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domenica 12 novembre 2017

Recensione: La natura della grazia, di William Kent Krueger

| La natura della grazia, di William Kent Krueger. Neri Pozza, € 18, pp. 350 |

L'estate mi manca. Mi lamentavo, eppure, del sole che bussava alle finestre e della calma piatta del mare. Me ne accorgo adesso: con le nostalgie che pesano e cieli grigi che mi vogliono prigioniero di una casa da cui scappo, ogni tanto, a passeggio proprio sul bagnasciuga sporco e desolato dell'inverno. Ecco il desiderio fuori stagione di un portico all'ombra, di una limonata fresca, delle notti illuminate a giorno dai fuochi artificiali.
Mi manca essere un ragazzino. Non vedevo l'ora di crescere, eppure, perché qualche giorno fa mia mamma mi ha ricordato al telefono che, tanto, sono sempre stato un bambino grande: al corpo toccava solo adeguarsi a pensieri e preoccupazioni già adulte. Ecco il bisogno di ritornare con una macchina del tempo, con un romanzo che aspettavo senza neanche saperlo, alla curiosità e alla spensieratezza della prima adolescenza. Ho avuto la mia lunga estate crudele e tredici anni esatti in compagnia dell'indimenticabile famiglia Drum. Ho scoperto, accanto ai giovani protagonisti, la morte, la collera e i miracoli del perdono.

Mi mancherà, come mi mancherebbero i pettirossi se non tornassero mai più.

Siamo nel 1961. Il telefono squilla nel cuore della notte. Lo sentite? I piccoli di casa, Frank e il balbuziente Jake, drizzano le orecchie e mettono le scarpe in fretta e furia. Si interessano agli incarichi del capofamiglia, ai grattacapi che puntualmente saltano fuori, come se fossero due apprendisti detective. Ubriachi molesti, un loro coetaneo travolto dal treno in corsa, tentati suicidi e nella peggiore delle notti, a metà romanzo, la notizia di un assassinio che li tocca e li spezza. Li obbliga a crescere in tre mesi scarsi. Il loro papà, Nathan, ispira in paese la stessa reverenza dei militari – la Seconda guerra mondiale lo ha infatti cambiato per sempre – ma è un pastore battista, non un agente di polizia. Lo si scomoda, a letto, per qualche pecorella smarrita da riportare d'urgenza all'ovile; per un consulto veloce sulla bontà di un Dio di cui è cosa umana dubitare. Gli borbotta accanto Ruth, la moglie: donna bellissima e infelice, con una voce d'angelo e sogni di gloria sacrificati in nome della vita frugale ma decorosa scelta dal padre dei suoi figli. Rincasa tardi e di nascoso, invece, la promettente Ariel: adolescente che pensa all'amore romantico e alla Juilliard, ignorando la curiosità dei fratelli minori ancora in piedi e la freddezza fra i genitori.
Come in Grandi speranze, uno dei miei romanzi preferiti, c'è un ricercato in fuga e una famiglia sfortunata – i Brandt come gli Havisham – il cui patriarca è un virtuoso del pianoforte, condannato alla cecità e alla compagnia della sorella sordomuta. Come nel Buio oltre la siepe, protagonisti innocenti vengono a patti con i sospetti del razzismo – nell'occhio del ciclone, un misterioso Sioux capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Come in Mystic River, e voglio sottolineare l'entusiasmo dello stesso Dennis Lehane in copertina, c'è un fiume che a volte dà la morte, altre la libertà. William Kent Krueger ricorda tanto, tanto altro (aggiungeteci il bullismo e l'amicizia del miglior Stephen King, i problemi in paradiso di Benedizione), ma in questa giostra di echi e omaggi non smarrisce chissà in che modo lo stile, la magia, la bellezza.

Quell'estate la morte venne a visitarci assumendo molte forme: incidente, malattia, suicidio, omicidio... Si può pensare che la ricordi come un'estate funesta, ed è proprio così, ma non del tutto. Mio padre citava Eschilo: colui che apprende deve soffrire, e persino nel sonno il dolore, che non piò dimenticare, cade goccia a goccia sul cuore, finché, nella nostra stessa disperazione, contro la nostra volontà, giunge la saggezza attraverso la terribile grazia di Dio.

La natura della grazia non è il solito amarcord. E di grazia ne è ricco, sì, benché abbia i colori foschi del thriller; gli strappi dolorosi di certe infanzie negate, di certi sogni infranti. I toni: quelli ispirati e solenni di chi è sopravvissuto al peggio, ed è grato per un altro giorno al mondo, la giustizia che fa finalmente il suo corso, il ritorno del senso di Dio. Raccontato dalla voce rotta ed emozionante di un Frank ormai uomo, il romanzo è una conta struggente dei vivi e dei morti, dei ricordi belli e brutti. Una passeggiata all'ombra dei tigli, una corsa proibita sulle rotaie, con atmosfere d'altri tempi e amici che impari a chiamare uno a uno per nome. A tredici anni, in estati così, tormentate da scoperte e colpe criminose, si rischia di perdersi. Seguire le briciole di pane e il disegno dei binari, la meraviglia a ogni passo, per fortuna riporta sulla via di casa. Al fresco dei portici e delle limonate. Alle notti che poi passano.
Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Jeff Buckley - Grace