venerdì 21 agosto 2020
In viaggio con Pippo (1995)
Trama: Max, figlio di Pippo, si è preso una gran cotta per Roxanne ed è al settimo cielo quando la ragazza decide di uscire con lui... proprio nel momento in cui Pippo sceglie di partire assieme a Max per una vacanza in cui riallacciare il rapporto padre/figlio ed impedire che il ragazzo prenda una brutta strada.
All'età di 12 anni, mentre tutte le ragazzine entravano alle medie e cominciavano a interessarsi a trucco, ragazzi, moda ecc., io mi impallavo con Ecco Pippo!, serie che ancora oggi guarderei in loop senza esitazione, magari profondendomi in sincrono con Pippo nel famosissimo Goofy scream (a parte tutto, mia madre, povera donna, se incontra uno che si chiama Pietro, inghiotte un "Hyuk, Pietro!", quindi pensate quante puntate le ho fatto sorbire). Quando è uscito in Italia In viaggio con Pippo di anni ne avevo 15 ma la mia nerditudine non era mica venuta meno: l'idea di un lungometraggio di una serie amatissima era bastata per mettermi in fibrillazione e l'unico, vero diludendo alla fine della visione era stato constatare tristemente che l'adorato P.J. aveva sì e no 10 minuti di presenza. Diludendo che, peraltro, ho provato anche alla tenera età di 39 anni, senza nulla togliere a In viaggio con Pippo, film che ancora oggi si conferma molto interessante, divertente e tenero. Se in Ecco Pippo! Max era un ragazzino sveglio e simpatico, talvolta imbarazzato dal padre ma comunque "facile" da trattare, nel lungometraggio il povero Pippo si ritrova per le mani un teenager musone, alle prese con i primi problemi di cuore e poco incline a lasciarsi sviare dalle mattane del padre o, peggio, da progetti di vacanze insieme. Fomentato dall'infido Gambadilegno (il cui rapporto col figlio P.J. si basa su un rispetto instillato tramite puro e semplice terrore), Pippo organizza un viaggio con Max che ripercorra le tappe di avventure on the road vissute con genitori e nonni, ma al giovane interessa solamente Roxanne, la quale (da brava fidanzata rompipalle Disneyana) sceglie magnanimamente di sorvolare sull'appuntamento mancato solo quando Max le caccia la palla più grande del mondo: papino è amico della rockstar del momento e lo ha "costretto" ad andare al suo concerto. Una volta arrivato a Los Angeles, ovviamente, Max si impegnerà a salutare Roxanne direttamente dal palco. E che ci vorrà?
A scanso di equivoci, la prima parte di In viaggio con Pippo, così come molto di ciò che viene mostrato nel corso del cartone, è di una tristezza rara. Non perché sia scritto o diretto male, anzi, ma perché mette proprio il magone. Max è di una crudeltà incredibile nei confronti del padre che ha, come unica colpa, quello di essere un fesso ottimista, e la delusione di Pippo quando scopre che Max è in qualche modo riuscito a "sabotare" il viaggio e ha cominciato a divertirsi davvero solo quando ha capito che sarebbe riuscito a dirottarlo verso il concerto, è tangibile e spezza il cuore. In viaggio con Pippo ha come fulcro due relazioni tra padre e figlio per nulla sane; se quella tra Gambadilegno e P.J. viene presa come metro di paragone in negativo, anche quella tra Pippo e Max è comunque disfunzionale, almeno all'inizio, poiché i due non si parlano e non si confrontano, Pippo vede i cambiamenti di Max come la rovina definitiva di quello che un tempo era un bambino tanto carino mentre Max vede Pippo come la fonte di tutte le sue disgrazie e l'incarnazione di un futuro ereditario di sfiga totale. La percezione di Max è quindi completamente stravolta da questo terrore, tanto che non solo il film si apre con un incubo iniziale con Roxanne in versione Fay Wray e lui che a poco a poco si trasforma in un Pippo gigante, ma prosegue con la rappresentazione di un "parco divertimenti" che farebbe invidia a Tobe Hooper, tra opossum morti, squallore e hillbilly come se piovessero. E' solo quando i due cominciano a mediare, venirsi incontro ed accettarsi pian piano (iniziativa che, tra l'altro, parte non da Max ma da Pippo, che decide di dare fiducia al figlio, incappando nell'ennesimo, clamoroso errore di giudizio) che il viaggio da incubo si tinge di colori gioiosi e diventa una vacanza davvero divertente, nonostante Max abbia sempre sulla capoccia la spada di Damocle della più grande bugia mai raccontata.
In viaggio con Pippo non è dunque un cartone sciocco come potreste pensare, perché assieme alle mattane del protagonista riesce a far filare molti momenti adulti, di pura riflessione, persino drammatici, tutti elementi che riescono a mantenerlo sì Disneyano ma anche fresco, oggi dopo 25 anni, alla faccia della sua facciata smaccatamente anni '90, a cominciare dall'animazione molto classica. L'inizio, ambientato nel liceo di Max, è un compendio di tutti i film a tema high school di quel periodo, con tutti gli stereotipi del genere (se non vi verrà voglia di riguardare ANCHE Daria, siete delle orribili persone), e lo stesso vale per le mise modaiole di Max e del suo idolo Powerline. A proposito di Powerline, le hit del personaggio, cantate da Tevin Campbell, cantante R&B allora parecchio in voga, sono molto belle e orecchiabili, anche loro perfette per l'atmosfera anni '90 che permea l'intera pellicola MA purtroppo In viaggio con Pippo è vessato da un paio di canzonacce rivelatorie e sentimentali che a mio avviso poco hanno a che fare con i protagonisti e raggiungono pericolosamente il livello "Olaf". E' il dazio Disney, sapete che bisogna pagarlo. Ciò non toglie che In viaggio con Pippo sia ancora godibilissimo, anzi, più godibile ora che i ragazzini dell'epoca avranno raggiunto la mia età veneranda di quando eravamo ancora giovinetti e scemi come Max. Recuperatelo, se vi va di fare un intelligente tuffo nel passato!
Di Wallace Shawn, che doppia il preside Mazur, ho già parlato QUI.
Kevin Lima è il regista della pellicola, inoltre doppia Lester. Americano, ha diretto film come Tarzan e Come d'incanto. Anche produttore, animatore e sceneggiatore, ha 58 anni.
In viaggio con Pippo è il seguito della serie Ecco Pippo e la saga è proseguita con Estremamente Pippo, mentre Max e Roxanne potete trovarli anche in una puntata di House of Mouse - Il Topoclub, dal titolo Max's Embarassing Date. ENJOY!
domenica 15 dicembre 2019
Storia di un matrimonio (2019)
Trama: Charlie e Nicole, regista e attrice, decidono di divorziare dopo un matrimonio durato dieci anni. Nonostante le buone intenzioni di separarsi senza avvocati e senza traumatizzare il figlio, le cose prenderanno una piega sempre più spiacevole...
Il matrimonio è la tomba dell'amore, recita un vecchio adagio. Modo sicuramente banale di iniziare un post su Storia di un matrimonio, ma questo è quanto si evince dal film di Baumbach. Il matrimonio è la tomba dell'amore ma i piccoli gesti quotidiani, reiterati, dettati da un affetto (sopportazione? Complicità?) difficile da sradicare, restano anche nei momenti peggiori, quando sia il desiderio che l'amore sono scomparsi da chissà quanto tempo e restano solo i ricordi di tempi più felici, di episodi dolci e banali che ci facevano sciogliere di tenerezza. Di base, è ciò che succede a Charlie e Nicole, che dopo dieci anni passati assieme, una carriera condivisa e un figlio, decidono di separarsi. I problemi sono molteplici: lei, come diceva Bisio, ricerca "nuovi scampoli d'assenza", schiacciata nella sua professione di attrice dall'ego del marito regista e genio, che l'ha sradicata da Los Angeles per portarla a vivere a New York, lui invece non ascolta e non capisce, lì per lì parrebbe totalmente clueless e convinto che Nicole stia passando una "fase", una follia temporanea facilmente ricomponibile, anche perché, che diamine!, c'è di mezzo un figlio. Convinti di poterla risolvere con le buone, a Los Angeles Nicole si farà convincere a coinvolgere un'avvocatessa/squalo che la spingerà a volere di più e volerlo per sé, come risarcimento di un decennio di sofferenze e incomprensioni sempre rimaste sotto la superficie di una vita apparentemente felice, col risultato di rendere ancor più orribile una situazione già non bella di suo e di trasformare la separazione in una continua serie di sottesi e ripicche. Se posso dire, niente di nuovo sotto il sole e io che speravo di commuovermi e struggermi per questo amore finito, mi sono ritrovata a testimoniare gli sfoghi egoisti di due drama queen, una perenne scontenta priva di carattere e un passivo aggressivo con deliri di onnipotenza che non ammetterebbe nemmeno a se stesso; se penso che tutto nasce dalle esperienze del regista (separato da Jennifer Jason Leigh), Scarlett Johansson (separata da Ryan Reynolds e dal giornalista Romain Dauriac) e Adam Driver (figlio di genitori separati) mi fa strano ammettere di avere visto dinamiche migliori portate sul piccolo e grande schermo.
Quindi sì, le diatribe di Charlie e Nicole non mi hanno toccata più di tanto, forse perché il bambino che avrebbe dovuto risentire della separazione e scatenare la parte "tenera" dello spettatore è un piccolo moscio e non particolarmente accattivante, ma riconosco che invece Storia di un matrimonio è un gran bell'esempio di regia e soprattutto di bravura attoriale (ma quanto è meravigliosa Laura Dern?). La sequenza più bella, a mio avviso, è quella in cui Driver e la Johansson si scagliano l'uno contro l'altro in un parossismo di insulti e rabbia, accusandosi reciprocamente di aver rovinato l'esistenza del coniuge; Driver in particolare si mangia la Johansson con parole dure e dolorosissime, le uniche che sono riuscite a scatenare in me una qualche reazione (magonato stupore, se lo avessi avuto davanti probabilmente lo avrei massacrato di pugni tra un pianto e l'altro), e sul finale si profonde in una canzone splendida, perfetta per il suo vocione e per il tema della pellicola, senza sbagliare nemmeno una nota, riconfermandosi (fuori da Star Wars) uno degli attori più versatili e particolari in circolazione. Probabilmente è anche merito della sceneggiatura. Alla Johansson è stata offerta infatti la parte di una donna affettuosa e fragile ma in competizione con un marito che non esita, direi anche giustamente vista la spietatezza della realtà sociale in cui è costretta a muoversi, a lasciarsi alle spalle col sorriso sulle labbra, mentre Driver, pur non interpretando un personaggio positivo, a un certo punto ha proprio un crollo, nella vita, nella carriera e persino nei gesti, ritrovandosi spesso, letteralmente, prostrato a terra. Il finale in cui rilegge tutti i pregi elencati all'inizio dalla moglie (presentati con un delizioso uso della camera a mano e del montaggio) è la triste condanna di un uomo che, per noncuranza o senso di superiorità, ha perso tutto quello che aveva di importante nella vita, rimanendo solo come un cane, pieno di rimpianti e ritrovandosi paradossalmente in una situazione che, l'avesse accettata anni prima invece di farsi i fatti suoi, gli avrebbe permesso di salvare il matrimonio. #JeSuisCharlie, quindi, ma anche #JeNeSuisPasMarriageStory , per quanto sia un film che merita una visione, soprattutto se siete abbonati a Netflix.
Di Adam Driver (Charlie), Scarlett Johansson (Nicole), Wallace Shawn (Frank), Laura Dern (Nora Fanshaw) e Ray Liotta (Jay Marotta) ho parlato ai rispettivi link.
Noah Baumbach è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Il calamaro e la balena, Lo stravagante mondo di Greenberg e Frances Ha. Anche produttore e attore, ha 50 anni.
Se Storia di un matrimonio vi fosse piaciuto potreste recuperare Kramer contro Kramer e La guerra dei Roses. ENJOY!
domenica 30 giugno 2019
Toy Story 4 (2019)
Trama: i giocattoli che erano di Andy passano ora una vita più o meno serena nella cameretta di Bonnie, ormai pronta per andare all'asilo. L'arrivo del "giocattolo" Forky e un'inaspettata vacanza in camper arrivano a scombinare le cose...
Avevamo lasciato Woody e soci nelle amorevoli mani di Bonnie, nell'ormai lontano 2010. Una perfetta quadratura del cerchio, così come perfetto era Toy Story 3, conclusosi con il passaggio di consegne da una generazione a un'altra, con Andy che, diventato adulto, donava i compagni di una vita a una bambina che la sua l'aveva appena iniziata. Non c'era bisogno di un Toy Story 4, questo sia chiaro a tutti, ovviamente, perché la storia aveva già raggiunto la sua naturale conclusione. Però, come viene spesso ripetuto nello stesso film, c'è gente che non riesce ad andare avanti e a lasciarsi alle spalle il passato (soprattutto quando c'era UNA piccola questione in sospeso in Toy Story 3), che passerebbe tutta la vita chiusa in una teca di vetro dove vengono proiettati vecchi film Disney o Pixar 24 ore su 24, e a tutti loro è dedicato questo Toy Story 4. A loro e a chi, come il nuovo personaggio Forky, fatica ad accettare di poter diventare qualcos'altro, al di là dei pregiudizi che lo bloccano precludendogli mille interessanti possibilità. A quelle persone che faticano ad uscire dalla loro confort zone trovando mille scuse per non fare un passo avanti, rasentando una psicosi dannosa tanto per se stessi quanto per gli altri. Toy Story 4 è pieno di questi personaggi, Woody in primis, terrorizzati di perdere quello che pensano essere il loro posto nel mondo, al di là del quale c'è una terrificante oscurità fatta di incertezze e solitudine; è proprio questa incapacità di "evolvere" (specchio della paura della piccola Bonnie di andare all'asilo) il motore di una storia in cui Woody e soci si ritroveranno nuovamente coinvolti in una tipica, rocambolesca missione di recupero all'interno della quale i giocattoli dovranno mettere in mostra tutte le loro abilità senza farsi scoprire e senza mostrare agli umani la sottile vena di follia che li caratterizza. Una storia dove i momenti nostalgici e commoventi sono dietro l'angolo, pronti a colpire a tradimento, spingendo lo spettatore particolarmente cretino (ovvero io) a mettere mano ai fazzoletti, e dove si ride parecchio, anche perché il tasso di demenza dei nuovi personaggi introdotti è assai elevato.
E' tuttavia palese, al di là di tutti questi aspetti positivi, che molti personaggi non avessero più nulla da dire. I vecchi giocattoli, che nei primi tre film riuscivano a ritagliarsi un indispensabile spazio sotto i riflettori e a far da degna spalla a Woody (pezzi grossi come Jessie e Buzz Lightyear) qui sono molto sotto tono, parte del "mucchio" e spesso ridotti a far da tappezzeria, lasciando spazio a nuove creaturine che faranno impazzire gli abituali acquirenti di Funko Pop e prodotti del Disney Store e che, in effetti, sono molto spassose. Avevo molta paura di Forky, lo ammetto. Per i primi 20 minuti è l'equivalente di una gag tirata per le lunghe e non aiuta che a doppiarlo sia Luca Laurenti, dotato ahilui di una voce che mi istiga la violenza, poi per fortuna riesce in qualche modo a sbloccarsi e a rendersi amabile, anche se la palma di migliori personaggi (salvo una Bo-Peep evolutasi in uno dei migliori personaggi femminili Pixar di sempre) vanno agli svampitissimi peluche Ducky e Bunny, con quei loro sogni ad occhi aperti capaci di far la gioia di ogni amante dei film horror. Anzi, io chiederei a gran voce che gli sceneggiatori di Toy Story 4, assieme al regista, realizzassero qualcosa in ambito horror, in quanto hanno una conoscenza del genere (i riferimenti a Shining si sprecano. Chiedetevi, tra le altre cose, dove avete già sentito la canzone Midnight, the Stars and You. Ah, non c'entra nulla ma divertitevi anche a trovare una Boo cresciuta!), dei suoi topoi e dei suoi ritmi superiore a quella di molti registi e sceneggiatori impegnati nel campo, vedere le terrificanti marionette che accompagnano Gabby Gabby per credere ma anche gli inquietantissimi piani d'attacco di Ducky e Bunny. Sugli aspetti tecnici della pellicola c'è poco da dire, le animazioni e il character design sono a livelli superiori come sempre e in generale Toy Story 4 è un film piacevolissimo da vedere, sia per grandi che per piccini, perfettamente inserito all'interno di quel cerchio "chiuso" formato dalle prime tre pellicole. Insomma, quello che partiva come un film "inutile" è un gran bel quarto capitolo, da vedere e rivedere come i predecessori. Sperando, con tutto il rispetto, che sia finita lì, altrimenti tutti gli insegnamenti di Toy Story 4 saranno stati vani.
Di Tom Hanks (voce originale di Woody), Tim Allen (Buzz Lightyear), Annie Potts (Bo-Peep), Christina Hendricks (Gabby Gabby), Jordan Peele (Bunny), Keanu Reeves (Duke Caboom), Jay Hernandez (papà di Bonnie), Joan Cusack (Jessie), Bonnie Hunt (Dolly), Wallace Shawn (Rex), Laurie Metcalf (la mamma di Andy), Mel Brooks (Melephant Brooks), Bill Hader (Axel il giostraio), Patricia Arquette (la mamma di Harmony), Timothy Dalton (Mr. Pricklepants), Carl Weathers (Combat Carl) e Flea (voce dello spot di Caboom) ho già parlato ai rispettivi link.
Josh Cooley è il regista della pellicola. Americano, è al suo primo lungometraggio ma aveva già diretto il corto Il primo appuntamento di Riley. Anche doppiatore, sceneggiatore e animatore, ha 39 anni.
Tony Hale è la voce originale di Forky. Americano, ha partecipato a film come Yoga Hosers e a serie quali Dawson's Creek. I Soprano, Sex and the City, E. R. Medici in prima linea, Numb3rs, Medium e Una serie di sfortunati eventi. Anche produttore, ha 49 anni e un film in uscita.
Keegan-Michael Key è la voce originale di Ducky. Collaboratore storico di Jordan Peele, ha partecipato a film come Parto col folle, Come ammazzare il capo 2, Tomorrowland - Il mondo di domani, Scappa: Get Out, The Predator e a serie quali E.R. Medici in prima linea, How I Met Your Mother e Fargo, inoltre ha già lavorato come doppiatore per The Lego Movie, Hotel Transylvania 2 e Bojack Horseman, Robot Chicken, I Simpson e American Dad!. Anche sceneggiatore e produttore, ha 48 anni e quattro film in uscita tra cui Il re leone.
La voce originale di Bonnie è della giovanissima Madeleine McGraw che, nella serie Outcast, interpretava la figlia di Kyle Barnes. Nell'armadio di Bonnie si riuniscono un po' di vecchie glorie della commedia americana: assieme al Melephant Brooks ci sono infatti Chairol Burnett (la sedia verde doppiata da Carol Burnett), Bitey White (tigrotta doppiata da Betty White) e Carl Reinoceros (rinoceronte doppiato da Carl Reiner). Tra i doppiatori italiani segnalo invece il già citato Luca Laurenti (Forky) e Corrado Guzzanti (Duke Caboom). Il film segue, ovviamente, Toy Story, Toy Story 2 e Toy Story 3, assieme ai corti Vacanze hawaiiane, Buzz a sorpresa, Non c'è festa senza Rex, Toy Story of Terror e Toy Story - Tutto un altro mondo, tutte cosette che vi consiglio di recuperare. ENJOY!
domenica 23 settembre 2018
Gli Incredibili - Una normale famiglia di supereroi (2004)
Trama: dopo anni di successi e fama, Bob Parr è stato costretto a dismettere la sua identità segreta di Mr. Incredible e a vivere come una persona normale assieme alla moglie, un tempo Elastigirl, e ai tre figlioletti. Ma una misteriosa organizzazione lo richiama in servizio...
Non vedevo Gli Incredibili dalla sua uscita al cinema, nel lontano 2004, chissà perché. E pensare che ero uscita dalla sala entusiasta e avevo acquistato il DVD doppio appena si era reso disponibile, per poi lasciarlo lì a prendere polvere, benché avessi adorato il film di Brad Bird. Sono passati ben quattordici anni da allora e posso dire tranquillamente che Gli Incredibili non ha perso smalto, anzi: semmai, questo gioiellino della Pixar ha acquistato ancora più valore ai miei occhi, dopo innumerevoli cinecomics che non sarebbero nemmeno degni di allacciargli le scarpe. Ciò che rende Gli Incredibili così prezioso è la sua natura estremamente seria, rispettosa dei canoni di un genere che viene sfruttato per veicolare un messaggio positivo da fare arrivare ai piccoli mentre i grandi, per una volta, possono gustarsi un "film di supereroi" come si deve, senza vergognarsi di essere costretti ad accompagnare figli e nipoti. I modelli, per qualcuno che mastica un minimo di fumetti, sono chiari, ché la storia si ispira in parte a una pietra miliare come Watchmen e in parte, ovviamente, alle saghe degli X-Men e non solo per i poteri dei personaggi (anzi, sia per nomi che per poteri i membri della famiglia Parr forse ricordano più i Fantastici 4). Abbiamo quindi il protagonista, ex Mr. Incredible, costretto a vivere un'esistenza normale dopo i fasti da supereroe, quando l'opinione pubblica ha cominciato a considerare un pericolo quelli come lui, con conseguenze deprimenti quali vecchiaia, decadimento fisico, lavoro insoddisfacente, desiderio di rimembrare i vecchi tempi con gli amici ma abbiamo anche dei ragazzini che si ritrovano dotati di poteri e non possono usarli perché costretti a nascondersi, pena il venire nuovamente sradicati dall'ambiente in cui vivono, che è un po' ciò che accade ai mutanti Marvel; a cercare di tenere in piedi la famiglia c'è la caparbia Helen, ex Elastigirl, la quale deve farsi nume tutelare della ragione familiare per quanto, sicuramente, anche lei vorrebbe tornare ai bei tempi della giovinezza e della fama, quando la sua natura non era "solo" quella di casalinga ma di donna forte capace di sventare i crimini e salvare il mondo. Insomma, Gli Incredibili riporta sullo schermo le frustrazioni delle persone normali, le rende "super" e per questo ancora più condivisibili, in una trama che riesce a coniugare azione seria e divertimento, con degli eroi buoni e un villain fatto e finito che condivide con loro la stessa, impotente rabbia davanti all'idea di essere considerato normale e quindi, erroneamente, inutile o non speciale. A tal proposito, poiché Gli Incredibili affronta con estrema serietà la parte di trama strettamente legata alla sua natura di "cinecomic" (sicuramente più di quanto ha fatto, in tempi recenti, un Thor: Ragnarok qualsiasi), il villain merita davvero questo appellativo, ché Syndrome è malvagio nel midollo e non si fa scrupoli a lasciarsi alle spalle un cumulo di supereroi morti per affermare la propria supremazia, cosa che a momenti non accade nemmeno nei film Marvel o, perlomeno, non viene sbattuta in faccia allo spettatore come se nulla fosse per mano di quei burattini senza fichi che continuano a farci passare per supercattivi (Thanos a parte).
Detto questo, non è che il film di Brad Bird sia qualcosa di improponibile per i piccoli spettatori, anzi. Gli Incredibili riesce ad essere anche assai lieve e divertente, coniuga le sue due identità meglio di quanto farebbe un supereroe, in un equilibrio che ha del miracoloso. Sfruttando i cliché del genere riesce infatti a far sorridere adulti e bambini grazie ad un ex super in piena crisi d'identità (Mr. Incredible in borghese è buffissimo) e a un paio di altri personaggi piazzati ad hoc, come la divina stilista Edna, doppiata magistralmente in italiano da Amanda Lear, e ovviamente il piccolo Jack Jack, pupotto sbrodolante e dallo sguardo folle che si fa protagonista di una delle sequenze più sorprendenti e riuscite del film. Gli stessi poteri dei protagonisti hanno una resa assai divertente, basti pensare al modo in cui il corpo di Elastigirl può plasmarsi in mille modi diversi, cosa che rende Gli Incredibili uno dei più riusciti film di supereroi anche per un altro motivo: l'accuratezza con la quale sono state realizzate sia le scene d'azione che gli ambienti in cui si muovono i personaggi. La combinazione dei vari poteri dei nostri, oltre al modo in cui vengono scoperti o ri-scoperti è molto fantasiosa e di conseguenza entusiasmante per lo spettatore, basti solo pensare ai campi di forza della piccola Violetta utilizzati in sincrono con la velocità del fratello, ma c'è anche un senso palpabile di "normale" umanità nel metterli in mostra, cosa che li rende ancora più veri, come quando Elastigirl si sofferma davanti a uno specchio all'interno della base per controllare come cade il nuovo costume su un corpo di donna plurimamma. Sfondi, dettagli e ambientazione, nonché la colonna sonora, sono invece debitori dei film di spionaggio, quelli di James Bond in primis, e i supereroi, così come i villain, sono dotati di accessori ipertecnologici, automobili zeppe di gadget, armi e robot pericolosissimi e dal design vintage e per questo ancora più affascinante, oltre che raffinato. Se a questo aggiungete un'animazione e un character design perfetti, che non mostrano il fianco a difetti nemmeno dopo quattordici anni, capirete perché Gli Incredibili rimanga ancora oggi uno dei film Pixar migliori... e anche perché sono terrorizzata all'idea di affrontare il sequel!
Del regista e sceneggiatore, nonché voce di Edna, Brad Bird ho già parlato QUI. Craig T. Nelson (voce originale di Bob Parr/Mr. Incredible), Holly Hunter (Helen Parr/Elastigirl), Samuel L. Jackson (Julius Best/Frozone), Jason Lee (Buddy Pyne/Syndrome) e Wallace Shawn (Gilbert Huph) li trovate invece ai rispettivi link.
I due anziani sul finale sono rispettivamente Frank Thomas e Ollie Johnston, due dei nove animatori storici della Disney, che prestano anche le voci ai personaggi. Gli Incredibili - Una normale famiglia di supereroi era stato già "completato" all'epoca da due corti, l'esilarante Jack Jack Attack e Mr.Incredible and Pals, che non ho mai visto ma che dicono essere altrettanto divertente e ben realizzato. Nell'attesa di vedere Gli Incredibili 2 recuperateli e... ENJOY!
mercoledì 6 agosto 2014
Giù le mani da mia figlia! (1989)
Trama: Doug Simpson è padre single di due figlie, Katie e Bonnie. Tanto la piccola, Bonnie, è sgamata e carina, quanto Katie, quindicenne, è bruttina ed impacciata... ma le cose cambiano quando, per il compleanno, Katie decide di rinnovare il look, diventando così la preda più ambita dei ragazzi della città, con sommo sconcerto del padre...
Una ragazza vestita di bianco scende lentamente le scale sulle note di Venus, mentre il padre la osserva esterrefatto: questa è la scena chiave, indimenticabile, di quella grandissima supercazzola anni '80 quasi '90 che è Giù le mani da mia figlia, film stupidissimo ma entrato a forza nell'immaginario e nei ricordi di chi, a quell'epoca, era ancora un bambino o poco più. Ovviamente rientro anche io nella categoria. Erano anni (almeno una ventina, direi) che non guardavo Giù le mani da mia figlia ma mi è bastato un fotogramma per ricordare immagini, tormentoni, battute, persino le improbabili mise del brutto anatroccolo Katie e la grandiosa colonna sonora che inanella uno dopo l'altro pezzi da novanta come California Dreamin, You Really Got Me, Maniac, Oh Yeah, Incense & Peppermint, La Bamba e mille altre hit che erano già delle oldies all'epoca e rendono la pellicola ancora più "mitica" di quanto già non la facessero i ricordi d'infanzia distorti. Certo, arrivare alla fine di Giù le mani da mia figlia senza mandare a quel paese almeno uno dei coinvolti, all'età di 33 anni, è praticamente impossibile perché il film è pieno di momenti da mettersi le mani nei capelli, in primis la pretesa di far passare una sgnoccolona come Ami Dolenz per cesso inguardabile infagottandola dentro abiti di almeno tre taglie più grandi e nascondendole il viso sotto occhialoni e apparecchi: bastano infatti una visita dal dentista, delle lenti a contatto e, SOPRATTUTTO, una permanente per trasformare un paracarro in donna angelo ambita da ogni ragazzo del circondario (o scemina, ma non potevi farlo prima??) quindi già l'assunto iniziale è imbarazzante di per sé. L'altro da mandare a quel paese, neanche a dirlo, sarebbe poi il padre, Doug, che praticamente diventa uno stalker psicopatico perché la figlia ha cominciato a comportarsi come una qualsiasi normale quindicenne, cercando schemi di comportamento sui manuali scritti da uno strizzacervelli ancora più psicopatico di lui. Giù le mani da mia figlia verte interamente sui tragicomici tentativi di questo "padre modello" di controllare la sua primogenita, tentativi che, inevitabilmente, coincidono con una progressiva discesa negli inferi in grado di distruggere completamente la soddisfacente vita amorosa e professionale del protagonista, schema tipico della maggior parte delle commedie USA dell'epoca.
E quindi, colonna sonora e ricordi a parte, cosa rende questo film degno di essere inserito ancora oggi nell'olimpo delle supercazzole cult? Beh, già uno che si chiama Tony Danza conferirebbe a qualsiasi pellicola tanti di quei punti trash da assicurargli visioni e recuperi da qui all'eternità: con quella faccia da Matthew Broderick invecchiato, da italoamericano parvenu medio, da latin lover convertitosi alla monogamia, da sfigato che se la crede ascoltando vecchi vinili e guidando macchine fighe non si può non volergli bene per tutta la durata di Giù le mani da mia figlia, soprattutto quando duetta con l'ex Vizzini Wallace Shawn che, ammettiamolo, qui da veramente il bianco. E poi, poverelli, spuntano due attori ancora alle prime armi che di strada, a modo loro, ne avrebbero fatta parecchia: Dana Ashbrook nei panni del rockettaro Joey e Matthew Perry in quelli del viscido Timothy. Il primo ha sicuramente folgorato David Lynch con la sua pettinatura alla Eraserhead e si è probabilmente guadagnato il suo posto in Twin Peaks grazie a quel nido di chiurlo che porta in testa per tutto il film spacciandosela anche per gran figo, il secondo invece interpreta il ruolo dello stronzetto figlio di papà con una facciotta ciccia e tenerella da bambino che lo rende incredibilmente inadatto per la parte.. e non a caso Chandler Bing era un caciarone, mica un tombeur de femmes! Con questo, mi dispiace ma finiscono i pregi di Giù le mani da mia figlia e se non ve ne frega nulla di tutto quello che mi ha sempre portata a guardare con occhio indulgente un film che, fondamentalmente, racconta la storia di un pazzo ossessionato dal seno della figlia e di un'adolescente che improvvisamente scopre quanto tiri più un pelo di ... che un carro di buoi, lasciate pure perdere. Però, siccome l'estate è il momento migliore per riscoprire queste trashate, potreste anche divertirvi!
Del mitico Wallace Shawn, che interpreta il Dottor Fishbinder, ho già parlato QUI.
Stan Dragoti è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Mister mamma, Amore al primo morso e L'uomo con la scarpa rossa. Anche sceneggiatore, ha 82 anni.
Tony Danza (vero nome Anthony Salvatore Iadanza) interpreta Doug Simpson. Americano, ha partecipato a film come Don Jon e a serie come Taxi e Love Boat. Anche produttore, regista e stuntman, ha 63 anni.
Catherine Hicks interpreta Janet Pearson. Americana, ha partecipato a film come Peggy Sue si è sposata, La bambola assassina, La bambola assassina 3 e a serie come Settimo cielo. Ha 63 anni.
Ami Dolenz interpreta Katie Simpson. Americana, ha partecipato a film come Ticks - Larve di sangue, Spiritika 2 - Il gioco del diavolo e a serie come General Hospital, Genitori in blue jeans, Il mio amico Ricky, La signora in giallo e Bayside School - The College Years. Anche produttrice, ha 45 anni.
Dana Ashbrook interpreta Joey. Indimenticabile Bobby Briggs della serie Twin Peaks, ha partecipato anche a film come Pomodori assassini, Il ritorno dei morti viventi 2, Waxwork - Benvenuti al museo delle cere, Fuoco cammina con me e ad altre serie come Oltre i limiti, Jarod il camaleonte, Streghe e Dawson's Creek. Anche sceneggiatore, ha 47 anni e tre film in uscita.
Matthew Perry interpreta Timothy. Meglio conosciuto come il Chandler Bing di Friends, lo ricordo anche per film come Mela e tequila, FBI: Protezione testimoni, Tutta colpa di Sara e FBI: Protezione testimoni 2, inoltre ha partecipato a serie come Il mio amico Ricky, Genitori in blue jeans, Beverly Hills 90210, Ally McBeal e Scrubs. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 45 anni.
Tra gli altri attori segnalo la presenza di Dick O'Neill, il padre di Janet, che ne I giustizieri della notte interpretava il mitico Moon. Giù le mani da mia figlia vanta persino un presunto "plagio" serbo dal titolo Mi nismo andjeli 2 (conosciuto nel mondo come We are not angels 2) di tale Srđan Dragojević che, ovviamente, ha negato ogni "colpa" e ha dichiarato di aver voluto omaggiare la commedia USA anni '80 in generale. Con tutto il rispetto, non credo recupererò mai questo film ma se Giù le mani da mia figlia vi fosse piaciuto consiglio la visione di Ragazze a Beverly Hills e Ma dov'è andata la mia bambina?. ENJOY!
mercoledì 8 febbraio 2012
La storia fantastica (1987)
Trama: il nonno di un bambino costretto a letto da un’influenza decide di leggergli la storia della principessa Bottondoro e del suo amato Westley, legati da un vincolo di vero amore che rischia di spezzarsi quando quest’ultimo scompare in mare e Bottondoro viene chiesta in sposa dal viscido principe Humperdink…
La storia fantastica può essere visto come il giusto precursore di quel genere che poi sarebbe ritornato a spopolare in tempi recenti grazie all’orco Shrek. E’ una fiaba, è vero. Ci sono giganti, spadaccini, principesse (qualche bacio, con buona pace del piccolo costretto a letto), incantesimi e pirati, ma il tutto è riletto in chiave decisamente ironica, prendendo in giro i cliché del genere e mostrandolo allo spettatore attraverso il racconto di un nonno, spesso interrotto dalle rimostranze o dai dubbi di un nipotino “moderno”, smaliziato e assuefatto ai videogiochi che, suo malgrado, verrà alla fine catturato dalla storia di Westley e Bottondoro. Vista la simpatia e la particolarità dei personaggi coinvolti, lo spettatore non può che venire catturato a sua volta, e non c’è da stupirsi se chi, come me, lo ha visto in televisione per anni, ricorda ancora i nomi dei protagonisti e le loro battute.
Al di là di Bottondoro che, come tutte le principesse, aspetta solo di essere salvata (anche se è un bel peperino e anche un po’ stronzetta), è impossibile dimenticarsi del loquace Westley e, soprattutto, dei personaggi di “contorno”, a partire dal trio formato da Vizzini, Inigo e Fezzik: il primo, uno scaltro e malvagio siciliano (doppiato con doveroso ed esilarante accento nella versione italiana), il secondo, uno spadaccino di origini spagnole che ricerca ossessivamente la vendetta per il padre ucciso vent’anni prima e infine il terzo, un gigante buono amante delle rime. I continui battibecchi tra i tre personaggi e le successive scene dove Westley deve affrontarli sono le più riuscite ed esilaranti del film, ma anche il vanesio Humperdink, il torturatore albino e il vecchietto dei miracoli non scherzano. Purtroppo, bisogna ammettere che La storia fantastica risente un po’ dell’usura del tempo; per fortuna, però, è costruito in modo che il suo “cuore” possa comunque resistere inalterato, nonostante la parte avventurosa della pellicola sia effettivamente datata (un esempio su tutti: l’imbarazzante ratto della palude palesemente interpretato da un mimo, quasi quasi peggiore delle bestie presenti in The Killer Shrews!). Per gli amanti dell’horror, risulta inoltre decisamente simpatico vedere Cary Elwes legato e torturato in una meravigliosa segreta à la Saw, come gli succederà poi in tempi più recenti. Postilla nerd a parte, La storia fantastica è un film che merita molto, anche per le musiche di Mark Knopfler. Quindi, se non lo avete visto a suo tempo, rimediate!
Del regista Rob Reiner ho già parlato qui. Tra gli attori già citati sul Bollalmanacco segnalo invece Chris Sarandon (il principe Humperdink) e Wallace Shawn (Vizzini).
Cary Elwes (vero nome Ivan Simon Cary Elwes) interpreta Westley. Per me, questo attore inglese rimarrà per sempre Robin Hood – Un uomo in calzamaglia, ma ha partecipato ad altri film come Hot Shots!, Dracula di Bram Stocker, Mowgli – Il libro della giungla, Bugiardo bugiardo, L’ombra del vampiro, Saw – L’enigmista e a serie come Hercules, Oltre i limiti, X – Files e Law & Order. Attivo anche come doppiatore, ha prestato la voce per un episodio di Pinky and the Brain e ha doppiato il Pilota in Le avventure di Tin Tin: il segreto dell’unicorno. Anche produttore, ha 49 anni e nove film in uscita.
Mandy Patinkin (vero nome Mandel Bruce Patinkin) interpreta Inigo Montoya. Assurto al ruolo di “idolo australiano” dopo aver visto le pubblicità di Criminal Minds nella terra dei canguri, ha partecipato al film Dick Tracy, a un episodio della serie Hercules e ne ha doppiato uno de I Simpson. Ha 59 anni.
Robin Wright (vero nome Robin Virginia Gayle Wright) interpreta Bottondoro. Americana, ex moglie di Sean Penn, la ricordo per film come Forrest Gump, Toys – Giocattoli, Tre giorni per la verità, She’s so lovely – Così carina, Bugie baci bambole e bastardi, Unbreakable – Il predestinato e l’orrendo Beowulf, oltre che per la soap opera Santa Barbara. Anche produttrice, ha 44 anni e tre film in uscita, tra cui l’imminente Millenium: uomini che odiano le donne, dove interpreterà la giornalista Erika Berger.
Peter Falk intepreta il nonno. Famosissimo per il suo ruolo di Tenente Colombo nell’omonima serie, ha partecipato anche a film come Angeli con la pistola (che gli è valso la sua seconda nomination all’Oscar come migliore attore non protagonista, mentre la prima era arrivata l’anno precedente con Sindacato assassini) e Invito a cena con delitto, oltre a serie come Alfred Hitchcock presenta e Ai confini della realtà. Anche produttore, regista e sceneggiatore, è morto per colpa dell’Alzheimer proprio l'anno scorso, all’età di 83 anni.
Carol Kane (vero nome Carolyn Laurie Kane) interpreta la vecchia Valerie. Americana, ha partecipato a film come Quel pomeriggio di un giorno da cani, Io & Annie, il geniale S.O.S. Fantasmi, La famiglia Addams 2, Mosche da bar e Amiche cattive, oltre a serie come Two and a Half Men e Ugly Betty. Ha anche doppiato il corto Kung Fu Panda: Secrets of the Furious Five ed episodi delle serie Tiny Toon Adventures, Aladdin e I Griffin. Ha 59 anni e due film in uscita.
Billy Crystal (vero nome William Jacob Crystal) interpreta il vecchio e miracoloso Max. Uno dei più famosi comici americani, lo ricordo per film come Getta la mamma dal treno, Harry, ti presento Sally, Scappo dalla città – La vita, l’amore e le vacche, Hamlet, Harry a pezzi, I perfetti innamorati; ha inoltre prestato la voce per i film Monsters & Co., Il castello errante di Howl, Cars – Motori ruggenti e partecipato alle serie Love Boat e Friends. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 63 anni e quattro film in uscita, tra cui I Muppet e il prequel di Monsters & Co., Monsters University.
André The Giant, che interpreta Fezzik, è stato un grandissimo campione di wrestling e ha rivaleggiato nientemeno che con il mitico Hulk Hogan, mentre il piccolo Fred Savage lo potete ritrovare in Austin Powers in Goldmember nei panni dell’agente segnato dall’infame… booozzo!!! A proposito di André the Giant, pare che il suo ruolo fosse stato “concupito” da un esordiente e allora sconosciuto Arnold Schwarznegger, che se ne era incapricciato dopo aver letto il romanzo di William Goldman, da cui è stato appunto tratto il film. Peccato che, nel momento in cui la realizzazione della pellicola si era concretizzata, Schwartzy era diventato troppo famoso e la produzione non poteva più permettersi di pagare il suo cachet, quindi si è ripiegato sul gigante scandinavo. Per finire, se La storia fantastica vi fosse piaciuto, consiglio la visione (e la lettura) dei bellissimi Stardust e Lemony Snicket – Una serie di sfortunati eventi. ENJOY!
venerdì 16 luglio 2010
Toy Story (1995)
Sto per parlare di un film che ho snobbato per anni, un po’ perché all’epoca, nel 1995, la computer graphic mi faceva semplicemente inorridire, un po’ perché Fabrizio Frizzi mi stava (e mi sta ancora..) sulle balle. Tutti motivi più che validi per evitare di vedere Toy Story di John Lasseter, ma adesso devo rimediare alla mancanza, e tutto per colpa dell’esilarante trailer e delle recensioni molto positive di Toy Story 3, che vorrei andare a vedere (se solo riuscissi a trovare una sala che non lo fa in 3D…).
La trama: una settimana prima del trasloco il piccolo Andy riceve in regalo un giocattolone di ultima generazione, Buzz Lightyear. Questo semina il panico tra i “vecchi” giocattoli e comincia a creare problemi soprattutto al cowboy Woody, che si vede usurpare il titolo di giocattolo prediletto. Il maldestro tentativo di tornare ai bei vecchi tempi provocherà un bel po’ di guai sia a Buzz che a Woody…
Un bel pezzo di antiquariato ormai questo Toy Story, non c’è che dire. Eppure, quanto mi sto pentendo di non averlo guardato prima, perché è davvero un gioiellino. Partiamo dal presupposto che la pellicola in questione è stato il primo lungometraggio ad essere stato interamente animato al computer, quindi ignoriamo le (poche) imperfezioni, come il fatto che i personaggi non riescano a chiudere entrambi gli occhi contemporaneamente, o le fattezze quasi grottesche dei pochi esseri umani e animali mostrati, e ricordiamoci che prima di allora erano stati realizzati solo dei cortometraggi a fronte di un’animazione artigianale Disney che ancora imperava. Eppure si è visto subito che, a differenza di questo nuovo 3D che rende fredda ogni pellicola che tocca, l’animazione al computer non appiattiva i film ma riusciva a regalarci personaggi espressivi e graziosi come quelli che ci hanno cresciuti da piccoli, con l’aggiunta di un maggiore realismo e colori ed effetti spettacolari.
Ovviamente senza una trama solida e simpatica (non a caso ci hanno messo mano Joss Whedon, creatore di Buffy e Dollhouse, e uno dei fratelli Coen, Joel) non ci sarebbe stata storia. Un’idiozia come Cappuccetto Rosso e i soliti sospetti non ci fa chiudere gli occhi davanti ai difetti di animazione ma anzi li intensifica. Toy Story invece è il classico film Disney che mescola divertimento e buoni sentimenti, ed è una sorta di intelligente metafora di quello che sarebbe avvenuto da lì a poco tempo; il bambino Andy, dopo avere giocato per anni con il Cowboy Woody lo mette da parte (senza smettere di amarlo) per il tecnologico Buzz Lightyear e lo stesso hanno fatto gli animatori che hanno messo da parte l’animazione classica, pur senza smettere di prendere esempio ed amarla, per fare il salto verso l’animazione al computer. Assieme a questa metafora c’è il classico racconto di formazione. A dire il vero, prima di vedere il film pensavo che Woody fosse il solito personaggio “alla Topolino”, odioso nella sua pedante perfezione; il cowboy invece è uno sfigato ipocrita, che vive nella gloria di essere il giocattolo preferito di Andy e agisce da leader buono e giusto solo a fronte di questa sicurezza. Quando arriva Buzz Lightyear a prendere il suo posto tutti gli altri giocattoli cominciano a deriderlo proprio perché si sono sempre sentiti adombrati e Woody si dimostra geloso, imperfetto e anche goffo come tutti gli altri. Da parte sua anche Buzz non è assolutamente come vorrebbe mostrare. Sicuro di sé, eroico, perfetto, ma con un piccolo problemino: non accetta il suo essere giocattolo, convinto com’è di essere un vero ranger spaziale. Questo da vita a un sacco di gag divertentissime, soprattutto quando Buzz si troverà a dover affrontare la triste realtà, reagendo come una donnicciola. Ma per fortuna esistono gli amici, questo è il messaggio straripetuto per tutto il film, che ci apprezzano per quello che siamo anche se non lo dimostrano con gesti eclatanti. Voto 10 ovviamente ai personaggi di contorno, soprattutto per Mr. Potato Head, bastardo come pochi e per i piccoli alieni verdi che venerano il braccio meccanico della macchinetta in cui sono rinchiusi come se fosse un dio. E ovviamente ho molto apprezzato anche l’ambientazione horror con i giocattoli “freak” del ragazzino pestifero.
Spendo qualche parola per l’adattamento italiano del film. Non potendo confrontarlo con la versione originale, il doppiaggio mi sembra però molto buono; tra l’altro, se non sbaglio, dev’essere la prima volta che in Italia veniva introdotta la (spesso) dubbia abitudine di utilizzare personaggi famosi dello spettacolo per doppiare i cartoni animati. Nella fattispecie, Fabrizio Frizzi, che all’epoca te lo mettevano persino nella minestra, doppia Woody, mentre Massimo D’Apporto, altro attore che al tempo furoreggiava nelle fiction televisive, da la voce a Buzz. Le poche canzoni che fanno da colonna sonora al film, ancora retaggio dell’animazione precedente, sono cantate da Riccardo Cocciante (ed effettivamente non riescono ad essere troppo allegre, ma hanno quel sottofondo malinconico, chissà perché…). Guardate quindi con sicurezza qualsiasi versione vi capiti se non lo avete ancora fatto: se siete come me non vedrete l’ora di continuare con il secondo episodio.
Di Tom Hanks, che da la voce al cowboy Woody, ho già parlato qui.
John Lasseter è il regista della pellicola. Tra i suoi altri film ricordo A Bug’s Life – Megaminimondo, Toy Story 2 – Woody e Buzz alla riscossa e Cars – Motori ruggenti. Americano, ha 53 anni.
Tim Allen presta la voce, in originale, a Buzz Lightyear, ruolo che riprenderà anche in Toy Story 2 e 3. Comico statunitense, lo ricordo soprattutto per la sit-com Quell’uragano di papà (che a me piaceva un sacco!). Tra i film in cui compare cito Santa Clause ( e i suoi due seguiti), Da giungla a giungla e Svalvolati on the road, inoltre compare anche nel telefilm Soul Man – Casa & chiesa. Ha anche doppiato un altro cartone della Pixar, Cars – Motori ruggenti. Ha 57 anni.
Wallace Shawn in originale presta la voce al tirannosauro timido Rex (anche nei sequel). Caratterista della vecchissima scuola, questo attore americano vivrà nel mio imperituro ricordo per il ruolo di Vizzini ne La storia fantastica e ovviamente come professore bastardello in Ragazze a Beverly Hills. Tra gli altri suoi film ci sono Manhattan, Hotel New Hampshire, Radio Days, Giù le mani da mia figlia, La maledizione dello scorpione di giada e La casa dei fantasmi; come doppiatore ha lavorato in In viaggio con Pippo, Monsters & Co, Gli incredibili, Chicken Little e I Griffin, senza contare che ha partecipato a telefilm come I Robinson, La tata, Clueless, Ally McBeal, Sex & The City, Desperate Housewives, ER e Gossip Girl. Americano, ha 67 anni.
R. Lee Ermey in originale presta la voce al capo dei soldatini giocattolo (anche nei sequel). “Chi ha parlato?? Chi cazzo ha parlato..???” l’incipit di uno dei più famosi, cazzuti e volgari dialoghi della storia del cinema è il suo. Lui è l’uomo che tutti vorremmo uccidere dopo appena 10 minuti di Full Metal Jacket, facendogli ingoiare branda, fucile e tutta la retorica militare: il fottutissimo Sergente Hartman. E, sebbene il nostro fosse già comparso in una pietra miliare come Apocalypse Now, ci ha marciato parecchio sul ruolo che lo ha consacrato, tanto da meritarsi ruoli, omaggi e cameo in più di un film: Mississippi Burning – le radici dell’odio, Ultracorpi – l’invasione continua, Una pallottola spuntata 33 ¾ - l’insulto finale, Se7en, Dead Man Walking – condannato a morte, Sospesi nel tempo (dove riprende proprio il ruolo di Hartman), Non aprite quella porta, X – Men – Conflitto finale, Non aprite quella porta – l’inizio, ha partecipato anche a telefilm come Miami Vice, Racconti di mezzanotte, X – Files, Scrubs, Dr. House e inoltre ha doppiato episodi de I Simpson, I Griffin, Kim Possibile e Spongebob. Americano, ha 66 anni e un film in uscita.
E ora qualche curiosità. Il ruolo di Buzz Lightyear era stato offerto, oltre che a Bill Murray (cribbio!!) e Chevy Chase, ad un altro grande comico americano, Billy Crystal, che dopo avere declinato se n’è pentito tanto da pregare poi per un’altra occasione, che è arrivata con Mosters & Co. e il personaggio di Mike. Per lo stesso ruolo si era anche pensato a Jim Carrey, con Paul Newman nel ruolo di Woody, ma pare che entrambi costassero un po’ troppo. Un piccolo embrione della storia si trova nel corto Tin Toy, sempre diretto da Lasseter: inizialmente infatti i protagonisti dovevano essere il personaggio principale del corto (diventato poi Buzz Lightyear), perduto durante un viaggio, e un pupazzo ventriloquo (diventato poi Woody), che univano le forze per tornare a casa. Un’altra stesura dello script prevedeva anche la presenza di Barbie, vista come la tosta eroina che alla fine avrebbe salvato Buzz e Woody dal cane del moccioso pestifero, ma la Mattel pensava che il film non avrebbe avuto successo e quindi ha rifiutato il permesso di utilizzare la bambola; permesso che ovviamente è stato subito concesso per Toy Story 2 e anche 3. Se vi piace il genere, ovviamente, guardatevi tutta la trilogia e aggiungeteci anche The Incredibles, Monsters & Co., Alla ricerca di Nemo e Ratatouille, che sono i film Pixar che più ho amato. E ora vi lascio con il video del corto che ha ispirato il film, ovvero Tin Toy. ENJOY!!