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martedì 3 giugno 2025

La trama fenicia (2025)

Siccome io e l'amico Toto siamo bimbi di Wes Anderson, siamo corsi a vedere il suo ultimo film, La trama fenicia (The Phoenician Scheme), il giorno stesso dell'uscita.


Trama: il ricco industriale e avventuriero Zsa-zsa Korda, sopravvissuto all'ennesimo attentato, decide di nominare come erede universale la figlia Liesl, una novizia in procinto di prendere i voti. Tutto ciò per riuscire a realizzare la sua opera più ambiziosa, una complessa infrastruttura in Fenicia...


Su Facebook e Instagram, dove butto giù brevissimi pensieri a caldo sulle visioni concluse, ho messo in guardia i miei sparuti followers relativamente all'odio (o la noia) che molti, dopo anni di onorata carriera, sono arrivati a provare verso Wes Anderson. Per queste persone, lo ribadisco, La trama fenicia sarà una sofferenza, perché la trama, benché complicatina a livello di "schema", apparentemente è molto semplice e lineare, e sembra proprio un mero esercizio del solito stile andersoniano. Come sempre, però, "oltre alle simmetrie e ai colori pastello c'è di più". Gli ultimi film di Wes Anderson, diciamo a partire da The French Dispatch, hanno il potere di lasciarmi perplessa alla fine dei titoli di coda. Il che non significa che non mi piacciano ma, poiché ho ormai una certa età, faccio un po' fatica ad introiettare tutti gli stimoli uditivi e visivi che si affastellano con la stessa rapidità con cui i personaggi del regista snocciolano dialoghi lunghissimi, quindi, solitamente, mi serve un giorno per riflettere con calma su cosa avesse voluto raccontare Wes Anderson. In questo caso, La trama fenicia narra il viaggio fisico e spirituale di un freddo, cinico e ambiguo uomo d'affari, abituato a diffidare dei legami familiari e a contare solo su se stesso, fin dalla più tenera età. Le famiglie disfunzionali non sono una novità per Wes Anderson, anzi, si può tranquillamente dire che tutti i suoi personaggi o quasi partano (e spesso rimangano bloccati) all'interno di una condizione anaffettiva o siano comunque incapaci a relazionarsi in modo "normale" con gli altri. Forse, però, è la prima volta che Anderson tocca il tema della redenzione anche in senso religioso, dando al protagonista de La trama fenicia la possibilità di "morire" e "risorgere" più e più volte, fino ad una rinascita finale definitiva (d'altronde, non credo sia un caso tirare in ballo, almeno nei toponimi, il mitologico uccello che rinasce dalle sue ceneri). La scelta di affiancare a Korda una figlia suora, oltre ad offrire la possibilità di una critica ad una Chiesa che predica bene ma razzola male, soprattutto quando in ballo ci sono molti soldi, apre uno squarcio sul pensiero di Anderson e del co-sceneggiatore Roman Coppola; in uno splendido dialogo rivelatore si dice che va bene fingere che Dio risponda alle nostre preghiere, basta mettere in pratica quello che pensiamo farebbe Lui... e, spesso, si tratta di cose molto semplici, banali, di puro buon senso. Anderson e Coppola, insomma, non vogliono dichiarare la non esistenza di Dio o prendersi gioco di chi crede in qualcosa, anzi, sottolineano l'importanza di avere qualcosa che funga come bussola morale e ci apra gli occhi su ciò che è fondamentale nella vita, benché magari poco glamour, avventuroso, remunerativo o originale. Korda diventa così il Cristo andersoniano, costretto ad una via crucis a tappe (o a scatole, come volete) partita con un obiettivo decisamente materiale, lentamente tramutatosi in un'evoluzione umana e spirituale.


A livello più superficiale, La trama fenicia tira parecchie stoccate ad oligarchi e riccastri zeppi di figli che "potrebbero" essere geni, oltre ad un mercato globale facilmente manipolabile e a guerriglieri sui generis. Purtroppo, la critica sociale e contemporanea si perde un po', perché il film non esce quasi mai dai binari della commedia surreale e, rinunciando ad atmosfere di più cupe e satiriche, non morde mai davvero. Poco danno, perché comunque mi sono ritrovata spesso a ridere di cuore per alcune gag particolarmente azzeccate (una su tutte, quella reiterata delle bombe/ananas offerte agli interlocutori), e poi perché, insomma, a me piace Wes Anderson in primis per quello stile che ora va tanto di moda odiare. Sarei stata ore a guardare i titoli di testa, con la stanza d'ospedale di Korda ripresa dall'alto e le figure umane che si muovono in quella che sembra un'enorme, elegante piastrella quadrata, ma ogni elemento d'arredo disposto con gusto e simmetria (ci sono persino quadri famosissimi presi in prestito da gallerie, santo cielo!!), ogni diorama semovente, ogni abito, anche quelli più dimessi, mi trasportano gioiosamente all'interno della Wunderkammer del regista, zeppa di oggetti e colori nei quali mi perdo senza possibilità di recupero. Gli attori, poi, sono un altro motivo di felicità. In un cast di facce ormai familiari ai fan del regista, tutte impegnate in piccoli, esilaranti ruoli che arricchiscono il bestiario de La trama fenicia, Bill Murray ha finalmente ottenuto il ruolo più adatto al suo status e Benicio del Toro, per quanto sbattuto ed invecchiato, è sempre più patato ed è un protagonista esemplare. Il più a suo agio all'interno del mondo bizzarro di Anderson, stavolta, è però la new entry Michael Cera, uno dei motivi per cui mi è dispiaciuto non poter godere del film in v.o.. L'entomologo Bjorn è sfaccettatissimo, forse il personaggio più ricco di sorprese, e Cera offre una performance incredibile (soprattutto in un momento puramente "fisico", in cui cambia letteralmente davanti agli occhi dello spettatore aggiustando impercettibilmente abiti, accessori e postura. La mia mascella, probabilmente, è ancora in sala), al punto che mi sono chiesta perché mai Anderson abbia aspettato così tanto per chiamarlo in uno dei suoi film, visto che l'attore sembra uscito direttamente da una sua pellicola. Spero sia l'inizio di una lunga e fruttuosa collaborazione! Con questa nota speranzosa, invito i fan di Anderson ad andare a vedere La trama fenicia. Non è il miglior film del regista, questo no, ma è bello e divertente, una piccola chicca colorata in una triste e grigia realtà, e a volte, non so a voi, ma a me basta solo questo per essere soddisfatta. I detrattori si astengano, senza criticare i bimbi di Anderson come me!


Del regista e co-sceneggiatore Wes Anderson ho già parlato QUI. Benicio Del Toro (Zsa-zsa Korda), Steve Park (Il pilota), Willem Dafoe (Knave), F. Murray Abraham (Profeta), Rupert Friend (Excalibur), Michael Cera (Bjorn), Riz Ahmed (Principe Farouk), Tom Hanks (Leland), Bryan Cranston (Reagan), Charlotte Gainsbourg (prima moglie), Mathieu Amalric (Marseille Bob), Jeffrey Wright (Marty), Scarlett Johansson (Cugina Hilda), Bill Murray (Dio), Hope Davis (Madre superiora) e Benedict Cumberbatch (Zio Nubar) li trovate invece ai rispettivi link.


Mia Threapleton
, che interpreta Liesl, è figlia dell'attrice Kate Winslet. ENJOY!



martedì 3 ottobre 2023

Asteroid City (2023)

Il Multisala di Savona ha pensato bene di NON fare uscire Talk to Me. Ciò nonostante, mi sono comunque abbassata a dare dei soldi alla baracca per amore di Asteroid City, l'ultimo film diretto e co-sceneggiato da Wes Anderson. (Comunque la mia intenzione era di fare un ottobre solo horror, ma come si fa a dire di no a Wes?)
EDIT: Con una settimana di ritardo, Talk to me è uscito. Ritiro gli improperi che costellavano l'inizio del post, per ringraziamento.


Trama: una compagnia teatrale mette in scena Asteroid City, la storia di un ritrovo di giovanissimi e geniali scienziati con un twist fantascientifico...


Non è mai facile parlare di un film di Wes Anderson dopo solo una visione, peraltro in versione doppiata, perché il regista mette sempre tanta di quella carne al fuoco, spingendo il cervello dello spettatore a spingere da parte la storia in favore delle splendide immagini, che spesso viene da tacciarlo di superficialità e manierismo. Questo Asteroid City avrebbe tutte le carte in regola per essere un'opera "a rischio" in tal senso, ed è un peccato perché, dopo una nottata di riposo e un po' di tempo per riflettere su una frase in particolare che mi ha dato da pensare, sono riuscita a dare un senso a tutto il cucuzzaro. A un certo punto, lo spettacolare Jason Schwartzman dice "Non puoi svegliarti se non ti addormenti", una frase che viene ripetuta come un mantra all'interno di una classe di recitazione e che contiene in sé la chiave della doppia vicenda raccontata in Asteroid City, un film che continua la poetica andersoniana di persone sole, tristi, incapaci di affrontare la vita o di gestire le proprie emozioni. Ogni personaggio di Asteroid City, infatti, non ha il coraggio di "addormentarsi", ovvero non riesce a lasciarsi andare ed accettare che la vita non abbia soluzioni immediate e comprensibili (la macchina può essere aggiustata cambiando un piccolo pezzo oppure bisogna sostituirla), e combatte con tutte le sue forze la sola idea di qualcosa di imprevisto e sconosciuto (la macchina ha un terzo problema che il meccanico non riesce minimamente a capire). Ognuno di loro, soprattutto gli adulti, ma talvolta anche i ragazzi e bambini, personaggi di finzione o attori che li interpretano, ha bisogno di un filtro, una barriera che li porti a distaccarsi da questa complessità e ridurre l'esistenza a qualcosa di comprensibile, arrivando ovviamente all'incapacità di affrontare qualsiasi evento fuori dalla loro portata. Il primo è, senza dubbio, il geniale scrittore Conrad Earp, con tutte le difficoltà incontrate nel partorire l'opera, seguito subito dopo da Augie Steenbeck e dall'attore che lo interpreta in teatro nascondendosi dietro le lenti di una macchina fotografica e tic marcati che bloccano l'affiorare di qualsiasi emozione, positiva o negativa che sia, tanto che a un certo punto subentra persino il blocco dell'interprete, in un'altra sequenza particolarmente significativa.


L'umorismo caustico di Anderson, derivante dai surreali comportamenti e dai dialoghi assurdi tra personaggi fuori dal tempo, è una patina di leggerezza che nasconde, come sempre, un profondo disagio interiore che lascia cicatrici insondabili ai personaggi mentre li rende affascinanti e "strani" a un occhio esterno, come quello dello spettatore. L'intera cornice teatrale, girata in un elegante bianco e nero e in un formato che ricorda gli speciali televisivi anni '50, è accattivante quanto il geniale set della città titolare, realizzato rispettando non solo l'iconografia di una cittadina semi-deserta dello stesso decennio, ma anche la vivacità dei fondali che si utilizzerebbero a teatro, così da continuare questa compenetrazione di realtà e finzione. Fidatevi se vi dico che, nel 2023, non vedrete mai un'alieno bello quanto quello realizzato in stop motion per il film di Wes Anderson, né un uccellino bizzarro quanto il mini-road runner che concorre a rendere ancora più weird l'atmosfera della cittadina (eppure, anche lì, nessuno si scompone, perché è più facile ignorare o fotografare - distaccandoci dal soggetto - ciò che ci lascia perplessi e persino quello che ci affascina, perché non sia mai ci stravolga la vita), ed è inutile anche che tenti di farvi capire quanto siano perfette e bellissime le singole inquadrature del film, i costumi, il trucco e la colonna sonora: per me, andare a vedere una pellicola di Anderson è come guardare la mostra di un illustratore elegantissimo, e non posso fare altro che riempirmi gli occhi di bellezza, a prescindere che dietro essa ci sia un significato o il vuoto pneumatico. Quanto al cast, basta scorrere i nomi presenti per andare in visibilio, e l'unica cosa che mi preme è sottolineare quanto siano bravi non solo Jason Schwartzman (visivamente, un affascinante mix tra Paolo Ruffini e Furio, cosa che, nonostante tutto, mi ha strappato moltissime risate) e Scarlett Johansson, ovvero i due attori con più screentime, ma anche i giovani e talvolta sconosciuti ragazzini e bimbi che popolano il film, con menzione speciale alla tenerezza delle tre gemelline Faris, capaci di tenere testa a un nome importante come quello di Tom Hanks. Io lo so che Asteroid City è stato massacrato, ma m'importa davvero poco. Sono felicissima di averlo visto e non posso fare altro che consigliarlo, nell'attesa di rivederlo e godermi tutto quello che di sicuro mi è sfuggito!   


Del regista e co-sceneggiatore Wes Anderson ho già parlato QUI. Bryan Cranston (Presentatore), Edward Norton (Conrad Earp), Jason Schwartzman (Augie Steenbeck), Scarlett Johansson (Midge Campbell), Maya Hawke (June), Rupert Friend (Montana), Jeffrey Wright (Generale Gibson), Hope Davis (Sandy Borden), Steve Park (Roger Cho), Liev Schreiber (J. J. Kellogg), Sophia Lillis (Shelly), Tom Hanks (Stanley Zak), Matt Dillon (Meccanico), Steve Carell (Motel Manager), Tony Revolori (Aiutante di campo), Bob Balaban (Manager della Larkings), Tilda Swinton (Dr. Hickenlooper), Jeff Goldblum (L'alieno), Adrien Brody (Schubert Green), Hong Chau (Polly), Willem Dafoe (Saltzburg Keitel) e Margot Robbie (Attrice/moglie) li trovate invece ai rispettivi link. 

Jake Ryan interpreta Woodrow. Americano, ha partecipato a film come The Innkeepers, Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore, A proposito di Davis, L'isola dei cani e Diamanti grezzi. Ha 20 anni. 


Bill Murray doveva partecipare come direttore del motel, ma ha contratto il COVID all'inizio delle riprese ed è stato sostituito da Steve Carell. Se Asteroid City vi fosse piaciuto recuperate Moonrise Kingdom - Una storia d'amore, Nope e Mars Attacks!. ENJOY! 

domenica 14 novembre 2021

The French Dispatch (2021)

Avviso ai naviganti. Se avete la fortuna di vivere accanto a un cinema che proietta The French Dispatch, l'ultimo film di Wes Anderson, assicuratevi che la sala o il multisala non sia gestito da beoti o rischiate che vi succeda la stessa cosa successa a me, ovvero uno schifo passabile di avere il biglietto rimborsato (non a Savona, ovvio. "Non si può cambiare. Stacce." è stata la risposta ottenuta dall'incauto spettatore che ha preteso che il film venisse interrotto e proiettato a dovere. Ti sono vicina, incauto spettatore, ti ho voluto davvero bene, giuro): l'aspect ratio di The French Dispatch è il vecchio 1.37:1, in omaggio ai film francesi che hanno ispirato il regista, invece del moderno 1.85:1, e il risultato che abbiamo avuto a Savona è stato di avere la parte superiore delle immagini proiettata sul soffitto e quella inferiore tagliata sotto lo schermo, così che alcuni dei sottotitoli e delle didascalie sono andati perduti, il che è una meraviglia quando Léa Seidoux parla un francese così stretto e veloce da essere incomprensibile. Che i gestori del Multisala Diana si vergognino, davvero. Inutile cercare di salvare il cinema visto in sala e i lavoratori della categoria se poi gli spettatori vengono trattati solo come bestie portasoldi, senza un minimo di rispetto nei loro confronti. 


Trama: tre storie tratte dalla rivista The French Dispatch, dedicate una a un pittore, una alle proteste studentesche in Francia e l'ultima a un abilissimo chef di polizia.


Al di là della dabbenaggine di chi gestisce le sale, non stupitevi se vi dico che ho amato The French Dispatch dall'inizio alla fine e nemmeno se vi dico che, se odiate lo stile del regista o vi è venuto a noia, vi conviene stare lontani dalla sala, perché la sua ultima opera è praticamente un compendio di WES ANDERSON. Non so se vi è capitato di andare a vedere a Milano la mostra Il Sarcofago Di Spitzmaus E Altri Tesori, curata proprio dal regista, ma guardare The French Dispatch mi ha fatto lo stesso effetto, ovvero mi ha dato la sensazione di vivere per quasi due ore in un mondo altro, un universo apparentemente caotico, fatto di tante piccole "cose" eleganti, graziose ed ironiche messe assieme senza un filo logico, che tuttavia portano il visitatore (in questo caso lo spettatore) a illuminarsi nel momento esatto in cui riesce ad intuire parte delle complesse regole che lo governano, interamente racchiuse in una mente che i detrattori sicuramente definiranno solo "fighetta" e "manierista", ma che io trovo elegantemente geniale. The French Dispatch, sotto la splendida, ricchissima superficie formale, è un film che ripropone nuovamente tematiche profonde quali la solitudine, la speranza di poter contare qualcosa e distinguersi in un mondo particolarmente spietato con chi è dotato di grande sensibilità, il fortissimo desiderio di instaurare dei legami, la consapevolezza (non di tutti i personaggi, solo di alcuni) che nulla di ciò che faremo potrà mai cambiare il triste fatto che è il fato a governarci e a scombinare tutti i nostri piani di gloria, soprattutto se puntiamo in alto; l'unica cosa che possiamo fare per avere un'illusione di controllo è abbracciare l'arte, in ogni sua forma, perché è l'unica cosa che ci è dato creare e gestire, sempre fino a un certo punto. E' per questo che la perfezione formale dei film di Wes Anderson va sempre a braccetto con personaggi tristi, tragicomici, ridicoli e splendidi, accanto ai quali morte e dolore camminano con naturalezza, accettati quali inevitabili compagni di vita, al pari della delusione.


E così, all'interno della redazione del French Dispatch, situato nientemeno che a Ennui-sur-Blasé (ho riso male), il direttore Arthur Howitzer Jr cerca di tenere a bada dei collaboratori dalle personalità strabordanti, intimando di "non piangere" neppure quando si diventa parte delle storie raccontate e delle notizie riportate, mentre allo spettatore non resta che godere di tre vicende (la prima, con Owen Wilson per protagonista, è un'introduzione alla cittadina, letteralmente un mondo in miniatura nonostante la piantina assurdamente semplice) che contengono tutti gli elementi ai quali ho accennato sopra, ovviamente interpretati da attori in stato di grazia. Se dovessero puntarmi una pistola alla tempia e costringermi a scegliere la mia preferita opterei per la seconda, ambientata ai tempi delle proteste studentesche francesi; lì per lì sembra di trovarsi davanti a una parodia di The Dreamers o di qualche film della Nouvelle Vague francese, in realtà forse, nonostante le ampie dosi di ironia, è il segmento più malinconico di tutti perché sviscera tutto il senso di impotenza di chi la sua vita l'ha già vissuta e la grandeur di chi, ancora giovanissimo, mette in discussione ogni cosa e cerca di cambiare il mondo battendosi spesso per cause "stupide" senza neppure capirle bene, ma comunque mettendoci cuore e anima, oltre a tantissima ingenuità. All'interno dell'episodio in questione, Wes Anderson fa un uso magistrale del bianco e nero e della colonna sonora, mescola l'amore per il cinema a quello per il teatro, propone risoluzioni divertenti e assurde a situazioni da cliché e finalmente rende Timothée Chalamet affascinante e tenero come merita.


Per il resto, The French Dispatch è una continua scoperta, oltre che una gioia per le orecchie e per gli occhi. La sequela di guest star che si rendono indimenticabili o iconiche anche solo per 5 minuti è infinita e fanno tutti da degna spalla agli attori principali, ognuno ugualmente strepitoso; impossibile scegliere tra la strana coppia Del Toro/Séydoux (lo scazzo di lei, un po' da maestrina un po' da mistress, è qualcosa di assurdo), la sempre bravissima Frances McDormand, una Tilda Swinton che non smette MAI di essere favolosamente eccentrica o un Jeffrey Wright capace di spezzare il cuore, quindi per non sbagliare mi asciugo lacrime di commozione davanti a un cast della madonna e passo a ringraziare Wes Anderson per tutte le elegantissime scelte di regia, montaggio, scenografia e costumi, questi ultimi affidati a Milena Canonero. A partire dai disegni debitori dello stile del New Yorker, passando a un bianco e nero dalle mille sfumature, che lascia il posto agli abbacinanti colori della nuova arte di un pittore violento e persino a fumetti trasformati in cartoni animati, senza dimenticare quei "finti" fermo immagine colmi di perfida ironia, ogni sequenza di The French Dispatch è un piccolo capolavoro, e quest'ultimo è un altro di quei film meravigliosi che, come Ultima notte a Soho, riconcilia con la Settima Arte tutta e porta a ringraziare che esistano ancora Autori a questo mondo, non solo registi piegati ai voleri della major. Poi, lo sapete, io sono una Bimba di Wes e non posso fare a meno di amarlo a prescindere. 


Del regista e sceneggiatore Wes Anderson ho già parlato QUI. Benicio Del Toro (Moses Rosenthaler), Adrien Brody (Julian Cadazio), Tilda Swinton (J.K.L. Berensen), Léa Seydoux (Simone), Frances McDormand (Lucinda Krementz), Timothée Chalamet (Zeffirelli), Jeffrey Wright (Roebuck Wright), Mathieu Almaric (Il Commissaire), Bill Murray (Arthur Howitzer Jr), Owen Wilson (Herbsaint Sazerac), Bob Balaban (Zio Nick), Henry Winkler (Zio Joe), Lois Smith (Upshur 'Maw' Clampette), Christoph Waltz (Paul Duval), Cécile de France (Mrs. B), Rupert Friend (Sergente), Liev Schreiber (Conduttore del talk show), Willem Dafoe (Albert "l'abaco"), Edward Norton (il chauffeur), Saoirse Ronan (Tossica/Showgirl #1), Elisabeth Moss (Alumna), Jason Schwartzman (Hermès Jones), Fisher Stevens (l'editore), Griffin Dunne (l'avvocato) e Anjelica Huston (la narratrice) li trovate invece ai rispettivi link.

Steve Park interpreta Nescaffier. Americano, ha partecipato a film come Un poliziotto alle elementari, Poliziotto in blue jeans, Toys - Giocattoli, Un giorno di ordinaria follia, Fargo e a serie come Macgyver, La signora in giallo, Friends e Innamorati pazzi. Anche stuntman, ha 70 anni e due film in uscita. 


Tony Revolori interpreta il giovane Rosenthaler. Americano, lo ricordo per film come Grand Budapest HotelSpider-Man: Homecoming, Spider-Man: Far from Home e serie come My Name is Earl. Anche produttore, ha 25 anni e due film in uscita, tra cui Spider-Man: No Way Home


Spunta anche qui la faccetta "stronza" di Alex Lawther, nei panni di Morisot. Kate Winslet avrebbe dovuto interpretare il ruolo andato poi a Elizabeth Moss, ma ha rinunciato per il film Ammonite. Ciò detto, se The French Dispatch vi fosse piaciuto, recupererei l'intera filmografia di Wes Anderson. ENJOY!

mercoledì 9 maggio 2018

L'isola dei cani (2018)

Ho aspettato fino a lunedì ma finalmente anche io ho potuto vedere L'isola dei cani (Isle of Dogs), l'ultimo film diretto e co-sceneggiato da WES ANDERSON!! (Ok, prometto che è l'ultima volta che userò il caps lock)


Trama: in una metropoli giapponese del futuro, il bieco sindaco Kobayashi ha deciso di confinare tutti i cani su un'isola adibita a discarica, col beneplacito degli abitanti terrorizzati dall'influenza canina. Il suo pupillo, il dodicenne Akira Kobayashi, decide però di andare in cerca del cane Spots e si imbatte in un gruppetto di quadrupedi dell'isola che lo aiuteranno nell'impresa...


Come si fa a non volere bene a quello spocchioso snob di Wes Anderson, un regista che può permettersi di girare un cartone animato pensando solo a margine ai bambini, giusto per il gusto di creare un'elegante opera in stop-motion intrisa di perfezionismo, capace di fare esclamare "oooh! e "aaah!" a chiunque sia un minimo nipponofilo e apprezzi la qualità artigianale di sfondi fatti a mano, pupazzetti creati con pelo vero di alpaca e disegni animati dal tratto pulito ed "antico"? Come si fa a non amare chi inserisce nel suo film dialoghi in giapponese non tradotti per un buon 60%, lasciando che sia la musicalità della lingua nipponica a fluire dalle orecchie al cuore dello spettatore annullando le barriere linguistico-culturali? Certo, all'inizio del film ci sono le istruzioni per affrontare al meglio questa strana scelta e le stesse fanno parte dell'ironia che traspare da ogni sequenza de L'isola dei cani, ma obiettivamente persino il mio compagno di visioni è rimasto abbastanza spiazzato mentre io, che amo il Giappone con tutto il mio indegno corazon, non ho potuto fare altro che abbandonarmi all'atmosfera e piangere forte per non avere avuto il tempo di studiare quanto avrei voluto questa magnifica lingua e godermi così i dialoghi non sottotitolati. Ma calmiamoci un attimo, di cosa parla L'isola dei cani? Come da titolo, la trama racconta di un luogo in cui tutti i cani della città di Megasaki, in Giappone, vengono confinati in un'isola a causa di una presunta epidemia di influenza canina; ciò da il via alla ricerca del piccolo Akira, disperato per la scomparsa del fedele cane Spots ([supottusu]), ma è soprattutto il modo di introdurre quella che a me è sembrata una feroce critica ai partiti di estrema destra sempre più affermati in tutto il mondo, quelli che cavalcano il terrore delle persone e che non si fanno scrupolo ad alimentare voci allarmiste che allontanano i pensieri del popolo da problemi realmente pressanti onde concentrarli su specchietti per le allodole, ricorrendo a segregazione e allontanamento piuttosto che trovare soluzioni più costruttive. Certo, così a farci la figura dei malvagi sono gli amanti dei gatti, cosa che mi ha un po' spezzato il cuore, ma cosa ci vogliamo fare? Per i piccoli, ma anche per i grandi, c'è poi la deliziosa storia dell'amicizia tra il piccolo Akira e il selvatico randagio Chief, con risvolti da soap opera divertenti e commoventi, oltre a tutto il coro di esilaranti comprimari portatori ognuno di una piccola idiosincrasia Andersoniana.


Per quel che riguarda la realizzazione, come ho detto sopra la visione de L'isola dei cani è pura gioia. Gli omaggi alla cultura giapponese si sprecano e mi dolgo solo di non conoscere a menadito il cinema nipponico perché secondo me ci sarebbe da stilare un elenco di influenze tratte da capolavori della settima arte orientale anche meno conosciuti, non solo le opere di Kurosawa o i cani meccanici ispirati a mechaGodzilla; personalmente, mi è sembLato di vedere una citazione del capolavoro del mangaka Junji Ito, Uzumaki, con le inquietanti spirali che increspano le acque che bagnano l'Isola dei Cani a mo' di presagio di sventura, ma Anderson ha sicuramente attinto a piene mani anche dal teatro kabuki, dall'ukiyo-e, dalle stampe tradizionali, mentre passando a occidente non mancano le nuvolette di polvere tipiche di Snoopy, i cartelloni elettorali alla Quarto potere o le capigliature ricce in stile Un angelo alla mia tavola. Poi, c'è da dire che le citazioni saltano sì subito agli occhi ma risultano più interessanti la simmetria sempre tanto gradita al regista, le scelte cromatiche legate a ciò che si dice vedano i cani (niente verde né rosso quando viene mostrato il punto di vista dei cagnolini, ci avete fatto caso?), l'alternanza di vivaci campi lunghi che trasformano le scene in quadri dinamici e di intensi primi piani che non solo sviscerano le emozioni dei pupazzini ma li rendono al meglio, con tutte le loro imperfezioni di animali provati dalla fame, dalla sporcizia, dalla disperazione (e anche gli esseri umani sono ben caratterizzati, con quei visetti duri come porcellana e allo stesso tempo morbidi morbidi, espressivi da morire). A dire il vero, guardando L'isola dei cani occhi e cervello (e orecchie, ché la colonna sonora di Alexandre Desplat è pregevolissima!) vengono caricati da così tanti elementi, così tante cose belle ed interessanti, che bisognerebbe rivederlo almeno un paio di volte per essere in grado di scrivere un articolo sensato che possa rendere omaggio alla bravura inconfutabile di Wes Anderson, quindi vi consiglio di non stare tanto a pensarci su e correre al cinema prima che la distribuzione impietosa lo tolga!


Del regista e co-sceneggiatore Wes Anderson ho già parlato QUI. Bryan Cranston (voce originale di Chief), Edward Norton (Rex), Bob Balaban (King), Bill Murray (Boss), Jeff Goldblum (Duke), Greta Gerwig (Tracy Walker), Frances McDormand (interprete Nelson), Scarlett Johansson (Nutmeg), Harvey Keitel (Gondo), F. Murray Abraham (Jupiter), Tilda Swinton (Oracolo), Ken Watanabe (Primario di chirurgia), Fisher Stevens (Scrap), Liev Schreiber (Spots) e Anjelica Huston (Barboncino muto) li trovate invece ai rispettivi link.

Courtney B. Vance è la voce originale del narratore. Americano, ha partecipato a film come Caccia a Ottobre Rosso, Pensieri pericolosi, Una cena quasi perfetta, La fortuna di Cookie, The Divide, Final Destination 5, La mummia e a serie come E.R. Medici in prima linea e American Crime Story - Il caso O.J. Simpson. Anche produttore, ha 58 anni e due film in uscita.


Roman Coppola è la voce originale di Igor nonché co-sceneggiatore del film. Figlio di Francis Ford Coppola e principalmente produttore, ha partecipato a film come Il padrino, Il padrino - Parte II, Apocalypse Now Redux e Star Wars: Episodio I - La minaccia fantasma, inoltre ha lavorato come doppiatore in Fantastic Mr. Fox. Anche regista, ha 53 anni.


Kunichi Nomura, che presta la voce al sindaco Kobayashi, è co-sceneggiatore del film ed è già apparso in film come Lost in Translation e Grand Budapest Hotel. A fargli compagnia tra i doppiatori c'è nientemeno che Yoko Ono, nei panni dell'assistente Yoko-ono, per l'appunto, e sempre rimanendo in ambito scienziati ci sono attori giapponesi assai famosi come Takayuki Yamada (Crows Zero) e Ryuhei Matsuda (Nana, Tabù - Gohatto). Detto questo, se vi fosse piaciuto L'isola dei cani recuperate Fantastic Mr. Fox. ENJOY!


mercoledì 13 dicembre 2017

Fantastic Mr. Fox (2009)

Il Bolluomo voleva vedere un "cartone animato" su Netflix e la scelta è caduta così su Fantastic Mr. Fox, diretto e co-sceneggiato nel 2009 da Wes Anderson partendo dall'omonimo racconto di Roald Dahl (tradotto in Italia con Furbo, il signor Volpe).


Trama: Mr. Fox è una volpe che fa il giornalista ma rimpiange i tempi in cui, assieme alla moglie, passava le notti a rubare pollame. Trasferitosi in una nuova casa, Mr. Fox ricomincia la sua vita di furti, attirando su di sé e sulla sua famiglia le ire di tre allevatori...



Fantastic Mr. Fox era uno dei due film di Wes Anderson che ancora non avevo visto (adesso manca solo Un colpo da dilettanti, l'opera di esordio del regista) e sinceramente non so perché abbia aspettato così tanto prima di guardarlo. L'idea di vedere un autore che adoro impegnato nella non facile realizzazione di un cartone animato in stop motion mi intrigava molto ma sapete bene che la mala distribución dalle mie parti impera e anche per questo nel corso degli anni non sono mai riuscita a recuperare Fantastic Mr. Fox. Peccato, perché il film in questione è davvero un gioiellino, in primis per come è stato girato ma anche per il modo "subdolo" in cui le idiosincrasie tipiche del regista e il suo modo di gestire personaggi al limite del weird sono riusciti ad arricchire e conferire nuovi significati ad una storia semplice come quella scritta da Roald Dahl, dando alla luce un prodotto "adulto", quasi sicuramente molto poco appetibile per un pubblico di giovanissimi (e, visti i risultati in termini di incassi, per il pubblico in generale, ahimé). Lungi dall'essere "semplicemente" la storia della lotta tra una volpe e tre allevatori, il Fantastic Mr. Fox di Wes Anderson racconta la frustrazione di una creatura abituata ad essere, per l'appunto, "fantastica", adorata e rispettata dall'intero regno animale per la sua furbizia, l'arte affabulatoria, la destrezza e l'agilità, costretta da una promessa fatta quasi in punto di morte ad accontentarsi della normalità di un posto fisso come quello di giornalista e a guardare con nostalgia al passato; come accade spesso nei film del regista, Mr. Fox è un adulto "bambino" e ha un rapporto conflittuale sia con la moglie (pur amandola alla follia) sia con un figlio adolescente che non mantiene alto il buon nome della famiglia in quanto goffo, piccolino e pasticcione. La frustrazione di Mr. Fox si sfoga dapprima nell'acquisto di un'enorme casa, poi nello scontro con i tre allevatori più crudeli della regione, stufi di vedersi rubare letteralmente sotto il naso polli, anatre, tacchini e persino sidro e pronti quindi ad eliminare non solo Mr. Fox ma tutti gli animali del bosco dalla faccia della terra; il Mr. Fox di Anderson è quindi un personaggio "negativo", portato dal suo narcisistico egoismo a mettere in pericolo la sua famiglia e gli amici, mentre la creatura di Roald Dahl era un padre che rubava per consentire ai figli di sopravvivere, non per soddisfare il proprio ego.


Le scelte di sceneggiatura di Anderson, per il quale Dahl è comunque una specie di mitico eroe, non intaccano il senso ultimo del personaggio (alla fine Mr. Fox vuole molto bene al figlio "strano", desidera solo il bene per la sua famiglia ed è disposto persino a sacrificarsi per essa) ma approfondiscono la sua personalità e rendono la storia in generale più movimentata, oltre che incredibilmente ironica. Anche il tema del "diverso", assai caro al regista, viene introdotto con eleganza e collegato alla trama grazie all'esilarante conflitto tra due outsider come Ash, figlio di Mr. Fox, e Kristofferson, nipote da parte di madre; come ho accennato nel paragrafo precedente, Ash è diverso in senso "negativo", disadattato e incapace di portare avanti l'eredità di un padre irraggiungibile, mentre Kristofferson è il tipico personaggio Andersoniano che vive in un mondo tutto suo e si diletta con hobby decisamente peculiari, risultando ovviamente eccelso in ognuno di essi. Partendo dal personaggio di Kristofferson si può cominciare poi a parlare dell'incredibile bellezza visiva e dello stile di Fantastic Mr. Fox, Andersoniano dall'inizio alla fine e maniacale per quel che riguarda i dettagli. In un universo tipicamente saturo dei colori caldi tanto amati dal regista, l'unico diverso è proprio Kristofferson, vestito d'azzurro; rimanendo in tema abiti, Mr. Fox veste un completo assai simile a quelli prediletti da Anderson, non a caso le stoffe per realizzarlo provengono proprio dal sarto del regista; lo stesso Wes Anderson ha voluto che i pupazzini dei singoli personaggi fossero manufatti con pelliccia vera (alla faccia degli animalisti) nonostante l'aspetto arruffato che avrebbero avuto dopo miriadi di maneggiamenti e riposizionamenti, e persino i pochi esseri umani presenti nella pellicola hanno in testa capelli veri raccolti dai dipendenti dello studio d'animazione. Questi sono solo alcuni esempi ma anche senza andare nello specifico si intuisce ad una prima occhiata il lavoro certosino che sta dietro ad ogni singolo fotogramma di Fantastic Mr. Fox, ognuno dei quali meriterebbe di essere incorniciato e appeso, con i pupazzini imprigionati negli splendidi ambienti usciti dritti dritti dal gusto peculiare di Wes Anderson. E lo so che il regista è ormai diventato la parodia di sé stesso, col suo manierismo portato all'eccesso e le messe in scena che più hipster non si può, però io lo adoro così e bramerei tantissimo vivere in un universo fatto ad immagine e somiglianza di ciò che si agita in quello spocchioso ed elitario cervello d'artista, anche a costo di diventare una Bolla-pupazzetto. Ho già detto che aDDoro WES ANDERSON!?


Del regista e co-sceneggiatore Wes Anderson, che in originale doppia la Donnola, ho già parlato QUI. George Clooney (Mr. Fox), Meryl Streep (Mrs. Fox), Jason Schwartzman (Ash), Bill Murray (Badger), Michael Gambon (Franklin Bean), Willem Dafoe (Rat), Owen Wilson (Allenatore Skip), Garth Jennings (il figlio di Bean), Brian Cox (Action 12 Reporter) e Adrien Brody (Topolino) li trovate invece ai rispettivi link.

Eric Chase Anderson è il doppiatore originale di Kristofferson. Fratello minore del regista, ha partecipato a film come Rushmore, I Tenenbaum, Le avventure acquatiche di Steve Zissou e Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore. Anche regista, ha 45 anni.


Fantastic Mr. Fox ha ottenuto due nomination per gli Academy Award del 2010, una per la Miglior Colonna Sonora Originale e una per il Miglior Film d'Animazione ma entrambi i premi sono andati invece a Up. Lo sceneggiatore Wallace Wolodarsky, voce dell'opossum Kylie, ha partecipato ad altri film di Anderson in veste di attore, come Rushmore, Il treno per il Darjeeling e Grand Budapest Hotel; a doppiare il "cantastorie" Petey c'è invece il frontman dei Pulp, Jarvis Cocker mentre il figlio di Francis Ford Coppola, Roman, presta la voce ad uno degli scoiattoli. Se Fantastic Mr. Fox vi fosse piaciuto recuperate I Tenenbaum, Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore, Rushmore e Coraline e la porta magica. ENJOY!

venerdì 18 aprile 2014

Grand Budapest Hotel (2014)

A breve il Bollalmanacco andrà in ferie ma c'è ancora tempo per recensire qualche bel film... e cosa c'è di più bello di una pellicola attesa come Grand Budapest Hotel (The Grand Budapest Hotel), diretto e co-sceneggiato dal mio adorato Wes Anderson?


Trama: negli anni '30, il consierge del Grand Budapest Hotel, M. Gustave, assieme al fido garzoncello Zero, si ritrova invischiato in una misteriosa storia a base di quadri, vecchie abbienti ed omicidi...


Io amo Wes Anderson. Se la felicità è un cucciolo caldo, per me il cucciolo caldo, nel senso di delizioso e confortevole, è un film di Wes Anderson. Come dice uno dei personaggi di Grand Budapest Hotel, "il suo modo di vivere forse era fuori dal tempo già allora" e lo stesso vale per le creature di questo meraviglioso regista che riesce, con una grazia e una delicatezza incredibili, a prendere lo spettatore e trascinarlo in un mondo atemporale, fatto di vezzi, immagini, icone e regole che solo lui è in grado di gestire e far apprezzare. L'universo di Anderson è un piccolo universo di bomboniera, grottesco, dove personaggi tanto carini ed eleganti quanto folli e pieni di tic e manie turbinano in una girandola di eventi solo appartentemente leggerini e sciocchi (la pellicola è ispirata alle opere dello scrittore austriaco Stefan Zweig, perseguitato ed osteggiato dai nazisti), incantando chi è tanto fortunato da dar loro la chance di esibirsi e mettere in scena le loro strampalate vicende. La solitudine, l'eccentricità portata all'eccesso, quelle incredibili capacità che rendono superiori ma non felici, vite e avventure da favola, la morte o la repressione sempre lì a sogghignare dietro un angolo aspettando furtive il momento di fare la loro mossa, sono tutti elementi tipici della poetica di Anderson e, in Grand Budapest Hotel, si mescolano ad una specie di commedia "gialla" che, se fosse stata girata 50 anni fa, avrebbe visto probabilmente Peter Sellers come unico mattatore. Scendere nei dettagli della trama sarebbe un delitto, bisogna solo lasciarsi trasportare dalle assurdità e dall'arguzia che il regista mette su schermo, dai colori, dagli abiti, dalle scenografie, da quell'incredibile commistione di disegni simil-decoupage e riprese dal vivo, da una colonna sonora questa volta poco modaiola ma tremendamente carina.


E poi, ovviamente, gli attori. Io credo che ogni artista degno di questo nome darebbe l'anima per partecipare ad un film di Wes Anderson, perché mi da l'idea che sul set ci si debba divertire come matti e, soprattutto, che lo stimolo intellettuale sia ai massimi livelli. Ma guardatelo lì, quel Ralph Fiennes di solito compassato e serio, come si trova tremendamente a suo agio nei panni del vanitoso, coltissimo concupitore di vecchie: i dialoghi tra lui e Zero o tra lui e il bellissimo, ipnotico Adrien Brody (che si è fatto ampiamente perdonare l'orrida parentesi Byron Deirdra) varrebbero da soli il prezzo del biglietto! E poi Willelm Dafoe, cosa non è, con quella faccia da mastino e gli abiti da SS, mentre si getta in una corsa a perdifiato sugli sci come non si vedeva dai tempi del meraviglioso Per favore, non mordermi sul collo! Per non parlare di tutti gli attori feticcio di Anderson, dosati col contagocce; voi direte "E che due marroni, in tutti i film fa così" e io dico sì, avete ragione ma sentite un po', quando andate nel vostro ristorante preferito non vi va di mangiare quello stesso piatto che tanto adorate anche se lo avete già fatto millemila volte? E' una cosa che mette a proprio agio, è come ritrovare degli amici... è il cucciolo caldo di cui parlavo a inizio paragrafo, no? Poi, ovviamente, ben vengano i ragazzini scafatissimi ed innamorati dell'amore, nuovi arrivi della famiglia Anderson come la bravissima Saoirse Ronan e il co-protagonista Tony Revolori col baffetto disegnato e l'occhio a palla di chi non crede a quel che vede. Un po' come lo spettatore. Che, tra una risata e l'altra, una lacrima di commozione e un pensiero profondo, non può fare a meno di stupirsi ogni volta di questo piccolo, grande universo Andersoniano.


Del regista e co-sceneggiatore Wes Anderson ho già parlato qui. Ralph Fiennes (M. Gustave), F. Murray Abraham (Mr. Moustafa), Adrien Brody (Dmitri), Willelm Dafoe (Jopling), Jeff Goldblum (Kovacs), Harvey Keitel (Ludwig), Jude Law (lo scrittore da giovane), Bill Murray (M. Ivan), Edward Norton (Henckels), Saoirse Ronan (Agatha), Jason Schwartzman (M. Jean), Léa Seydoux (Clotilde), Tilda Swinton (Madame D.), Tom Wilkinson (l'autore), Owen Wilson (M. Chuck), Bob Balaban (M. Martin) e Fisher Stevens (M. Robin) li trovate invece ai rispettivi link.

Mathieu Almaric interpreta Serge X. Francese, ha partecipato a film come Munich, Marie Antoinette, Quantum of Solace, Pollo alle prugne, Cosmopolis e Venere in pelliccia. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 49 anni e quattro film in uscita.


Nonostante il perfetto make up che ha reso Tilda Swinton irriconoscibile, in verità era stata Angela Lansbury a venire scelta per il ruolo; purtroppo, la Signora in giallo era già impegnata sul set della versione teatrale di A spasso con Daisy. Johhny Depp invece sarebbe stato la prima scelta del regista per il ruolo di M. Gustave ma, sinceramente, io preferisco di gran lunga Ralph Fiennes! Se invece aguzzate può essere che riuscirete a scorgere, in mezzo alla sparatoria finale, Mr. George Clooney... Ovviamente, se il film vi fosse piaciuto, non perdetevi Moonrise Kingdom - Una storia d'amore e tutte le altre pellicole di Wes Anderson. ENJOY!

venerdì 22 novembre 2013

Rushmore (1998)

Dopo tutti questi film recenti è bene tornare a parlare di qualche recupero! Oggi tocca al bellissimo Rushmore, diretto nel 1998 dal regista Wes Anderson.


Trama: Max Fisher è uno studente della prestigiosa accademia Rushmore. Purtroppo, con tutte le sue attività extracurricolari e i vari club, i voti di Max sono a dir poco pessimi e il rischio di venire espulso è sempre dietro l’angolo… e le cose peggiorano quando il nostro si innamora di una nuova insegnante, miss Cross. 


Rushmore è il secondo film diretto da Wes Anderson nonché, all'epoca, il mio primo approccio alla poetica del regista. In esso si trovano, in maniera embrionale ma nemmeno poi molto, tutti i temi che sarebbero diventati il fondamento di quasi tutte le pellicole che sarebbero seguite: il protagonista a suo modo geniale ma disadattato, diverso; l'amore sfortunato, impossibile o contrario ad ogni convenzione; il co-protagonista condannato ad una vita banale e triste; il desiderio di sfogare le proprie particolarità in attività assurde o in qualche forma d'arte, spesso e volentieri il teatro; infine, l'incredibile colonna sonora "alternativa" che accompagna ogni singola immagine. Mancano ancora quell'incredibile, affascinante insistenza sul dettaglio vintage o la particolare fotografia satura e ricca di colori, ma Max Fisher con la sua giacchettina e le mise fuori dal tempo è già un passo avanti rispetto a tutti gli altri personaggi che lo affiancano nella pellicola e i siparietti con i giorni della settimana scritti in corsivo o le riprese al ralenti indicano già la dimensione grottesca, teatrale e spesso atemporale in cui verranno immerse tutte le vicende raccontate da Anderson.


La storia di Rushmore, di per sé, è molto semplice e può essere vista come un racconto di formazione. Max all'inizio del film appare molto sicuro di sé e delle sue capacità, ma capiamo benissimo che per il suo futuro vorrebbe di più e che si vergogna delle sue origini umili. La sua enorme fantasia, la sua grande inventiva sono ancora grezze, quelle di un ragazzino, e per essere "controllate" devono venire egoisticamente focalizzate su un obiettivo preciso, prima la Rushmore poi la dolce miss Cross. Come un moccioso viziato e spocchioso, Max non capisce il valore dell'amicizia, si circonda di galoppini e si impegna in attività che, alla fin fine, servono a soddisfare soprattutto il suo ego e lo stesso vale per colui che diventerà il suo antagonista, Herman Blume, un adulto prosciugato da una vita e un matrimonio insoddisfacenti. Entrambi i contendenti vivono ancorati ad un passato che li vede unici protagonisti, così come la giovane miss Cross, tenacemente legata al ricordo del defunto marito; la malinconica amarezza tipica dei film di Anderson si avverte palpabile anche nei momenti più esilaranti del film e avvolge i protagonisti anche sul finale, che chiude la pellicola con una sequenza volutamente ambigua, quasi in medias res.


Ad assecondare le idee di un regista giovane ma già ambizioso ci pensa un gruppo di attori che diventeranno quasi tutti dei feticci di Anderson: Bill Murray è perfetto come sempre nel ruolo di uomo  triste e fiaccato dall'ennui, un perdente dal cuore d'oro ma con poche speranze di migliorare sé stesso o la sua esistenza, mentre l'allora diciottenne ed esordiente Jason Schwartzman ha la perfetta espressione da sfigato con quel qualcosa in più in grado di renderlo attraente e piacevole. Gradevolissimi anche i personaggi di contorno, soprattutto gli esponenti di spicco della varia umanità studentesca che affiancano o ostacolano Max nelle sue imprese, tra i quali il mio preferito è sicuramente l'irlandesaccio Magnus Buchan, con quel suo incredibile e strafottente accento. Insomma, Wes Anderson colpisce ancora: se dovessi trovare un difetto a Rushmore direi che è soltanto la sua natura di opera seconda e ancora immatura, che lo rende inferiore rispetto ai "veri" capolavori del regista ma, preso da solo, è un gioiello che tutti dovrebbero vedere almeno una volta nella vita.


Del regista e co-sceneggiatore Wes Anderson ho già parlato qui. Jason Schwartzman (Max Fisher), Bill Murray (Herman Blume), Olivia Williams (Rosemary Cross), Brian Cox (Nelson Guggenheim) e Luke Wilson (Dr. Peter Flynn) li trovate invece ai rispettivi link.

Seymour Cassel interpreta Bert Fisher. Americano, ha partecipato a film come Dick Tracy, Proposta indecente, Mosche da bar, Animal Factory, I Tenenbaum, Le avventure acquatiche di Steve Zissou e alle serie Ai confini della realtà, BatmanE.R. Medici in prima linea. Anche produttore, ha 78 anni e otto film in uscita.


Mason Gamble interpreta Dirk Calloway. Americano, lo ricordo per film come Dennis la minaccia, Spia e lascia spiare, Gattaca - La porta dell'universo e Arlington Road - L'inganno; inoltre, ha partecipato a serie come E.R. - Medici in prima linea e CSI: Miami. Ha 27 anni.


Nel film, in diversi ruoli, compaiono anche Andrew Wilson, fratello maggiore di Owen (che ha co-sceneggiato la pellicola) e Luke, Eric Chase Anderson, fratello minore del regista, e una diciassettenne Alexis Bledel. Infine, se Rushmore vi fosse piaciuto, consiglio il recupero di Moonrise Kingdom - Una storia d'amore, Il laureato, Napoleon Dynamite, Ghost World, Harold & Maude e L'attimo fuggente. ENJOY!

sabato 21 settembre 2013

Bill Murray Day: I Tenenbaum (2001)

Oggi è il giorno glorioso in cui si festeggia un mito della mia infanzia. Ma che dico, mito? Ammettiamolo, qui si parla tranquillamente di primo amore, dell’uomo più bello del mondo per una bimba di 8/9 anni, di un acchiappafantasmi che riusciva a conquistare la bella Dana con battute pronte e tanta faccia tosta. Sto ovviamente parlando di William James Murray, per gli amici Bill Murray, che oggi compie 63 anni e viene giustamente festeggiato dal solito gruppo di folli blogger. La scelta del film per il Bill Murray Day è caduta così su I Tenenbaum (The Royal Tenenbaums), co-sceneggiato e diretto dal geniale Wes Anderson nel 2001.


Trama: i Tenenbaum sono una benestante famiglia di disadattati dove sono cresciuti tre ex-bambini prodigio. Quando il padre, Royal, annuncia di avere una malattia terminale, i membri della famiglia, pur se riluttanti, sono costretti a riunirsi…


Ormai erano passati più di dieci anni da quando avevo visto I Tenenbaum e, francamente, credo non lo avrei scelto per il Bill Murray Day se avessi ricordato che il festeggiato, povirazzo, si vede davvero poco. Nonostante questo, come al solito, il nostro spicca anche in mezzo ai geniali freaks che popolano i film di Anderson (giovane regista che lo ha eletto, per fortuna di tutti gli spettatori e fan, ad attore feticcio), e ci riesce in virtù di quella faccetta un po’ così, quell’espressione tipica dell’uomo sconfitto dalla vita ma, allo stesso tempo, talmente stralunato ed immerso nell’ennui che forse, di quello che gli accade, gli importa meno di zero. Ne I Tenenbaum Bill interpreta Raleigh St. Clair, marito “anziano” della bella e depressa Margot Tenenbaum nonché scrittore e studioso di disturbi comportamentali. Nella fattispecie, il nostro trascura palesemente la moglie (della quale è comunque innamorato) perché totalmente preso dalle stranezze di un ragazzetto daltonico, chiuso in un mondo tutto suo e dotato di un udito quasi sovraumano. Vederlo affrontare lo studio di questo mostriciattolo con piglio accademico e distaccato, lo stesso che riserva comunque ai propri problemi coniugali (Margot non lo ama, lo tradisce e fondamentalmente è una zoccola della peggior specie ma lui ci rimane male perché in anni di matrimonio non si era mai accorto che la donna fumava), risulta tragicomico e quasi disturbante, come d'altronde tutto il resto della pellicola e dei personaggi che descrive.


I Tenenbaum infatti, oltre a contenere un abbozzo di quello che poi verrà sviluppato nel delizioso Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore (vedi appunto la fuga dei due ragazzini raccontata all’inizio), è forse il film di Anderson dove lo spettatore riesce maggiormente ad empatizzare per gli strani protagonisti e a provare pena per il triste destino che si sono creati con le loro mani. Il mondo della famiglia Tenenbaum è un universo a sé stante che cozza costantemente contro la realtà che circonda i membri della "tribù"; la gente che guarda da fuori la loro vita vede o un branco di pazzoidi da evitare/ incanalare in binari più comprensibili oppure degli eccentrici ricconi da invidiare e solo il personaggio interpretato da Danny Glover cerca, per amore, di comprendere ed accettare tutti i problemi, le stranezze e le fisime dei Tenenbaum e dei loro amici più stretti. Privati delle loro eccentricità, i membri della famiglia del titolo non sono altro che persone disilluse, egoiste, tristi e disagiate, un'accozzaglia di individui incapaci di parlarsi o di capirsi che, paradossalmente, incominceranno il cammino verso la "normalità" proprio a partire da una tragedia... o presunta tale. Al di là della storia, comunque gradevolissima e persino nominata all'Oscar per la miglior sceneggiatura, è però lo stile di Anderson ad essere meraviglioso ed inconfondibile: la storia viene suddivisa in capitoli come se fosse un libro e ognuno di essi è introdotto dal suo corrispettivo cartaceo, ogni personaggio, soprattutto i tre figli, indossano delle mise che riescono sia a caratterizzarli che ad essere stilosissime, il regista introduce qua e là dei tocchi surreali e ipnotizza lo spettatore con una colonna sonora strepitosa e gli attori assecondano in modo perfetto (soprattutto Gene Hackman e Ben Stiller) l'atmosfera vintage e nevrotica della pellicola. In due parole, un capolavoro e un'altra prestigiosa tacca nella filmografia del festeggiato... che è spesso stato ospite graditissimo del Bollalmanacco!


Ghostbusters - Acchiappafantasmi (1984), per la prima volta nei panni di Peter Wenkman, ideale capo carismatico (e cialtrone) del folle gruppetto di acchiappafantasmi!

La piccola bottega degli orrori (1986): sotto le grinfie di un ispirato Steve Martin nei panni del dentista sadico arriva nientemeno che un paziente masochista!!

Ghostbusters II - Acchiappafantasmi II (1989) il ritorno di Peter Wenkman, sempre più affascinante!

Ed Wood (1994) dove Murray interpreta un gaYo collaboratore del regista peggiore del mondo.

Benvenuti a Zombieland (2009): meritato cameo nei panni di se stesso, anche se c'è gente che ANCORA non conosce Bill Murray!!

Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore (2012) dove interpreta un marito e padre ormai sconfitto dalla vita e dalla noia...

A Royal Weekend (2012) dove interpreta nientemeno che Roosevelt, in una performance forse un po' sottotono ma comunque sempre valida!

Ed ecco ora l'elenco degli altri blogger che festeggiano oggi il Bill Murray Day:

Cooking Movies
Director's Cult
Ho voglia di cinema
In Central Perk
Montecristo
Pensieri Cannibali
Recensioni ribelli
Scrivenny 2.0
White Russian

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