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venerdì 8 ottobre 2021

Stagione che vieni, serie TV che vai: Sex Education 3 | Modern Love 2 | Atypical 4 | This is us 5 | Dickinson 2

All'inizio l'avevo sottovalutata, scambiandola per una specie di American Pie. Ma capace com'è di alternare i momenti goderecci alle riflessioni, a sorpresa, Sex Education è una serie che cresce di stagione in stagione. E la terza, per me, è la più bella finora prodotta. Matura e inclusiva come non mai, oltre a seguire l'evoluzione di personaggi ormai amatissimi, ha un occhio di riguardo verso il mondo queer. E l'amore platonico tra l'atleta popolare e il nuovo personaggio non binario, insieme a una scena che affronta la tematica tabù di sesso e disabilità, è di una delicatezza commovente. Di mezzo ci si mette anche la preside Jemina Kirke, cattiva ma non troppo, che per riportare ordine impone divise inamidate e etichette. Nell'impossibilità di esprimere sé stessi, i personaggi sentiranno nostalgia delle lezioni impartite da Otis e Maeve: ormai ai ferri corti – lui in una relazione segreta con Ruby, lei presissima da Isaac –, per un po' si sfiorano a malapena ma faranno scintille in gita. Come può Aimee superare il trauma delle molestie? Con chi possono confessare Eric e Adam, dopo un clamoroso coming out, le prime titubanze? C'è qualcosa di sbagliato nelle fantasie di Lily, che si eccita soltanto con racconti sugli alieni? Mentre gli adulti spiazzano tutti con una gravidanza imprevista – è fiocco roso per Gillian Anderson –, gli sceneggiatori non dimenticano di approfondire i comprimari né di stare al passo. La serie elogia il sesso, in qualunque sua forma, ma condanna il sessismo. Dà voce a ogni identità di genere, mette in mostra ogni corpo. È empatica e formativa, senza mai scadere nel didascalismo: la farei vedere a scuola, vorrei viverci dentro. Perché insegna stare meglio al mondo, e con più leggerezza. (8)

Era la coccola di cui avevo bisogno, soprattutto per riprendermi dai postumi dell'estate appena passata. Ma dopo quel debutto dolce e brillante, finito nel meglio della sua annata, questa volta Modern Love non propone né sensazionali parate di stelle (gli attori più famosi sono Minnie Driver, Anna Paquin e Kit Harrington: pochi e televisivi) né lacrime durature. Di otto episodi ne ho apprezzato fino in fondo soltanto tre. Il primo (la macchina del defunto marito Tom Burke da dare via: preparate i fazzoletti), il sesto (due anime tradite si incontrano e fraternizzano in fila da un terapista: dirige il regista del bellissimo Brooklyn), il settimo (dopo un'isolata notte di passione, due ragazzi gay si incrociano lungo le strade di New York con un espediente narrativo a metà tra Closer e The Affair). Godibili il secondo e il terzo (piccole commedie indie che azzeccano i ritmi e le tematiche, ma sbagliano purtroppo il cast: peccato), di una noia inenarrabile il quarto e il quinto (il primo amore di una stand-up comedian e la scoperta di sé di un'adolescente, forse lesbica, forse asessuale), stucchevole ma guardabile il conclusivo (troppa carne al fuoco, tra ritorni di fiamma e malattia, per non scontentare gli inguaribili sentimentali). Tutt'altro che moderna, romantica a tratti, a questo giro non vi farà innamorare. (6)

D'un fiato, anche se in ritardo sulla tabella di marcia, ho recuperato anche la quinta stagione di This is us. Nonostante i momenti di commozione non si siano negati, complice i ritmi del binge watching, per me è forse la stagione più discontinua e frammentaria del ciclo: soprattutto dopo i fasti impensati della precedente, di una magia pari a quella dell'esordio. Trovo saggia perciò, come annunciato da cast e produttori, la scelta di salutare per sempre la famiglia Pearson il prossimo anno: la sesta stagione sarà l'ultima. I flashback e i flashforward sono introdotti disordinatamente, con flebili fili conduttori a unirli. La costante presenza del Jack di Milo Ventimiglia, a malincuore, appare sempre più forzata. Ma se un Kevin neopapà si conferma il mio preferito dei tre fratelli e Kate, invece, la più insopportabile, sorprende constatare quanto a tenere banco siano quei comprimari un tempo in secondo piano: l'adorabile zio Nicky, la madre biologica di Randall, Beth, Toby, Miguel e soprattutto Madison, futura sposa di Kevin. L'emergenza sanitaria ancora in atto avrà fatto sicuramente la sua parte, guastando i piani di gloria degli sceneggiatori. E per la prima volta, così, viene messo in scena in TV il dramma delle mascherine antisettiche, degli abbracci centellinati, della degenza. Il pregio? Benché dimenticabili, questi quindici episodi sono la campagna vaccinale più efficace su piazza. Per questo e per l'affetto che ormai ci lega, gli perdoniamo qualche sbadiglio qui e lì. (7)

Comedy su un adolescente autistico alle prese con le gioie e i dolori della crescita, è la serie che più mi ha tenuto compagnia negli anni. Giunta alla quarta stagione, non senza qualche tempo morto nel mezzo, Atypical ci dice addio senza grandi sensi di colpa. Il protagonista, Sam, è cresciuto: ha ormai una fidanzata di lunga data, convive con il migliore amico e, a dispetto della sua diagnosi, punta con energia a ottenere l'indipendenza economica e affettiva. Punta a un viaggio in Antartide, soprattutto, per andare a vedere finalmente di persona i suoi animali preferiti: i pinguini, che guarda incantato allo zoo e di cui conosce le caratteristiche a menadito. Ma questa non è più soltanto la sua storia. Nel corso del tempo Atypical ha riservato sempre più attenzione ai personaggi secondari, al punto da seguire nel dettaglio tutti gli altri membri della famiglia Gardner. Mentre i genitori si riavvicinano, dopo il tetro pensiero di divorziare, la sorella maggiore – Casey, il personaggio più in divenire – esplora con consapevolezza i propri limiti e la propria sessualità. Non tutto fila come dovrebbe. Anzi, questa volta dieci episodi sembrano troppi e troppo tirati per le lunghe: trascinandoci, lasciano percepire la pochezza di una trama ormai giunta alle battute conclusive. Al pari di The Kominsky Method (vista, ma senza Alan Arkin nel cast perché scriverne?), Atypical si conclude a malincuore con la stagione più debole e dimenticabile. Ma il finale, dolce e conciliante, compiuto, ripaga comunque le attese. (6,5)

La poetessa americana Emily Dickinson raccontata in versione post-moderna. Non soltanto una trascinante colonna sonora contemporanea e un linguaggio colorito, ma anche: la scrittura febbrile, la speranza e il terrore di essere pubblicata, il sempiterno flirtare con i mostri e i fantasmi della mente umana, la bisessualità. Dopo un esordio folgorante, finito a pieno diritto nel meglio della sua annata, la serie Apple non rinnova il colpo di fulmine ma nemmeno delude. Fresca e godibile, benché sottotono rispetto ai fasti del debutto, non può contare più sul precedente effetto sorpresa e patisce la concorrenza della recente The Great – altro period drama maleducato e dissacrante, ma dalla sceneggiatura più graffiante: recuperatelo! Gli episodi belli per fortuna non mancano – vedasi l'ottavo –, insieme ai comprimari adorabili. Qualcuno ha citato Austin e Lavinia, il fratello e la sorella di Emily? La definizione, invece, mal si addice ahimè a Sue: l'interesse amoroso della protagonista, al centro di un inossidabile triangolo sentimentale, è uno dei personaggi più insopportabili del piccolo schermo. L'ex bambina prodigio Hailee Steinfeld, ribelle e appassionata, sin troppo in un epilogo che non convince per via del suo telefonato ritorno di fiamma, si conferma una magnetica padrona di casa. La sua storia troverà conclusione a novembre, sempre su questi schermi: la terza stagione, per la giovane Emily, sarà l'ultima poesia. Il prossimo mese lecito confidare nel proverbiale canto del cigno? (7)

domenica 29 dicembre 2019

[2019] Top 10: Le serie TV


10. Dickinson (Apple)
Dissacrante, trasgressiva, libera come l’aria. La vita di una delle più celebri voci americane, raccontata in una commedia adolescenziale dall’irresistibile colonna sonora elettropop; ma a sorpresa, all’appello, non manca nemmeno la poesia.

9.  The Morning Show (Apple)
Scandali, orgoglio femminile e #metoo: il tutto, attraverso i retroscena di un notiziario che dà il buongiorno agli americani da generazioni. È un’aggiunta dell’ultimo momento ma, vuoi il cast sfavillante, vuoi le tematiche di bruciante attualità, la serie sui lati oscuri della televisione poteva forse mancare nel meglio della TV di quest’anno?

8. Modern Love (Amazon Prime Video)
Otto storie d’amore sullo sfondo di una New York più magica che mai. Otto storie vere. Per tornare a credere nelle relazioni, nell’amicizia e soprattutto in sé stessi, grazie alla serie antologica a prova di cuori di pietra. Tramontata la stella di This is us, potrebbe diventare la coccola per eccellenza da concedersi nei giorni storti.

7. When They See Us (Netflix)
Sporadica voce fuori dal coro, al gelido rigore di Chernobyl ho preferito la commozione della miniserie diretta da Ava DuVernay. La cronaca di un’ingiustizia realmente accaduta, che lascia rattristati e inviperiti fino alle lacrime. A volte, se nel posto sbagliato al momento sbagliato, non si hanno colpe: a parte quella di avere la pelle scura.

6. The OA – Stagione 2 (Netflix)
È stata la migliore serie della sua annata. Tornata sul piccolo schermo qualche anno dopo, ha saputo ripetere la sua magia ma non il suo successo: brutalmente cancellata, nonostante una seconda stagione decisamente all’altezza delle aspettative, il singolare sci-fi con Brit Marling aveva ancora altri misteri da svelarci. Peccato. Resterà, comunque, un’esperienza di vita.

5. Stranger Things – Stagione 3 (Netflix)
Ero pronto a dirmi stufo. Della retromania dilagante. Di una serie per grandi e piccini troppo in fretta diventata cult. A dispetto dei dubbi della stagione precedente, invece, Eleven e i suoi insostituibili amici sono tornati con il desiderio di farmi ricredere:  ragazzi, sfida vinta! L’estate di sangue dei bambini dei Duffer Brothers, ormai quasi adolescenti, non passerà mai di moda.

4. Looking For Alaska (Hulu)
Non tutti i John Green, malauguratamente, diventano un tormentone. L’autore di Colpa delle stelle, che in sala ha strappato chissà quante lacrime, sembra infatti non aver fatto il boom anche a puntate. Da me consigliato in lungo e in largo, l’adattamento di Cercando Alaska – sceneggiato dal creatore di The OC e Gossip Girl – è il gioiello grezzo da riscoprire.

3. The Marvelous Mrs. Maisel – Stagione 3 (Amazon Prime Video)
Non so davvero come sia possibile. Trovare anno dopo anno nuove cose da dire. E, soprattutto, nuove cose per cui ridere. Ma se hai un’autrice come Amy Sherman-Palladino, se hai un talento comico come quello di Rachel Brosnahah, inutile porsi domande: tanto vale mettersi comodi, le orecchie dritte e gli occhi spalancati, per godere del genio di uno show di stand-up comedy lungo già tre anni.

2. Fleabag – Stagione 2 (Amazon Prime Video)
Phoebe Waller-Bridge. La amavo anche quando nessuno la conosceva, ma questo è stato l’anno della sua consacrazione: del suo talento, infatti, si sono accorti tutti. Nonostante la serie da lei diretta e interpretata ci dica addio qui, alla seconda stagione che ha schierato in campo un iconico Andrew Scott, scommetto a scatola chiusa che il personaggio di questa Bridget Jones ancora più sfortunata e inglese dell’originale sia soltanto la punta dell’iceberg.

1. Euphoria (HBO)
Euforia, sì. È quello il sentimento con cui ho salutato la serie di Sam Levinson: quella forma di contentezza eccessiva, che da un momento all’altro può sfociare nella disperazione più nera. Merito del cast giusto, guidato da una Zendaya di cui mi dichiaro innamoratissimo. Merito di una regia da manuale, che non sfigura davanti ai ritratti adolescenziali di Boyle, Korine, Araki. Sesso (spinto), droga (a non finire), rock ‘n’ roll (gli si preferisce, tuttavia, Billie Eilish): per favore, non chiamatelo teen drama.

lunedì 2 dicembre 2019

I ❤️ Telefilm: Dickinson | AHS: 1984 | Atypical S03

È un esperimento di quelli che o si amano, o si odiano.  Maleducata, autoironica, postmoderna, la serie Apple gioca con l’incontro-scontro tra corsetti e musica elettronica, con tanto di parolacce, visioni psichedeliche, festini a base di oppiacei. Al passo coi tempi, scherza sul binge e sul sexting:  cosa ci siamo inventati noi, infatti, se nell’Ottocento le pubblicazioni a puntate di Dickens erano l’equivalente delle serie da non spoilerare agli amici e gli autoritratti senza veli, regalati al cascamorto sbagliato, potevano diventare materia di pettegolezzo? Questo sfondo lontanissimo dall’immaginario dei period drama – per fortuna – si rivela la cornice ideale per parlare di una poetessa femminista, bisessuale, libera come l’aria. La giovane Dickinson flirta con la morte, sogna di vedere il circo e i vulcani, vede l’innamorata convolare a nozze con suo fratello, si lega a un mentore sfortunato. Forse inutile specificarlo, si scontra puntualmente con la mamma casalinga – Jane Krakowski: sempre sinonimo di risate assicurate – e con il padre, politico tanto accomodante in privato quanto severo in pubblico. I toni dissacranti di questa commedia adolescenziale raggiungono un ottimo equilibrio soprattutto negli episodi centrali: gemme di scrittura e regia, che soltanto di rado ci fanno distrarre pur di ammirare il gusto di costumi e scenografie. Dickinson, confermata per una seconda stagione, è una visione sorprendente. Ti affezioni a protagonisti e comprimari, rischiando di commuoverti nel finale. Ti dici meravigliato per l’insospettabile verosimiglianza della serie, che permette nel mentre di scoprire le migliori poesie di Emily – traboccanti di erotismo, tematiche macabre e spiritualità, compaiono sullo schermo in caratteri dorati – o di viaggiare nel tempo conoscendo ora le pose di Thoreau, ora l’ambizione della Alcott. Ti scopri innamorato della gamma espressiva di una Heilee Steinfeld da Golden Globe: esilarante nei momenti comici e potentissima in quelli di raccoglimento, l’attrice e cantante ha una passionalità che renderebbe orgogliosa la stessa autrice. Emily è stata capita. L’ho capita qui. Nella produzione in costume che scalcia, pur di uscire dai banchi di scuola e dalle sue gonne pesanti. Nel mix che, dopo Luhrmann e Coppola, istruisce elettrizzando. Dickinson: centonovanta anni e non sentirli. (7,5)

Ambientazioni lacustri, una scalmanata comitiva di amici, quattro assassini, tre piani temporali. Dopo il fallimento della stagione precedente, un imbarazzante crossover che scontentava fan e detrattori, American Horror Story torna seguendo la scia insanguinata di Venerdì 13 e la retromania dilagante, ormai prassi da Stranger Things in poi, qui proposta in verità senza grande spirito di iniziativa. Ryan Murphy si diverte a prendere in prestito il meglio e il peggio di quel filone cinematografico. Ossia: protagonisti insopportabili, sangue a litri, sesso e colpi di scena a raffica. La serie antologica che ha sempre avuto il gusto per l’eccesso nella lista dei difetti, come se la cava omaggiando un sottogenere già trash di per sé? Benché troppo kitsch per essere vero, fra lezioni di aerobica, capelli cotonati e canzoni a tema, il fritto misto di Murphy e company sceglie quest’anno di viversela con assoluta leggerezza e nel segno dell’autoironia. Abbandonando sia la politica statunitense che i crossover, 1984 torna ai toni sopra le righe della sottovalutata Scream Queens. Il risultato è una nona stagione nient’affatto memorabile, ma che in fondo potrebbe suscitare la benevolenza sia dei nostalgici sia di coloro che ricercano colpevolissimi guilty pleasure. Ci sono infatti stralci di cronaca nera – gli omicidi del Night Stalker, trasformato dagli sceneggiatori in un satanista dalle mille vite –, le leggende da falò – le gesta di Mister Tintinnio, accanto a terreni maledetti dove gli spiriti non trovano pace –, le presenze incorreggibilmente pop – la solita Emma Roberts, troppo specializzata nei ruoli di ape regina per convincere come fanciulla indifesa, e la coppia inedita costituita dai simpatici Matthew Morris e Billie Lourd. Ricordati di noi. Lo implorano questi fantasmi. Lo pretendono gli anni Ottanta. (6,5)

Farebbe bene a cambiare titolo. Non più Atypical ma I Gardner, in assonanza con le sit-com che hanno fatto la storia della televisione. Le si augura, infatti, lo stesso futuro. Arrivata già al terzo anno, più corale che mai, la serie Netflix sulla sindrome di Asperger riesce ancora a intenerire e appassionare. Anzi, se lo chiedeste a me, vi direi probabilmente che questi dieci episodi sono i migliori girati finora. La cosa ha davvero del miracoloso: perché sono uno spettatore incostante e l’ennesimo soggiorno a casa di Sam poteva trovarmi con la mente altrove. Contro ogni pronostico, invece, Atypical mi fa suo. Davanti allo schermo, con gli occhi a cuoricino, sorrido e mi emoziono grazie a un intrattenimento vecchio stile che ha dalla sua qualcosa che non passa mai di moda: un cast ben assortito. E qui, dal primo all’ultimo, i personaggi funzionano proprio tutti. Talmente vivi e contraddittori, a volte, che è impossibile non criticarne le scelte oppure trovarli antipatici. L’imprevedibile Sam, alle prese con la routine del college, è il collante per le storie degli altri. Mamma e papà, separati in casa dopo il tradimento della Leight, sono fermi a un bivio: il divorzio è più semplice del perdono? La sorella minore, Casey, si interroga sulla propria sessualità: attratta dalla coetanea Izzie, rischia di mettere da parte Evan, anche noto come il personaggio più adorabile del piccolo schermo. Si possono amare due persone contemporaneamente? Da non dimenticare, infine, Paige e Zahid: spalle comiche insostituibili, la fidanzata e il migliore amico del protagonista lasciano spazio a sorprendenti momenti di fragilità, con lei che subisce l’emarginazione delle matricole e lui traviato, invece, dalla relazione con la ragazza sbagliata. Ognuno o quasi avrà il suo lieto fine. Potremo sentirci nuovamente parte della famiglia, in attesa che dai piani alti arrivi la conferma di una quarta stagione? Lo speriamo, sì, prendendo in prestito dai pinguini studiati da Sam la fedeltà incondizionata, la pazienza e il senso di appartenenza. Le feste mi mettono di malumore, si sa: ho sempre paura di tornare a casa. Posso avere ancora i Gardner, per favore? In alternativa, mi trasferisco al Polo Sud. (7+)