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mercoledì 2 luglio 2025

Elio (2025)

Benché poco pubblicizzato, la settimana scorsa sono andata a vedere Elio, diretto e co-sceneggiato dai registi Adrian Molina, Domee Shi Madeline Sharafian.


Trama: Elio Solis è un bimbo che, dopo la morte dei genitori, è stato affidato alla zia. Sentendosi solo in un mondo che gli va troppo stretto, Elio sogna di venire rapito dagli alieni, e un giorno questi rispondono al suo appello...


Sapete che non mi perdo un film della Pixar, nemmeno quando orde di bonobi urlanti su internet gioiscono del suo insuccesso senza neppure averlo visto. Elio, che ha avuto la sventura di uscire subito dopo il fortunato live action di Lilo e Stitch e poco prima dell'imminente Fantastici 4, è stato trattato dalla Disney come un lavoretto en passant, da pubblicizzare poco (strano non l 'abbiano inserito subito nel catalogo Disney +!), e ha ovviamente risentito di queste miopi scelte di marketing. Probabilmente, ha anche sofferto i ritardi dovuti al lungo sciopero SAG/AFTRA del 2023, che ha permesso allo studio di rimaneggiare completamente un'opera che avrebbe dovuto essere realizzata essenzialmente dal regista e sceneggiatore Adrian Molina, partendo da sue esperienze autobiografiche, e che poi è stata rivista in un'ottica più "universale" e affidata a Domee Shi a Madeline Sharafian quando Molina è stato chiamato a co-dirigere il seguito del suo fortunatissimo lungometraggio Coco. Insomma, Elio è un film nato disgraziato in partenza, eppure basterebbe dargli una chance per capire che è un'opera dolcissima e fantasiosa, benché non al livello dei capolavori Pixar. Elio racconta, appunto, la storia di Elio Solis, un bambino rimasto orfano che vorrebbe venire rapito dagli alieni e portato su altri mondi. Il perché, è comprensibile. Ad Elio non è rimasto nulla sulla Terra; non ha genitori, non ha amici, la zia gli vuole bene ma non sa come gestirlo e, per crescerlo, ha rinunciato alla sua carriera di astronauta, il che fa sentire il ragazzino ancora più solo e in colpa. Il desiderio di Elio è così forte e doloroso che gli impedisce di accettare o apprezzare ciò che lo circonda, e il protagonista non si rende conto di essere lui stesso a rendersi la vita ancora più insopportabile e difficile di quanto non sarebbe normalmente. Nonostante tutto, un giorno i sogni di Elio diventano realtà: gli alieni lo scambiano per il leader della Terra e lo rapiscono per portarlo su un mondo da sogno, dove tutti gli sono amici e lo reputano importante. Ovviamente, non è tutto oro quello che luccica. Elio capirà presto che solitudine ed incomprensioni sono all'ordine del giorno anche nello spazio e che è solo aprendosi realmente agli altri, con tutti i nostri pregi e difetti, dando fiducia a chi ci vuole bene, che la nostra vita può migliorare pian piano, anche se non è proprio quella che sognavamo. Il messaggio di Elio è chiaro, così come sua la natura di racconto di formazione. A quello di Elio si affianca, infatti, anche il percorso dell'adorabile Glordon, bioccoletto ciccioso che non riesce a comunicare con l'iracondo padre e che vorrebbe sottrarsi a un futuro da tiranno e guerriero che non gli si confà; anche in questo caso, si sottolinea l'importanza della fiducia e del dialogo, che ci porta a considerare nemico chi, in realtà, è goffo ed insicuro quanto noi. In soldoni, spesso l'etichetta di "diverso", di "strano", in accezione negativa, siamo noi stessi ad appiccicarcela addosso, e gli altri si comportano di conseguenza, rendendo ancora più difficile staccarla.


Mettendo un attimo da parte i messaggi profondi, Elio funziona per la verosimiglianza con cui viene ritratto il protagonista, un bambino zeppo di fantasia e iperattivo, la cui "stupidità" ricorda molti dei giochi e dei voli pindarici che facevamo da bambini. La fervida fantasia del protagonista viene rispecchiata dalla varietà incredibile degli alieni che popolano il Comuniverso; la cifra stilistica di Elio è un mix di elementi naturali (presi da creature marine, insetti o invertebrati), design pop al limite del "giocattoloso" e aspetti onirici, quasi psichedelici, che si traducono in un caleidoscopio di colori ammorbidito da una fotografia che definirei quasi "acquatica". La qualità prevalentemente variopinta e dinamica di Elio cozza in maniera assai efficace con l'ambientazione fatta di rossi e neri che definisce tutto ciò che è legato a Grigon e ai suoi scagnozzi, e con sequenze ambientate sulla Terra che farebbero la felicità di ogni appassionato di cinema di fantascienza. Come già accadeva in Toy Story 4, infatti, i realizzatori di Elio si dimostrano fini conoscitori delle dinamiche inquietanti tipiche del genere, specialmente quando contaminato con l'horror, e inseriscono efficacissimi rimandi a La cosa, L'invasione degli ultracorpi, persino Terminator e Venerdì 13 (e chissà quanti altri film che non ho colto) e, onestamente, se non avessi saputo di stare guardando un cartone Pixar, a un certo punto me la sarei fatta abbastanza sotto. Piccole strizzate d'occhio agli adulti, che non snaturano un film pensato essenzialmente per bambini, che tratta con garbo ma senza fare troppi sconti temi difficili come la morte, il bullismo, la natura distaccata di alcuni genitori. Tra le melodie di Rob Simonsen, il musetto triste di Elio, l'espressivissimo Glordon (gli mancano gli occhi, ma vi sfido a non provare pena quando scoppia a piangere disperato) e lo sguardo finale che Olga riserva al nipote, ammetto di essermi sciolta in lacrime e, anche se l'intento del film era diametralmente opposto, ho sperato, per un istante, che qualcuno lassù arrivasse a prendermi per farmi vivere un'avventura galattica, proprio io che non sopporto la fantascienza. Però che bello, per una volta, sognare di visitare mondi lontani, così zeppi di colori e di allucinanti, utilissime tecnologie!


Dei co-registi e co-sceneggiatori Adrian MolinaDomee Shi ho parlato ai rispettivi link. Zoe Saldaña (voce originale di Olga Solís) la trovate invece QUA.

Madeline Sharafian è la co-regista e co-sceneggiatrice del film. Americana, è al suo primo lungometraggio. Anche animatrice, storyboarder e produttrice, ha 32 anni. 


Se Elio vi fosse piaciuto, recuperate Red, Over the Moon - Il fantastico mondo di Lunaria, Lilo & Stitch e Luca. ENJOY!

lunedì 3 marzo 2025

Oscar 2025

Buon lunedì a tutti! Stanotte gatta Sandy ha pensato di svegliarmi in tempo per i premi più succulenti, consentendomi di testimoniare il ritorno di un Quentin in grandissima forma. Ero onestamente poco interessata, quest'anno, agli Academy Awards, consapevole che i due film per i quali facevo il tifo (The Substance e Nosferatu) sarebbero rimasti a bocca asciutta o quasi. La mia previsione si è rivelata, ovviamente, azzeccata, ma qualche sorpresa interessante c'è stata, tra cui il ridimensionamento di film che mi hanno lasciata un po' freddina, quali A Complete Unknown, giustamente snobbato, Conclave e il favoritissimo The Brutalist. Sono molto contenta per il successo di Anora, ma non mi nascondo dietro a un dito: la marea di premi piovuti sul film di Sean Baker, soprattutto quelli per miglior film e miglior attrice protagonista, derivano da crudissime polemiche sulle quali non mi sento nemmeno di spendere due parole, che hanno tolto dai giochi Emilia Pérez (che pur non ho amato), Fernanda Torres e lo stesso The Brutalist. La cosa buona è che finalmente, forse, Anora godrà di una ri-distribuzione migliore qui in Italia e magari, come auspicato da Baker, il cinema indipendente e le sale cinematografiche ritroveranno l'importanza perduta... Sognare non costa nulla. ENJOY!


Alla faccia di Brady Corbet (credo non dimenticherò MAI il modo in cui si è alzato in piedi, convinto che Quentin stesse per pronunciare il suo nome come miglior regista, un istante prima che il cameramen inquadrasse precipitosamente Sean Baker, reale vincitore), Anora ha vinto la statuetta come miglior film e Baker quella come miglior regista. I due importantissimi premi sono arrivati dopo le statuette per Mikey Madison come miglior attrice protagonista, miglior sceneggiatura originale e miglior montaggio. Ribadisco, sono MOLTO contenta delle vittorie di Anora ma trovo francamente esagerati i riconoscimenti di miglior regia e miglior attrice protagonista. Il premio di miglior film dipende da una serie di fattori talmente soggettivi che non sto nemmeno a discuterli, ma la regia della Fargeat e quella di Corbet mi sono sembrate nettamente migliori, e a stringere la statuetta come miglior attrice avrebbe dovuto essere Demi Moore, pochi cazzi. La Madison è bravissima ma non c'era paragone col mix di fascino, disgusto e pietà veicolato dalla povera Elizabeth. 


Nessuna sorpresa invece per la vittoria di Adrien Brody come miglior attore protagonista in The Brutalist (film di cui parlerò domani). Bravissimi Fiennes e Sebastian Stan, bellissimo ed intenso Colman Domingo mentre Chalamet può andare a mangiare ancora un po' di pane e Nutella, per quel che mi riguarda, ma non c'era paragone con l'intensità di Brody, visibilmente commosso sul palco. The Brutalist esce fortemente ridimensionato rispetto ai pronostici e alle candidature ricevute, vincendo solo altri due Oscar, quello per la miglior colonna sonora (che io avrei dato a Il robot selvaggio, ma vedere il giovanissimo Daniel Blumberg salire sul palco a mo' di novello Nosferatu di Murnau, talmente emozionato che sembrava dover scoppiare in lacrime da un momento all'altro, mi ha fatto tanta tenerezza) e quello, prevedibilissimo ma scandaloso, per la miglior fotografia. Quelle di Maria e Nosferatu, a mio parere, erano nettamente superiori.

Non riuscivo a staccare gli occhi dalla spilla della designer Elsa Jin. Splendida.

Vince l'Oscar come miglior attrice non protagonista Zoe Saldaña. Questo premio era sicuro quanto quello andato al suo "collega" di categoria e quello all'attore protagonista, anche se, come al solito, deriva dalla furba scelta di non candidare l'attrice come miglior protagonista, nonostante lo fosse. Comunque, un premio dovuto, la Saldaña è la "cosa" più bella di Emilia Pérez, film che a me ha detto davvero poco, al punto che ho dovuto riascoltare El mal, vincitrice del premio alla miglior canzone originale, per ricordare in quale scena fosse. 


Altro Oscar prevedibile ma graditissimo è quello andato a Kieran Culkin come migliore attore non protagonista in A Real Pain (anche se vale lo stesso discorso fatto per la Saldaña. E' protagonista Culkin quanto Jesse Eisenberg!), un film di cui parlerò nei prossimi giorni e che vi consiglio di recuperare, visto che è al cinema proprio adesso. Mi spiace per il dolcissimo Yura Borisov e per il mefistofelico Mark Strong, ma quest'anno non c'erano speranze, signori.


Conclave
, altro stra-favorito lasciato quasi a bocca asciutta, vince la miglior sceneggiatura non originale. E che vi devo dire; non è che gli altri candidati fossero granché, ma quello di Peter Straughan mi è sembrato un lavoro parecchio banale e svogliato.


E a proposito di favoriti caduti in disgrazia, Io sono ancora qui si "accontenta" del premio come miglior film straniero. Fernanda Torres, davanti alla vittoria della Madison, era incazzata nera, ma se non altro la statuetta è andata a un film bello ed importante. Ovviamente, avrei preferito una vittoria di The Girl with the Needle, ma era una speranza vana fin dall'inizio.


La vera sorpresa della serata è stata la vittoria di Flow, di cui parlerò nei prossimi giorni, come miglior lungometraggio animato. Mi ha lasciata basita non perché non mi sia piaciuto, anzi, l'ho adorato e sono felicissima della sua vittoria, ma a livello di animazioni era molto migliore Il robot selvaggio. Comunque, spero che il premio spinga più gente possibile a recuperare questo delizioso capolavoro!


Per concludere, riassumo (con la morte nel cuore, ve lo giuro) i premi "tecnici" andati ad altre pellicole. Perché con la morte nel cuore? Perché The Substance ha vinto un ridicolo contentino per il Miglior make-up, evidentemente l'unica categoria a cui possono ambire gli horror che non dissimulano la loro vera natura e osano "esagerare". Wicked si accontenta della Miglior scenografia e dei costumi (e se posso dirlo, ancora grazie!), mentre al grandioso Dune - Parte 2 sono stati "concessi" Miglior sonoro e Migliori effetti speciali. Aggiungo, come ogni anno, quelle categorie di cui non ho assolutamente conoscenza: No Other Land vince come Miglior documentario, In the Shadow of the Cypress come Miglior corto animato, I'm not a Robot come miglior corto live action e The Only Girl in the Orchestra: la storia di Orin O'Brien come Miglior corto documentario. E anche questi Oscar se li semo levati dalle... : da domani vi puppate i post dei film che ho visto durante l'Oscar Death Race e che non sono riuscita a pubblicare ma, per fortuna, tornerò anche a parlare di horror!

Il momento migliore della serata! aMMore!


martedì 14 gennaio 2025

Emilia Pérez (2024)

Quando ho saputo che venerdì scorso avrebbero proiettato, al cinema d'élite e in v.o., Emilia Pérez, diretto e co-sceneggiato dal regista Jacques Audiard, mi ci sono fiondata senza pensarci due volte, visti i tre Golden Globe che si è portato a casa!


Trama: l'avvocatessa Rita riceve un'insolita richiesta da un pericoloso boss del cartello messicano e si ritroverà l'esistenza stravolta...


Mi è capitato recentemente, durante una conversazione in inglese per un corso, che mi venisse chiesto quale fosse per me l'elemento più importante di un film. E' una domanda difficile ma, riflettendoci un po', ho risposto "la sceneggiatura". Ciò non vuol dire necessariamente che io apprezzi solo i film con una sceneggiatura perfetta, anzi, ma esigo un film che mi coinvolga ed alimenti la mia peraltro già altissima suspension of disbelief, che non mi porti a distrarmi con domande "terra terra", che mi apra gli occhi su questioni a cui solitamente non penso, che mi appassioni alle vicende dei personaggi e mi spinga ad amarli, possibilmente, nel caso di film drammatici, commuovendomi fino alle lacrime (senza ricorrere però a mezzucci scorretti). Sono corsa a vedere Emilia Pérez aspettandomi, se non tutti, buona parte di questi elementi, e sono uscita dalla sala un po' delusa. Prima che i fan di un film vincitore di tre Golden Globe mi accusino di mancanza di rispetto, però, fatemi mettere le mani avanti: non mi sentirete mai dire che Emilia Pérez è brutto. Innanzitutto, Jacques Audiard ha fatto una scelta molto coraggiosa, quella di realizzare un musical per raccontare una storia che, tutto sommato, poco si presterebbe al genere, eppure funziona all'interno di questa stessa contraddizione in termini. Non tutti i numeri musicali mi hanno estasiata (quello ambientato all'interno della clinica coreana l'ho trovato talmente di cattivo gusto che mi sono agitata sulla sedia, la canzone di Selena Gomez mi ha ricordato un'ottantarata italiana e, nonostante fosse perfetta per il personaggio e i suoi desideri più reconditi, mi ha portata a sbuffare sonoramente dal naso), ma alcuni li ho trovati calzanti e commoventi, e quelli interpretati dalla Saldana molto energici e moderni, anche a livello visivo. Le attrici, a tal proposito, sono bravissime. Ho trovato un po' esagerata la candidatura di Selena Gomez, onestamente, ma comunque mi è piaciuta anche lei. Notevole la Saldana, finalmente in un ruolo impegnato che non richiedesse l'ausilio di effetti speciali o un trucco posticcio; l'attrice ha una voce bellissima, sa cantare ed è l'unica delle tre protagoniste che si impegna in coreografie più elaborate, oltre ad avere un ruolo più importante persino di quello della protagonista titolare. Quanto a Karla Sofía Gascón, che non conoscevo, l'ho trovata di una delicatezza incredibile, mai macchiettistica, nemmeno quando il personaggio (in entrambe le versioni) la espone ad una possibilità concreta di scadere nel ridicolo. Nel complesso, non mi sono mai annoiata e ho apprezzato il modo in cui Audiard ha messo in piedi un'opera che attinge da tanti generi diversi, non solo il musical, riuscendo persino a sfruttare i cliché da soap opera secondo una precisa scelta stilistica. Ha però voluto mettere troppa carne al fuoco, il che si è tradotto, almeno per come l'ho percepita io, in una superficialità fastidiosa, ma per elaborare meglio mi tocca andare nel terreno minato dello SPOILER, quindi fermatevi qui se non avete ancora visto il film.


Santa, santa Emilia. Madre de todos los niños. De los tiranizados, de los desaparecidos. De (algunas) mujeres, del México.
Perdonatemi se cito un altro musical, con un'altra bionda per protagonista, un'altra santa dalla natura ambigua e oscura, con le stesse iniziali, ma dubito che la scelta del nome di Emilia Pérez sia casuale. E perdonatemi se, come il "Che" di Evita, mi faccio portatrice di un po' di cinismo, di un po' di delusione di fronte a questo film, che mette in tavola una marea di argomenti importantissimi e li lascia cadere, ad uno ad uno, senza mai approfondirli. Emilia Pérez inscena il desiderio (e la triste impossibilità) di abbracciare la propria natura reale, di bramare l'amore senza convenzioni, di cambiare noi per primi affinché la società possa farlo di conseguenza, e racconta la disperazione nel trovarsi davanti muri enormi quando, nel profondo, non riusciamo a liberarci dei condizionamenti passati, ma tutto ciò passa per un narcotrafficante che, diventato donna, un giorno decide di espiare la sua esistenza passata fondando un'associazione per ritrovare i desaparecidos. E' sicuramente un mio limite, ma ho fatto fatica ad accettare il nesso tra l'aspetto "umano" del film e la denuncia sociale di un problema reale, dolorosissimo, che viene comunque visto come accessorio al racconto di una transizione, quasi un cliché per contestualizzare l'ambientazione messicana. Allo stesso modo, mi ha sconcertata il fatto che Emilia Pérez lasci cadere, nell'ordine, la denuncia a un maschilismo imperante e pericoloso (nel giro di una canzone vengono introdotte corruzione, disparità sessuali, salariali, sfruttamento lavorativo, vite appese a un filo, argomenti mai più affrontati in seguito se non come note di colore caratterizzanti i vari personaggi femminili), la presenza di altri cartelli criminali che avrebbero massacrato Manitas ma non muovono un dito contro una donna sconosciuta che solleva un polverone nazionale decidendo di ritrovare i luoghi di sepoltura dei desaparecidos (la "fine" di Emilia arriva con un mezzuccio talmente gratuito e di cattivo gusto che, quando l'auto è esplosa, mi sono venuti in mente gli incidenti de I Griffin dove prende fuoco la qualsiasi e, per cortocircuito mentale, tra commozione e risate mi si sono annullate le emozioni) e un'altra denuncia alla società corrotta a mo' di riempitivo (Emilia, belin, conosci gli altarini di tuttə, intanto che trovi i desaparecidos fai anche saltare qualche sedia, altrimenti a cosa serve che Rita si contorca e punti il dito nel numero musicale più figo del film?). Mi è sembrato, a fine film, che Audiard avesse per le mani una serie di argomenti da spuntare per mostrarsi autore impegnato ed attento alle problematiche sociali e di genere, ma senza particolare investimento emotivo, e questa impressione che ho avuto, purtroppo, mi ha tenuta distante anche dal percorso delle due protagoniste, dal loro progressivo avvicinarsi, da un legame nato sotto i peggiori auspici eppure tramutatosi in una rispettosa, profonda amicizia. Non abbastanza, come ho scritto su, per sconsigliare Emilia Pérez (anzi, andatelo a vedere, perché è comunque un'opera originale e curiosa), però quanto mi dispiace non avere trovato il gioiello che tutti decantano!


Del regista e co-sceneggiatore Jacques Audiard ho già parlato QUI. Zoe Saldana (Rita), Selena Gomez (Jessi) ed Edgar Ramírez (Gustavo Brun) li trovate invece ai rispettivi link. 



martedì 7 gennaio 2025

Golden Globes 2025

Ieri sono stati assegnati i Golden Globes, ma siccome era la Befana, ho passato la giornata in famiglia, a mangiare come se non ci fosse un domani e a perdere a Scala 40 con papà. Dei premi parliamo dunque oggi, con la tradizionale, ignorantissima disamina! 


Miglior film drammatico
The Brutalist
(USA/UK/Canada, 2024)

Non ho mai visto un trailer, mai una foto spoiler, non so nemmeno di cosa parli questo film che si è preso ben tre Golden Globes. L'unica certezza è che parrebbe un film imperdibile, che dura più di tre ore e che, in Italia, uscirà il 23 gennaio. Attenderò fiduciosa, che vi devo dire.


Miglior regista
Brady Corbet per The Brutalist

Di Corbet avevo visto solo Vox Lux, affascinante ma non particolarmente entusiasmante, né memorabile, quindi sono decisamente curiosa di capire cosa abbia fatto di così favoloso dietro la macchina da presa. Avendo visto solo Conclave e The Substance, tra i film candidati per la categoria,  non posso fare altro che fidarmi e aspettare.

Miglior film - Musical o commedia
Emilia Pérez
(Francia/Belgio/Messico, 2024)

Sono, ovviamente, dispiaciutissima per The Substance, ma ho sentito dire solo cose belle su Emilia Pérez e, in effetti, il trailer visto prima di Maria mi ha invogliata parecchio. Tra qualche giorno, sempre che la distribuzione savonese mi venga in aiuto, capirò come mai la giuria ne è rimasta conquistata.


Miglior attore protagonista in un film drammatico
Adrien Brody in The Brutalist

Tra i candidati ho visto "in azione" solo Ralph Fiennes, il quale mi ha entusiasmata poco, anche in virtù di un doppiaggio poco ispirato. Adrien Brody è un attore che ho sempre amato tantissimo, quindi ho molte aspettative! 

Miglior attore non protagonista
Kieran Culkin in A Real Pain

Affronto questa categoria in totale ignoranza ma sono felice per Kieran, anche se continuo a preferirgli il fratello Rory. A Real Pain, tra l'altro, è uno di quei film che aspetto tantissimo, purtroppo in Italia arriverà solo il 27 febbraio, giusto in tempo per gli Oscar.

Miglior attrice protagonista in un film drammatico
Fernanda Torres in Io sono ancora qui

Non conosco la Torres, non ho assolutamente idea di cosa parli Io sono ancora qui, mi dispiace moltissimo per la Jolie, che in Maria mi ha fatto venire i brividi. Anche in questo caso, non resta che attendere il 30 gennaio, giorno dell'uscita italiana del film.

Miglior attore protagonista in un film musicale o commedia
Sebastian Stan in A Different Man

Benché io sia molto dispiaciuta per Hugh Grant e Jesse Plemons, entrambi favolosi, ho sempre amato Sebastian Stan e A Different Man è un film che mi incuriosisce tantissimo. Purtroppo, il film uscirà solo il 20 marzo. Per fortuna, prepararsi in tempo per gli Oscar è comunque possibile. 

Miglior attrice protagonista in un film musicale o commedia
Demi Moore in The Substance

E qui, la notizia mi ha fatta saltellare di gioia, perché l'interpretazione della Moore è splendida, sicuramente una favolosa rinascita per un'attrice che aveva perso molto del suo smalto e stava scomparendo in film bruttarelli. Spero che il premio coincida davvero con una ripresa, se lo meriterebbe!


Miglior attrice non protagonista
Zoe Saldana in Emilia Pérez

Niente male per un'attrice che, finora, aveva legato il suo nome alla bellezza e all'atleticità surreali di personaggi celati da trucco oppure effetti speciali. Mi spiace per la Qualley ma è giovane e sulla cresta dell'onda, avrà molto tempo per rifarsi! 

Miglior sceneggiatura
Peter Straughan per Conclave

Giuro che non capisco l'entusiasmo. Conclave, di cui parlerò nei prossimi giorni, è un thriller religioso molto all'acqua di rose, obiettivamente perfetto per un pubblico anglofono, ma già solo The Substance (l'unico altro film visto tra i candidati) era molto più fantasioso e particolare. Mah. 


Miglior canzone originale
"El Mal" di Clément Ducol, Jacques Audiard e Camille per Emilia Pérez

Mi fido dei giurati, visto che non conosco neppure una delle canzoni in gara.

Miglior colonna sonora originale
Challengers di Trent Reznor e Atticus Ross

Cosa avevo scritto il 3 maggio 2024? "La struttura stessa del film è quella di una partita a tennis, cadenzata dalla truzzissima colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross (so che tanti l'hanno odiata, io l'ho adorata, non riuscivo a smettere di andare a tempo con la testa)". Amore batte odio 15 a 0!


Miglior cartone animato
Flow
(Straume - Lettonia/Belgio/Francia, 2024)

E io bestemmio, ché Flow lo hanno tenuto pochissimi giorni a orari per bambini, col risultato che non sono potuta andare al cinema a vederlo. Mi si spezza davvero il cuore, perché come posso essermi persa un film avente per protagonista un micino nero?

Miglior film straniero
Emilia Pérez
(Francia/Belgio/Messico, 2024)

Continuo a non capire il motivo di premiare lo stesso film per due categorie simili, ma, non conoscendo le altre opere in gara, me ne sto sulla fiducia. 

Cinematic and Box Office Achievement
Wicked
(USA, 2024)

L'anno scorso questo contentino era andato a Barbie, quest'anno a un altro film che avrebbe dovuto fare sfracelli, ovvero Wicked. Contentino per contentino, lo avrei dato a Il robot selvaggio, che non ho ancora visto ma mi si dice essere bellissimo.


Come al solito, anche con le serie TV vado FORTISSIMA!! Sono preparata solo sul premio a Jodie Foster come Miglior Attrice in una Serie Limitata, Antologica o Film TV per la serie True Detective Night County. Per il resto, mi limito a segnarmi un improbabile recupero di Shogun, Baby Reindeer e Hacks, le serie che hanno ottenuto più premi. La award season tornerà in occasione del consueto riassuntone degli Oscar, il 3 marzo! ENJOY!

mercoledì 24 maggio 2023

Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023)

Con tutta la calma del mondo, domenica sono finalmente andata a vedere Guardiani della Galassia Vol. 3 (Guardians of the Galaxy Vol. 3) diretto e sceneggiato dal regista James Gunn.


Trama: mentre Quill cerca ancora di riprendersi dal ritorno di Gamora e gli altri Guardiani della Galassia rimettono a posto Knowhere per renderlo la loro nuova casa, una minaccia dal passato di Rocket rischia di distruggere ogni cosa...


E così, James Gunn se n'è andato. Dopo alterne vicende che non starò qui a riassumere, il creatore dei Guardiani della Galassia cinematografici, ovvero l'unico Autore in grado di imprimere un minimo di personalità a una saga costretta necessariamente a confluire all'interno di un affresco più grande, ha trovato casa alla DC, come capo dei DC Studios. Grandissima perdita per l'MCU, se chiedete a me. Ovviamente, non starò qui a glorificare Gunn, e in tutta sincerità posso affermare che dimenticherò anche Guardiani della Galassia Vol. 3 nel giro di un mese o due, come del resto ho fatto con i suoi predecessori, ma mi sento anche di dire, altrettanto sinceramente, che il suo ultimo atto d'amore verso i Guardiani svetta rispetto alla merda che abbiamo dovuto inghiottire dopo il Doctor Strange di Raimi. Gunn ama i suoi personaggi e si vede; senza fare troppi spoiler, il regista è riuscito a chiudere il discorso cominciato nel 2014 con ogni singolo Guardiano e con l'idea di Famiglia, di quella misteriosa entità che riconosce ed accoglie chi si affida a lei, non importa quanto sia strano od imperfetto. Non è un caso che Thor sia stato calcioruotato fuori da quella stessa Famiglia, dove hanno cercato di infilarlo a forza per un periodo, perché lo spirito goliardico di Gunn non è lo stesso di Taika Waititi, che ha trasformato i personaggi in stupidi balocchi buoni solo per far ridere (a volte, neanche sempre) e si è abbandonato a vuoti esercizi di stile tamarri. Gunn è sempre stato bravo a raccontare storie, per quanto strane, e a farci affezionare ai suoi personaggi, e qui gioca delle carte molto crudeli per coinvolgerci nelle vicende di chi è stato letteralmente plasmato nel dolore e nella perdita, e che indossa da sempre una maschera di cinico o buffone per evitare che qualcuno possa anche solo avvicinarsi per cercare di riaprire ferite profondissime. Quindi si, ci si commuove parecchio guardando Guardiani della Galassia Vol. 3, e più che il sorriso strappato dai "soliti" Drax o Kraglin, dalla new entry Adam o da piccole, grandi guest star (ma ciao Nathan!), conta la catarsi offerta da sequenze violentissime di vendetta disperata, chiamate a forza da uno dei villain più odiosi e bastardi della storia del MCU.


Il mood di Guardiani della Galassia Vol. 3, d'altronde, viene stabilito fin dall'inizio, introdotto dalle note di una Creep versione acustica che già da sola è riuscita a magonarmi, e in diversi momenti, non solo alla fine, il film lascia allo spettatore quella sensazione di "crescita" ed abbandono, dolorosi ma positivi, che già avevo apprezzato col terzo capitolo di Toy Story (sempre per rimanere in ambito Disney. E mi auguro, con tutto il rispetto, che non esca MAI un Guardiani della Galassia vol. 4, perché vanificherebbe molti risultati raggiunti da questo film). Nonostante ciò, Gunn non dimentica di stare realizzando un film d'azione ambientato nello spazio e, lasciato più o meno a briglia sciolta, il regista si scatena. Le ambientazioni hanno delle scenografie interessanti e anche un po' schifosette (soprattutto il pianeta organico sede della Orgocorp), la varietà di pianeti ed il bestiario presenti nel film denotano una fantasia ed una cura sempre più rare da trovare all'interno di pellicole che ormai puntano solo ad aumentare il numero di personaggi titolari da sfruttare per eventuali serie streaming, e le sequenze d'azione sono uno spettacolo. Particolarmente notevoli, a livello di coreografia e pathos, sono quella iniziale che vede l'attacco di Adam, il finto piano sequenza sulle note di No Sleep Till Brooklin, e il delirio che coinvolge le bestie più pericolose dell'Alto Evoluzionario, a proposito del quale mi andrebbe di spendere due parole di elogio anche per Chukwudi Iwuji (attore mai visto né conosciuto prima, mannaggia), che interpreta a briglia sciolta un personaggio folle, spietato, senza alcuna possibilità di redenzione. Il resto del cast, non me ne vogliate, fa il suo senza che qualcuno svetti su altri, e per quanto mi riguarda in Guardiani della Galassia Vol. 3 non c'è nulla e nessuno che possa eguagliare lo sguardo triste e ferito di un procione interamente creato in CGI... forse giusto dei procionetti ancora più piccoli. O forse Sly, chi lo sa. Nonostante ciò, mi mancheranno tutti, belli e brutti, quindi See you, space cowboys: ovunque vi porterà la continuity del MCU, il viaggio con Gunn è stato molto bello e, per quanto mi riguarda, il regista lascerà di sé solo un bel ricordo!


Del regista e sceneggiatore James Gunn (che doppia Lamb-Shank, il mostrillo liberato da Mantis) ho già parlato QUI. Bradley Cooper (voce originale di Rocket), Dave Bautista (Drax), Karen Gillan (Nebula), Vin Diesel (voce di Groot), Sean Gunn (Kraglin/Giovane Rocket), Chris Pratt (Peter Quill/Starlord), Will Poulter (Adam Warlock), Linda Cardellini (voce di Lylla), Elizabeth Debicki (Ayesha), Judy Greer (voce di War Pig), Sylvester Stallone (Stakar Ogord), Michael Rosenbaum (Martinex), Zoe Saldana (Gamora), Nathan Fillion (Master Karja), Michael Rooker (Yondu), Gregg Henry (Nonno Quill) e Seth Green (voce di Howard il Papero) li trovate invece ai rispettivi link.

Pom Klementieff interpreta Mantis. Canadese, la ricordo per film come Guardiani della Galassia Vol. 3, Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame, Diamanti grezzi, The Suicide Squad - Missione suicida, Thor: Love and Thunder e The Guardians of the Galaxy: Holiday Special. Anche sceneggiatrice, ha 37 anni e due film in uscita, Mission: Impossible - Dead Reckoning - Parte uno e due.


Maria Bakalova, che presta la voce a Cosmo, era stata candidata all'Oscar come Miglior Attrice Non Protagonista per Borat - Seguito di film cinema, dove interpretava la figlia di Borat. Nel film compare anche Lloyd Kaufman, in un ruolo citato come Gridlemop. Guardiani della Galassia vol.3, ovviamente, segue Guardiani della Galassia vol. 1 e vol. 2, oltre al The Guardians of the Galaxy: Holiday Special; per dovere di completezza, però, dovreste aggiungere anche Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame, Thor: Love and Thunder e la serie animata Io sono Groot (trovate tutto su Disney +) ENJOY!


domenica 9 febbraio 2020

Missing Link (2019)

Fresco di un Golden Globe, tra i nominati per l'Oscar come miglior lungometraggio animato c'è il delizioso Missing Link, scritto e diretto nel 2019 dal regista Chris Butler. Questo tra l'altro è l'ultimo post che pubblicherò prima della fatidica Notte: i compiti li ho fatti tutti ma cosa penso dei film mancanti lo scoprirete nei prossimi giorni.


Trama: Sir Lionel Frost tenta invano da anni di ottenere l'ingresso nella "Società dei Grandi Uomini", un esclusivo club di avventurieri, ma viene tacciato di essere un cialtrone. Per provare il suo valore, Sir Frost intraprende dunque un viaggio alla ricerca del leggendario Sasquatch il quale, una volta trovato, gli sottoporrà una richiesta inusuale...


Adoro la Laika. A partire da Coraline non c'è stato un solo cartone animato prodotto da questo splendido e coraggioso studio di animazione che non mi sia piaciuto. Adoro le sue storie particolari e spesso inquietanti, i messaggi che veicolano, il modo arguto in cui affrontano temi anche non facili per dei bambini o ragazzini, e ovviamente mi sciolgo davanti alla realizzazione sopraffina di questi gioielli in stop-motion. Missing Link non fa eccezione, pur essendo, per temi e storia narrata, forse il più "infantile" dei cartoni della Laika, almeno in apparenza. Missing Link è infatti un perfetto film d'avventura che va a braccetto con l'umorismo slapstick dei buddy movies e quello surreale dei Fratelli Marx; se dovessi trovare un esempio recente per indicare quanto mi sono entusiasmata proprio durante la visione dei viaggi, delle ricerche e delle rocambolesche fughe di Sir Lionel e compagni mi viene in mente solo Le avventure di Tin Tin - Il segreto dell'unicorno, e lì c'era Spielberg nella sua forma migliore. Qui abbiamo Chris Butler, che era stato molto più "avanti" ai tempi di ParaNorman ma che, comunque, confeziona un'opera divertentissima, emozionante e punteggiata di tante piccole stoccate alla società odierna, retrograda quanto quella in cui vive Sir Lionel, borioso avventuriero incapace di pensare ad altri che a se stesso e talmente cieco di fronte alla pochezza dei "Grandi Uomini" da voler diventare uno di loro. E' l'incontro col Sasquatch Mr. Link a cambiarlo a poco a poco, assieme alle parole dell'antica fiamma Adelina, due personaggi borderline e molto ben caratterizzati, i quali incarnano rispettivamente l'innocente libertà di essere quello che desidera il cuore, a prescindere da regole e convenzioni, e la forza di aspirare a finali non convenzionali, anche a costo di rimanere soli. E' interessante, a proposito di solitudine, come all'interno del film si sottolinei spesso l'inutilità del branco e si privilegi un'idea di amicizia basata su un costante e reciproco arricchimento, sul rispetto e la generosità, pur contemplando la possibilità di non riuscire a trovare "soddisfazione" anche davanti a simili premesse, nel qual caso l'amicizia è comunque destinata a continuare, anche se "a distanza". Un'idea assai moderna, che conferma l'incredibile finezza delle opere della Laika, mai banali e scontate.


Detto questo, come ho scritto prima Missing Link è anche e soprattutto estremamente divertente. Il contrasto tra l'aplomb inglese unito al complesso da supereroe di Sir Lionel e la goffaggine di Mr. Link, "cugino di campagna" del ben più nobile Yeti e talmente ingenuo da prendere alla lettera qualsiasi frase, è una delle cose più spassose viste quest'anno in un film ed è ben sottolineato dai diversi accenti di Hugh Jackman e Zach Galifianakis (purtroppo Missing Link non ha ancora una data di distribuzione italiana, vai a sapere perché, ma se non altro c'è la gioia di poter ascoltare le voci originali dei doppiatori visto che il contrasto tra i due nell'edizione italiana verrà notevolmente appiattito in tal senso); onestamente, sul finale viene voglia di assistere ancora ad altre spedizioni della strana coppia e chissà che per una volta la Laika non decida di fare un sequel. Di sicuro, realizzare Missing Link è stato uno sbattimento anche per via della miriade di dettagli presenti in ogni scena, tra oggettini, espressioni facciali, mezzi e costumi (ma questo vale per tutti i film realizzati in stop-motion) e il cartone animato presenta delle sequenze esaltantissime e fluide, talmente ben costruite non solo a livello di tecnica animata ma anche di regia da far invidia ai cosiddetti live action: nel mio cuore rimarranno sempre la scazzottata da film western, l'inseguimento all'interno di una nave che sfida ogni legge della fisica e della gravità e, ovviamente, lo showdown finale sulle nevi himalayane, per me anche troppo tachicardico. Se mai Missing Link uscirà in Italia sarò la prima a correre a vederlo al cinema per godermi al 100% la bellezza visiva di questo gioiellino, nel frattempo incrocio le dita perché l'ambita statuetta finisca tra le zampe di Mr. Link!


Del regista e sceneggiatore Chris Butler ho già parlato QUI. Hugh Jackman (Sir Lionel Frost), Stephen Fry (Lord Piggot - Dunceby), Matt Lucas (Mr. Collick), Zach Galifianakis (Mr. Link/Susan), Timothy Olyphant (Willard Stenk), Zoe Saldana (Adelina Fortnight) e Emma Thompson (L'anziana) li trovate invece ai rispettivi link.




domenica 26 agosto 2018

I Kill Giants (2017)

E' approdato direttamente su Netflix, proprio poche settimane fa, il film I Kill Giants, diretto nel 2017 dal regista Anders Walter e tratto dal fumetto omonimo di Joe Kelly e Ken Niimura.


Trama: Barbara è una ragazzina schiva e peculiare, con una particolarità. E' l'unico essere umano consapevole dell'esistenza dei giganti, che cerca di combattere con tutte le forze con l'ausilio della sua arma, la potente Koveleski.



Bestia strana questo I Kill Giants, soprattutto per chi non dovesse avere letto il fumetto omonimo, che vi direi di recuperare perché bellissimo. Dico così perché non è così facile ascriverlo a un genere, né probabilmente rimanerne folgorati come dal fumetto, benché a me sia piaciuto (e mi è sembrato che anche il Bolluomo abbia gradito). Siccome mi sono gingillata un po' sul post e stentavo a trovare l'ispirazione, come spesso accade durante le vacanze quando sono fuori allenamento, ho deciso di rileggere il fumetto per "sbloccarmi" e ho più o meno capito ora cosa c'è che "non va", in senso lato, nel film di Anders Walter. L'opera di Kelly e Niimura è feroce, arrabbiata e si consuma in poco tempo catturando il lettore che non riesce a posare il volumetto; benché i dialoghi siano simili, praticamente identici a quelli uditi nel film e gli eventi si susseguano allo stesso modo, la forza di I Kill Giants sta nella commistione tra questi dialoghi e il segno nervoso, quasi un po' underground, di Niimura, che restituisce al lettore l'idea di un mondo fantastico (e anche spaventoso) presente appena sotto la superficie di una realtà violenta, triste, inadatta a una bambina delle elementari qual è la Barbara del fumetto. La pellicola di Walter, invece, pare bearsi della costruzione di un limbo poetico e si concentra sulle trappole che Barbara costruisce per fermare i giganti, convogliando l'attenzione dello spettatore più verso l'effettiva esistenza degli stessi piuttosto che sul dramma umano di una ragazzina adolescente assai difficile, con la quale non è scontato immedesimarsi. Il sangue che scorre nell'I Kill Giants cinematografico è quello di rituali colorati ed accattivanti, in odore di Harry Potter, mentre nel fumetto le persone si fanno male davvero e c'è tutta la frustrazione di una ragazzina che preferisce rifugiarsi in un mondo di fantasia per non pensare alle nocche di una bulla fuori di testa, degno completamento di una vita fatta di abbandono, morte, inadeguatezza sociale, la difficoltà di integrarsi coi propri coetanei unita al desiderio di lasciare da parte Giganti e martelli magici per potersi abbandonare, anche solo una volta, alla stupidità di fatine e boyband.


L'opera di Walter si "perde", in effetti, focalizzandosi sull'aspetto visivo dell'opera, com'è proprio del mezzo cinematografico: la fotografia patinata, i colori, i costumi e la colonna sonora "ammorbidiscono" il grezzo mondo di fantasia creato da Kelly e Niimura, dilatando il tempo a dismisura quando invece, a mio avviso, le sconvolgenti emozioni della protagonista (la quale, in soldoni, ha problemi psichici abbastanza evidenti, benché comprensibili) avrebbero abbisognato di un trattamento più "cupo" e incisivo, meno malinconico. Dove il film arriva a cogliere nel segno è sul finale, zeppo di momenti tra lo spettacolare/catartico e il devastante per il povero cuore dello spettatore, il quale viene colpito da tutta la disperata ineluttabilità della situazione di Barbara, già presente nel fumetto. Il risultato dell'operazione è dunque un film più assimilabile al mondo dello young adult che dei comics, molto ben realizzato dal punto di vista della confezione, con degli effetti speciali poco invasivi e contenuti così da rendere al meglio la battaglia finale tra Barbara e il Titano, ottimamente recitato da una coppia di giovani attrici assai brave e molto carine (in effetti, anche troppo: Barbara nel fumetto è un piccolo mostrino, la Wolfe invece, alla faccia degli occhialoni, è di una bellezza disarmante), adatto sia a un pubblico adulto che a quello formato da spettatori più giovani, benché visti i temi trattati non lascerei i  bambini soli davanti allo schermo. Come avrete capito, mi sarei aspettata molto di più da questo film, non abbastanza incisivo da lasciare il segno come la sua controparte cartacea ma forse, e dico solo forse, guardandolo con occhi "vergini" potreste anche innamorarvene o comunque ritenerlo superiore alla media dei film che mensilmente vengono propinati su Netflix. Per me sicuramente supera la sufficienza, però continuo a preferire un approccio più tosto, nonostante già così il pericolo per lo spettatore di annegare nelle proprie lacrime sia altissimo.


Di Zoe Saldana (Mrs Mollé), Imogen Poots (Karen) e Jennifer Ehle (la madre di Barbara) ho già parlato QUI.

Anders Walter è il regista della pellicola, al suo primo lungometraggio (il corto Helium gli è valso l'Oscar nel 2013). Danese, anche sceneggiatore, ha 40 anni.


Madison Wolfe interpreta Barbara. Americana, ha partecipato a film come La stirpe del male, L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo, Joy, The Conjuring - Il caso Enfield e a serie quali True Detective e Scream: The TV Series. Ha 16 anni.


Se I Kill Giants vi fosse piaciuto consiglierei il recupero del fumetto, edito da Bao, e poi aggiungerei Sette minuti dopo la mezzanotte. ENJOY!


venerdì 4 maggio 2018

Avengers: Infinity War (2018)

Pur essendo corsi col Bolluomo a vederlo a Trieste, persino in vacanza, capirete bene che solo oggi riesco a buttare giù due righe su Avengers: Infinity War, diretto dai registi Anthony e Joe Russo e coronamento di dieci anni di film Marvel su grande schermo. Il post sarà OVVIAMENTE (anche se ormai lo avrete visto tutti!) SENZA SPOILER ma sarebbe meglio aver visto il film prima di leggerlo!


Trama: il malvagio Thanos sta radunando a poco a poco le Gemme dell'Infinito, che gli consentiranno un potere smisurato. La sua ricerca lo porta sulla Terra, a scontrarsi con quello che resta dei Vendicatori e con altri inaspettati alleati...


La mia paura più grande, alla vigilia di Infinity War, era che gli sceneggiatori e i fratelli Russo non sarebbero riusciti a gestire il calderone di personaggi, storie e sottotrame portate sullo schermo in tutti questi anni. Gli Avengers erano già stati rodati come gruppo dopo alcuni film solitari, d'accordo, ma nel frattempo si sono aggiunti Spider-Man, i Guardiani della Galassia e Doctor Strange, inoltre Thor aveva cambiato decisamente registro... insomma, i rischi potenziali erano due: o ottenere l'effetto "mosaico", appiccicando con lo sputo storie e personaggi che poco o nulla avevano da spartire, oppure arrivare alla fagiolata di macchiette come nei peggiori X-Men, quell'inguardabile elenco di personaggi messi a mo' di elenco da spuntare, con i fan che non sanno se essere felici per la comparsa dell'eroe preferito o mettersi a piangere per la sua inutilità nel contesto. Purtroppo, diciamo che in Infinity War hanno subito quest'ultimo destino Falcon e, in parte, anche War Machine ma a questo posso anche aggiungere un bel "chissenefrega", ché i due personaggi non mi hanno mai detto nulla, per il resto riporto qui quanto scritto su Facebook: come cinecomic, Avengers: Infinity War è un fo**uto capolavoro. Ovviamente, il mio giudizio è quello di chi ha visto i film che hanno portato alla pellicola dei fratelli Russo solo UNA volta, massimo due, quindi non contate su di me per scovare eventuali incongruenze nel delirio di scene post-credits e trame appena accennate che hanno spianato la strada a Thanos e alla sua ricerca delle Gemme dell'Infinito, però da semplice spettatrice mediamente appassionata del genere quasi tre ore così "veloci" ed epiche non me le aspettavo davvero. Infinity War è un film che assesta subito un poderosissimo cazzotto allo stomaco dello spettatore, stroncando sul nascere tutte le accuse rivolte alla Marvel di essere un carrozzone da Carnevale di Rio, e che costruisce il climax finale mettendo assieme pochi eroi per volta, dapprima quelli più "simili" per carattere ed atmosfere o comunque quelli le cui dinamiche avrebbero funzionato meglio, mettendoli a confronto con un essere praticamente inarrestabile e molto determinato. Thanos è il primo villain del Marvel Cinematic Universe a potersi degnamente fregiare di questo titolo, l'unico che probabilmente si imprimerà a fuoco nella memoria degli spettatori e non solo perché "gli piace vincere facile" ma soprattutto per la sua complessità. I ragionamenti che muovono Thanos sono i deliri di un pazzo, è vero, eppure sono pericolosamente condivisibili: salvare mondi condannati dalla sovrappopolazione lasciando fare "al caso" è un'idea folle ma allo stesso tempo in qualche modo "equa" e non interamente malvagia, poiché Thanos non è guidato da egoismo, piuttosto è tormentato dalla consapevolezza di essere una creatura orribile, che per raggiungere i suoi scopi è stato costretto a sacrificare ogni cosa in nome di un'ipotetica salvezza dell'Universo.


Ad affrontare questo villain potentissimo ed inarrestabile troviamo eroi che ne hanno passate di tutti i colori, sono cresciuti con noi e talvolta invecchiati. A far da contraltare ai numerosi momenti comici quasi interamente riservati all'alleanza tra Guardiani della Galassia e Thor e allo spassoso triangolo Iron Man/Doctor Strange/Spider-man, c'è un costante senso di cupezza strisciante che fa morire la risata in gola. A parte il giovane Peter Parker, inesperto "uomo ragno di quartiere" desideroso di mettersi alla prova, tutti gli altri hanno subito perdite enormi e sanno che è solo questione di tempo prima che arrivi una minaccia capace di distruggere tutto ciò che amano; c'è chi è ancora traumatizzato dal primo incontro con la minaccia spaziale e sta cercando di mettere su famiglia, come Iron Man, chi desidera ritagliarsi del tempo per l'amore e l'introspezione, chi è ancora in fuga e non ha smesso un istante di combattere con coraggio, chi ha perso tutto tranne l'orgoglio e il desiderio di vendetta, chi si nasconde dietro una spavalda cazzoneria ma ama la sua assurda famiglia più di qualsiasi altra cosa, chi a causa di un giuramento rischia di perdere la propria umanità e tutti questi eroi, nessuno escluso, noi abbiamo imparato ad amarli, a rispettarli... e sì, a darli per scontati. E' qui che Infinity War cambia le regole, introducendo l'idea concreta della morte e della sconfitta, intrappolando lo spettatore in una corsa sulle montagne russe diretta verso un muro di cemento e capace di lasciarlo col fiato sospeso nell'attesa dell'inevitabile schianto; all'avventura e all'azione si aggiunge dunque l'epicità di piccole e grandi tragedie, accompagnata inoltre da un'introspezione psicologica non facile da trovare in questo genere di film, soprattutto uno così corale. Come ho detto sopra, non a tutti i personaggi viene concesso di svettare sopra la massa, ma alcuni arrivano davvero a brillare di luce propria, Tony Stark su tutti, protagonista di uno dei momenti più intensi e delicati della pellicola, senza dimenticare un Dio del Tuono finalmente temibile e fiero come si confà ad una divinità, i sempre adorabili Guardiani della Galassia (Rocket, mi hai spezzato il cuore!!), per finire con un bimbo ragno costretto a diventare adulto nel peggiore dei modi. Non so se è l'influenza Disney ma a 'sto giro ci sono "momenti Bing-Bong" (cit. Doc Manhattan) come se piovessero e chiunque non ne rimanga toccato nel profondo è una persona malissimA.


Avevo detto niente spoiler quindi la pianto lì, aggiungo solo un paio di righe sulla realizzazione tecnica dell'opera. Pur non sapendo una mazza di regia e montaggio e pur capendo anche da sola che i due Guardiani della Galassia e Thor: Ragnarok avevano molta più personalità rispetto a Infinity War, mi pare comunque che i fratelli Russo abbiano fatto il loro sporco lavoro senza che allo spettatore venisse voglia di cavarsi gli occhi. Sia le scene di combattimento con pochi personaggi sia quelle corali (per esempio il delirio Wakandiano) mi sono sembrate ben dirette e chiare, fracassone quanto basta ma senza esagerare, con gli effetti speciali ben amalgamati all'azione reale e ai fantascientifici mezzi inseriti negli incredibili sfondi alieni. Ho apprezzato molto il tentativo di creare un prodotto dallo stile coeso che lasciasse comunque spazio ad alcune strizzate d'occhio ai fan delle varie franchise, espresse vuoi con l'utilizzo di una colonna sonora particolare (vedi l'introduzione ai Guardiani della Galassia), vuoi con movimenti di macchina inconfondibili come quelli "alla Inception" di Doctor Strange, vuoi con una generale aria "sbarazzina" e fresca, chiaro omaggio a Spider-Man: Homecoming, piccoli tocchi che a mio avviso hanno ravvivato il mosaico vendicatore. Da non fan dei fumetti mi sono comunque esaltata non solo davanti all'egregio trucco dei seguaci di Thanos, a sua volta molto meno brutto e pupazzoso di quanto lasciassero presagire trailer e foto di scena, ma soprattutto davanti al fighissimo costume nuovo di Spider-Man e ad alcuni cambi di look come quello di Chris Evans, decisamente migliorato rispetto ai tempi in cui era un minchietta sbarbatello e precisino (per contro la Vedova Nera bionda perde parecchio, eh)... ma tutto, letteralmente, scompare davanti all'eleganza del finale. Tranquillo, silenzioso, definitivo. E noi muti, tutti gli spettatori, a guardarci in faccia ancora sconvolti da quanto avevamo visto, ché uno può leggere tutti i fumetti che vuole e bene o male far spallucce davanti a certe cose ma se queste "cose" sono scritte bene e al loro interno c'è anche solo un pizzico di cuore, non basta tutta l'esperienza del mondo a salvarci dallo shock, quando ti colpisce a tradimento.


Dei registi Anthony e Joe Russo ho già parlato QUI. Robert Downey Jr. (Tony Stark/Iron Man), Chris Hemsworth (Thor), Mark Ruffalo (Bruce Banner/Hulk), Chris Evans (Steve Rogers/Captain America), Scarlett Johansson (Natasha Romanoff/Vedova nera), Don Cheadle (James Rhodes/War Machine), Benedict Cumberbatch (Doctor Strange), Tom Holland (Peter Parker/Spider-Man), Chadwick Boseman (T'Challa/Pantera nera), Zoe Saldana (Gamora), Karen Gillan (Nebula), Tom Hiddleston (Loki), Paul Bettany (Visione), Elizabeth Olsen (Wanda Maximoff/Scarlet Witch), Anthony Mackie (Sam Wilson/Falcon), Sebastian Stan (Bucky Barnes/Soldato d'inverno), Idris Elba (Heimdall), Peter Dinklage (Eitri), Benedict Wong (Wong), Dave Bautista (Drax), Vin Diesel (voce di Groot), Bradley Cooper (voce di Rocket Raccoon), Gwyneth Paltrow (Pepper Potts), Benicio del Toro (Il Collezionista), Josh Brolin (Thanos), Chris Pratt (Peter Quill/Star-Lord), Sean Gunn ("corpo" di Rocket), Samuel L. Jackson (Nick Fury, non accreditato) e Cobie Smulders (Maria Hill, non accreditata) li trovate invece ai rispettivi link.

Danai Gurira interpreta Okoye. Americana, famosa per il ruolo di Michonne in The Walking Dead, ha partecipato a film come My Soul to Take - Il cacciatore di anime e Black Panther, inoltre ha doppiato un episodio della serie Robot Chicken. Ha 40 anni.


William Hurt interpreta il Segretario di Stato Thaddeus Ross. Americano, lo ricordo per film come Stati di allucinazione, Brivido caldo, Il grande freddo, Gorky Park, Figli di un dio minore, Jane Eyre, Michael, Dark City, Lost in Space, A.I. - Intelligenza artificiale, The Village, A History of Violence, Syriana, L'incredibile Hulk, Robin Hood e Captain America: Civil War, inoltre ha partecipato a serie quali Il tenente Kojak e Incubi e deliri. Anche produttore, ha 68 anni e due film in uscita.


Carrie Coon interpreta Proxima Midnight. Americana, ha partecipato a film come L'amore bugiardo - Gone Girl, The Post e a serie quali The Leftovers - Svaniti nel nulla e Fargo. Anche produttrice, ha 38 anni e due film in uscita.


Kerry Condon è la voce originale di Friday. Irlandese, ha partecipato a film come This Must Be the Place, Dom Hemingway, Avengers: Age of Ultron, Captain America: Civil War, Spider-Man: Homecoming, Tre manifesti a Ebbing, Missouri e a serie quali The Walking Dead e Better Call Saul. Ha 35 anni e due film in uscita.


L'immancabile Stan Lee compare nel film nei panni di autista dello scuolabus. Nell'attesa che esca, l'anno prossimo, il sequel ancora senza titolo di Infinity War (nel quale arriverà Captain Marvel, come pronosticato dalla scena post-credit vista a fine film, e torneranno Ant-Man, Wasp e Occhio di Falco), dovete assolutamente recuperare Captain America: Il primo vendicatoreIron ManIron Man 2, L'incredibile HulkThor , The Avengers, Iron Man 3Thor: The Dark WorldCaptain America: The Winter SoldierGuardiani della GalassiaGuardiani della Galassia vol. 2, Avengers: Age of UltronAnt - ManDoctor StrangeCaptain America: Civil WarSpider-Man: Homecoming , Thor: Ragnarok e Black Panther. ENJOY!


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