Visualizzazione post con etichetta tate taylor. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta tate taylor. Mostra tutti i post

venerdì 21 luglio 2023

Un gelido inverno (2010)

Ho deciso di togliere un po' di polvere alla mia collezione di DVD e uno dei film che non avevo ancora visto né recensito è risultato essere Un gelido inverno (Winter's Bone), diretto e co-sceneggiato nel 2010 dalla regista Debra Granik partendo dal romanzo omonimo di Daniel Woodrell.


Trama: la diciassettenne Ree vive con la madre catatonica e un fratellino e una sorellina molto più piccoli. La loro vita già complicata viene sconvolta dalla notizia che il padre spacciatore è scomparso dopo avere impegnato casa e terreni per pagare la cauzione, quindi Ree è costretta a mettersi a cercarlo affrontando la pericolosa omertà della gente del luogo...


Non ricordo assolutamente perché avessi acquistato Un gelido inverno, se non per qualche mega offerta credo del Libraccio, ma sono contenta di averlo fatto. Un gelido inverno, infatti, è uno di quei thriller poco eclatanti ma interessantissimi, che giocano interamente di atmosfera e traggono tutta la tensione dalla costruzione certosina dei personaggi e dei rapporti che intercorrono tra loro. Non guasta, inoltre, che il film sia ambientato nella regione dei monti Ozark, in un'America rurale che non viene rappresentata spesso nelle opere di finzione se non quando servono mostri o note di colore in aperto contrasto con la "bontà" di personaggi provenienti da zone più ricche; in Un gelido inverno sono tutti poveracci ignoranti scappati di casa, la protagonista in primis, e non c'è modo di distinguere i buoni dai cattivi in una società fatta solo di zone grigie, dove la gente si arrabatta come può per sopravvivere. Ree questo lo sa bene e lei stessa cerca di garantire la sopravvivenza (e una vita per quanto possibile sana e dignitosa) sua e dei fratellini a fronte di una madre malata e di un padre spacciatore, scomparso dopo che qualcuno ha pagato la cauzione per farlo uscire di prigione. In una realtà di vicini e mezzi parenti impegnati in ogni genere di attività illegale, che si prodigano per fornire viveri e a volte anche soldi a Ree e alla sua famiglia, la protagonista arriva a scontrarsi con un'inaspettata omertà proprio nel momento in cui si ritrova ad aver bisogno di rintracciare il padre, pena la perdita di casa e terreni. Il duro rifiuto di queste persone pericolose e schive non scoraggia però Ree che, come "il cane che scava cercando un osso d'inverno" (da qui il titolo originale) si arma di testardaggine e coinvolge lo spettatore in una difficile indagine scandita dalla disperazione di vedere i giorni passare e le opzioni assottigliarsi, così come le speranze di ritrovare Jessup, con l'aggravante di trovarsi davanti dei muri sempre più invalicabili e persino il rischio di perdere la vita a causa di una parola di troppo detta alla persona sbagliata.


La regia di Debra Granik ripropone in toto questo mondo gelido e duro, spesso squallido, attraverso inquadrature prive di fronzoli e degne di un western, perché di fatto Ree è un'eroina solitaria suo malgrado, costretta a duellare con gente infida e imbruttita dalla vita, spesso ai margini di una legge ambigua; anche la fotografia rispecchia alla perfezione il grigiore degli abitanti degli Ozark e il loro legame con la natura difficile dell'ambiente che li circonda, tra tocchi di marrone e verde cupo che richiamano i boschi, le paludi e le montagne in cui Jessup potrebbe nascondersi. Nonostante questa messa in scena non proprio accattivante, l'attenzione dello spettatore viene tenuta desta da dialoghi taglienti, personaggi ben scritti e, soprattutto dagli attori che sfruttano gli ampi silenzi per veicolare più di mille parole. Jennifer Lawrence, che come sapete non è una delle mie attrici preferite, qui offre un'interpretazione giustamente nominata agli Oscar (purtroppo per lei quell'anno c'era la Portman de Il Cigno Nero a regnare incontrastata, impossibile reggere il confronto) e fa di Ree un personaggio fragile ma determinato, riuscendo intelligentemente a non infonderle un'ingannevole aura di superiorità rispetto agli altri; Ree è consapevole di non essere speciale né destinata a un futuro diverso da quello che attende le sue coetanee, ma la vena di durezza che la contraddistingue le consente di mantenersi perlomeno ferma nel proposito di non prendere la via dell'illegalità come il padre e consapevole dell'esistenza di certe regole da rispettare anche all'interno del mondo della criminalità, se non altro per evitare che ci rimetta la sua famiglia. Anche il cast di supporto, tra l'altro composto per buona parte da originari del Missouri senza alcuna esperienza pregressa, offre delle interpretazioni ottime, in primis John Hawkes nei panni del complesso Teardrop ma anche una favolosa Dale Dickey, impegnata in una delle scene più "forti" e stomachevoli della pellicola. Nel complesso, dunque, un film da non perdere. Non aspettate tredici anni come ho fatto io per vederlo, mi raccomando!


Di Jennifer Lawrence (Ree), John Hawkes (Teardrop), Garret Dillahunt (Sceriffo Baskin), Dale Dickey (Merab), Sheryl Lee (April) e Tate Taylor (Mike Satterfield) ho già parlato ai rispettivi link.

Debra Granik è la regista e co-sceneggiatrice del film. Americana, ha diretto film come Down to the Bone e Senza lasciare traccia. Anche direttrice della fotografia, montatrice e produttrice, ha 60 anni. 


Nel 2011 il film è stato candidato a ben quattro premi Oscar, senza vincerne nemmeno uno: Miglior Film (vinse Il discorso del re), Jennifer Lawrence Miglior Attrice Protagonista (vinse Natalie Portman per Il cigno nero), John Hawkes Miglior Attore Non Protagonista (vinse Christian Bale per The Fighter) e Miglior Sceneggiatura Non Originale (vinse The Social Network). ENJOY!





domenica 6 ottobre 2019

Ma (2019)

C'è voluto del bello e del buono ma alla fine sono riuscita a recuperare Ma, diretto dal regista Tate Taylor.


Trama: un gruppo di minorenni in cerca di un adulto che possa comprare loro dell'alcool si imbatte in Sue Ann, infermiera in una clinica veterinaria che prima accetta di aiutare i ragazzi e poi arriva persino a offrire a loro e agli altri giovani della cittadina la propria cantina come locale dove sballarsi e fare feste. Insomma, l'adulto ideale, se non fosse che Sue Ann, detta "Ma", nasconde inconfessabili segreti...



Sapevate che la parola "Ma" in giapponese indica uno spirito maligno? E sapevate che, effettivamente, l'unica parola pronunciata dal Bolluomo alla fine del film di Tate Taylor è stata proprio "ma...?" e ammetto di non essermela sentita di chiedergliene il significato? Questo per dire che la protagonista di Ma può essere davvero assimilabile a un demone vendicativo, o a una megera di quelle sdoganate con l'apprezzatissimo filone della hagsploitation, anche se giudicare la bravissima Octavia Spencer già pronta per questo genere di pellicole significherebbe farle un torto, ché di solito parliamo di attrici che hanno superato abbondantemente i 50/60 anni e non solo santa Octavia è ancora nella quarantina ma meriterebbe millemila film da protagonista, altro che "carriera da rilanciare con ruoli ad hoc". Val la pena, in effetti, guardare Ma anche solo per l'interpretazione della Spencer, che si carica sulle spalle un personaggio cattivo, strano, persino un pochino repellente a tratti, che tuttavia nasconde dentro di sé mille e uno motivi validi per essere così, motivi che vengono rivelati a poco a poco nel corso della pellicola. E se è vero che Ma è palesemente scentrata, non proprio sanissima di mente, talmente traumatizzata dal passato da diventare una moderna Piper Laurie, è anche vero che, salvo la protagonista e forse il fidanzatino, il desiderio di vedere morti male gli altri tre cretini che passano le loro giornate ad ubriacarsi e che trattano fin da subito Sue Ann con accondiscendenza, sopportazione e infine infinita maleducazione è assolutamente condivisibile (la biondina col cellulare sempre in mano, che ricopre di insulti Ma su INSTAGRAM, per il Signore, e poi si presenta nello scantinato con una faccia come il culo, è l'emblema della gioventù cretina di oggi e meriterebbe di subire ogni tortura possibile e immaginabile).


Da qui, ammettiamolo pure, il "ma...?" pronunciato da Mirco, sul quale non ho domandato lumi ma di cui ho comunque capito il senso. Ma, in effetti, ha molte potenzialità che non vengono sfruttate appieno, in primis tutta la frustrazione che potrebbe sfogare Sue Ann dopo un rancore coltivato per decenni (SPOILER qualcuno si becca una coltellata, alla mocciosa bionda viene cucita letteralmente la bocca, ma il ragazzetto di colore si ritrova solo con la faccia dipinta di bianco, e io che, ingenuamente, speravo fosse calce viva... FINE SPOILER), frustrazione che, per altro, viene indirizzata talvolta a casaccio (SPOILER ma trucida pure i tuoi idioti ex compagni di scuola e i loro figli, però gli altri che c'entrano? Sì, sono odiosi, però... FINE SPOILER). Salvo un paio di momenti gore, Ma è un film molto trattenuto, realizzato per un pubblico di adolescenti che probabilmente non hanno apprezzato il modo in cui la trama tende spesso a scavare nella psiche di Sue Ann e che, altrettanto probabilmente, saranno scoppiati a ridere alla rivelazione del suo terribile segreto; meno accattivante di uno slasher tout court e delle case stregate sempre sdoganate da Jason Blum, di fatto Ma non ha avuto successo né in Italia (è stato distribuito veramente col culo) e nemmeno nella madre patria, soprattutto se confrontato ad altre pellicole prodotte dalla Blum House. A mio avviso è un peccato, perché Ma non è peggiore di molti altri horror/thriller che arrivano periodicamente nelle nostre sale e che vengono osannati a sproposito. Innanzitutto ha un cast adulto di tutto rispetto (non chiedetemi perché ma ho un debole per Missi Pyle ma poi ci sono anche Luke Evans e Juliette Lewis!) e un'ottima protagonista adolescente, inoltre è incredibilmente ironico, soprattutto grazie alla colonna sonora, e avvince lo spettatore dall'inizio alla fine, scodellando almeno un twist interessante e inaspettato. In due parole, alla faccia delle critiche che gli sono piovute addosso da ogni dove e del "ma...?" mirchiano, Ma merita almeno una visione.


Del regista Tate Taylor, che interpreta anche l'agente Grainger, ho già parlato QUI. Octavia Spencer (Sue Ann), Juliette Lewis (Erica), Luke Evans (Ben), Missi Pyle (Mercedes) e Allison Janney (Dottor Brooks) li trovate invece ai rispettivi link.

Diana Silvers interpreta Maggie. Americana, ha partecipato a film come Glass e a serie come Into the Dark. Ha 22 anni e un film in uscita.


Dominic Burgess interpreta Stu. Inglese, ha partecipato a film come Batman Begins e a serie quali Agents of S.H.I.E.L.D., Feud, Supernatural, American Horror Story e Santa Clarita Diet. Anche sceneggiatore, regista e produttore, ha 37 anni e tre film in uscita.




venerdì 11 novembre 2016

La ragazza del treno (2016)

Approfittando del cinema a 2 euro, mercoledì scorso sono andata a vedere La ragazza del treno (The Girl on the Train), diretto dal regista Tate Taylor e tratto dal romanzo omonimo di Paula Hawkins.


Trama: Rachel, donna con gravi problemi legati all'alcool, percorre tutti i giorni col treno la stessa tratta e comincia ad interessarsi alla vita di Megan, una ragazza che vive col marito nei pressi di una delle fermate e la cui casa è perfettamente visibile dalla carrozza dove siede Rachel. Un giorno però Megan scompare e Rachel viene coinvolta nelle complicate indagini...


Come al solito, sono arrivata al cinema completamente digiuna dal romanzo da cui è stato tratto La ragazza del treno, anche perché io i "casi editoriali" tendo un po' ad evitarli. Il risultato, probabilmente, è stato quello di essermi goduta il film più di tante altre persone che lo hanno stroncato, sottolineando come fosse solo la bravura della Blunt a risollevare le sorti della pellicola. Premesso di essere concorde con l'ultimo punto delle critiche, Emily Blunt è mostruosa e varrebbe la pena di guardare il film anche solo per lei, dal mio punto di vista La ragazza del treno è lo stesso un thriller godibilissimo, magari senza particolari aspetti degni di nota ma comunque l'ideale per intrattenersi la sera con un whodunnit che regge almeno fino alla fine del primo tempo (al netto di ragionamenti arzigogolati della sottoscritta, che hanno fatto ridere la mia collega che aveva già letto il libro, diciamo che ho picchiato abbastanza vicino alla soluzione del caso, una volta riportati i piedi per terra) e che richiede comunque un minimo di attenzione in più da parte dello spettatore. La struttura de La ragazza del treno è idealmente suddivisa in tre “capitoli” introduttivi, ognuno dedicato ad uno dei personaggi femminili, e in alcuni flashback aventi luogo in tempi diversi rispetto all’avvenimento che è il motore di tutta la vicenda, ovvero la scomparsa di Megan; buona parte della storia viene filtrata attraverso gli occhi e la memoria spezzata dell'alcolista Rachel, fatta di incertezze e lacune, quindi la bellezza del film (e del romanzo) sta proprio nell'impegno che deve mettere lo spettatore nel ricostruire la storia e comprendere tutti i segreti che in qualche modo legano i personaggi, anche quelli che apparentemente non c'entrano nulla l'uno con l'altro. Nonostante tutto l'interesse che ha suscitato in me la parte "gialla" della vicenda, devo però dare ragione ai critici più implacabili e ammettere che ciò che sta intorno alla scomparsa di Megan è ben poca cosa, e che non solo le motivazioni dei singoli individui implicati sono una più risibile dell'altra, ma anche la risoluzione finale dell'intreccio è tirata per i capelli tanto quanto ciò che veniamo a scoprire sul passato di Rachel e persino di Megan (anzi, soprattutto di Megan. Non voglio fare spoiler ma, diamine, credo di avere assistito alla disgrazia più fasulla ed improbabile della storia della fiction). Non avendo letto il libro, come ho detto, non posso dare interamente la colpa agli sceneggiatori della pellicola, sta di fatto che se già di suo il romanzo di Paula Hawkins presenta un branco di personaggi con i quali non si riesce a provare la minima empatia, è naturale che il film non piaccia a chi magari si aspettava qualcosa di più.


Parlando della versione cinematografica, Rachel, Megan e Anna sono infatti tre pittime della peggior specie. Rachel, poveraccia, è la meno peggio perché comunque viene tratteggiata come una donna alla quale la natura ha negato la possibilità di avere figli, cosa che l'ha portata all'alcolismo e al conseguente divorzio da Tom e, sarà per la già citata bravura della Blunt, non si riesce a volerle troppo male, neppure quando la sua natura si rivela, in sostanza, quella di una persona che necessita di sentirsi parte di "qualcosa", qualunque cosa essa sia. Fosse anche un casino nato dalla volontà di non farsi i fatti propri, per dire. Anna, la nuova moglie di Tom, è invece il nulla fatto a personaggio, meritevole di tutti gli schiaffi del mondo, innanzitutto perché usa la figlia come scusa per non fare una cippa, né in casa né fuori, e in sostanza passa il tempo a dormire e covare rancore verso chiunque. Ma muovere un po' il culo ti pare brutto? Per la cronaca, uno dei responsabili di quel finale un po' MEH è proprio lei, la quale molto probabilmente viene chiamata confidenzialmente Aquila o Volpe da amici e parenti. Megan, infine, è il terzo ma non per questo ultimo elemento di questo ensemble di tristezza femminile, un personaggio che ha meritato la mia stima solo quando ha scelto di mandare al diavolo Anna, per la quale faceva la babysitter consentendole non tanto di lavorare, quanto di "schiacciar patate e fare volontariato". Per il resto, Megan è la tipica "sgnaccamaroni" (se avete letto Il grande Magazzi di Leo Ortolani capirete di cosa parlo, in caso contrario pentitevi e comprate subito quella perla) impegnata a vivere il suo ruolo di bella e maledetta, di spleen con la patata, di tizia scazzata che non può fare un passo senza che il marito le tiri giù le mutande e la copuli, a prescindere che lei stia cucinando la bagna cauda o stia facendo jogging, condizione disagiata per la quale ella, ovviamente, soffre tantissimo, tanto da doverla dare a tutti per cambiare un po'. Non aiuta il fatto che Haley Bennett in questo film sia la fotocopia vivente di Jennifer Lawrence, attrice per la quale non nutro proprio una passione sviscerata, quindi forse i miei giudizi sul personaggio sono stati condizionati da questa somiglianza, ma giuro che sono pochi i film nei quali mi sono ritrovata così poco coinvolta a livello empatico da tre tipologie di donna che, con un po' di impegno in più, avrebbero potuto dire e dare moltissimo. A parte queste personalissime considerazioni, se avete voglia di guardare un thriller con risvolti psicologici capace di tenere desta l'attenzione fino all'ultimo e non avete grandi pretese autoriali, una chance a La ragazza del treno io la darei.


Del regista Tate Taylor ho già parlato QUI. Emily Blunt (Rachel), Haley Bennett (Megan), Justin Theroux (Tom), Luke Evans (Scott), Edgar Ramírez (Dr. Kamal Abdic) e Allison Janney (Detective Riley) li trovate invece ai rispettivi link.

Rebecca Ferguson interpreta Anna. Svedese, ha partecipato a film come Mission: Impossible - Rogue Nation e l'imminente Florence Foster Jenkins. Ha 33 anni e cinque film in uscita.


Lisa Kudrow interpreta Martha. Indimenticabile Phoebe della serie Friends, ha partecipato a film come Terapia e pallottole, Il dottor Dolittle 2, Un boss sotto stress e altre serie quali Hercules e Innamorati pazzi; come doppiatrice, ha partecipato a serie come I Simpson, American Dad! e Bojack Horseman. Anche sceneggiatrice e produttrice, ha 53 anni e due film in uscita.


Laura Prepon, che interpreta Kathy, è stata un elemento importante del cast di That's 70's Show e Orange is the New Black mentre Jared Leto e Chris Evans hanno rinunciato rispettivamente ai ruoli di Scott e Tom perché impegnati con altri film. Detto questo, se La ragazza del treno vi fosse piaciuto recuperate L'amore bugiardo - Gone Girl. ENJOY!

giovedì 26 gennaio 2012

The Help (2011)

Dopo la mezza delusione de La talpa, ieri sera sono andata a vedere The Help, diretto dal regista Tate Taylor e tratto dall’omonimo romanzo di Kathryn Stockett, altro film da cui mi aspettavo tantissimo. E questa volta è stato all’altezza delle aspettative!


Trama: Mississippi, primi anni ’60. L’altoborghese Skeeter, spinta dal desiderio di diventare una scrittrice famosa, decide di raccogliere le testimonianze delle cameriere “negre” sfruttate e ghettizzate dalla popolazione bianca del piccolo paesino in cui è nata. Sarà uno scandalo, ancor prima che un successo.


"Tu sei brava. Tu sei carina. Tu sei importante". Quanta meravigliosa dolcezza racchiusa in questo mantra che la cameriera di colore Aibileen ripete alla piccola, biondissima Mae Moblin, per farle e farsi coraggio. Mi viene un groppo in gola ancora adesso. Lo sapevo, infatti, che The Help sarebbe stato uno di quei film che avrei adorato. Innanzitutto, l’ho amato per come affronta con leggerezza un tema difficile e sconcertante come la segregazione razziale, inserendolo ovviamente in un contesto reale e storicamente ben definito, senza scadere nella farsa o nel patetismo. Lo fa grazie ad una sceneggiatura solidissima, che alterna momenti di pura ilarità ad altri di enorme commozione, senza ricorrere al binomio “bianchi cattivi e neri buoni”ma, anzi, confondendo un po’ le carte man mano che il film prosegue. E l’ho amato, ovviamente, per l’assoluta bellezza dei costumi e delle scenografie, degno complemento di interpreti praticamente perfetti, mai sopra le righe o caricaturali.


Non avendo mai letto il romanzo (che però è lì che aspetta sul comodino, speriamo di riuscire a cominciarlo entro la fine della settimana prossima) non posso ovviamente fare confronti con l’opera scritta, ma a prescindere questo The Help è splendido anche preso come film a sé stante. E’ impossibile infatti non affezionarsi a questi testardi, coraggiosi e umanissimi personaggi o non farsi prendere dalla vicenda raccontata. Innanzitutto, la giovane che da inizio a tutta la vicenda, Skeeter, non è affatto una superdonna o chissà quale colta attivista per i diritti dei neri, ma semplicemente una “diversa”, prigioniera di uno stato, di un paesino e di una famiglia dalle vedute assai ristrette, se non addirittura pericolosamente ingiuste. Certo, la sua situazione è ovviamente migliore rispetto a quella delle cameriere (o forse sarebbe meglio dire schiave) Abileen e Minny, ma anche lei è comunque “ghettizzata” in quanto ha preferito andare all’università piuttosto che sposarsi e avere figli come tutte le sue coetanee, capitanate e plagiate dall’”algida stronza”* Hilly (una Bryce Dallas Howards semplicemente fantastica!). La ribellione agli usi e costumi del paesino parte da lei e, come un incendio lento ma costante, si propaga attraverso tutta la comunità nera fino a toccare anche la seconda outsider bianca del luogo, l’apparentemente vanesia Celia, tenuta fuori dal gruppo di signore bene perché rea di avere rubato il fidanzato ad Hilly e di non averci fatto nemmeno un figlio insieme.


Man mano che il film prosegue e davanti ai nostri occhi si alternano momenti esilaranti (la scena dei cessi abbandonati nel cortile di Hilly o l’ormai famigerato “eat my shit” della geniale Minny), drammatici (la fuga di Aibileen dopo l’omicidio del ragazzo di colore da parte del Ku Klux Klan) o profondamente commoventi (quando Aibileen racconta del figlio, quando Celia, in una splendida sequenza ambientata in giardino, rivela allo spettatore il suo triste segreto, per non parlare dello straziante addio tra Aibileen e la meravigliosa, paffutissima, dolcissima Mae Mobley) il libro che da il titolo al film, The Help, prende forma e le storie passate si mescolano a quelle presenti, facendoci a poco a poco scoprire la vera natura dei personaggi, anche di quelli che apparentemente hanno un solo volto o appaiono poco importanti per l'economia della vicenda. Il regista mescola con naturalezza il presente a pochi, mirati flashback che aiutano a capire da cosa derivino la scelta di Skeeter, il suo rapporto con la madre e la particolare tolleranza ed apertura mentale della ragazza, arricchendo la pellicola con altri momenti a dir poco emozionanti e diretti con una sensibilità e un'attenzione invidiabili.


E dopo tutto quello che ho scritto, la cosa più importante, quella che mi ha fatto amare ancora di più The Help, è stata la coraggiosa scelta di optare per un happy ending dal sapore molto amaro, dove la maggior parte delle situazioni si chiudono felicemente, ma non per tutti e non completamente. Come a dire che non basta solo un libro per cambiare le cose, perché l'ignoranza e la stupidità sono dure a morire. Ma l'importante è che riesca a fare soffiare il vento della libertà e a tener viva la speranza. Al momento, la mia sarebbe quella di vedere Viola Davis, Jessica Chastain oppure Octavia Spencer con l'ambito Oscar tra le mani, visto che con tutti i pesi massimi candidati come miglior film sarebbe improbabile (e anche un po' ingiusto in effetti) che The Help vincesse il premio. Aspettiamo e vediamo, dunque. Ma voi non aspettate e fiondatevi al cinema a guardare questa piccola, preziosissima perla.


Di Emma Stone (Skeeter), Bryce Dallas Howard (Hilly), Jessica Chastain (Celia), Sissy Spacek (Missus Walters), Mike Vogel (Johnny) ho già parlato nei rispettivi link.

Tate Taylor è il regista e sceneggiatore della pellicola. Nato nello stato del Mississippi, amico della scrittrice Kathryn Stockett, è al suo terzo film. Anche attore e produttore, dovrebbe avere sui 40 anni.


Viola Davis interpreta Aibileen. Americana, ha partecipato a film come Out of Sight, Traffic, Lontano dal paradiso, Syriana, World Trade Center, Il dubbio (che le è valso la nomination all’Oscar come miglior attrice non protagonista) e Innocenti bugie, oltre a serie come NYPD, CSI e Senza traccia. Anche produttrice, ha 47 anni e due film in uscita, tra cui Molto forte, incredibilmente vicino.


Octavia Spencer interpreta Minny. Americana, ha partecipato a film come Mai stata baciata, Essere John Malkovich, Spider - Man, Babbo bastardo, Drag Me to Hell, Halloween II e a serie come E.R. medici in prima linea, Roswell, X - Files, Malcom, Dharma & Greg, NYPD, CSI: NY, Medium, Ugly Betty, CSI e Dollhouse. Anche regista, sceneggiatrice e produttrice, ha 40 anni e tre film in uscita.


Allison Janney interpreta la madre di Skeeter, Charlotte. Americana, ha partecipato a film come Wolf - La belva è fuori, Tempesta di ghiaccio, Sei giorni sette notti, 10 cose che odio di te, American Beauty, The Hours, doppiato un personaggio di Alla ricerca di Nemo oltre ad alcuni episodi de I Griffin e Phineas and Ferb, infine ha partecipato alle serie Weeds, Due uomini e mezzo e Lost. Ha 53 anni e quattro film in uscita.


Tra gli altri attori coinvolti segnalo Cicely Tyson (Constantine), già apparsa nel bellissimo Pomodori verdi fritti alla fermata del treno e Dana Ivey (Gracie Higginbotham), che interpretava Margaret negli esilaranti film dedicati a La famiglia Addams. ENJOY!!


*copyright: Antro Atomico del Dottor Manhattan

Se vuoi condividere l'articolo

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...