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martedì 24 gennaio 2023

The Pale Blue Eye - I delitti di West Point (2022)

Dopo Antlers, ero molto curiosa di vedere l'ultimo film diretto e sceneggiato da Scott Cooper a partire dal romanzo omonimo di Louis Bayard, The Pale Blue Eye - I delitti di West Point (The Pale Blue Eye), disponibile su Netflix da qualche giorno.


Trama: un investigatore viene ingaggiato per scoprire il colpevole di un efferato delitto commesso all'interno di un'accademia militare. Ad aiutarlo nell'ardua impresa ci penserà un giovane Edgar Allan Poe...



The Pale Blue Eye rientra senza troppi problemi in quel genere di film "solidi", dalla regia classica e sicura, la cui efficacia posa più sulle spalle degli interpreti che della trama e che, probabilmente, in futuro ricorderò per la bellezza delle ambientazioni, perfette per la stagione invernale in quanto fatte di foreste innevate, paesaggi brulli e cimiteri imbiancati. Sinceramente, mi aspettavo qualcosa di più horror, invece dopo l'ottimo e inquietante Antlers il regista Scott Cooper è tornato a tirare il freno e ha scelto di raccontare una detective story dai dettagli macabri e dai vaghi risvolti sovrannaturali, dove i defunti (e la paura della morte) giocano un ruolo fondamentale nel destino dei vivi, facendo sentire la loro influenza anche dall'aldilà. Non a caso, accanto a un anziano (??? Belin ma Christian Bale ha solo 48 anni, nel film ne parlano come se fosse decrepito!!) e ormai disilluso detective spunta, nel ruolo di assistente d'eccezione, un Edgar Allan Poe ancora solo cadetto dell'accademia militare, a mo' di nume tutelare di una trama che mescola generi assai cari allo scrittore di Boston. Tutto nasce da un apparente suicidio che, senza fare troppi spoiler, si rivelerà essere un omicidio con caratteristiche ascrivibili a qualche rituale satanico, e che minaccia di essere solo il primo commesso all'interno di un'accademia militare; l'austera atmosfera dell'istituzione, mantenuta da colonnelli e superiori, fa ovviamente a pugni con la personalità dimessa e "scapestrata" del detective Landor, il quale nel giovane Poe, altrettanto fuori posto, troverà uno spirito affine e un alleato. La trama è dunque un dipanarsi delle investigazioni dei due, che tuttavia si distaccano da quelle dei gialli tornati di moda negli ultimi tempi, perché l'attenzione dello spettatore viene sviata spesso dalle vicende personali dei protagonisti e da altri misteri apparentemente slegati dall'indagine. Inoltre, Landor è dotato di una personalità schiva e cupa e lo spettatore viene tenuto ben distante dalle sue elucubrazioni private, quindi tocca a un'inedito e ciarliero Poe fare la parte dell'entusiasta investigatore che offre dovizia di spiegazioni, mantenendo desta l'attenzione nemmeno si avesse a che fare con un giovane Sherlock Holmes.


Proprio per questo motivo succede una cosa inusuale, ovvero che a Christian Bale venga rubata spesso e volentieri la scena dall'ex Dudley Dursley Harry Melling. Quest'ultimo, con i suoi occhioni giganteschi (ma non sono i pale blue eye del titolo) e l'aspetto dinoccolato e stralunato, interpreta un ottimo Edgar Allan Poe, passando dalla superficiale eccentricità dell'inizio a qualcosa di ben più profondo e sfaccettato, quindi è naturale che spicchi. Bale è, come al solito, molto bravo, purtroppo è il suo personaggio ad essere un po' banale, passatemi il termine, in quanto trattasi dell'ennesimo detective ubriacone dal passato tragico e dalla mente brillante di cui cinema e letteratura sono pieni. Anzi, ad essere onesti tutto l'impianto di The Pale Blue Eye potrebbe rientrare sotto la definizione di "banale" (e gli aspetti esoterici della faccenda sembrano quasi inseriti a forza), non fosse per un piccolo particolare che riesce a cambiare completamente le carte in tavola e a lasciare molto soddisfatti. E poi, come ho scritto sopra, il film gode non solo di un ottimo cast di caratteristi di lusso, ma anche e soprattutto di una regia molto bella, che presta moltissima attenzione agli ambienti, sia interni che esterni. La natura selvaggia che circonda ed isola i protagonisti, con tutte le conseguenze del caso, e gli interni bui, illuminati soltanto da candele e zeppi di ombre inquietanti che sembrano sempre incombere sugli astanti, sono elementi importantissimi del racconto e, in qualche modo, ne accentuano l'atmosfera luttuosa e plumbea. Insomma, The Pale Blue Eye è uno di quei film dal sapore un po' antico, non solo perché è in costume, ma proprio per la deliberata scelta di puntare più sulla raffinatezza della ricostruzione e dell'immagine e sulle atmosfere più che sull'effettiva azione; alcuni potranno non sopportare la natura slow burn dell'opera, a me invece non è affatto dispiaciuta. 


Del regista e co-sceneggiatore Scott Cooper ho già parlato QUI. Christian Bale (Augustus Landor), Harry Melling (Cadetto Edgar Allan Poe), Simon McBurney (Capitano Hitchcock), Timothy Spall (Sovrintedente Thayer), Toby Jones (Dr. Daniel Marquis), Charlotte Gainsbourg (Patsy), Lucy Boynton (Lea Marquis) e Robert Duvall (Jean Pepe) li trovate invece ai rispettivi link.

Gillian Anderson interpreta Mrs. Julia Marquis. Indimenticabile Agente Scully della serie X-Files, la ricordo anche per film come X-Files - Il film, Scherzi del cuore, X-Files - Voglio crederci e altre serie quali Hannibal, American Gods e The Crown; come doppiatrice, ha lavorato in I Simpson, Robot Chicken, Principessa Mononoke e La collina dei papaveri. Americana, anche produttrice, regista, sceneggiatrice e compositrice, ha 55 anni e un film in uscita. 


Se The Pale Blue Eye vi fosse piaciuto recuperate Il nome della rosa, Il mistero di Sleepy Hollow e From Hell - La vera storia di Jack lo squartatore. ENJOY!

venerdì 25 marzo 2022

Spencer (2021)

E' finalmente uscito ieri, dopo mille rinvii causa Covid, Spencer, diretto nel 2021 dal regista Pablo Larraín, film che vede Kristen Stewart candidata come Miglior Attrice Protagonista.


Trama: costretta a passare il Natale a Sandrigham House assieme all'intera Famiglia Reale, Diana si ritrova a mettere in discussione la sua intera esistenza...


Spencer
non è una biografia di Lady Diana, bensì la versione più o meno romanzata della sua decisione di liberarsi dal giogo della Famiglia Reale in generale e di Carlo in particolare. Ambientato nel Natale del 1991 (un anno prima che i problemi matrimoniali dei coniugi reali cominciassero a diventare il pane quotidiano dei tabloid inglesi), Spencer copre un periodo temporale di tre giorni festivi in cui Diana, costretta a recarsi a Sandrigham House, diventa sempre più insofferente alle regole secolari della Famiglia e al protocollo da seguire anche durante quella che, per le persone normali, sarebbe una simpatica riunione familiare a base di regali, abbuffate e allegre tradizioni; fin dalle prime immagini, Diana viene connotata come un piccolo agente di caos da tenere sotto controllo, da allontanare da tutto ciò che potrebbe ricordarle il passato, spiata in ogni istante "per il suo bene", prima ancora che per quello della nazione. Il film abbraccia in toto il punto di vista della protagonista e ciò che viene percepito dallo spettatore è la continua presenza di muri ed ostacoli alla libertà e alla felicità, costruiti da eminenze oscure che si impegnano fino allo spasimo a negare un minimo di ossigeno a un piccolo topolino al quale basterebbero davvero poche briciole di "normalità" per tornare a rinascere come persona e come donna. Questa sensazione di claustrofobia costante e di luoghi "nemici", viene riprodotta da Larraín attraverso riprese soggettive che trasformano Sandrigham House in un incubo labirintico e che contrastano con il rigore di riprese esterne dove l'edificio e i dintorni vengono mostrati in tutta la loro eleganza architettonica e naturale; alcune sequenze ricordano parecchio quelle in cui Danny vaga per l'Overlook Hotel, e a ciò va aggiunta anche la scelta di ricorrere, talvolta, a flashback ed allucinazioni che rappresentano il delirio mentale della Principessa.


Ad accrescere il senso di soffocamento che permea l'intero film, concorre ovviamente la splendida interpretazione di Kristen Stewart, giustamente nominata all'Oscar (sono molto indecisa sul tifo, quest'anno: la Stewart o la Chastain? Chissà!). Diana io la ricordo poco, o meglio, la ricordo bene come icona, ma ricordo ben poco del suo modo di esprimersi e di muoversi, ma chi l'ha ancora bene in mente dice che la Stewart è semplicemente perfetta per quanto riguarda voce, accento e modo di muoversi, e io non stento a crederci; da par mio, ho percepito interamente tutta la fragilità di una donna in procinto di spezzarsi, con ogni fibra del corpo pervasa dal desiderio di scappare via, di sottrarsi al peso enorme che le è stato messo sulle spalle, ma anche la forza di una donna che un tempo era stata "solo" Diana, elegante, felice e libera anche senza l'altisonante titolo di Sua Altezza Reale. Il disperato desiderio di Diana di riappropriarsi della sua identità, come donna e anche madre, trasuda da ogni gesto e da ogni sguardo della Stewart, che a tratti stringe il cuore non solo durante i teneri momenti passati coi figli, ma anche negli scontri sempre più "cruenti" con chi rifiuta di vederla come essere umano e non come titolo, inutile e scostante Carlo in primis. L'intento di Larraín, per quello che mi è parso, non è quello di glorificare Diana né di demonizzare i Windsor, che al limite sembrano sciocchi e ottusi, più che cattivi (il vero cattivo è un altro e ha il volto sempre inquietante di Timothy Spall), bensì quello di raccontare l'ordalia di una persona che cerca di liberarsi dai suoi demoni per raggiungere la luce e la libertà, e l'obiettivo mi sembra sia stato ampiamente raggiunto. Spencer è un film "piccolo", sussurrato, eppure riesce a regalare tantissime emozioni e, nonostante si sappia poi che fine abbia fatto Diana, anche un minimo di speranza. 


Del regista Pablo Larraín ho già parlato QUI. Kristen Stewart (Diana), Timothy Spall (Maggiore Alistar Gregory), Sean Harris (Darren) e Sally Hawkins (Maggie) li trovate ai rispettivi link.


Se Spencer vi fosse piaciuto recuperate Jackie (lo trovate a pochissimo su Chili o Prime Video) e Marie Antoinette (lo trovate su Netflix). ENJOY!

martedì 13 febbraio 2018

The Party (2017)

Nonostante qualche problemino tecnico, ho avuto anch'io la possibilità di guardare The Party, scritto e diretto nel 2017 dalla regista Sally Potter.


Trama: durante una cena fra amici organizzata per festeggiare la sua elezione a primo ministro, Janet si ritrova a dover fare i conti con una miriade di segreti che rischiano di distruggere la sua vita apparentemente perfetta...


Non è passato tantissimo tempo da quando ho guardato il pluripremiato e apprezzatissimo (dagli altri) Perfetti sconosciuti e proprio nei commenti al post in questione l'esperto Giovanni mi aveva consigliato di recuperare The Party, quando sarebbe uscito. Anche nel caso del film di Sally Potter, come in quello di Veronesi, abbiamo un invito a cena che si trasforma nella sagra della cattiveria e delle brutte sorprese ma qui l'atmosfera è parecchio diversa, come si evince fin dal titolo. "The Party" si può infatti intendere come festa ma anche come partito, il fulcro della vita della protagonista Janet, che ad esso ha consacrato la sua esistenza fino a riuscire a diventare Primo Ministro dopo una fulgida carriera. Gli invitati alla festa in suo onore non sono quindi persone semplici ma alti esponenti della società inglese, raffinati, colti e "liberal", ognuno pronto a trasformare una semplice chiacchierata in un confronto di intelletti ben lontano dalle banali preoccupazioni del popolino e per questo ancora più "full of shit" e ridicolo di noi poveri mortali. Accanto alla novella prima ministra abbiamo dunque l'attivista lesbica che dopo una vita di proteste sta vivendo una serena vecchiaia mantenuta da libri e saggi a tema scritti di suo pugno, mentre la giovane compagna (una banalissima cuoca, come sottolineato spesso) fatica a vivere al cospetto di tanta grandezza; abbiamo una cinica e raffinatissima signora accompagnata dall'odiato marito, un life coach autodefinitosi guru; abbiamo il giovane marito della vice di Janet, un parvenu che si occupa di alta finanza e quindi risulta inviso al 90% degli invitati in quanto "triviale"; abbiamo, infine, il marito di Janet, il quale invece di festeggiare con la moglie si ubriaca pesantemente per i motivi che diventeranno la causa scatenante del fallimento della cena. A differenza di film come Perfetti sconosciuti o Cena tra amici l'impressione che si ha fin dall'inizio è che la festa di Janet riunisca forzatamente persone prive di una storia comune alle spalle, conosciutesi giusto perché amiche/colleghe o di Janet o di Bill, e più che di cameratismo o voglia di scherzare si avverte il desiderio di sopraffarsi a vicenda, espresso in una serie di punzecchiature ironiche o false cortesie che gli invitati usano a mo' di scudo così che la loro personale maschera di superiorità e consapevolezza non venga mai scalfita né scoperta.


Immersi in un bianco e nero raffinatissimo che li allontana ancora più dalla bassa società e concentra l'attenzione dello spettatore sugli attori più che sull'ambiente in cui si muovono, i personaggi di The Party sono ognuno emblema di incredibile egoismo ed ipocrisia, troppo occupati a celebrare sé stessi per accorgersi di quello che accade sotto il loro naso e talmente costretti nel loro ruolo da non riuscire a far fronte ad eventuali imprevisti. Emblemi di fredda inglesità, gli ospiti della festa e la loro padrona di casa accolgono le emozioni forti causate da shock e dolore con una sorta di diffidenza che li priva persino della gioia dello sfogo e li spinge a diventare delle bombe ad orologeria che rischiano di fare più danni del dovuto una volta che il meccanismo è innescato; non è un caso che a causare le irreparabili rotture alle quali assistiamo siano due agenti esterni, l'arricchito Tom e qualcosa di infido come la malattia, perché la follia di un sentimento sanguigno e la natura sono gli unici due elementi che i protagonisti non possono controllare, come arriveranno a scoprire tutti a loro spese. Prima ancora di una sceneggiatura e una regia perfette, prive di sbavature, colpiscono gli interpreti di The Party, tutti magistrali, con qualcuno che spicca sugli altri. Timothy Spall per esempio, occhio spento e volto scavato da un bianco e nero impietoso, è un attore grandioso che dovrebbe venire utilizzato un po' più spesso come protagonista principale invece che come caratterista, perché riesce ad entrare nel cuore con poche battute e un'interpretazione tutta fatta di sguardi, silenzi e nervi. Interpretazione opposta la da un'altrettanto stupenda Patricia Clarkson, logorroica e crudele, una raffinatissima "coscienza negativa" pronta ad elargire un insulto creativo a tutti, soprattutto al povero Bruno Ganz che le fa da marito, continuamente colpito dagli strali annoiati della moglie; alla Clarkson è dunque affidato l'umorismo freddo e amaro della pellicola, mentre gli altri personaggi sono tutti ugualmente miserevoli e ridicoli, persino uno apparentemente positivo come la Jinny di Emily Mortimer, ritrovatasi costretta in una situazione probabilmente non proprio desiderata per assecondare i dettami di una moglie importante. Un film come The Party, con la sua aria patinata, i protagonisti antipatici e i dialoghi che talvolta sconfinano anche nel filosofico, potrebbe sembrare uno scoglio a molti spettatori ma (vista anche la brevissima durata) vi invito a guardarlo anche solo per non perdervi il colpo di scena finale più inaspettato dell'anno, che vale da solo il prezzo del biglietto.


Di Timothy Spall (Bill), Kristin Scott Thomas (Janet), Patricia Clarkson (April), Bruno Ganz (Gottfried), Emily Mortimer (Jinny) e Cillian Murphy (Tom) ho già parlato ai rispettivi link.

Sally Potter è la regista e sceneggiatrice del film. Inglese, ha diretto film come Orlando e Lezioni di tango. Anche compositrice, attrice e produttrice, ha 69 anni e film in uscita.


Cherry Jones interpreta Martha. Americana, ha partecipato a film come Erin Brockovich - Forte come la verità, La tempesta perfetta, Signs, The Village, Ocean's Twelve e a serie quali 24, 22.11.63 e Black Mirror. Ha 62 anni e tre film in uscita.


Se il film vi fosse piaciuto recuperate Festen - Festa in famiglia e Cena tra amici. ENJOY!

lunedì 26 maggio 2014

Cannes 2014

Si è concluso sabato il Festival di Cannes, mentre io ero in Irlanda. Arrivo in ritardo come al solito, rammaricandomi di non aver potuto degnamente saltellare alla vista del mio amatissimo Quentin che si mangiava la Croisette assieme ad Uma sia per il ventennale di Pulp Fiction (con proiezione sulla spiaggia!!!) sia per la presentazione della versione restaurata di Per un pugno di dollari. Sarà per l'anno prossimo, mannaggia! Ma gli ambiti premi, che forse è ciò che interessa maggiormente ai veri cinefili, a chi sono andati? ENJOY!

LOVEEE!!
La Palma d'Oro va a Winter Sleep, mattonella turca dalla durata di più di tre ore dove il paesaggio dell'Anatolia si fa protagonista assieme ad una manciata di esseri umani in piena crisi esistenziale. Dirige il turco Nuri Bilge Ceylan, che sento nominare per la prima volta solo oggi, me ne vergogno e mi scuso. Il film dovrebbe uscire in Francia ad agosto, quindi presumo che un'uscita italiana sia poco più che un miraggio lontano. Peccato perché sembrerebbe molto interessante.

Uh l'aMMoro brizzolat... ehm sì, quello al centro ha vinto la Palma d'oro...
Miglior regista è risultato essere l'americano Bennett Miller (che aveva già diretto Capote e Moneyball) con il suo Foxcatcher, una pellicola che racconta la storia vera del campione olimpico di wrestling Mark Schulz e del fratello Dave, trascinati nella tragedia dal filantropo milionario John du Pont. Il film in questione sembra interessantissimo, soprattutto per la presenza di Steve Carell, impegnato in uno di quei ruoli drammatici che, solitamente, risultano perfetti addosso a consumati attori comici come lui. Nei panni dei due sfortunati fratelli troviamo invece Channing Tatum e Mark Ruffalo, altro motivo per vedere Foxcatcher che dovrebbe uscire negli USA a novembre (noi, come minimo, aspetteremo Natale).


Rimanendo su terreni più "conosciuti", il Potteriano Timothy Spall ha vinto il premio come miglior attore per il film Mr. Turner di Mike Leigh, nel quale interpreta nientemeno che il grandissimo pittore William Turner, per inciso uno dei miei preferiti. La tempesta interiore di un grande artista portata su schermo da un altrettanto grande attore, non vedo l'ora di gustarmi la pellicola rigorosamente in lingua originale! In Inghilterra Mr. Turner uscirà il giorno di Ognissanti, un ulteriore motivo per aspettare Halloween con trepidazione!


Come migliore attrice vince invece Julianne Moore, che negli ultimi anni ho rivalutato e privato del titolo di Patata Lessa ma la cui vittoria non mi sta convincendo ad andare a vedere  Maps to the Stars, ultimo film di un David Cronenberg sicuramente ormai sostituito da un doppio malvagio: avendo avuto tra le mani i vermi informi de Il demone sotto la pelle perché non si rende conto che Pattinson è assai meno espressivo di loro? Mah. Ah, comunque la Moore interpreta una sorta di attrice squilibrata perseguitata dallo spettro del successo della madre (sempre attrice), di cui dovrà riprendere il ruolo in un film. Ri-mah. Andare o non andare a vedere Maps to the Stars, stranamente proiettato anche a Savona?

David... perché???
Per concludere questa sconclusionata rassegna Cannesiana, menzione d'onore all'Italia che si porta a casa il Grand Prix della giuria grazie alla regista Alice Rohrwacher e al suo Le meraviglie. Se dico di non conoscere neppure questa autrice nostrana mi defollowate il blog? Nell'incertezza applaudo, poi scappo a nascondermi... ci si risente al prossimo Festival!!

martedì 22 febbraio 2011

Il discorso del Re (2011)

Tutti gli anni arriva la notte degli Oscar e come ogni anno io arrivo alla fatidica data senza aver visto il 90% dei film in concorso. Quest’anno ho deciso di invertire la tendenza, soprattutto dopo aver sentito parlare benissimo de Il discorso del re (The King’s Speech), che nella mia città è stato passato in sordina per un paio di giorni. Il film, diretto dal regista Tom Hooper, è indubbiamente una piccola perla.

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La trama è basata sulla vera storia del re Giorgio VI, padre dell’attuale regina Elisabetta II, salito al trono negli anni della seconda guerra mondiale, dopo l’abdicazione del frivolo fratello. Affetto sin dall’infanzia da un’imbarazzante forma di balbuzie, il re deve fare i conti con i discorsi ufficiali da trasmettere via radio, e cerca così l’aiuto di un logopedista esperto, l’australiano Logue, con il quale intesse una difficile ed importante amicizia…

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Il discorso del re parte da un tema potenzialmente noioso e quasi ridicolo, la storia vera di un re balbuziente, e lo trasforma in un meraviglioso film capace di divertire, far riflettere e anche emozionare. Il “trucco”, se così si può chiamare, è quello di mostrarci un re assolutamente umano ed imperfetto, che soffre del suo difetto e che si sente schiacciato da doveri ed oneri assai difficili da sopportare per un uomo fondamentalmente semplice ed innamorato della sua patria . E il “trucco” funziona ancora di più per l’assoluto realismo con cui viene rappresentato Giorgio VI e la sua relazione con il particolare Logue. Il regista avrebbe potuto scegliere di dare un taglio più “comico” alla vicenda, calcando la mano sulle bizzarrie di Logue che ci vengono mostrate all’inizio; invece Hopper sceglie di focalizzare, e giustamente, l’attenzione su Giorgio VI e sullo strano legame che si crea tra i due, e che cambia quando Bertie, come viene confidenzialmente chiamato il monarca, diventa re. Quest’ultimo non è affatto un uomo simpatico, è complessato, compassato, inevitabilmente tradizionalista e persino diffidente, ciononostante lo spettatore si ritrova a tifare per lui, riconoscendone la fondamentale bontà e mettendosi nei suoi panni, arrivando a “temere” ciò che il regista subdolamente ci mostra con pochi fotogrammi ben mirati: l’occhio rosso e lampeggiante che segnala l’imminente messa in onda della trasmissione radiofonica, lo sguardo austero dei quadri che ritraggono gli antichi re, tradizionalmente fieri e carismatici, l’altro sguardo, quello perplesso e rassegnato, dei sudditi che si trovano davanti questo strano re balbuziente, schiacciato dalla guerra e dal confronto con i grandi del passato. Al momento del discorso finale, credetemi, sono rimasta con il fiato sospeso come non mi succedeva da tempo e sussurravo tra me “Vai, Bertie! Vai, cavolo!!”.

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La maggior parte del merito va soprattutto agli splendidi attori. Colin Firth è perfetto, non ci sono altre parole per descriverlo. Non ho idea di come sia risultato il doppiaggio italiano e, francamente, non lo voglio nemmeno sapere, ma quest’uomo riesce a fare sentire il “click” della gola che si chiude e gli impedisce di parlare, lo sforzo di spremere due parole in croce… a vederlo provavo davvero pena. Non credo sia facile interpretare un personaggio così senza uscire dalle righe e trasformarlo in una macchietta, ma Firth ce la fa, grazie ad un’interpretazione quasi sottotono e modesta che, a tratti, esplode negli scatti d’ira ai quali è soggetto il collerico e frustrato Bertie. A fargli da degna “spalla” ci sono Geoffrey Rush ed Helena Bonham Carter. Se vogliamo parlare di interpretazioni sottotono, per come sono abituata io a vedere questi due grandissimi attori mangiarsi il resto dei personaggi anche quando non sono protagonisti, fa quasi effetto vedere la Bonham Carter trasformata in una robusta e sbrigativa donnina, dolce e pratico sostegno del marito, e Geoffrey Rush nei panni di un pacato e abile specialista, dotato della pazienza di un santo anche quando Bertie perde la calma. Le immagini finali, dove l’aplomb inglese e l’etichetta di Corte trionfano anche davanti alla gioia, all’amicizia e alla gratitudine, sono l’esempio più emblematico di queste tre meravigliose interpretazioni. In due parole, Il discorso del re è un film che sicuramente dovrete faticosamente cercare nei meandri dei cinema d’essai italiani, ma per una volta vale veramente la pena evitare i multisala incompetenti: non ve ne pentirete.

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Parecchi gli attori già nominati nel mio modestissimo blog. Di Colin Firth, che interpreta Giorgio VI, ho già parlato qui; Geoffrey Rush invece, che interpreta Lionel Logue, è stato nominato in questo vecchissimo post. Qua trovate parecchi post dedicati ad Helena Bonham Carter, ormai presenza fissa del Bollalmanacco, che nel film interpreta la Regina madre, moglie del Re Giorgio. Di Derek Jacobi, ossia l’Arcivescovo Lang, ho parlato qui, ed infine Timothy Spall, che per una volta recita nei panni di un personaggio “buono”, Winston Churchill (personaggio che ha anche “doppiato” in un cartone animato inedito in Italia, Jackboots on Whitehall, del 2010), lo trovate qui.

Tom Hooper è il regista del film. Ammetto che Il discorso del re è l’unico film che io abbia mai sentito nominare di questo regista inglese, che si è fatto le ossa soprattutto in serie televisive. Anche sceneggiatore e produttore, ha 39 anni.

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Michael Gambon interpreta il re Giorgio V. Attualmente sicuramente meglio conosciuto per il suo ruolo di Albus Silente a partire da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban (il terzo episodio della serie, prima ad interpretare il preside di Hogwards era Richard Harris), lo ricordo per altri film come Toys – Giocattoli, Mary Reilly, Il mistero di Sleepy Hollow, Gosford Park, Le avventure acquatiche di Steve Zissou, Harry Potter e il calice di fuoco, The Omen, Harry Potter e l’Ordine della Fenice, Harry Potter e il principe mezzosangue e Harry Potter e i doni della morte. Ha lavorato anche per la tv, in serie come Maigret, lo splendido Angels in America e Doctor Who. Irlandese, ha 71 anni e quattro film in uscita, tra cui, la seconda parte di Harry Potter e i doni della morte.

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Guy Pearce interpreta Edoardo VIII. Originario dell’Inghilterra ma naturalizzato Australiano (lo si può capire dalle partecipazioni alle “mitiche” soap della terra dei canguri, ovvero Home and Away  e Neighbours), lo ricordo per film come Priscilla la regina del deserto, il bellissimo L.A. Confidential e l’altrettanto bello L’insaziabile. Ha 44 anni e sei film in uscita.

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Il discorso del re ha ottenuto ben 12 nomination agli Oscar di quest’anno, tra cui le più importanti: miglior film, miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista (Geoffrey Rush), migliore attrice non protagonista (Helena Bonham Carter), miglior regia, miglior sceneggiatura. Inutile dire che spero si porti a casa almeno uno di questi premi principali e che tifo spudoratamente per Colin Firth, mentre come miglior film mi andrebbe bene anche se vincesse il bellissimo Inception. Shame (nel senso di scemo…) on Paul Bettany, a cui era stato offerto il ruolo del protagonista e lo ha rifiutato. Immagino che ora si starà mangiando le mani, ma sono affari suoi. Nota di merito invece allo sceneggiatore del film, David Seidler, che ha rispettato il desiderio della Regina Madre e ha scritto la sceneggiatura dopo la sua morte, per non risvegliare in lei ricordi troppo dolorosi. E ora vi lascio al trailer originale... ascoltate bene, prima ancora di vedere!! ENJOY!

martedì 30 novembre 2010

Harry Potter e i Doni della Morte - parte 1 (2010)

E’ cominciata qualche giorno fa, almeno per me, la lunga attesa che si protrarrà fino a giugno/luglio 2011, periodo in cui uscirà la seconda e ultima parte di Harry Potter e i Doni della Morte (Harry Potter and the Deathly Hallows), diretto da David Yates. Se il buongiorno si vede dal mattino posso ben sperare, visto che finora questo è il film della saga che mi è piaciuto di più, anche se ovviamente il libro è molto superiore.

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Trama: dopo la morte di Silente il mondo della magia è nel caos. Mentre Voldemort prende il potere, sia in Inghilterra che a Hogwarts, Harry, Ron ed Hermione partono alla ricerca degli Horcrux, oggetti incantati nei quali Colui che non deve essere nominato ha nascosto pezzi della sua anima. Il compito, ovviamente, è molto meno facile di quanto si aspettassero…

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Dopo anni passati a vedere gli splendidi libri della Rowling sacrificati in due ore e passa di film, penalizzati da tagli, approssimazioni, buchi e quant’altro, finalmente all’ultimo romanzo viene dato il trattamento che merita e si è deciso di dividerlo in due film parecchio lunghetti e pregni di indizi, rimandi ai precedenti, momenti di approfondimento e quant’altro. Per chi, come me, rasenta il fascismo quando si tratta di adattamenti cinematografici, una cosa simile è una manna dal cielo, ma nonostante questo, credetemi, avrò qualcosa per cui lamentarmi, più o meno verso la fine del post. Per ora, parliamo delle (molte) cose positive: innanzitutto, complimenti agli sceneggiatori, al regista, agli scenografi e ai costumisti perché questo Harry Potter e i Doni della Morte è curatissimo soprattutto nei dettagli. Nonostante manchino gli ambienti grandiosi e fantastici tipici dei film precedenti, come la Gringott o Hogwarts, il senso di meraviglia viene mantenuto vivo innanzitutto dagli spettacolari paesaggi che vengono utilizzati come sfondo per i vari spostamenti del trio durante la ricerca degli Horcrux, dai pochi ma degnissimi inseguimenti e scontri a base di incantesimi, dalle stilosissime mise che indossano i protagonisti e, soprattutto, dai piccoli gesti che, più di qualsiasi dialogo, mostrano allo spettatore i legami di amicizia o amore che legano i vari personaggi: commovente l’inizio con Hermione che cancella sé stessa dalla mente dei genitori, da vera wakka wakka il gesto di Ginny che, a schiena nuda, chiede a Harry di tirarle su la zip dell’abito, stupendo il faccione rapito di Ron che contempla Hermione impegnata ad insegnargli a suonare Fur Elise al pianoforte, molto carina la scena in cui Harry cerca di tirare su il morale ad Hermione facendola ballare (anche se il tutto risulta un barbatrucco per trarre in inganno gli sprovveduti che, non avendo letto i libri, potevano pensare ad una liaison tra i due…); ma quello che ho amato di più, oltre al bellissimo cartone animato che racconta la storia dei Doni della Morte (esemplare, quasi più bello dello stesso film e con un impatto grafico che mi ricordava tantissimo le Totentanzen e, per estensione, Il settimo sigillo), è come il regime di Voldemort influenzi il ministero, che si trasforma in una fabbrica di pamphlet anti-babbani in perfetto stile stalinista pattugliata da camicie nere e decorata da statue che rappresentano Babbani schiacciati dalla potenza dei maghi.

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Nonostante questa quasi perfezione, però, ho provato uno strano senso di “fretta”, di mancanza di sentimento (il che è paradossale, visto quello che ho scritto prima). Gli sceneggiatori, molto intelligentemente, hanno gettato qualche spiegazione che rammentasse gli eventi passati, hanno snellito qualche punto che nel libro era troppo lungo e ripetitivo e hanno ovviamente eliminato parecchi utilizzi della Pozione Polisucco, che ci avrebbero fatto assistere ad un film praticamente privo degli attori principali, però a tratti mi è sembrato di trovarmi davanti un film a microepisodi il cui unico scopo è esaurirsi puntando al finale necessariamente sospeso. Un’altra cosa che mi ha fatta storcere il naso è l’assoluta assenza di un elemento fondamentale come il Mantello dell’Invisibilità e che, nonostante l’abbondanza di episodi particolarmente significativi dal punto di vista “psicologico”, ci si sia dimenticati di far recuperare ad Harry l’occhio di Moody, incastonato nella porta dell’ufficio della Umbridge, e soprattutto che non si sia fatta menzione della foto strappata nella camera di Sirius; questo mi fa temere che nel secondo episodio si sorvolerà parecchio sulla vita di Piton, il che mi fa notevolmente irritare. Cerchiamo di non pensarci, e di apprezzare quello che abbiamo. Per fortuna gli attori sono tutti in gran forma (tutti tranne il solito Daniel Radcliffe che, nei panni di Harry, ormai è proprio arrivato alla frutta: l’unico momento in cui è realmente credibile, paradossalmente, è quando interpreta qualcun altro!!) nonostante debba lamentarmi del fatto che Piton e, soprattutto, Lucius, si vedano poco e che Helena Bonham Carter sia leggermente sottotono rispetto ai film precedenti. Tra l’altro ho adorato l’attore che, per una decina di minuti, sostituisce Radcliffe nelle scene ambientate al ministero: duro come un bacco ma con un’espressività esilarante! Molto bella anche la vena horror che, fin dall’inizio, percorre il film (pare che per evitare ulteriori divieti la scena della tortura di Hermione sia stata pesantemente tagliata), ma perdonate se alla fine, di fronte alla morte del pupazzo CG più mollo che la storia ricordi, non è riuscita a scendermi nemmeno una lacrima. Insomma, alla fine, do al film la sufficienza piena con un paio di virgole confidando che facciano ancora meglio nell’ultimo capitolo.

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"Lucius... mi NECESSITA la bacchetta...." GENIALE XD



Ho già parlato, e più volte, sia del regista David Yates che di quasi tutti gli attori che recitano in questo film, quindi metterò il loro nome linkabile, in caso voleste saperne di più: Daniel Radcliffe (Harry Potter), Rupert Grint (Ron Weasley), Emma Watson (Hermione Granger), Alan Rickman (Severus Piton), Helena Bonham Carter (Bellatrix Lestrange), Bill Nighy (Il ministro della magia Rufus Scrimgeour), Julie Walters (Molly Weasley), Timothy Spall (Codaliscia), Brendan Gleeson (Malocchio Moody) e per finire John Hurt (il fabbricante di bacchette, Olivander).

Jason Isaacs interpreta *sbava copiosamente* Lucius Malfoy. Attore inglese che la Bolla apprezza particolarmente per la beltade che lo caratterizza, lo ricordo in film come Dragonheart, Armageddon, Resident Evil, Lo Smoking, Harry Potter e la camera dei segreti, Peter Pan, Harry Potter e il Calice di fuoco, Grindhouse e Harry Potter e l’Ordine della Fenice. Ha 47 anni e quattro film in uscita tra cui, ovviamente, la seconda parte de I doni della Morte.

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Ralph Fiennes interpreta nientemeno che Voldemort. Attore inglese tra i più bravi, più volte nominato per l’Oscar, fratello del meno famoso Joseph Fiennes (quello che ha fatto Shakespeare in Love, per intenderci…), lo ricordo per film come Schindler’s List, Strange Days, Il paziente inglese, The Avengers – Agenti speciali, Spider, Red Dragon, Harry Potter e il Calice di fuoco e Harry Potter e l’Ordine della Fenice, e per aver prestato la voce ne Il principe d’Egitto e Wallace & Gromit – La maledizione del coniglio mannaro. Ha 48 anni e tre film in uscita, tra cui la seconda parte de I doni della Morte.

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Robbie Coltrane interpreta Hagrid. L’attore scozzese ha partecipato a tutti i film della serie Harry Potter, e tra le sue altre pellicole ricordo Flash Gordon, la versione tv di Alice nel paese delle meraviglie, From Hell – La vera storia di Jack lo squartatore, Van Helsing e Ocean’s Twelve. Ha 60 anni e due film in uscita.   

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Rhys Ifans è la new entry del film ed interpreta Xenophilius Lovegood, il papà di Luna. Attore gallese, ha recitato in Twin Town, Notting Hill, The Shipping News – Ombre dal passato, Hannibal Lecter – Le origini del male, Elizabeth: The Golden Age e il geniale I Love Radio Rock. Ha 42 anni e cinque film in uscita, tra cui il reboot di Spiderman (GIA?????) dove interpreterà, probabilmente, Lizard, e una versione televisiva di Peter Pan dove vestirà il ruolo di Capitan Uncino.

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E ora, un paio di curiosità. Quasi all’inizio del film vengono introdotti due personaggi che sarebbero dovuti spuntare già nei film precedenti, ed uno di questi è Bill Weasley che, guarda caso, è interpretato da Domnhall Gleeson, figlio di quel Brendan Gleeson che incarna degnamente lo sfortunato Malocchio Moody. Pare, inoltre, che sia Shyamalan che Guillermo del Toro si fossero offerti di dirigere il film. Peccato che il secondo sia stato lasciato fuori, ma se il maledetto Sciabadà avesse anche solo sfiorato la cinepresa credo gli avrei amputato le mani. E ora vi lascio con il trailer che unisce i due film... vi dico la verità, non vedo l'ora che esca l'ultimo!! ENJOY!

lunedì 2 agosto 2010

Lemony Snicket - Una serie di sfortunati eventi (2004)

In questi ultimi tempi le librerie sono invase da (spesso mediocri) libri sui vampiri e simili amenità, ma se riuscite ad arrivare al reparto della letteratura per ragazzi e ad evitare i mille succhiasangue che ammiccano dalle copertine e scavate un po’, scoprirete una serie di tredici libri scritta dal fantomatico Lemony Snicket: Una serie di sfortunati eventi. Per quanto il tredicesimo libro sia un po’ deludente vale la pena di leggerla, ve lo assicuro. E vale la pena guardare questo delizioso film tratto dai primi tre libri, Lemony Snicket – Una serie di sfortunati eventi (Lemony Snicket’s A Series of Unfortunate Events), diretto nel 2004 da Brad Silberling.


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La trama: i tre fratellini Baudelaire, Violet, Klaus e la piccola Sunny rimangono orfani e privi di casa a seguito di un terribile incendio. L’inetto Mr. Poe, incaricato di trovare loro un tutore in attesa che Violet diventi maggiorenne e possa ereditare l’immensa fortuna lasciata dai genitori, li affida ad un loro fantomatico parente, l’orrido Conte Olaf, che non si fermerà davanti a nulla pur di impossessarsi dell’eredità…


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Non è facile parlare dell’opera di Lemony Snicket a chi non ha mai avuto la fortuna di leggere i libri. In poche parole l’autore si fa depositario delle disgrazie dei fratelli Baudelaire e le racconta in prima persona (con tutti i limiti del caso, ovviamente, vuoi per la mancanza di prove, vuoi per depistaggi portati avanti da fantomatici “nemici) privando il lettore di ogni speranza di una risoluzione felice ed immergendolo in un’ironia spietata. Non si può dire però che gli incauti lettori non vengano avvertiti: quasi in ogni pagina ci sono avvertimenti a NON proseguire la lettura, a non farsi illusioni, a non provare neppure a pensare ad un happy end. Il film è molto bello proprio perché ricalca tutti questi aspetti dei libri, ai quali è molto fedele.


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L’inizio è sconcertante. Il film comincia con… le avventure dell’Happy Littlest Elf, un’esilarante e zuccherosa schifezza a cartoni animati che perseguiterà lo spettatore per tutta la pellicola, una specie di “film proiettato nell’altra sala” che il narratore invita ad andare a vedere al posto di Una serie di sfortunati eventi. Da qui si alternano le immagini dello stesso Lemony Snicket, voce narrante dell’intera vicenda, che rimarrà sempre e solo un’ombra priva di identità sullo schermo (proprio come il vero autore, che non è mai stato fotografato…), e le vicende dei tre orfani. Queste ultime ricalcano abbastanza fedelmente la trama dei primi tre libri, che per ovvie ragioni viene condensata: si comincia con Un infausto inizio, si continua con La stanza dei serpenti e La funesta finestra, per poi tornare all’Infausto inizio. In tutto questo ci sono citazioni anche dagli altri libri, talmente criptiche che giusto chi se li ricorda a menadito potrebbe coglierle. La bellezza dei libri, oltre che nella storia talmente “sfigata” e anche abbastanza crudele, bisogna dirlo, sta nell’utilizzo a dir poco fantasioso che l’autore fa della lingua e della grammatica inglese (per questo bisognerebbe leggerli in originale, secondo me) e nel modo in cui riesce a fare parlare la piccola Sunny, poco più che una neonata e quindi apparentemente incapace di esprimersi con un senso compiuto. Apparentemente, perché se la piccola nel libro biascica “Arigato”, l’autore sottolinea il fatto che vorrebbe dire grazie, e via dicendo. Nel film questo non può essere reso nella stessa maniera, ma gli esilaranti sottotitoli che accompagnano i versi di Sunny non sono affatto male, anzi. Anche il finale di Un infausto inizio è stato un po’ modificato. Quando il Conte Olaf arriva a farsi sposare da Violet per ottenere l’eredità con un falso spettacolo teatrale, nel libro il matrimonio viene considerato nullo perché la ragazzina non firma il contratto con la mano “giusta” (on her right hand), bensì con la sinistra. Nel film l’errore viene ricordato (il Conte Olaf ribadisce: “mano destra, prego.”) però viene scelta una soluzione più spettacolare per risolvere il problema del matrimonio.


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Per quando riguarda l’aspetto visivo, il film è uno spettacolo. Gli ambienti sono fatti al 90% in CG, ma non si avverte quel senso di pesante irrealtà che spesso si trova in altre pellicole. Anche i costumi, soprattutto quelli di Violet, sono splendidi, un azzeccato miscuglio di elementi vittoriani e abiti moderni, tanto che dare una collocazione temporale alla storia è praticamente impossibile. Ma ciò che rende veramente spettacolare il film sono gli attori, Jim Carrey su tutti: il suo Conte Olaf non ha nulla da invidiare a quello, già abbastanza perfido e vanesio, dei libri, ma qui si sottolinea alla perfezione anche il suo essere un pessimo attore (sono solo gli adulti ad essere sempre, inevitabilmente, ingannati dai suoi travestimenti farlocchi, nonostante gli Orfani cerchino di avvertirli in ogni modo), soprattutto con l’orrido travestimento da Stephano, “italianissimo” esperto di serpenti. Da Oscar è anche la zia Josephine interpretata da Meryl Streep, una donna dalle mille, irrazionali fobie che non esita a sacrificare gli orfani per il suo bene e quello della sua adorata grammatica; l’adattamento de La funesta finestra è forse il migliore dei tre anche grazie alla perfetta interazione tra la Streep e Carrey, che danno vita a siparietti comici decisamente esilaranti. Insomma, Una serie di sfortunati eventi è un film che consiglio caldamente: chissà che non vi venga voglia di leggere anche i libri…


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Di Jim Carrey, che interpreta il Conte Olaf, ho già parlato qui. Tra i suoi progetti futuri, le solite commedie, un musical e persino un adattamento dei libri della serie Where’s Waldo? (!!), ma nulla di troppo interessante purtroppo. La bravissima Meryl Streep, che nel film ha il ruolo della fobica zia Josephine, la trovate qui, mentre Timothy Spall, che interpreta l’inetto Mr. Poe, è stato nominato qui. Jude Law, che narra la storia nella versione originale, vestendo quindi i panni di Lemony Snicket, lo trovate qui.Tra gli attori spunta anche Dustin Hoffman, in un breve cameo nei panni di critico teatrale.


Brad Silberling è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Casper e City of Angels, assieme ad alcuni episodi di Alfred Hitchcock presenta, NYPD e Giudice Amy. Ha 47 anni.


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Emily Browning interpreta Violet Baudelaire. Australiana, ha recitato in Nave fantasma, Al calar delle tenebre e The Uninvited. Ha 22 anni e due film in uscita, tra cui il nuovo film di Zack Snyder, Sucker Punch: ha un trailer delirante e vagamente trash, non posso perderlo!


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Liam Aiken interpreta Klaus Baudelaire. Newyorchese, ha recitato in Nemiche amiche ed Era mio padre. Ha 20 anni.


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Bill Connolly interpreta lo zio Monty. Scozzese, ha recitato in Proposta indecente, Mai dire ninja, L’ultimo samurai e X – Files – Voglio crederci. Ha doppiato film come Pocahontas, I Muppet nell’isola del tesoro e avuto parti in telefilm come Una famiglia del terzo tipo e Colombo. Ha 68 anni e quattro film in uscita, tra cui I viaggi di Gulliver, dove interpreterà il re dei lillipuziani con Jack Black nei panni del protagonista! Holy shit!


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Catherine O’Hara interpreta il giudice Strauss. Perché cito questa donna? Perché è merito suo se la dolcissima Sally di The Nightmare Before Christmas può parlare e cantare! Già solo per questo meriterebbe un posto d’onore sul mio blog, ma come dimenticare che l’attrice canadese è stata anche l’antipatica Delia di Beetlejuice e la mamma di Macaulay Culkin in Mamma, ho perso l’aereo (e seguito)?Tra gli altri suoi film ricordo Fuori orario, Dick Tracy e Nel paese delle creature selvagge (come doppiatrice), mentre tra i telefilm ai quali ha partecipato ci sono Racconti di mezzanotte, Oltre i limiti e Six Feet Under. Ha 56 anni e due film in uscita.


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Un sacco di facce conosciute tra gli attori impegnati in questo film, soprattutto tra gli scagnozzi del Conte Olaf: l’uomo calvo è Luis Guzmàn, una sorta di Danny Trejo “minore” che avrete sicuramente notato in film come Magnolia e Boogie Nights – L’altra Hollywood; Jennifer Coolidge, che interpreta una delle due donne col cerone sul viso, è stata la famigerata mamma di Stiffler nei film della serie American Pie e ha partecipato anche ad alcuni episodi di Nip/Tuck; infine, Cedric “The Entertainer”, che interpreta l’ispettore, ha prestato la voce al braccio destro del Re Julian di Madascar. In origine doveva essere Tim Burton a dirigere il film, con Johnny Depp nei panni del Conte Olaf e Glenn Close in quelli di zia Josephine. Sicuramente sarebbe stato molto più dark, e chissà cosa ne sarebbe venuto fuori, ma in definitiva non ci si può lamentare del risultato ottenuto, anzi. Vedere per credere: ecco a voi il trailer, così giudicherete. ENJOY!!


giovedì 22 aprile 2010

Sweeney Todd (2007)

Dopo la parentesi “Crocieristica” (tra parentesi, io scherzavo nello scorso post, ma mi hanno assicurato che mi trovavo davvero sulla nave dove hanno girato Natale in Crociera… volevo morire, giuro!!) la Bolla torna a parlare di cinema. Tra gli ultimi film visti, o in questo caso RIvisti spunta lo splendido ed inquietante Sweeney Todd (Sweeney Todd – The Demon Barber of Fleet Street), girato dal buon Tim Burton nel 2007 e tratto non tanto dalle varie e probabilmente anonime opere letterarie inglesi del XIX secolo che trattavano l’argomento, quanto dal musical omonimo di Stephen Sondheim, portato a Broadway a partire dal 1979.


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La trama: dopo essere stato recluso in mezzo all’Oceano per anni, il barbiere Benjamin Barker torna a Londra sotto il nome di Sweeney Todd, deciso a portare avanti la sua vendetta contro il giudice Turpin, reo di averlo incarcerato solo per potere avere finalmente la moglie del barbiere, Lucy. Alleatosi con la sua vicina, Mrs. Lovett, proprietaria di uno scalcinato negozio di pasticci di carne, Todd riapre bottega e decide di vendicarsi a rasoiate non solo del giudice, ma dell’intera Londra, fornendo così alla donna l’ingrediente per creare dei pasticci davvero perfetti…


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Onestamente, non ho mai visto il musical originale, quindi non posso fare paragoni, ma devo dire che lo Sweeney Todd di Burton è veramente affascinante e anche parecchio inquietante. Ambientato in una Londra che il regista ha rappresentato squallida, povera, cupa, fumosa e sporca, specchio dell’animo di tutti gli abitanti che la popolano, questo racconto è il lato oscuro del film precedente del regista, Charlie e la fabbrica di cioccolato. Aprendo Sweeney Todd con una panoramica dei macchinari usati dal diabolico barbiere e seguendo il percorso che porta il sangue dalla sedia dove si adagiano le ignare vittime fino alle fogne, il regista riprende un’immagine simile a quella che apriva Charlie e la fabbrica di cioccolato, con il sangue al posto del cioccolato fuso. E ovviamente anche i valori sono ribaltati, nonostante si canti e si balli in entrambi i film: in Sweeney Todd le canzoni e la musica sono il grottesco contrappunto di una vicenda che di positivo e allegro non ha proprio nulla, tanto meno il protagonista principale.


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Visivamente, anche il look dei personaggi rispecchia la bruttura dei loro animi. Non c’è nessuno che si salvi, Johhny Depp in primis: Benjamin Barker è un uomo che è morto nel momento stesso in cui è stato incarcerato per un capriccio ed allontanato dalla moglie e dalla figlia (l’immagine della culla vuota e piena di ragnatele è emblematica e terribile), e la differenza tra l’uomo che era in passato e quello attuale è ben evidente. Chi torna a Londra è Sweeney Todd, un uomo mosso solo dal desiderio di vendetta, che a differenza però della Sposa di Quentin Tarantino perde di vista il cammino e compie un po’ troppe deviazioni. Il base al ragionamento della Sposa, Mr Todd avrebbe dovuto partire dall’usciere Bamford e arrivare al giudice Turpin (passando ovviamente per Pirelli, che era riuscito a riconoscerlo come Benjamin Barker..), ma la follia del Barbiere, alimentata anche dalle parole di Mrs. Lovett, che è il personaggio più negativo di tutta la storia, lo porta a far ricadere le colpe del suo destino ingrato su tutta Londra, “un buco oscuro e profondo abitato da parassiti”, e ad uccidere chiunque decida di entrare nella sua bottega per farsi radere.


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Ma, come dicevo, al di là del giudice Turpin che è un laido guidato solo dalle sue pulsioni sessuali e al di là dell’usciere che è semplicemente un servile lecchino, il villain del film è la squallidissima Mrs. Lovett (interpretata come al solito magistralmente da Helena Bonham Carter). Fin dalla prima inquadratura rappresentata come una strega più che una donna, meschina, approfittatrice, egoista e soprattutto avida: aiuta Sweeney Todd non per pietà ma per coronare il desiderio di averlo tutto per sé, visto che finalmente la moglie non c’è più. Quindi lo istiga nei suoi intenti omicidi per poter avere gli ingredienti per i suoi pasticci e superare così la concorrenza della maledetta Mrs. Mooney (che peraltro fa i pasticci con i gatti…); infine, come la strega di Hansel e Gretel, rinchiude nel sotterraneo anche il piccolo Toby, che era arrivato a considerarla come una madre ma anche a mettere in pericolo il suo matrimonio con Mr. Todd e la sua nuova e prospera attività, avendo cominciato ad intuire un po’ troppe cose. Gli unici due personaggi positivi, legati da reciproco amore e reciproche speranze, sono Anthony e Johanna, la figlia perduta di Sweeney Todd, anche se il loro destino, nel finale, è incerto.


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Al di là dell’innegabile bravura di regista e attori, il film è sorretto principalmente dalle bellissime canzoni. Ovviamente, per motivi di tempi e quant’altro, Burton non ha lasciato intatto tutto il libretto del musical, e ha sforbiciato qua e là, togliendo anche interi pezzi, senza però aggiungerne di nuovi, come era successo per esempio in Evita. I pezzi migliori secondo me sono “The Worst Pies in London”, “My Friends”, “Have a Little Priest”,“Pretty Women”, l’esilarante “By the Sea”, dove Depp e la Bonham Carter indossano degli improbabili costumini da bagno vittoriani, e poi la colonna sonora dell’inquietante macellata finale, la “Final Scene”, appunto. Johnny Depp ed Helena Bonham Carter sono dei cantanti bravissimi e molto azzeccati, ma la sorpresa è sentire innanzitutto Alan Rickman canticchiare un profondissimo “papparappappà” nel duetto di “Pretty Women” e poi anche Sacha Baron Coen improvvisarsi tenore nel pezzo cantato dal personaggio di Pirelli (brutalmente tagliato, ahimé..). Non fatevi ingannare dalla presenza della musica nel film: a differenza de La piccola bottega degli orrori, che nonostante i temi trattati ha tutto sommato delle immagini “soft”, qui il sangue scorre peggio che al Grand Guignol. Sangue rosso vivo sprizza a fiotti dalle carotidi recise, ma poi ci sono anche cervelli spappolati, carne macinata, pezzi di dita nelle pies… insomma, chi si impressiona facilmente si astenga, gli altri si preparino a vedere un film davvero bello!


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Notizie sul regista Tim Burton le trovate qui, di Johnny Depp invece ho parlato qui, Helena Bonham Carter la trovate qua, mentre Alan Rickman è ormai una presenza ricorrente del Bollalmanacco e potete leggere di lui in questi post. Segnalo anche l’apparizione speciale di Anthony Stewart Head (è il signore che dopo la sfida tra Sweeney Todd e Pirelli chiede al vincitore dove ha la bottega), il Signor Giles di Buffy, di cui ho già parlato nel post dedicato a Repo! The Genetic Opera.


Timothy Spall interpreta l’usciere del tribunale, il “beadle” Bamford. Specializzato in ruoli di viscido e servile bastardo, l’attore inglese è diventato universalmente conosciuto per aver interpretato Peter “Codaliscia” Minus nella saga di Harry Potter (di cui sta per uscire il penultimo capitolo, la prima parte del doppio Harry Potter e i doni della morte); tra gli altri suoi film ricordo Il té nel deserto, Hamlet, il particolarissimo Vatel, Vanilla Sky, L’ultimo samurai e Lemony Snicket – Una serie di sfortunati eventi. Ha prestato la sua voce per il doppiaggio originale di Galline in fuga e per quello dell’Alice in Wonderland di Tim Burton (era il cane, Bayard), inoltre ha partecipato ad alcuni episodi di Le avventure del giovane Indiana Jones. Ha 53 anni e sette film in uscita, tra cui il già citato Harry Potter e i doni della morte.


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Sacha Baron Coen interpreta il ciarlatano Adolfo Pirelli. Chi mi conosce sa che io non tollero molto quest’attore comico; il suo personaggio più famoso, ovvero il rapper Ali G, mi è sempre stato cordialmente sulle palle, e Borat non l’ho mai voluto guardare, anche se ammetto che il suo Brüno avrebbe potuto essere sufficientemente trash, abbastanza da rientrare nelle mie grazie. L’ho apprezzato però in altri ruoli che esulassero dai suoi personaggi tipici, come quando ha doppiato il mitico re Julien in Madagascar oppure quando ha recitato in Talladega Nights – The Ballad of Ricky Bobby. Ultimamente ha anche doppiato un episodio de I Simpson. Inglese, ha 39 anni e un film in uscita, The Invention of Hugo Cabret, diretto nientemeno che da Martin Scorsese.


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Una curiosità: in origine doveva essere Sam Mendes, il regista di American Beauty, a dirigere il film, con Russell Crowe come protagonista (con tutto il rispetto, temo sarebbe uscito uno schifido e patinato musicarello…). Anne Hathaway, che ha poi comunque recitato in un film di Tim Burton con Alice in Wonderland, avrebbe dovuto essere Johanna, mentre per il ruolo di Mrs. Lovett erano state considerate, tra le altre, la bravissima Meryl Streep (troppo vecchia, secondo me..) e Cindy Lauper, che avrebbe trasformato il film in un cult trash; nel musical di Broadway da cui è stato tratto il film, invece, era nientemeno che la signora in giallo per eccellenza, Angela Lansbury, ad interpretarla! Inoltre, siccome i reduci da Harry Potter presenti nel film non erano abbastanza, sappiate che anche l’interprete di Anthony, Jamie Campbell Bower, è stato “impelagato” negli ultimi due film della saga, ed interpreterà la nemesi giovanile di Silente, Grunwald. Comunque, se vi è piaciuto Sweeney Todd, e adorate le storie di sanguinose vendette, date assolutamente un’occhiata a Kill Bill (anche se non voglio credere che qualcuno non l’abbia ancora visto…). E ora vi lascio con la meravigliosa Angela Lansbury che fa una Mrs Lovett ancora più grottesca e vajassa di quanto non sia quella del film... davvero, ENJOY!!




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