo di giuggiole gli appassionati ma siccome io i film della saga li ho visti al massimo due volte in tutta la mia vita (gli episodi dall'uno al tre nemmeno quelle) sono uscita dal cinema con la sensazione di aver visto uno di quei filmetti d'avventura tanto simpatici e carini quanto dimenticabili... MA con Chewbacca.


Del regista Ron Howard ho già parlato QUI. Alden Ehrenreich (Han Solo), Woody Harrelson (Beckett), Thandie Newton (Val), Paul Bettany (Dryden Vos), Jon Favreau (voce di Rio Durant), Warwick Davis (Weazel) e Clint Howard (Ralakili) li trovate invece ai rispettivi link.

Emilia Clarke interpreta Qi'ra. Inglese, famosa per il ruolo di Daenerys Targaryen de Il trono di spade, ha partecipato a film come Dom Hemingway, inoltre ha lavorato come doppiatrice in Futurama e Robot Chicken. Ha 32 anni e un film in uscita.


Donald Glover interpreta Lando Calrissian.  Americano, ha partecipato a film come I Muppet, The Lazarus Effect, Sopravvissuto - The Martian, Spider-man: Homecoming e a serie quali 30 Rock, inoltre ha lavorato come doppiatore in Robot Chicken: Star Wars III. Anche sceneggiatore, compositore, produttore e regista, ha 35 anni e un film in uscita, Il re leone, dove darà la voce al Simba adulto.


Linda Hunt è la voce originale di Lady Proxima. Americana, la ricordo per film come Popeye - Braccio di ferro, Un anno vissuto pericolosamente (che le è valso l'Oscar come miglior attrice non protagonista), She-Devil - Lei, il diavolo, Un poliziotto alle elementari e Relic - L'evoluzione del terrore, inoltre partecipato a serie quali Senza traccia, Nip/Tuck e lavorato come doppiatrice in Pocahontas. Ha 73 anni e un film in uscita.


SPOILER Nel film ricompare anche Ray Park, ovviamente nei panni del personaggio che lo ha reso famoso a inizio millennio, Maul. FINE SPOILER Alla regia avrebbero dovuto esserci Phil Lord e Christopher Miller, che però hanno abbandonato il progetto a metà riprese a causa di "divergenze creative" con Kathleen Kennedy e Lawrence Kasdan; è risaputo invece che a Ron Howard era stato proposto di dirigere Star Wars: Episodio I - La minaccia fantasma e che aveva rinunciato fondamentalmente per paura di affrontare una simile impresa.  Per quanto riguarda gli attori, Christian Bale si è visto "strappare" il ruolo di Beckett mentre per quello di Han Solo sono stati scartati nomi del calibro di Miles Teller, Ansel Elgort, Dave Franco, Jack Reynor (NUOOO!!), Scott Eastwood e Taron Egerton; niente di fatto anche per Tessa Thompson, Jessica Henwick (la Colleen Wing di Iron Fist) e Zoe Kravitz, tutte surclassate dalla Clarke. Detto questo, se Solo: A Star Wars Story vi fosse piaciuto, recuperate tutti i film della saga Star Wars, compreso Rogue One. ENJOY!


martedì 16 gennaio 2018

Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017)

Fresco di quattro Golden Globe (Miglior Film Drammatico, Miglior Sceneggiatura, Frances McDormand Miglior Attrice Protagonista per un film drammatico, Sam Rockwell Miglior Attore Non Protagonista) è arrivato anche a Savona Tre manifesti a Ebbing, Missouri (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri), scritto e diretto dal regista Martin McDonagh. Vediamo se mi ha colpita com'è successo con la stampa estera!


Trama: Mildred, madre di una ragazza stuprata mentre veniva uccisa dai suoi aguzzini, decide di affittare tre enormi cartelloni pubblicitari appena fuori Ebbing, la città dove vive, per dare una scossa al sonnolento corpo di polizia...



Se c'è una cosa che mi ha colpita enormemente guardando Tre Manifesti a Ebbing, Missouri (che, per comodità, da qui in poi chiamerò solo "Tre manifesti") è la capacità di Frances McDormand di comunicare tutta la rabbia, il dolore e l'umanità del suo personaggio alzando semplicemente un sopracciglio e stringendo le labbra in una fessura sottilissima. Il volto segnato dell'attrice, che ho imparato ad amare già ai tempi di Fargo, qui diventa la granitica rappresentazione di una donna che ha deciso di non fermarsi davanti a nulla pur di consegnare alla giustizia l'assassino (o gli assassini) della figlia o, meglio, di spingere la polizia a fare il proprio lavoro e dare una svegliata agli agenti mangiaciambelle. Mildred è una spietata macchina di caos, una madre incazzata che non accetta né la mancanza di prove, né il fatto che le indagini siano arrivate ad un punto morto dopo meno di un anno e come si può pensare di darle torto, di spingerla ad arrendersi perché "queste sono le leggi e non ci si può fare niente"? La sua protesta silenziosa ma implacabile, la decisione di dire le cose come stanno e scriverle sulla stessa strada dov'è morta la figlia a caratteri cubitali è comprensibile e, verrebbe da dire, è anche poco rispetto a quello che il suo dolore potrebbe spingerla a fare... però è abbastanza per sconvolgere gli equilibri di una piccola cittadina di provincia dove tutti si conoscono e dove non è facile per gli abitanti simpatizzare con una donna conosciuta per essere "peculiare", nonostante quello che le è capitato. Le parole di Mildred toccano personalmente lo sceriffo, figura di riferimento per tutti i cittadini, uomo integerrimo con un terribile segreto, e le persone bene di Ebbing ci mettono un secondo a trasformare la madre a cui hanno ucciso la figlia in una matta da ostacolare a tutti i costi, talvolta da minacciare, e la cosa assurda di Tre manifesti è la plausibilità di questo voltafaccia, avvallato dall'ignoranza gretta di poliziotti incompetenti e compaesani che magari non hanno mai sopportato né Mildred né la figlia Angela (la quale, non a caso, è finita nel dimenticatoio dopo pochi mesi). Non è un caso che gli unici alleati di Mildred, abitante di una cittadina ubicata in uno Stato di frontiera dove il razzismo è ben lungi dall'essere stato sradicato, siano i "freak" del paese o i diversi: messicani, neri, nani, gli unici a sostenere la donna fino all'ultimo sono loro, quasi la guerra di Mildred fosse una guerra dei reietti contro il potere costituito, quando invece la donna pensa (egoisticamente ma comprensibilmente) solo a sé stessa, senza regalare mai un sorriso o un gesto di conforto ai suoi aiutanti ma, anzi, andando avanti come uno schiacciasassi alla faccia di tutto quello che possa capitare a loro, alla sua famiglia, al figlio superstite.


Quella di Tre manifesti è una storia drammatica, eppure nel corso della pellicola si ride. E' un riso amaro, di cui ci si vergogna, perché si ride non coi personaggi (forse solo con lo sceriffo, nonostante la meschinità del suo tragico gesto di "vendetta") bensì DEI personaggi, peccando della stessa cecità degli abitanti di Ebbing. Si prenda ad esempio l'agente Dixon, interpretato da un Sam Rockwell a dir poco magistrale. Non mi è mai capitato di trovare sullo schermo un personaggio da odiare un minuto prima, per il quale provare un'immensa pietà quello dopo, fino ad arrivare a volergli bene anche se è scemo, un po' come fa lo sceriffo. Questa, se vogliamo, è la vera magia di sceneggiatura che ho avvertito guardando Tre manifesti, una pellicola che per altri motivi non mi ha convinta fino in fondo, troppo "superficiale" in alcuni punti (ma davvero un poliziotto può mandare all'ospedale un cittadino e farsi impunemente i fatti propri, persino nell'America di provincia Trumpiana? A che pro intimorire una persona se con la faccenda non si ha nulla a che fare, giusto per introdurre un "cattivo" più cattivo?) e melodrammatica in altri (sottolineare il senso di colpa di Mildred era necessario ma lo scambio di battute con la figlia l'ho trovato gratuito e agghiacciante), ma sicuramente in grado di definire personaggi sfaccettati e, come del resto accadeva già in In Bruges, impossibili da definire come positivi o negativi. La crociata di Mildred, l'ossessione per quei tre cartelloni rossi come il sangue e il fuoco, è giusta? Sì, assolutamente, soprattutto se la figlia è stata dimenticata. Ma anche no, perché "la violenza genera altra violenza" e bisogna pensare anche, e soprattutto, a chi rimane in vita. L'atteggiamento dello sceriffo è condivisibile? Sì, poveraccio, cosa ci si può fare se non esistono indizi? Ma a mettersi nei panni di Mildred verrebbe anche voglia di prenderlo a schiaffi. Dixon è deprecabile? Assolutamente sì ma le persone possono cambiare, anche gli imbecilli che non hanno ragione di esistere nel corpo di polizia, perché forse bastano una parola o un gesto gentili per stimolare anche i cervelli più bacati. Tre manifesti ha la lucidità di raccontare una storia tremenda, grottesca e sfaccettata come la realtà, una storia che non necessita di happy ending né di una conclusione definitiva, perché la vita non è mai lineare come viene dipinta nei film... e stavolta, anche la "quadratura" di In Bruges, lungi dall'essere risolutiva, porta a delusione e ulteriore perdita di speranza. Forse. Tra i tanti "dubbi" rimasti sul finale, c'è perlomeno la certezza di un cast di una potenza unica (a Woody Harrelson una nomination e un Oscar quando diavolo glieli diamo?) e della bravura di Martin McDonagh non solo come regista (il modo in cui si scopre il contenuto dei tre cartelli è angosciante, l'utilizzo di Chiquitita in una delle scene più tristi e grottescamente divertenti da standing ovation) ma soprattutto come scrittore di dialoghi, al punto che parecchie battute hanno rischiato di strapparmi l'applauso solitario nella sala affollata oltre a un paio di risate di cuore. Proprio lì', per inciso, rimarrà Tre manifesti, film a cui vorrò sempre bene anche in assenza di un colpo di fulmine vero e proprio.


Del regista e sceneggiatore Martin McDonagh ho già parlato QUI. Frances McDormand (Mildred), Caleb Landry Jones (Red Wilby), Sam Rockwell (Dixon), Woody Harrelson (Willoughby), Abbie Cornish (Anne), Lucas Hedges (Robbie), Zeljko Ivanek (Agente addetto alle comunicazioni col pubblico), Peter Dinklage (James) e Samara Weaving (Penelope) li trovate invece ai rispettivi link.

Kerry Condon interpreta Pamela. Irlandese, ha partecipato a film come This Must Be the Place, Dom Hemingway e a serie quali The Walking Dead, inoltre ha prestato la voce all'intelligenza artificiale Friday nei film Avengers: Age of Ultron, Captain America: Civil War e Spider-Man: Homecoming. Ha 35 anni e tre film in uscita.


John Hawkes interpreta Charlie. Americano, lo ricordo per film come Scuola di polizia, Scary Movie, Freaked - Sgorbi, Dal tramonto all'alba, Rush Hour - Due mine vaganti, Incubo finale, Identità, Miami Vice, Contagion e Lincoln, inoltre ha partecipato a serie quali Millenium, Nash Bridges, ER Medici in prima linea, Buffy l'ammazzavampiri, Più forte ragazzi, X-Files, 24, Taken, CSI, Monk e Lost. Anche musicista e produttore, ha 58 anni e tre film in uscita.


Il musetto antipatico di Kathryn Newton, che compare in un flashback nei panni di Angela, è destinato a diventare ricorrente in TV (è l'odiosa Amy del Piccole Donne prodotto dalla BBC, una splendida miniserie che vi consiglio di recuperare) e al cinema (è tra le protagoniste dell'imminente Lady Bird). Detto questo, se Tre manifesti a Ebbing, Missouri, vi fosse piaciuto, recuperate In Bruges - La coscienza dell'assassino e Fargo. ENJOY!

martedì 18 luglio 2017

The War - Il pianeta delle scimmie (2017)

Non so nemmeno io perché il reboot de Il pianeta delle scimmie sia diventato una di quelle saghe da seguire no matter what, sta di fatto che domenica sono corsa al cinema a vedere The War - Il pianeta delle scimmie (War for the Planet of the Apes), diretto e co-sceneggiato dal regista Matt Reeves.


Trama: a seguito delle azioni di Koba, tra scimmie e umani è scoppiata una guerra senza esclusione di colpi, che vede da un lato della barricata lo scimpanzé Cesare e dall'altro il sadico Colonnello. Quando la tragedia colpisce Cesare, il capo-branco si imbarca in un viaggio per cercare vendetta e scopre un terribile segreto...



Con The War - Il pianeta delle scimmie si chiude un cerchio, si tira un colpo alla testa dei titolisti italiani che hanno costretto gli adattatori a fare salti mortali per tradurre le didascalie iniziali del film e si aspetta, consapevoli che probabilmente quel mondo nato nel 2011 avrebbe ancora molto da raccontare. O forse no, in quanto per una volta che si chiude in bellezza forse sarebbe meglio non forzare troppo la mano. Lo scimpanzé Cesare, che abbiamo visto nascere, crescere, perdere fiducia nell'umanità e persino verso i suoi stessi simili, torna in The War - Il pianeta delle scimmie come una creatura ormai invecchiata, provata dalla guerra e sempre più in difficoltà a non cedere ad una rabbia bestiale capace di sterminare non solo gli umani ma anche sancire la disfatta delle scimmie; se nel primo film il focus era necessariamente la ricerca di un posto nel mondo di un essere troppo umano per essere scimmia e troppo scimmia per essere umano e nel secondo si parlava di fiducia, odio e speranza, qui il viaggio di Cesare assume molteplici significati e si concretizza in un esodo biblico verso un mondo nuovo, forse peggiore o forse migliore. Echi del Vecchio e del Nuovo Testamento (non c'è il Mar Rosso ma c'è una slavina, non ci saranno corone di spine ma le croci si sprecano, così come le frustate, le frecce nel costato e i Giuda) si uniscono in una trama adulta e ben più riflessiva rispetto al fiacco trionfo di effetti speciali che era Apes Revolution, all'interno della quale pochi personaggi si muovono circospetti, tra atmosfere western e post-apocalittiche, per fuggire da una guerra che li aspetta appena svoltato l'angolo, pronta a ghermirli coi suoi rimandi a campi di concentramento, muri Trumpiani, schiavismo e un senso di apocalisse incombente. L'Apocalisse. Apocalypse Now, fonte prima d'ispirazione dell'intera pellicola, perché quale film (tranne forse Full Metal Jacket) è stato in grado di raccontare l'alienazione, la follia e anche il fascino pericoloso di una cosa orribile come la guerra, meglio di quanto abbia fatto il capolavoro di Coppola?


Le motivazioni che spingono Cesare e compagni sono diverse da quelle di Willard ma l'obiettivo è lo stesso, ovvero raggiungere il "Cuore di Tenebra" e uccidere il Colonnello (non Kurtz ma McCullogh), quello che veniva nominato alla fine di Apes Revolution, un cupissimo babau evocato proprio da quel Koba che ora infesta gli incubi di Cesare, riscopertosi incapace di perdonare il prossimo come già accaduto al suo antico compagno/nemico. Provato da anni di soprusi e difficoltà, Cesare guarda negli occhi la Tenebra e riempie l'enorme vuoto che ha nel cuore della stessa oscurità che emana dal Colonnello, perdendo di vista obiettivi importanti come la famiglia e la sopravvivenza del suo branco solo per perseguire il proprio desiderio di vendetta; dal canto suo, il Colonnello è pervaso dalla stessa follia che albergava in Kurtz, fermo nei suoi propositi come i Vietcong che tagliavano il braccio ai bimbi vaccinati dagli americani e pronto ad ergersi a Dio di un mondo purificato dall'ennesimo virus in grado di sterminare l'umanità. E' il confronto (più che lo scontro) tra questi due personaggi il cuore di The War - Il pianeta delle scimmie, l'aspetto della trama che rappresenta la svolta "adulta" di quello che sulla carta rischiava di essere solo l'ennesimo blockbuster estivo e che invece regala emozioni, rabbia, copiose lacrime in più di un'occasione; una pellicola dove, finalmente, la bontà dell'effetto speciale si mescola ad una reale capacità di gestire sequenze tipiche di un film di guerra (l'inizio e il finale sono spettacolari e concitati) e ad attori umani che non scompaiono di fronte alle espressivissime scimmie. Woody Harrelson qui porta a casa un'interpretazione come non ne offriva da anni, facendo rivivere il fantasma di Marlon Brando nella pelle di Robert Duvall senza risultare né parodico né una semplice fotocopia dei due mostri sacri e stordendo lo spettatore con sentimenti contrastanti di odio puro e altrettanto sincera fascinazione, mentre la giovanissima Amiah Miller è semplicemente deliziosa nei panni di Nova. L'unico a rimetterci, come al solito, è un immenso Andy Serkis che viene sistematicamente sottovalutato in quanto sepolto da un volto e un corpo creati al computer ma senza il quale Cesare non sarebbe lo stesso personaggio vivido, profondo e tragico che ha conquistato il cuore degli spettatori dal 2011. Cosa sarà d'ora in avanti del franchise poco mi importa, sinceramente: Matt Reeves e soci hanno concluso la loro storyline con un'eleganza raramente riscontrabile in questo genere di saghe succhiasoldi e personalmente mi dichiaro molto soddisfatta. Se vi capita di cercare refrigerio al cinema date una chance a Cesare e ai suoi (poco) allegri compagni, non ve ne pentirete!


Del regista e co-sceneggiatore Matt Reeves ho già parlato QUI. Andy Serkis (Cesare), Woody Harrelson (Il Colonnello), Steve Zahn (Scimmia Cattiva), Toby Kebbel (Koba) e Judy Greer (Cornelia) li trovate invece ai rispettivi link.


L'anno scorso si diceva che fosse in progetto un quarto episodio della saga ma al momento non se ne ha notizia quindi, nell'attesa di saperne di più, se The War - Il pianeta delle scimmie vi fosse piaciuto potete recuperare tranquillamente L'alba del pianeta delle scimmie e Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie, assieme magari alla saga originale. ENJOY!

P.S. Dalla Mondadori mi hanno appena inviato una mail comunicando che il libro Il pianeta delle scimmie di Pierre Boulle, che ha ispirato in primis il film omonimo del 1968, è disponibile nella collana Oscar Mondadori. Lo trovate nelle librerie e negli store on line se siete interessati.

mercoledì 8 giugno 2016

Bolle di Ignoranza: Now You See Me - I maghi del crimine (2013)

Vi mancavano le recensioni sconclusionate targate "Bolle di Ignoranza", vero? Lo so ma oggi tornano e lo fanno con il film Now You See Me - I maghi del crimine (Now You See Me), diretto nel 2013 dal regista Louis Leterrier e foriero di talmente tanto abbiocco che non me la sono sentita di ingannarvi e far finta di averlo guardato...


Trama: quattro maghi vengono contattati da un misterioso individuo e si uniscono in una serie di spettacoli durante i quali vengono rubati ingenti somme di denaro. Due poliziotti indagano ma non sarà facile acciuffare i "Quattro Cavalieri" della magia...



All'epoca non ero andata a vedere Now You See Me, eppure me ne ero pentita, avendone in seguito letto ottime cose. Con l'arrivo in sala del secondo capitolo della saga ho deciso di recuperarlo assieme al Bolluomo, convinta che mi sarei trovata davanti un live action di Lupin avente per protagonisti dei maghi, con conseguente profluvio di magie, trucchi e stupore perpetuo. E in effetti il film inizia bene, vengono presentati i quattro protagonisti, tra i quali indubbiamente quello che si fa notare di più è il simpatico e cialtrone "mentalista" interpretato da Woody Harrelson, dopodiché si assiste al primo furto della banda, che incuriosisce in quanto gli autori si impegnano a lasciare allo spettatore il dubbio tra la natura realmente magica di ciò che scorre sullo schermo e la spiegazione razionale, legata a qualche artificioso barbatrucco. A seguito di questo primo, interessante furto, vengono introdotti anche dei nuovi personaggi, nella fattispecie Nelson Mandela (un Morgan Freeman particolarmente logorroico e antipatico), Hulk (Mark Ruffalo nei panni dell'investigatore scazzato e iracondo), Shosanna (Mélanie Laurent in versione ispettrice Clouseau dell'Interpol) e Michael Caine, ognuno legato in modo diverso al quartetto di ladri, ognuno un po' nemico un po' alleato, a seconda dei momenti. Ora, sarà che i personaggi sono quasi tutti tagliati con l'accetta e privi di personalità, sarà che il mio interesse si è focalizzato principalmente sull'esito del rapporto tra Hulk e Shosanna, sarà che il film abbonda di spiegoni, sarà che alla vista di Michael Caine il mio cervello ha urlato "NOlan!" e si è spento, sarà che ho cominciato la visione alle 22.30... da quel momento in poi ho dormito, risvegliandomi a sprazzi e perdendomi il secondo furto (di tre), per poi scazzarmi davanti all'ennesimo colpo di scena gestito col chiulo e trasformatosi per magia in colpo di sonno e ritrovarmi a chiedere un resumen dell'accaduto al Bolluomo. Il quale, molto candidamente, tra un "Mandela", un "Hulk" e un "vecchiaccio" (tolta Shosanna, i nomi che ho fatto sopra li ha tirati fuori lui il quale, bontà sua, è ancora abbastanza savio da non ricordare i nomi degli attori di tutti i film che l'ho costretto a guardare da quando sta con me) ha ammesso di non averci capito una mazza e di stare continuando la visione di Now You See Me per inerzia, in quanto troppo lento e complesso. Il finale l'ho guardato per una sorta di orgoglio personale e vi posso assicurare che da quel che ho capito tutto torna, spiegoni, flashback e barbatrucchi compresi, tuttavia la pellicola di Leterrier mi è sembrata di una loffieria e di un'inutilità anche troppo elevate, considerata la natura di blockbuster del titolo. Che dite, sarà meglio evitare il seguito oppure devo pentirmi della poca attenzione prestata al primo capitolo ed espiare andando al cinema?

domenica 6 maggio 2012

Hunger Games (2012)

Appunto mentale: mai andare al cinema la domenica pomeriggio. Innanzitutto, è zeppo di bambini con genitori incoscienti che li portano a vedere film simili, seconda cosa perché è l'equivalente di una pennichella pomeridiana, da cui esci ancora più distrutto. Detto questo, oggi sono appunto andata a vedere Hunger Games (The Hunger Games) di Gary Ross, preparata a vedere una roba ben peggiore di quanto in effetti non sia stato.


Trama: in un futuro non troppo distante, i membri di quella che sembrerebbe una dittatura selezionano annualmente dodici ragazzi e dodici ragazze per farli combattere fino alla morte nei cosiddetti Hunger Games. Katniss, una dei ragazzi selezionati, dovrà cercare di sopravvivere per tornare a casa dalla sorella, alla quale si è sostituita offrendosi volontaria...

Maria De Filippi e un membro qualsiasi del cast di Amici...
 Hunger Games può dividersi tranquillamente in due parti: quella che precede i giochi e gli Hunger Games stessi. La prima parte è sicuramente la migliore, perché introduce l'universo assurdo in cui vivono i personaggi, un mondo, peraltro, non dissimile da quello descritto in mille altre distopie come 1984 e financo nei miti della Grecia antica: potere nelle mani di pochi riccastri che costringono il resto della popolazione alla povertà, tenendoli sotto controllo e rendendoli idioti e impotenti grazie a dei "giochi" che, in fin dei conti, non sono altro che un tributo e una punizione per una ribellione passata. E' interessante comprendere i meccanismi che governano le interazioni tra i personaggi (i due "concorrenti" Katniss e Peeta in primis), le famiglie, i cosiddetti "mentori" che dovranno guidare i contendenti, tutto il kitschissimo entourage che introduce questi poveri paesanotti alle meraviglie della città, della fama, della gloria e ai pericoli del gioco mortale; è una goduria vedere i completini inguardabili indossati da Elizabeth Banks, la parrucca blu dell'incredibile Stanley Tucci, la barba effetto fiammante del fighissimo Wes Bentley, l'ombretto oVo di quell'altro bonazzo di Lenny Kravitz e, soprattutto, percepire il potenziale bastardo e fascista dell'inquietante Presidente interpretato dal grande vecchio Donald Sutherland. Tutto molto bello, sì... peccato che poi comincino gli Hunger Games che danno il titolo al film e che, paradossalmente, sono la parte più debole della pellicola.

Qui sta dicendo addio a Lenny Kravitz. Sarei molto triste anche io.
 Intanto, diciamo subito che chi si è guardato Battle Royale potrebbe anche evitare di comprare un biglietto per Hunger Games perché il ricordo della pellicola nipponica rischierebbe di sottoporre lo spettatore ad un costante ed impari confronto. Ma poi, ragazzi, che survival game sarebbe questo? A parte che la furbizia imporrebbe degli allenamenti pregressi ai giovinetti (dico, tutti gli anni organizzano i giochi e al vostro paese non siete buoni a fortificarvi un po' in previsione del fatto che potrebbero sorteggiarvi? Allora ve la cercate...), oltre la mattanza iniziale e qualche imprevisto messo in mezzo dai realizzatori del gioco i personaggi coinvolti sono sconcertanti: ho capito che la protagonista "dovrebbe" mantenere un'aura di positività, bontà e purezza che la farà probabilmente diventare la chiave di una rivolta contenuta nei prossimi episodi, ma questo è davvero troppo. In un gioco in cui tutti devono uccidersi a vicenda e che consente un solo vincitore (tranne alcuni casi in cui venga deciso altrimenti: ma ci arriviamo!), una fa la santa che uccide solo se necessario, altri cinque fanno branco inutilmente, tanto poi vi toccherà ammazzarvi tra voi, no?, un'altra elegge la protagonista a sorella maggiore sperando che la protegga, un'altra si trova davanti l'avversaria e decide di passare oltre lasciandola in vita. Bambini, quale parte del regolamento non avete capito? E questo solo per la parte "edulcoriamo un po' la violenza".

Voto 11 alla parrucca blu di Stanley
Per la parte "deus ex machina", invece, l'elenco dei modi in cui la protagonista viene aiutata va dal sottilmente astuto all'incredibilmente paraculo, dove il primo risiede in toto nel personaggio di Woody Harrelson che, in quanto mentore, deve cercare di convincere gli sponsor esterni ad aiutare la fanciulla in difficoltà, mentre il secondo consiste, direttamente, nel cambiare le regole dei Games per almeno due volte. Senza contare, ovviamente, gente che riscopre un'umanità alla vista della Ragazza di Fuoco, folli assassini che chissà perché tentennano giusto alla fine, bacche velenose messe ad hoc per creare il colpo di scena finale, calabroni che a volte sono mortali altre volte no, gente che s'innamora all'improvviso, etc. etc. Comunque, se non volete esser troppo pignoli diciamo che Hunger Games ha il pregio di far passare molto rapidamente le oltre due ore di durata e anche di invogliare ad acquistare i libri di Suzanne Collins da cui è tratto. Se, invece, pezzi grossi già citati a parte, cercate un minimo di bravura attoriale o di suspance con colpi di scena a non finire, evitate pure: la vicenda è "telefonata" fin dall'inizio e i giovani attori coinvolti, Jennifer Lawrence a parte che va benissimo per il ruolo un po' di rozza campagnola che diventa Cenerentola, hanno la verve di un mucchio di blocchi di tufo in forma umana, soprattutto Josh Hutcherson, sfigatissimo coprotagonista a cui va la palma d'oro del trash per il coraggio con cui gli sceneggiatori lo fanno cammuffare da sasso in un fiume: vedere per credere!!

Ma il primo premio se l'aggiudica senza dubbio la barba (vera!!) di Wes
 Di Stanley Tucci (Caesar Flickerman), Wes Bentley (Seneca Crane), Elizabeth Banks (Effie Trinket), Woody Harrelson (Haymitch Abernathy), Toby Jones (Claudius Templesmith), Donald Sutherland (Presidente Snow) ho già parlato nei rispettivi link.

Gary Ross è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come il carinissimo Pleasantville e Seabiscuit - Un mito senza tempo. Anche sceneggiatore, produttore e attore, ha 56 anni e un film in uscita.


Jennifer Lawrence interpreta Katniss. Americana, la ricordo innanzitutto per aver interpretato Mystica in X - Men: l'inizio (ruolo in cui dovrebbe tornare nel prossimo sequel in cantiere), inoltre ha partecipato a film come Mr. Beaver e serie come Monk, Cold Case e Medium. Ha 22 anni e cinque film di prossima uscita, tra cui il seguito di Hunger Games, Catching Fire.


Oltre alla presenza di Lenny Kravitz nei panni dello stilista Cinna, segnalo quella di Isabelle Fuhrman, ovvero la Esther di Orphan, in quelli della cattivissima mocciosa Clove. Rimanendo sempre in tema di attori, per il ruolo di Katniss si era pensato a Chloe Moretz, Hailee Steinfeld, Saoirse Ronan ed Emily Browning.  Essendo Hunger Games la prima parte di una trilogia, il prossimo anno dovrebbe uscire la seconda parte, dal titolo Catching Fire, diretto non più da Gary Ross ma dal regista di Constantine e Io sono leggenda, Francis Lawrence. Dovrebbero poi uscire The Hunger Games 3 e 4 (ultimo film diviso in due parti? Va tanto di moda...!). Se il film vi fosse piaciuto, infine, vi consiglio di cercare e guardare Battle Royale. ENJOY!!

lunedì 1 agosto 2011

Benvenuti a Zombieland (2009)

Gira che ti rigira i film con gli zombie, come del resto anche gli slasher, sono sempre uguali. Ultimamente però sono uscite parecchie “variazioni sul tema”, tra cui anche il divertente Benvenuti a Zombieland (Zombieland), diretto nel 2009 dal regista Ruben Fleischer.



Trama: un ragazzino nerd dalle mille fobie si ritrova a dover sopravvivere ad un’apocalisse zombie che ha decimato la popolazione degli USA. Vagando per il paese preda dei morti viventi, incontrerà un folle individuo amante delle armi (e dei Twinkies) e due diffidenti sorelle.



Nel 2005 Shaun of the Dead (o L’alba dei morti dementi, ma è un titolo che mi disgusta…) rinnovava l’horror in particolare e il cinema in generale con un film definito “romzomcom”, commedia romantica con gli zombie, e ci mostrava come fosse possibile mescolare l’ilarità ed il senso dell’assurdo tipico delle commedie agli effetti speciali e al gore tipici dei migliori horror. Nasceva così una pietra miliare del genere e nascevano anche un sacco di emuli più o meno riusciti, e questo Benvenuti a Zombieland ne è un esempio, non all’altezza del “capostipite”, ma comunque dignitoso. La morale dei due film è simile, ovvero l’invito a godersi la vita cercando amore, legami, amicizie e migliorando sé stessi, perché se pensiamo che adesso vada male, beh… potrebbe arrivare qualcosa a far precipitare decisamente le cose, tipo un’apocalisse zombie.



Nel nostro caso il protagonista è un povero nerd sfigato che è riuscito a sopravvivere ai morti viventi grazie ad una miracolosa combinazione di fortuna e importantissime “regole”, oltre al fatto di non avere avuto legami di alcun genere con qualsivoglia persona viva (neppure con i genitori, per esempio); nel corso del film però, tra un colpo di fucile e l’altro, arriverà a capire che avere una famiglia e dei legami permette di infrangere le regole e cambiare in meglio. A proposito di queste regole, sono una delle cose che rendono particolare Benvenuti a Zombieland e anche una delle gag più esilaranti. D’altronde, la storia di Zombieland (come viene chiamata l’America dal protagonista) per come ci viene narrata da Columbus ha origine dal fatto che gli americani non sono stati in grado di rispettare innanzitutto il mantenimento della forma fisica (i primi a morire sono stati i ciccioni incapaci di correre velocemente…), la sana abitudine di allacciare le cinture di sicurezza in macchina (quante fughe fallite finite con parabrezza sfondati da incauti autisti…), l’ancor più sana abitudine di sparare due colpi alla testa del nemico invece che uno, giusto per essere sicuri e, infine, si sono sentiti troppo protetti in bagno, luogo da evitare accuratamente. Nel corso del film spuntano ovviamente anche altre regole, tutte mostrate in sovrimpressione, come se Benvenuti a Zombieland fosse essenzialmente un manuale di sopravvivenza correlato da esempi “visivi” e prove pratiche. Le altre gag particolari del film sono la costante ricerca dell’”ultimo Twinkie” da parte del folle Tallahassee, la “zombie kill of the week”(ovvero la settimanale migliore uccisione di uno zombie, idea derivata dal fatto che Benvenuti a Zombieland sarebbe dovuto essere non un film, ma il pilot di una serie televisiva che avrebbe decretato, di settimana in settimana, il vincitore dell’assurdo premio) e l’apparizione speciale di un attore del calibro di Bill Murray nei panni di sé stesso, che da vita ad una serie di omaggi ad alcuni suoi film conosciuti ed apprezzati anche dal pubblico italiano, tra cui Ghostbusters.



A proposito degli attori e dell’aspetto tecnico di Benvenuti a Zombieland, credo che la debolezza del film risieda un po’ nella mancanza di verve degli interpreti. Per carità, Woody Harrelson e Ruben Fleischer sono bravi e divertenti, anche se il primo è un po’ troppo caricaturale per essere sopportato a lungo, ma le due ragazze che li accompagnano sono essenzialmente due gatti di marmo (e pensare che la sorella minore era la piccola Little Miss Sunshine, sigh…) e in generale il film manca della naturalezza e di quel pizzico di “serietà” che riusciva a rendere Shaun of the Dead il capolavoro che è. Gli effetti speciali ed il trucco, per contro, sono ottimi, all’altezza di un qualsiasi horror “normale”, ed alcune scene sono epiche, soprattutto quelle ambientate nel luna park, dove si svolge la parte finale del film e dove compare la summa di tutte le (mie) fobie: un clown zombie!! Beware! E guardate Benvenuti a Zombieland anche se non amate il genere horror, visto che non c’è nulla di cui avere paura, ma solo da divertirsi.



Di Woody Harrelson, che interpreta Tallahassee, ho già parlato qui, mentre di Bill Murray, che interpreta sé stesso, ho parlato qua.

Ruben Fleischer è il regista della pellicola, l’unico film da lui realizzato che conosco. Americano, anche sceneggiatore e produttore, ha 33 anni e due film in uscita.



Jesse Eisenberg interpreta Columbus. Americano, lo ricordo per film come The Village, Cursed – Il maleficio e The Social Network, che gli ha valso una nomination all’Oscar come miglior attore protagonista. Ha 28 anni e quattro film in imminente uscita, tra cui Bop Decameron, l’ultimo di Woody Allen.



Abigail Breslin interpreta Little Rock. Ricordate la dolcissima pupotta di Little Miss Sunshine (ruolo che le ha valso la nomination all’Oscar per migliore attrice non protagonista)? Eccola qui, un pochino più cresciuta e un po’ meno dolce e carina, reduce da altri film come Signs e da serie come Law & Order, NCIS, Ghost Whisperer e Grey’s Anatomy. Americana, ha 15 anni e due film in uscita.  



Amber Heard interpreta la ragazza dell’appartamento 406. Americana, ha partecipato ad un paio di recentissimi film che devo ancora vedere, ovvero The Ward e Drive Angry 3D, oltre alle serie The O.C. e Criminal Minds. Anche produttrice, ha 25 anni e quattro film in uscita, tra cui The Rum Diary, ennesimo incontro tra la penna di Hunter S. Thompson e la faccetta di Johnny Depp.



Emma Stone interpreta Wichita. Americana, ha partecipato a serie come Medium, Zack e Cody al Grand Hotel, Malcom e ha doppiato alcuni episodi di Robot Chicken. Ha 23 anni e sei film in uscita, tra cui The Amazing Spider – Man, dove interpreterà Gwen Stacy.



Tra gli attori conosciuti e ben celati dal makeup zombesco troviamo un inaspettato John C. Reilly nei panni dello “zombie nascosto in bagno” mentre Patrick Swayze ha visto sfumare la sua occasione di apparire nel film a causa del cancro che lo ha portato alla morte proprio nel 2009. Altra occasione sfumata, questa volta volutamente, quella di John Carpenter che non ha (a mio avviso giustamente…) voluto dirigere il film, mentre Megan Fox ha rifiutato il ruolo di Wichita. In quello di Columbus, invece, avrebbe dovuto esserci l’interprete di Billy Elliot, Jamie Bell, che alla fine ha rinunciato. Pare ci sia in cantiere un secondo episodio, ma siccome regista ed interpreti sono ancora tutti da definire, non vedrà la luce prima di un paio di anni. E ora vi lascio con il trailer originale di Benvenuti a Zombieland... ENJOY!!!

martedì 9 febbraio 2010

Non è un paese per vecchi (2007)

Il Bollalmanacco ha di nuovo subito un lieve arresto, ma non è che la sua padrona non veda film, è che il tempo di recensirli si unisce ad una fondamentale pigrizia della stessa. Ma non stiamo tanto a ciurlar nel manico (o a pettinar le bambole…) e parliamo oggi di un film particolare come tutti quelli dei Fratelli Coen, ovvero Non è un paese per vecchi (No Country For Old Men), del 2007, tratto dall’omonimo e noiosissimo romanzo di Corman McCarthy. Nel 2008 la pellicola in questione si è portata a casa un sacco di Oscar:miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior attore non protagonista. E tutti meritatissimi.


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La trama: Llewelyn Moss è un perdigiorno di saldi principi che, durante un appostamento di caccia, si trova in mezzo ad uno scenario da regolamento di conti. Messicani morti, residui di droga.. e poco più in là un altro uomo, anch’esso morto, ma con una valigia piena di soldi. Ovviamente il nostro non ci pensa due volte, prende i soldi e scappa, tradito solo dal suo altruismo che gli mette alle calcagna, oltre ai messicani, il folle e taciturno killer Chigurh e il vecchio sceriffo Ed Tom Bell.


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I Coen riescono a prendere un libro talmente noioso che non sono neppure riuscita a finirlo, a rimanere fedelissimi all’opera e contemporaneamente a creare un film che di noioso non ha proprio nulla. Certo, non aspettatevi, nonostante la trama, un film adrenalinico o pieno di sparatorie. In puro stile Coen, la fanno da padroni i lunghi silenzi, le immagini grottesche, i dialoghi sarcastici e in questo caso anche nostalgici. Non è un paese per vecchi è una lunga ed interessante riflessione sui tempi che non torneranno più, irrimediabilmente corrotti dalla perdita di valori praticamente ancestrali. Questi valori sono incarnati dallo sceriffo Ed Tom, che alla fine della sua carriera è del tutto disilluso, perso in un mondo che non capisce, e che lo fa sentire inadeguato. La razionalità, il senso dell’onore, le vendette “pulite”: niente di tutto questo esiste più, e come ultimo tentativo di essere utile e dare nuovamente un senso a quei valori, lo Sceriffo cerca di salvare la vita a Llewelyn, un bravo ragazzo i cui principi sono stati stravolti dal denaro sporco, frutto di quella droga che è una delle cause per cui il mondo “nuovo” si sta mangiando quello vecchio. Dall’altra parte, come estremizzazione del caos, c’è Chigurh. Un killer che non segue principio alcuno, se non quello del caso (lanciando una monetina quando va bene…), che uccide seguendo i suoi contorti e perversi valori e un senso di fatalismo che ha dell’invidiabile: non una volta in tutto il film lo vediamo arrabbiarsi o agitarsi, né provare una qualsivoglia emozione che non sia una lieve irritazione per non essere capito, e solo una volta lo vediamo agire per vendetta. Chigurh è l’incarnazione della follia dei tempi moderni, una follia incomprensibile e terrificante, che può colpire chiunque in qualsiasi momento, ed è degno erede di quel Gaear Grimsrud, interpretato da Peter Stormare, che compie una carneficina nel più famoso film dei Coen, Fargo.


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Tutto il film ovviamente poggia sulle spalle di attori praticamente perfetti. Javier Bardem, che non a caso ha vinto l’Oscar, è perfetto nel ruolo di Chigurh: voce bassa, sguardo perso nel vuoto, camminata lenta ma inesorabile. L’altra genialata è l’arma che usa per uccidere, una pistola ad aria compressa, silenziosa e mortale proprio come lui. Ogni confronto del killer con la vittima, ignara o meno, regala allo spettatore attimi di ansia palpabile, perché effettivamente il personaggio in questione è assolutamente imprevedibile. Tommy Lee Jones, dal canto suo, mette tutta la sensibilità di un ottimo attore nell’interpretare il vecchio sceriffo, nostalgico, triste e sempre con lo sguardo rivolto ad un tempo lontano che non tornerà più. La chiacchierata finale con la moglie, un sogno raccontato davanti alla colazione, preludio di una lunghissima e noiosa giornata da pensionato, è una scena molto commovente, e racchiude in sé tutto il senso del film.


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La particolarità che, in questo film, ci mostra appieno la maestria e l’attenzione che mettono i Coen nella sua realizzazione, non è da ricercare tanto nelle immagini, che sono comunque degli esempi di altissimo cinema. Quello che salta all’occhio è la scelta di non mostrare, soprattutto nelle scene “clou”. Non scendo nei dettagli per non togliere la sorpresa, ma ad un certo punto lo spettatore si ritrova a capire l’accaduto solo da alcuni dettagli che preludono alla scena (una macchina che sgomma, il suono delle sirene, un cadavere che galleggia sull’acqua, davanti agli occhi impotenti dello sceriffo), e in un altro momento, verso la fine, si intuisce il destino di uno dei personaggi semplicemente dal maniacale comportamento di Chigurh. E’ interessante poi come ogni scena “scioccante”, venga anticipata da un silenzio profondo, irreale, lo stesso silenzio, in effetti, che accompagna l’arma del killer ogni volta che viene usata. In due parole, un film molto bello, tipicamente Coen, che piacerà sicuramente a chi, davanti ad uno schermo, preferisce pensare piuttosto che staccare il cervello.


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Di Joel ed Ethan Coen ho già parlato qui.


Javier Bardem interpreta il killer Anton Chigurh. L’attore spagnolo, dal fascino molto particolare, è salito alla ribalta internazionale, come molti nel suo paese, grazie a Pedro Almodovar, che l’ha voluto nel film Mare dentro. Tra i suoi altri film ricordo Le età di Lulu, Tacchi a spillo, Prosciutto prosciutto, La tetta e la luna, Vicky, Cristina, Barcellona. Ha 41 anni e tre film in uscita.


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Tommy Lee Jones interpreta lo sceriffo Ed Tom Bell. Attore veterano, originario del Texas, lo ricordo per pellicole più o meno interessanti come Love Story, Uccidete la colomba bianca, JFK – Un caso ancora aperto, Il fuggitivo, Il cliente, Assassini nati (splendido film di cui era protagonista un altro attore presente in Non è un paese per vecchi, Woody Harrelson), l’orrendo Batman Forever, Men in Black ( e il suo seguito), Small Soldiers, Space Cowboys, The Hunted – La preda. Ha recitato anche in un episodio di Charlie’s Angels. Ha 64 anni e nel 1994 ha vinto un Oscar come miglior attore non protagonista per Il fuggitivo.


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Woody Harrelson interpreta il loquace killer (?) Carson Welles. Il suo ruolo migliore resta senza ombra di dubbio quello del folle Mickey in Assassini nati di Oliver Stone, ma di tanto in tanto l’attore spunta con la sua faccetta ad arricchire anche film meno interessanti. Tra gli altri, ricordo Pazzi a Beverly Hills, Proposta indecente, Larry Flint – Oltre lo scandalo, La sottile linea rossa, Terapia d’urto, A scanner darkly. Ha partecipato ad alcuni telefilm come Ellen, Frasier, Will & Grace  e doppiato un episodio dei Simpson. Ha 49 anni e due film in uscita.


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Josh Brolin interpreta Llewelyn Moss. Mi mette tanta nostalgia l’idea che l’attore abbia esordito come “fratellone” tutto muscoli e belloccio del protagonista de I Goonies, nell’ormai lontano 1985. La sua carriera poi è proseguita a fasi molto alterne, e si sta riprendendo solo in questi anni, con film come Nightwatch – Il guardiano di notte, Mimic, L’uomo senza ombra, Planet Terror. Ha 42 anni e cinque film in uscita. 


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A proposito di Brolin, doveva essere il compianto Heath Ledger ad interpretare Llewelyn. I Coen non hanno voluto nemmeno fare il provino a Brolin, che sul set di Grindhouse s’è dovuto “arrangiare” e chiedere in prestito una telecamera a Rodriguez, per girarne uno. Siccome il regista di detto provino è stato il buon Quentin, posso solo immaginare cosa deve avere mandato ai Coen! Mi piacerebbe dunque potervi lasciare con il video del provino, ma più banalmente concluderò con il trailer del film… ENJOY!! 




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