Zero, artista aspirante, maestro dell'inazione e degli amori inespressi, è un analfabeta sentimentale con un armadillo per grillo parlante e un biglietto per Brescia. Nel tempo libero si stordisce di seghe, plumcake e autocommiserazione. Dove sta andando accompagnato dagli amici di sempre, Sara e Secco? Per ingannare l'angoscia, durante questo viaggio della vita – e della morte –, darà avvio a un flusso di coscienza brillante, verboso, coloratissimo, capace di raccontare a suon di citazioni nerd il precariato, l'indecisione cronica, l'istruzione scolastica, le relazioni tossiche, gli aneddoti belli e quelli brutti. Già conosciuto attraverso la trasposizione di La profezia dell'armadillo, Zero mi ha fatto prima bene e poi male. Zero non mi piace. Zero mi somiglia così tanto da mettermi in imbarazzo. Alter-ego di un famoso fumettista romano, che questa volta scrive, dirige e doppia per Netflix, è la voce dolente di una generazione vicinissima alla mia tanto nella pazza gioia quanto nella disperazione. Perché essere giovani, oggi, significa sentirsi degli eterni fogli accartocciati. Non abbiamo linee tratteggiate da seguire, né forbici per realizzare un bel lavoro di precisione. Strappiamo alla cazzo di cane, e ci strappiamo. Siamo stracci, coriandoli. Siamo tagli. Nel ricordarcelo, nichilista con ironia, Zerocalcare firma una delle migliori novità dell'anno corrente. (8)
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venerdì 3 dicembre 2021
Le serie sulla bocca di tutti: Strappare lungo i bordi | Maid | Scenes from a Marriage | The White Lotus | Only Murders in the Building
In
fuga da una relazione tossica insieme alla figlioletta, Alex sbarca
il lunario come domestica. Pulisce le case dei ricchi, e ne carpisce
le storie, i segreti, le felicità apparenti. Alex smacchia, sgrassa
e lucida in silenzio. Ma a dispetto degli sforzi titanici non riesce
a cancellare i dolori della propria famiglia disastrata, composta da
una madre bipolare, un padre assente e un partner tenero ma
imprevedibile negli sbalzi d'umore. Attraverso i viavai giornalieri
della protagonista, questa miniserie – ispirata a una storia vera –
racconta con sguardo partecipe i figli di un Dio minore. Quelli dei
sussidi statali, delle case-famiglia, del buoni pasti: i novelli
miserabili. Prodotta dagli autori di Shameless e Promising Young Woman, Maid descrive
in maniera simile il disagio sociale e la solidarietà femminile
senza però mai propendere per il grottesco. Realistica,
introspettiva, ma all'occorrenza sognante, è un'ordinaria storia
d'ispirazione e coraggio sorretta da un cast straordinario. Benché
stupisca il Nick Robinson dell'adolescenziale Tuo, Simon,
giganteggiano Margaret Qualley e
Andie MacDowell. Mamma e figlia anche nella vita reale – la prima
una definitiva consacrazione, l'altra un insperato ritorno di fiamma:
le rivedremo entrambe ai Golden Globe – minacciano di andare in
pezzi in continuazione. Ma, miracolose fino all'ultimo, non si
rompono. (7,5)
Oscar
Isaac e Jessica Chastain – quanta bellezza, quanta bravura: ne
saranno ben felici i nostri ormoni – si amano e si odiano alla
follia nella miniserie ispirata a Bergman. Seppure a ruoli inversi
rispetto al film originale, discutono di monogamia, sesso e
tradimenti nell'arco di cinque puntate. Lui, insegnante di filosofia,
è caloroso e accomodante. Lei, manager ambiziosa, appare più
disincantata. Nonostante la sceneggiatura e le performance, di
altissimo livello, siano state acclamate all'unisono al Festival di
Venezia, il piglio freddo e cerebrale del tutto non è riuscito mai a
emozionarmi. Anzi: lo script sembra fare il possibile per renderli
insopportabili, con Isaac ridotto a uno zerbino e Chastain
trasformata in un'aguzzina capricciosa. Alle “scene” di Hagai
Levi – sbrodolate sedute psicoanalitiche mascherate da schermaglie
coniugali – manca qualsiasi spontaneità. Possibile che fosse più
dolorosa una lite di pochi minuti nell'ultimo Baumbach rispetto a
questo profluvio di recriminazioni e pavoneggiamenti stellari? Per
riprendersi dall'eventuale delusione, consiglio la terza stagione di
Master of None –
altro tributo al maestro svedese – o Chiamami ancora amore, un Kramer VS
Kramer all'italiana prodotto
dall'insospettabile mamma Rai. (6)
Una
famiglia con detestabili figli adolescenti al seguito. Una coppia di
neosposi minacciata dalla tristezza di lei, insofferente verso quel
marito capriccioso. Un'appariscente donna di mezza età con un'urna
da spargere nell'oceano. E un resort esclusivo, nelle sognanti
Hawaii, che per qualche tempo ne accoglie le storie, gli strepiti e i
disastri tragicomici, mentre il suo impettito direttore rischia di
perdere il suo buon nome. Le esistenze dei villeggiantisi
intrecceranno con risultati imprevedibili a quelle dei dipendenti.
Grottesca, acidissima, scritta in stato di grazia, The
White Lotus fa ridere a denti
stretti a proposito di white privilege, patriarcato e perbenismo.
Come nella migliore tradizione della satira sociale, la sceneggiatura
– perfetta nei primi episodi – bacchetta i vizi di questi
riccastri vuoti e superficiali. I toni sono corrosivi, la colonna
sonora tribale, il cast strabiliante – l'iconica Jennifer Coolidge
su tutti, ma occhio anche ai sorprendenti Murray Bartlett e Alexandra
Daddario. Peccato per l'epilogo, agrodolce ma senza coraggio: un
ritorno alla normalità (con omicidio) che non convince
completamente. Bella, ma non quanto si leggeva in giro ai tempi della
messa in onda su Sky, resta la versione riuscita della pessima Nine
Perfect Strangers ma non il
capolavoro annunciato. (7)
Un
attore sul viale del tramonto, un regista in bancarotta e una
ventiseienne dal passato enigmatico fanno squadra per indagare su un
omicidio avvenuto nel loro condominio. Che la morte di un solitario
uomo d'affari sia correlata a quella di una giovane di buona
famiglia, caduta dall'ultimo piano qualche anno prima? I sospettati,
di tutto rispetto, comprendono anche Nathan Lane e la rockstar Sting.
Giocando a fare i detective, i tre protagonisti contribuiscono a
creare un un podcast dal successo istantaneo e questa deliziosa
comedy d'ambientazione newyorese, che nei suoi momenti più felici
ricorda proprio il Woody Allen di Misterioso omicidio a
Manhattan. Peccato che,
nonostante qualche trovata particolarmente brillante – il settimo
episodio, un prodigio tecnico girato dal punto di vista di un
inquilino non udente – e colpi di scena in quantità, il risultato
sia tanto piacevole quanto innocuo. Già confermato per una seconda
stagione, Only Murders in the Building resta
in ogni caso l'intrattenimento ideale per gli amanti di Agatha
Christie e per spettatori arzilli anche se in là con gli anni. I
suoi pregi maggiori? Aver riporto sugli schermi Steve Martin e Martin
Short, irresistibili mattatori, che ammiccano alle nuove generazioni
– da qui il coinvolgimento di Selena Gomez – e brindano alla vita
scherzando a lungo con la morte; la sigla animata, tra le più belle
dell'anno corrente; il format vincente, purtroppo supportato da un intreccio poliziesco
tutt'altro che indimenticabile. (6,5)
sabato 20 giugno 2020
Tre novità tutte da (sor)ridere: Upload | Never Have I Ever | Run
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lunedì 1 giugno 2020
Recensione: Bunny, di Mona Awad
Quando
vai alle feste, fai attenzione a quello che ti mettono nel bicchiere: le mamme si raccomandano così, indipendentemente dalla tua età. A mia discolpa, ho abbassato la guardia. Ma questa non era una
festa qualsiasi, bensì l’open day della Warren University: potevo
forse immaginare che in un ambiente tanto prestigioso –
l’università, infatti, ospita un pionieristico corso di scrittura
–, qualcuno potesse drogarmi? Le sensazioni sono inequivocabili. La
mollezza degli arti, la pesantezza della testa e delle palpebre, in
bocca un sapore dolciastro. Le percezioni falsate che, tutt’intorno,
trasformano il mondo o in un incubo o in un luna park. Perfetto
titolo di punta per inaugurare la collana Weird Young – è
decisamente strano, ma niente affatto adolescenziale: le riflessioni
metaletterarie piaceranno infatti più agli adulti –, ciò che segue è un
delizioso groviglio di merletti, catene, esplosioni splatter e asce
affilate. Caratterizzato da dettagli curiosi che lo renderebbero
stilosissimo anche in un’eventuale trasposizione – i guizzi
artistici dell’autrice si notano anche nelle descrizioni meticolose
degli oggetti d’arredo o dei guardaroba delle protagoniste –,
risulta esilarante, visionario, profondo. Un rituale con leggi tutte
da scoprire, con uno stile talmente suadente da sembrare una
stregoneria.
Perché
scappavamo sempre, io e la mia immaginazione. Ci tenevamo per mano
sul margine della scogliera sul Mare del Nord, salivamo sempre più
in alto tra i rami di una sequoia, viaggiavamo su un treno per
Parigi, guadavamo il fiume con le labbra blu per cercare di
raggiungere l’India a nuoto. Oppure correvamo e basta, cazzo. Giù
per il pendio ripido di una collina che non finiva mai, lei e io,
mano nella mano. Lei era una grande foresta a forma di ragazza. Era
qualcosa che andava a fuoco. La sua mano era foglie e fumo e neve e
carne tutto in una volta. […] Ero eccitata. La mia vita poteva
cambiare. E non ero più sola.
La
trama – un mix tra Suspiria e Schegge di follia –
segue l’iniziazione di Samantha durante un seminario di arti
narrative. Legata a un’unica buona amica, Ava, la protagonista nutre
pretese da outsider in una città popolata da brutti ceffi e
aspiranti Virginia Woolf. Profumate di zucchero filato, vestite di
rosa, con una perenne aria zen, le Bunny sono il suo esatto opposto:
quattro venticinquenni dedite ai pigiama party e alle sedute
spiritiche che le aprono le porte della loro cerchia elitaria.
Uniformarsi alle Bunny o farle scoppiare dall’interno?
Gli artisti vivono in un mondo impenetrabile. Quelli di Mona Awad, la Isabella Santacroce statunitense, un po’ di più. Con ironia corrosiva, l’autrice stupisce per lo stile arzigogolato e per la sua satira pungente: vengono messe alla berlina le pratiche new wave; gli intellettuali pretenziosi; le giovani femministe che, magari dopo la lettura dei Monologhi della vagina, si vantano di essere novelle suffragette.
Gli artisti vivono in un mondo impenetrabile. Quelli di Mona Awad, la Isabella Santacroce statunitense, un po’ di più. Con ironia corrosiva, l’autrice stupisce per lo stile arzigogolato e per la sua satira pungente: vengono messe alla berlina le pratiche new wave; gli intellettuali pretenziosi; le giovani femministe che, magari dopo la lettura dei Monologhi della vagina, si vantano di essere novelle suffragette.
Con
quanta ferocia quei corpi bianchi e rosa si stringono in un piccolo,
caldo cerchio di amore frantuma-costole, e ogni volta rendendomene
conto rimango senza fiato. E quando strofinano quei nasi all’insù
che sembrano trampolini da sci, e le guance coperte da pelle di
pesca. Tempia contro tempia mi fanno pensare al modo in cui
strusciano le labbra degli scimpanzé, o alla telepatia dei bambini
bellissimi e sanguinari nei film horror. Tutti e otto i loro occhi
chiusi, come se quest’asfissia collettiva fosse una sorta di estasi
religiosa. E le loro quattro bocche dalle labbra lucide emettono
squittii che parlano di un amore mostruoso che è quasi un pugno in
faccia.
La
seconda parte, almeno all’apparenza, gira più a vuoto della prima. I personaggi delle Bunny sono a lungo assenti dalla scena e le riflessioni della protagonista abbondano dopo
la comparsa di Max, un tenebroso sconosciuto dagli occhi di fumo. Per
fortuna Samantha è un personaggio affascinante. Mossa da pulsioni
segrete, fa ragionare i lettori sul lato oscuro dell’immaginazione;
sugli angeli e i demoni del processo creativo; sull’ansia da
prestazione che ci assale quando tocca condividere la nostra opera –
dunque, un pezzo di cuore – col resto del mondo. Adeguarsi, tanto
nell’editoria quanto nelle amicizie, significa vendere l’anima?
Bunny, ambientato nella città che ispirò il genio di Lovecraft, sembra
scritto sotto oppiacei e leggerlo provoca uno stordimento simile.
Scriverne, poi, significherebbe essersi finalmente ripresi dai
postumi. Io, lo ammetto, ne sono ancora vittima.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: Britney Spears – I’m a Slave 4 U
martedì 5 maggio 2020
I congiunti e gli affetti stabili nelle graphic novel: Residenza Arcadia | Basilicò | Freezer
|Residenza Arcadia, di Daniel Cuello. € 20, pp. 167, ★★★★|
Chiusi
in casa, spiano le mosse del vicinato. Aguzzano l’udito per
origliare. Denunciano. La routine degli
abitanti di Residenza Arcadia, satira quanto mai attuale,
potrebbe ricordarvi qualcosa. I giorni della nostra quarantena.
Terrorizzati dal cambiamento – un po’ come noi davanti alla fase
due –, gli anziani protagonisti tutelano le loro
proprietà con il pugno di ferro. Benché vengano nominati Don
Matteo e Turisti per caso, siamo in una società distopica
imprecisata: pare che ci sarà una guerra imminente, che il Partito e
la Gendarmeria vadano temuti, e che presto ci sarà una parata
per celebrare la Nazione. Gli stessi conflitti si respirano anche nel
condominio: colpa dei nuovi inquilini – terroristi – da far
sloggiare. Raffigurata come un idillio sin dal nome, la Residenza è
un covo di scaramucce, pettegolezzi e voltafaccia mortali. Badate ai
disegni, inquietanti come nel miglior Burton, e diffidate da quei protagonisti che sembrano adorabili: la solitaria
Mirta con il suo canarino; Emilio e Dirce, con ospite il nipote
metallaro; i temutissimi Ester e Dimitri, dai modi affabili ma con un
passato insospettabile – quello di lui vi commuoverà. Daniel
Cuello, originario di un Paese che ha avuto una lunga e infelice
relazione con le dittature, scuote per crudeltà e dolcezza. E
condanna il conservatorismo di una certa generazione, sempre in prima
linea per apostrofare il lassismo dei tempi correnti. Oasi da
proteggere, il condominio diventa un microcosmo in cui legge e morale
viaggiano su binari diversi. Perché difendere con le unghie e con i
denti una casa destinata comunque alla polvere del tempo? Perché
mantenere lo status quo, se è un incubo che ricorda i fascismi?
|
Basilicò, di Giulio Macaione. € 16, pp. 153,
★★★½|
Alcune
famiglie sono un’associazione a delinquere. A mettere sotto
processo la propria è Maria, matriarca sputasentenze con cinque
figli grandi e un marito scappato con la domestica Nancy. Come
in American Beauty, la narrazione prende avvio da un luogo
particolare: l’oltretomba. La protagonista, nel giorno del suo
stesso funerale, racconta il suo albero genealogico e gli eventi che
hanno portato alla sua morte. Risposta politicamente scorretta alle
saghe familiari tanto in voga, Basilicò sarà apprezzato dai
fan di Carnage o I segreti di Osage County.
Complessati, sguaiati e inviperiti, i membri della famiglia Morreale
credono nei valori tradizionali, nel senso del decoro, nell’omertà.
I capitoli, illustrati da una penna che incanta, sono ora in bianco e
nero, ora in un nostalgico color seppia. Introdotti dalle ricette
della migliori ricette della tradizione – dalla parmigiana al
pesto, dal cous cous al ragù – inoltre assumono di volta in volta
il punto di vista dei figli: Giovanni, un prof bistrattato; Agata,
artista povera in canna; Diego Maria, omosessuale sfortunato in
amore; Rosalia, moglie e amante; infine Santo, ultimogenito
dall’esistenza girovaga. Riuniti per il compleanno di Maria, si
troveranno a celebrarne le esequie. La mamma si è portata nella
tomba trucchi e consigli? Se il segreto della sua cucina era il
basilico, il segreto del basilico invece qual era? I colpi di scena
del finale assicureranno anche qualche tavola horror. La graphic
novel di Giulio Macaione è un omaggio a Palermo, alle gioie della
tavola, ai dolori delle famiglie infelici a modo loro.
|Freezer, di Veronica “Veci” Carratello. € 18, pp. 137,
★★|
Un’altra
famiglia disfunzionali da cui fuggire, un’altra lettura grottesca. Questa volta si
parla dei Robinson: sì, proprio come quelli della serie TV. Mina, in
attesa dello sviluppo ormonale, sognerebbe per sé il potere
dell’invisibilità. Difficile se primogenita in una casa dov’è
impossibile non essere immischiati nelle tragicomiche dei parenti .
Tocca citarne qualcuno: il padre, attore della pubblicità della
carta igienica; lo zio Ernesto, che in una chat trova l’anima
gemella; il gatto Kafka, aspirante suicida; una nonnina chiusa nel
silenzio impenetrabile della vedovanza. A metà tra Little Miss
Sunshine e Metti la nonna in freezer, la graphic novel ha
protagonisti già visti altrove e un umorismo che purtroppo non mi ha
divertito. Il pregio più grande è l’irresistibile estetica
vintage, con un tripudio di colori terrosi, citazioni musicali anni
Settanta e un tratto degno della sfrontatezza dei prodotti di Cartoon
Network. Peccato che Freezer somigli più a un insieme di
strisce comiche che a un racconto, più a un puzzle di sketch che a
una storia fatta e finita. I (nuovi) Robinson potrebbero essere i
personaggi di una sitcom strampalata e scorretta che ci dispiacerebbe
vedere in poltrona. Questo volume, un breve assaggio delle stranezze
di cui sono capaci, è però un episodio pilota nemmeno troppo
soddisfacente.
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mercoledì 4 dicembre 2019
Recensione: Gli altri, di Aisha Cerami
| Gli altri, di Aisha Cerami. Rizzoli, € 18, pp. 288 |
Alle
porte di una città imprecisata, protetto da una cortina di siepi che
ne fanno una fortezza inespugnabile, sorge il condominio in cui
ognuno di noi spenderebbe volentieri i propri giorni. Quattro piani,
tredici abitanti di diversa estrazione sociale, porte sempre aperte,
tutti che possiedono la chiave di scorta di tutti. Il Roseto è un
microcosmo gaudente e lieto, destinato a un’eterna fioritura
indipendentemente dalle stagioni meteorologiche. C’è un ricco
fondo cassa, e ogni scusa è buona per attingervi e organizzare
serate per pochi eletti – dal primo ciclo mestruale di una
ragazzina al compleanno di un’ottuagenaria, da un funerale a una
festa di benvenuto. La morte di un’abitante del Roseto, allo stesso
modo, è una tragedia condivisa all’unanimità. Ci si fa forza
insieme, soprattutto se l’infarto fulminante dell’anziana Dora
significa far fronte a un altro dispiacere: rapportarsi da zero con
nuovi inquilini. Qual è l’identità degli ultimi arrivati, che
escono all’alba e rientrano al tramonto? Perché rifuggono i
momenti di aggregazione e non si adeguano ai ritmi del resto del
palazzo? Lo teorizzava già J. G. Ballard, nel classico della
distopia da tempo immemore nella mia lista dei libri da recuperare: i
condomini sono delle macchine perfette, i cui abitanti – sottoposti
alla dittatura del quieto vivere – costituiscono un coro armonico e
intonato ai limiti della spersonalizzazione. Lo ha ribadito il
regista Roman Polanski, nella trilogia da brivido inaugurata con
Repulsione. Gli ha fatto infine eco Alex de la Iglesia, con
l’hitchockiano La Comunidad. Ultima ma non ultima, si
concede un soggiorno malsicuro anche l’esordiente Aisha Cerami: il
suo romanzo di debutto è una sorpresa inaspettata. Non lasciatevi
ingannare dalla deliziosa copertina color pastello. Benché frizzante
e leggerissimo, scritto in maniera svelta e puntuale, Gli altri
non è assolutamente una storia consolatoria in cui l’ultimo
rigo regala al lettore un messaggio di concordia. Ogni personaggio,
infatti, ha una vita pubblica, una privata e un’altra segreta.
Anni e
anni prima, in quel condominio, c’era stato un uomo che aveva
stilato una legge uguale per tutti. Una legge indiscutibile e
fondamentale perché quel posto restasse per sempre un luogo felice.
Il regolamento veniva firmato alla prima riunione di condominio. Una
firma senza valore legale, ma sacra. Un patto di sangue, senza tagli
o giuramenti sotto la luna piena. E il regolamento diceva più o meno
così: rispetta il prossimo tuo come te stesso; non usare violenza;
non minacciare; non fare la spia; non avere segreti.
Ci
sono Romana e Stevi, protagonisti di un matrimonio sadomasochistico
da cui fuggire soltanto attraverso la fantasticheria di un tradimento
coniugale; Rachele, sull’orlo di una crisi di nervi e madre di due
gemelli pestiferi, con un volto devastato dalla psoriasi; le outsider
Libia e Marilyn, la prima ex tossicodipendente e l’altra travestito
di buon cuore; il Conte, prigioniero di una genitrice dispotica e dei
disturbi ossessivo-compulsivi; il Vedovo e Maria, insegnanti in
pensione, che talora mettono pace con parole assennate. E soprattutto
c’è la quattordicenne Arina, figlia dell’umile Olga, che contro
ogni pronostico si affeziona al figlio della famiglia appena giunta
lì e l’ama di un amore quasi shakespeariano: Antonio è gentile,
vorrebbe diventare un autore di horror, e regala all’adolescente
sogni alternativi e uno sguardo più lucido sugli intrighi dei
vicini. Il Roseto è lo specchio fedele delle contraddizioni della
nostra società, nonché della cronaca. È fonte di protezione, è un
vincolo; discrezione e omertà sono in rima baciata. Al centro di un
isolamento perfetto, i personaggi della Cerami hanno buone maniere e
animi oscuri: vedono pericoli dappertutto, specialmente nelle novità.
Fanno spallucce davanti all’evidenza della violenza domestica,
fiutano il marcio nella bellezza delle relazioni nascenti, vietano il
sesso occasionale, seminano l’odio. Radunati in cortile,
farneticano di suicidi e malocchio, somigliando ai membri di una
setta grottesca. Il condominio li protegge, o forse li costringe in
gabbia? Meglio porgere l’altra guancia, oppure battagliare?
Era lì,
incastrato tra le fauci della morte, a tendere i muscoli verso
l’alto, sperando di farsi nascere le ali. «Prima o poi capirà che
non ha scampo» disse Rachele, pregustando il momento della resa.
«Prima o poi morirà e noi ci illuderemo, per un momento, di aver
ucciso tutti i topi del mondo» bisbigliò il Conte col fiato
sospeso.
La
puzza persistente d’immondizia, un topo che scorrazza in giardino,
l’avanzata di una macchia d’umidità sulla facciata, l’arrivo
di un randagio che oltrepassa il cancello e squarcia le buste della
spazzatura: la colpa, sancisce l’ennesima riunione, è proprio
degli altri. Ricchissimo di dialoghi e caratterizzato da
ambientazioni circoscritte, il romanzo ha pregi e difetti che
derivano da un impianto sin troppo teatrale: le entrate e le uscite
di scena sono scandite con l’orchestrazione un po’ meccanica del
palcoscenico; i capitoli, alla stregua di atti, a volte danno
l’impressione di essere appena giustapposti; non tutti i
personaggi, per via di una divisione diseguale dei copioni, sono
caratterizzati per forza di cose con la stessa perizia. Croce e
delizia, comunque, di una commedia all’italiana nello stile di
Perfetti sconosciuti e L’ultimo Capodanno, sorretta
da un’ironia pungente e da un caos francamente irresistibile. Di
una cattiveria che non dà tregua, Gli altri apre le gabbie ai
matti e ai sentimenti più bestiali. Ti prende per sfinimento, e alla
fine smaschera la vera indole di ciascuno di noi: sotto la maschera,
in borghese, chi più e chi meno, siamo tutti mostri. Quanti
patti abbiamo sottoscritto a cuor leggero, ignari di stringere
accordi con Mefistofele? Quante volte abbiamo indicato la
pagliuzza nell’occhio di qualcun altro?
La colpa è della trave che intanto sbuca dal nostro. Ci acceca. E se abbastanza acuminata, puntata verso il prossimo, qualche volta ferisce a morte.
La colpa è della trave che intanto sbuca dal nostro. Ci acceca. E se abbastanza acuminata, puntata verso il prossimo, qualche volta ferisce a morte.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: Francesco Gabbani – Amen
martedì 15 ottobre 2019
I ♥ Telefilm: The Politician | Big Mouth S03 | Jane The Virgin S05
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The Politician
mercoledì 22 maggio 2019
I ♥ Telefilm: Dead to me | Chambers
mercoledì 1 maggio 2019
I ♥ Telefilm: Special | Bonding | This is us S03 | Santa Clarita Diet S03
La
routine di un ragazzo fuori dall'ordinario. Il lavoro, gli amici,
l'amore. Cos'è successo: il ritorno di Atypical
è forse giunto in anticipo? La domanda sarebbe lecita davanti a una
produzione, originale soltanto in teoria, che ricorda un po' la
comedy sulla sindrome di Asperger, un po' Please Like Me.
Qui, però, si parla di un altro disturbo: il protagonista ha una
paralisi cerebrale sin dalla nascita. Qui, soprattutto, si parla
senza filtri di troppo: il protagonista, realmente disabile, è
eccezionalmente anche l'autore del tutto. Otto episodi brevissimi
nell'arco dei quali Ryan O'Connell trova il coraggio di intenerirci e
infastidirci, fra momenti di debolezza e gesti di egoismo. Ventotto
anni, senza un impiego, convive con una mamma single che si è
annullata in nome del troppo affetto e con un dramma niente affatto
trascurabile: benché dichiaratamente omosessuale, spigliato e carino
com'è, Ryan non è mai stato a letto con nessuno. Dall'avvio di uno
stage presso una testata online alla perdita della verginità,
galeotti i consigli di una strabordante migliore amica, non passerà
molto. Il protagonista, in barba al politicamente corretto, minimizza
sulla propria condizione: la zoppia di cui al lavoro tutti
chiacchierano, colpa di un fantomatico incidente stradale. Si affida
all'esperienza di un gigolò che, in una sequenza esplicita ma
dolcissima, gli svela i segreti del contatto fisico infischiandosene
dell'arrivo del principe azzurro. Ha la schiettezza di mostrarsi
odioso, bisognoso, nel rapporto di co-dipendenza con la bravissima
Karen Hayes, combattuta fra il ruolo di mamma a tempo pieno e i
bisogni di cinquantenne ancora libera e piacente. Storia dal
taglio classico e dai temi quanto mai consolidati, la serie Netflix
mostra i lati amabili e quelli più spigolosi di un ragazzo
egocentrico e autosufficiente soltanto in teoria. Forse osa poco, se
non in quella prima volta sotto lauto compenso, ma il tocco di
O'Connell – che con il beneplacito dei produttori sceneggia e
interpreta, raccontando senza ipocrisie quel che ruota attorno alla
disabilità -, appare speciale come da titolo. (7)
Lui
è un aspirante comico gay, con scarsa esperienza tanto in materia di
palcoscenici quanto di uomini. Lei è una studentessa di psicologia
che a lezione non dà grandi confidenze ai compagni ma, sotto il
cappotto, nasconde stivali al ginocchio, bustini e gatti a nove code.
Migliori amici ai tempi del liceo, quando costituivano ben più che
un'elettiva coppia di perdenti, si ritrovano non senza imbarazzo, non
senza secondi fini, dopo essersi salutati di fretta durante la notte
del ballo. Se la fatale Zoe Levin è una dominatrice con una fitta
schiera di clienti sulla busta paga, lo spiantato Brendan Scannell
gli fa da assistente improvvisato pur di sbarcare il lunario. Il
sesso paga: soprattutto se lo si ama strano. Il sesso ha spettatori
affezionati: soprattutto se lo manda in onda Netflix, in episodi di
quindici minuti a cui è impossibile resistere. Nel solco di Sex Education, educazione
sentimentale da bollino rosso, arriva così anche Bonding:
la commedia nera contro il tabù, che promette di fustigare e
scandalizzare gli spettatori, senza mai dimenticare una generosa dose
di cuore. Goderecci eppure raramente volgari, espliciti ma senza
scene di nudo, gli episodi godono di una scrittura degna delle
produzioni britanniche: a tratti siamo nei territori di The End of the fucking world, ma è
l'America odierna quella che si staglia oltre le stanze rosse della
Levin. Pelle lucida, legacci, catene. Fiotti d'urina, fantasie di
percosse e rapimenti, giochi di ruolo. Il coinquilino falsamente
macho è attratto dall'idea della stimolazione prostatica, una coppia
borghese cerca consulenti d'urgenza – il capofamiglia, infatti, si
eccita soltanto con il solletico –, qualcuno considera
pornografiche le marce dei pinguini. Come da copione, non mancano le
richieste assurde, i clienti sopra le righe e i dialoghi sboccati, ma
neanche approfondimenti psicologici degni d'attenzione: i
protagonisti, infatti, aiutano gli altri a sentirsi liberi, ma sono i
primi a vivere nell'anonimato di una doppia vita; a nascondersi nel
non detto. Vicenda di solitudini siderali, di gente che ferisce per
non essere ferita, Bonding è
una terapia per combattere la prigionia delle inibizioni. Come
gestire un'identità alternativa con il rischio che le strade della
studentessa e quelle della dominatrice si incrocino? Come operare nel
settore del sesso quando il contatto umano terrorizza? Gettato il
frustino, bisogna imparare a farsi dominare. Per costruirsi un amore
su misura. Per mantenere salda un'amicizia decennale. (7+)
lunedì 1 aprile 2019
I ♥ Telefilm: After Life | Love, Death + Robots | Turn Up Charlie
Stando
a una nota rivista è l'uomo più sexy del mondo. Aspirante James
Bond, serio e richiestissimo, Idris Elba mi è sempre parso un attore
da film impegnati: anche troppo. Indiscutibilmente bello e bravo,
anche sulle soglie dei cinquanta, mostra quanto gli doni anche una
leggerezza inedita. Il sex symbol dall'inossidabile pelle scura e dal
principesco accento inglese, per ragioni di copione, si trasforma qui
nel suo esatto opposto: uno scapolo di origini africane trapiantato a
Londra, con un appartamento in periferia da condividere con la zia
ficcanaso e poche prospettive per il futuro. Musicista di discreto
talento, sul finire degli anni Novanta era stato una meteora: uno da
tormentone mordi e fuggi, insomma, incapace di mantenersi sulla
cresta dell'onda oltre il minimo sindacale. Il ritorno all'ovile di
una storica coppia di amici – lui aspirante attore teatrale, lei
(interpretata da Piper Perabo, ex Ragazza del Coyote Ugly)
deejay di fama internazionale – dà una spinta alla sua carriera in
stallo, anche se sbarcare il lunario talora significa sapersi
accontentare. Perfino dell'ingrato ruolo di babysitter per la figlia
dei due forestieri, bambina sfacciata a metà fra il tenero e
l'insopportabile. Per quanto poco originale, anche grazie
all'alchimia con l'altezzosa e fragile coprotagonista, la prima parte
in stile About a boy funziona senza guizzi e senza sbadigli.
La seconda, in cui con un inspiegabile salto temporale si passa
dall'Inghilterra alle lussuriose estati di Ibiza, stordisce con tanta
musica ad alto volume, frammenti in scorrimento veloce di sesso
occasionale e droghe, ma perde clamorosamente di vista il punto della
situazione fino ad arrivare a una chiusa affatto appagante. Turn
up Charlie ha pochissimo da raccontare, e per di più lo fa
svogliatamente. Commedia dalla foggia modestissima, con una scrittura
scontata e derivativa, si regge solo grazie allo status consolidato
del protagonista che, in scena, ironizza sulla sua doppia professione
di attore e musicista. Anche se ci si domanda, un po' preoccupati,
perché il buon Elba figuri perfino fra i creatori. Non funzionano,
infatti, la divisione a puntate e il grande investimento di energie.
E la serie, nel suo complesso, non risulta all'altezza né della
proposta Netflix né di un professionista che sfortunatamente non
può essere la sola anima della festa. (5)
sabato 30 marzo 2019
Recensione: La lista semidefinitiva dei miei peggiori incubi, di Krystal Sutherland
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La lista semidefinitiva dei miei peggiori incubi, Krystal
Sutherland. Rizzoli, € 17, pp. 412 |
Mi
dico che non ho l'età. Per avere paura. Per leggere young adult. Ma
ci sono fobie – il futuro, le altezze, fidarsi di qualcuno,
lasciarsi andare – che colgono in contropiede anche me, tutt'altro
che stoico in verità, ma salvatore di ragni, lucertole e chiocciole
dallo scalpiccio degli ospiti che calpestano il mio vialetto. E ci
sono romanzi per ragazzi, soprattutto, che non hanno limiti: li si
valuta con il cuore, così, organo notoriamente di manica larga, e
nel mentre li si consiglia in lungo e in largo a lettori senza
pregiudizio. Già colpito dalla bellezza dei Nostri cuori chimici,
esordio brioso e struggente insieme, riscopro a due anni di distanza
le magie di Krystal Sutherland. Pensavo fosse una meteora, lo
ammetto, invece era la figlia segreta di Rainbow Rowell e John Green.
Dalla sua: un'immaginazione sconfinata, temi difficilissimi sospesi
fra favola e psicologia, un gruppo di personaggi memorabili sbucati
da un romanzo gotico di Shirley Jackson. Ogni adolescenza, infatti, è
una casa infestata: una storia di fantasmi. Esther, diciassette anni,
non li teme. Come potrebbe, se a giorni alterni si abbiglia come
Mercoledì Addams, ha amuleti appesi agli alberi in giardino e un
piano della sua villa è chiuso al transito come l'ala di un
fantomatico ospedale psichiatrico?
«La
paura ti protegge. Devi sentirti spaventata fin nelle ossa»
le sfiorò la clavicola con la punta delle dita, «perché
l'audacia abbia un senso.»
Esther
lo osservò. «E
se muoio?»
«E
se vivi?»
Casa
Solar è un po' un castello degli orrori, un po' un bunker
post-apocalittico: sui pavimenti scorrazzano liberamente galli e
conigli (mamma, giocatrice d'azzardo, è convinta portino fortuna),
gli interruttori della luce sono fissati con il nastro adesivo (il
fratello gemello, Eugene, ha paura del buio e di sé stesso), in
cantina è Natale in qualsiasi stagione (sei anni prima ci si è
rifugiato il padre, veterinario agorafobico, devastato dagli ictus
frequenti e dall'incomunicabilità). La nostra protagonista,
all'apparenza normalissima, sembrerebbe lo strappo alla regola se non
fosse per un dettaglio: alla maledizione di famiglia crede anche lei.
I Solar, si tramanda, saranno uccisi dalle loro paure. Esther alterna
bizzarri travestimenti per non farsi scovare, spaccia dolcetti a
ricreazione con il sogno di risparmiare abbastanza per scappare via
da lì e, complice il ragazzo giusto o forse sbagliato, accarezza
l'idea impavida di salvare i suoi parenti. Il nonno, ex detective
ossessionato da un assassino di bambini mai acciuffato, giura di aver
conosciuto il Mietitore in Vietnam: un ventenne anonimo e butterato,
che brindava con un bicchiere di latte e desiderava ritirarsi a
vita privata a Santorini. Ammesso che esista, perché non sfidarlo a
revocare la loro misteriosa iettatura? Basta affrontare la lista
delle proprie paure di petto, punto per punto, inseguendo l'ombra
della morte – e con essa, dunque, anche la vita. Ma affrontare
aragoste, falene, luoghi angusti, scogliere e tempeste di fulmini è
più facile in teoria che in pratica per qualcuno con le inibizioni
di Esther: una ragazza che ha visto troppi film horror, infatti, ha
disperatamente bisogno di qualcuno con la sfacciataggine di Jonah. Un
coetaneo artistico e cleptomane, che alle scuole elementari la
proteggeva dai bulli e al liceo, dopo anni di silenzio, le ha rubato
prima il portafogli alla fermata dell'autobus, poi una promessa. Che
vivrà pazzamente, testimone una GoPro.
Esther
capitava la prima legge della termodinamica, secondo cui nulla si
creava o si distruggeva: tutti i frammenti e i pezzi che costituivano
un essere umano sarebbero stati redistribuiti altrove alla sua morte,
ma dove andava la memoria? La gioia? Il talento? La sofferenza?
L'amore.
Se
la risposta era “da nessuna parte”, allora perché diavolo ci
diamo da fare? Qual è il senso di quei grumi carnosi di
consapevolezza che mangiano, bevono, amano e nascono da frammenti
rabberciati dell'universo?
La
lista semidefinitiva dei miei peggiori incubi conta
quattrocento pagine, quaranta capitoli e cinquanta appuntamenti
fissi: ogni domenica per un anno si sale sul motorino di Jonah e,
aggrappati a lui, si flirta con i pericoli grandi e piccoli che
erigono barriere intorno al mondo. Leggera soltanto all'apparenza, la
lettura – figuratevi pure un mondo a metà fra Wes Anderson e Tim
Burton – mi ha fatto ridere e piangere impunemente. Accanto alla
Sutherland, un pigmalione australiano tutta citazioni nerd e ordinate
liste per punti, è bellissimo scoprirsi codardi e vulnerabili. A
cosa serve farsi in quattro per gli altri se a lungo sfugge
l'essenziale, ossia salvare sé stessi?
A
ben vedere questi Tenenbaum
in chiave noir hanno tagli rattoppati sui polsi, conti in sospeso con
mamma e papà e, con la scusa di una maledizione, mascherano da
eccentricità malesseri più profondi. Si parla fra le righe di
disturbi ossessivi, ansia sociale, depressione, e la lettura ispira
inevitabilmente gli esami di coscienza: perché negli immancabili
giorni storti io non avrò paura di schiocchi di chele e saette
minacciose, no, ma della compagnia di me stesso. Il mio peggior
nemico, mentre il Mietitore se ne sta in disparte: nelle corsie di un
ospedale sfoglia un giornale con Kim Kardashian, annoiato, e lucida
la propria falce.
«Be',
sbagli su così tante cose che non so decidere da dove iniziare per
dimostrartelo. E su cosa vuoi poi che ti dimostri che stai
sbagliando?»
«La
morte, soprattutto. E l'amore.»
Ho
quasi venticinque anni e ormai acquisto young adult con il
contagocce. Qualche volta sono troppo triste perfino per piangere e
mia mamma, al telefono, si prende le colpe: siamo parte di una
famiglia a pezzi, malinconici per natura, e a un bivio preferiamo
guardarci l'ombelico – il passato è doloroso, il futuro incerto:
allora dove rivolgersi, e a chi?
La lista semidefinitiva dei miei peggiori incubi è un romanzo speciale, che ti riconcilia con il mondo: di quelli di cui leggi da cima a fondo – compresi, insomma, ringraziamenti, fonti e note dell'autore – in cerca di un'altra iniezione di energia per endovena, degli indiscreti pregi dell'umorismo nero. Mi ha insegnato senza peli sulla lingua che i disturbi mentali non sono peggiori di una gamba rotta, che la terapia è il gesso per rinsaldare menti frantumate. E che di un uomo, quando scompare, restano in eredità la polvere, le storie e un'orchidea viola appoggiata sul cuscino.
Le paure ci obbligano a scomporci in compartimenti stagni, ma le navi non sono creazioni inaffondabili: lo sa bene il Titanic, che in acque gelide pagò il fio della propria presunzione. Cosa può Esther contro l'attrazione per Jonah: l'incubo degli incubi? Cosa possiamo noi contro l'iceberg? Krystel Sutherland firma un brillante avviso ai naviganti, nella speranza che le stazioni radio e le librerie diffondano il messaggio fino in capo al mondo: certi amori, certi urti, certi romanzi per fortuna ti obbligano a imparare a nuotare.
La lista semidefinitiva dei miei peggiori incubi è un romanzo speciale, che ti riconcilia con il mondo: di quelli di cui leggi da cima a fondo – compresi, insomma, ringraziamenti, fonti e note dell'autore – in cerca di un'altra iniezione di energia per endovena, degli indiscreti pregi dell'umorismo nero. Mi ha insegnato senza peli sulla lingua che i disturbi mentali non sono peggiori di una gamba rotta, che la terapia è il gesso per rinsaldare menti frantumate. E che di un uomo, quando scompare, restano in eredità la polvere, le storie e un'orchidea viola appoggiata sul cuscino.
Le paure ci obbligano a scomporci in compartimenti stagni, ma le navi non sono creazioni inaffondabili: lo sa bene il Titanic, che in acque gelide pagò il fio della propria presunzione. Cosa può Esther contro l'attrazione per Jonah: l'incubo degli incubi? Cosa possiamo noi contro l'iceberg? Krystel Sutherland firma un brillante avviso ai naviganti, nella speranza che le stazioni radio e le librerie diffondano il messaggio fino in capo al mondo: certi amori, certi urti, certi romanzi per fortuna ti obbligano a imparare a nuotare.
Il
mio voto: ★★★★½
Il
mio consiglio musicale: Bjork – It's Oh So Quiet
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