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mercoledì 17 luglio 2019

Recensione: Le siamesi, di Alessandro Berselli

Le siamesi, di Alessandro Berselli. Elliot, € 14,50, pp. 126 |

Che cosa misteriosa sono i gusti personali. Che cosa misteriosa, ancora, sono i gusti che cambiano all'improvviso. Quelle storie che anni fa avresti amato – quando, ragazzino, ti nutrivi di scritture al vetriolo e incubi nichilisti – ma che oggi sopporti a malapena. 
Si cambia come persone, dentro e fuori. Si cambia come lettori. Promessa doverosa per spiegare il mio disamore verso il romanzo di Alessandro Berselli: finito in fretta nello scatolone dei Remainders ma rispolverato da molti grazie ai consigli della fidatissima Silvia. Rivelare la seguente verità, amarissima, dispiacerà a me e forse anche un po' a lei. 
Benché si sia fatto divorare, Le siamesi mi è parso una lettura difficoltosa dall'inizio alla fine. Questione di stili che a pelle non piacciono. Di un'antipatia epidermica verso i personaggi e il loro mondo, che ha reso la lettura provante per i motivi sbagliati. Cercavo proprio un romanzo breve e destabilizzante. Un riempitivo con qualcosa in più: un graffio feroce. Ho trovato effettivamente una piccola storia crudele, di amicizie al femminile e vendette trasversali, ma dalla quale sono uscito, in definitiva, senza mai entrare.

La morte non è sempre la cosa peggiore che ci può capitare.

Siamo nella Milano della peggio gioventù. Universitari ricchi e annoiati, affetti da un immotivato mal di vivere, combattono la noia esistenziale con conversazioni radical chic – arte, architettura, massimi sistemi – e s'incontrano ora durante i vernissage delle matrigne approfittartici, ora in discoteca. Parlano un inglese misto a italiano, ossia il frutto inevitabile della globalizzazione, e sfuggono alla routine ficcanasando nell'occulto; sfidando ad armi impari la morte. A capo di questa dissoluta corte dei miracoli c'è lei, Ludovica: vent'anni, la risposta sarcastica sempre sulla punta della lingua, figlia maggiore di un avvocato distratto e di una mamma morta suicida. È alta un metro e settanta, pesa quaranta chili scarsi, ingolla soltanto alcol per una dieta che rifugge i carboidrati. L'incontro con Emanuele e Laura – il primo regista di snuff movie, l'altra migliore amica allontanatasi dopo una bravata di troppo – le spalanca le porte di una casa stregata appartenuta a un architetto col pallino dell'occulto, all'insegna di un sabato sera da ricordare. Maestra dei giochi pericolosi, la ragazza è chiamata ad alzare l'asticella. Anche i ricchi piangono, e muoiono. Accetterà la sfida?

Non mi piace questa gente. Confondono l'edonismo con le gerarchie, come se tra Epicuro e Hitler non ci fosse nessuna differenza.
Vivere senza obiettivi. Non problematizzare le questioni. Prendere le cose che si hanno voglia di prendere quando ti capitano. Essere indulgenti con se stessi. Anteporre il piacere al dovere. Non legarsi a nessuno. Interpretare ogni giorno come se fosse l'ultimo. Essere parassiti nei confronti della vita.
Questa va bene, è la filosofia di vita che mi appartiene.

Da cacciatrice a preda, nel torbido thriller di Berselli, il passo è breve. Tutto punti fermi e periodi ellittici, tutto grandi marchi in sfilza e dettagli di gelido interior design, lo stile potrà ricordare a qualcuno gli esordi di Chuck Palahniuk, Bret Eston Ellis o della nostra Isabella Santacroce; il residuo di una letteratura cannibale tipicamente anni Novanta, insomma, che da sinonimo di dinamicità futurista si è trasformato, oggi, nel suo opposto. Risultando, purtroppo, compassato. Sarà che il compito di una scrittura camaleontica è quello di rispecchiare alla lettera il modus operandi dei suoi protagonisti? Per raccontarceli, così, Berselli si sacrifica per forza di cose alla loro logica alienata; al loro gusto kitsch. Non poteva fare altrimenti, ma non mi è piaciuto. Ho realizzato infatti che gli rimprovero difetti soggettivi e che, semplicemente, almeno a questo giro, la sua penna non fa per me. 
Al centro di un macabro ed esilarante quiz a premi degli orrori, Ludovica diventa il cuore nero di una storia di rivalsa più o meno godibile, basata su prove di dantesca memoria e una chiusa alla Saw – L'enigmista. Parlerà fino all'ultimo come un libro stampato, rintracciando pretenziose implicazioni filosofiche nei meccanismi della sua roulette russa; si darà a notazioni da arredatrice d'interni, con tanto di brand snocciolati a campanello, anche nella cattiva sorte. La conoscenza delle Siamesi potrebbe ispirare di pari passo nel lettore una sintesi di magnetismo e repulsione. Il sottoscritto, per una volta, va controcorrente. Il romanzo ha lo stesso spessore di un aperitivo sui Navigli: un mordi e fuggi istantaneo, che ricorda la sorte delle olive nei drink di Ludovica. Quelle che la ragazza mordicchia e lascia da parte, senza mangiarle, interessata com'è solo all'ebbrezza della sbronza.
Il mio voto: ★★
Il mio consiglio musicale: Lady Gaga – Poker Face 

lunedì 26 ottobre 2015

Recensione: Ragazze di campagna, di Edna O'Brien

Mi mancava Baba. Mi aiutava a restare coi piedi per terra. Mi impediva di rimuginare di continuo sulle cose.

Titolo: Ragazze di campagna
Autrice: Edna O'Brien
Editore: Elliot
Numero di pagine: 256
Prezzo: € 13,50
Sinossi: La timida Caithleen sogna l'amore, mentre la sua amica Baba, sfrontata e disinibita, è ansiosa di vivere liberamente ogni esperienza che la vita può regalare a una giovane donna. Quando l'orizzonte del loro piccolo villaggio, nella cattolicissima campagna irlandese, si fa troppo angusto, decidono di lasciare il collegio di suore in cui vivono per scappare nella grande città, in cerca d'amore ed emozioni. Alla sua pubblicazione, avvenuta nel 1960, l'esordio narrativo di Edna O'Brien, fortemente autobiografico, suscitò reazioni di sdegno e condanna che andarono ben oltre le intenzioni di una sconosciuta autrice poco più che ventenne: il libro fu bruciato sul sagrato delle chiese e messo all'indice per aver raccontato, per la prima volta con sincerità e in maniera esplicita, il desiderio di una nuova generazione di donne che rivendicava il diritto di poter vivere la propria sessualità.
                                                La recensione
Nella religiosa Irlanda dei primi anni sessanta, si racconta come l'esordio di Edna O'Brien – giovane e spregiudicata ragazza di paese, che rifletteva, in quel breve romanzo parzialmente autobiografico, sulle necessità, gli amori, i viaggi – avesse suscitato immenso clamore. La sua penna, eppure semplice e delicata, era stata come un bastone in un vespaio. Le sue riflessioni sulla famiglia, l'istruzione scolastica, il sesso – prerogative dell'adolescenza di ogni dove e di ogni epoca – avevano sollevato i ronzii dei benpensanti, le ire funeste dei cattolici. Ragazze di campagne, primo capitolo di una trilogia che segue, negli anni, la crescita di due migliori amiche che si amano e si odiano di vero cuore, era il romanzo di formazione da inserire nell'indice dei libri proibiti, da bruciare pubblicamente sui sagrati delle chiese. Coma appare, oggi, con le menti aperte e i giovani smaliziati, questo classico moderno da poco riscoperto e salvato dal pregiudizio di un pubblico tanto ipocrita quanto moralista? 
Ragazze di campagna – a cui seguiranno La ragazza dagli occhi verdi e Ragazze nella felicità coniugale: già in lista, perché il finale sospeso lascia qualche dubbio e una visione opaca dell'insieme – mi ha ricordato il primo volume della saga di Elena Ferrante – da Dublino a Napoli, non cambia molto se si parla di amicizie al femminile e voglia di altrove – e quei film in bianco e nero, trasmessi nel tardo pomeriggio, che conservano ancora il loro fascino. Tornare a pubblicare la O'Brien, tornare a parlarne, è un po' come restituire loro il colore, in un magico lavoro di restauro: nel tentativo, quasi, di recuperare il tempo perduto. Poco attirato quando si parla di classici o aspiranti tali, confuso da chi lo adorava e da chi, al contrario, lo trovava una delusione, l'ho tenuto a mente, ma lasciato in forse. Quando, al solito mercatino, per due euro, ho portato a casa la nuova edizione Elliot il forse si è trasformato in sicurezza. Com'è il romanzo su cui ogni blogger ha detto la sua, usando i toni più disparati? Ragazze di campagna è la storia dell'adolescente che posa sulla copertina italiana: Caithleen ha i capelli rossi, le scarpe consumate, una valigia di cartone con pochi beni all'interno. Alle sue spalle, i campi e un casolare da abbandonare, dopo la morte della madre e i debiti di un padre alcolista, ma con la voglia di redimersi. Da qualche parte lì vicino, se fosse possibile una panoramica, vedremmo la villa dell'amica Baba; al contario suo, ricca, viziata e appariscente. 
Con un papà a cui non dà il rispetto meritato, una mamma che sogna il cinema, un fratello spocchioso e una casa grandissima, piena di stanze e meraviglie, in cui la sfortunata Caithleen – però più intelligente e coscienziosa – è sempre la benvenuta. Finché non attira le attenzioni del Signor Gentleman, uomo attempato e facoltoso, e i suoi voti alti non le valgono una borsa di studio in città. L'amicizia tra Caithleen e Baba, allora, si fa simile a quella tra le nostre care Lila e Lenù: la fedeltà cieca e la competizione spietata. La O'Brien le seguirà dai quattordici ai diciotto anni, in questo titolo. La vita in periferia, l'arrivo in una scuola cattolica, la fuga a Dublino: senza un'istruzione ma con un sogno. Farcela. E, soprattutto, innamorarsi perdutamente, come succede al cinema. L'autrice, all'epoca della prima stesura loro coetanea, è attenta agli stati d'animo e agli sfondi; ai cuori in subbuglio e alle città straniere che cambiano, cambiandoci. Ma anche ai miracoli del trucco, alla vanità delle sue piccole donne, alla caccia spietata di uomini ricchi e depravati nei riguardi delle due protagoniste, materiali e sciocchine, che rischieranno di dimenticare – stordite dagli apertivi e dalle luci sfavillanti di Dublino – la retta via e i lati positivi di quella loro strana amicizia, mai del tutto disinteressata. Il bello, in Ragazze di campagna, è che tutto ciò che i più grandi affermano si rivela vero – presenti, e cito i commenti in copertina, la spontanea originalità, l'ironia, l'innovazione, lo scandaloso puzzle di desideri femminili – ma, a prima vista, non si direbbe; sapete? Il brutto, per molti e anche un po' per me, è quindi che, durante la lettura, se ne senta poco l'importanza. Pregi e difetti, vizi e virtù, di una scrittura che è lieve, disimpegnata, attuale: con l'acuto rischio, senza avere i seguiti a portata di mano, di risultare però senza peso.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Tori Amos – Cornflake Girl

venerdì 25 luglio 2014

Recensioni a basso costo: Le sorelle Soffici, di Pierpaolo Vettori

Io voglio vivere. Anche a costo di farmi male. Ma non posso farlo se Cecilia è con me. Nessuno potrebbe difenderla se cadessi nell'abisso.

Titolo: Le sorelle Soffici
Autore: Pierpaolo Vettori
Editore: Elliot (LIT- Libri in tasca)
Numero di pagine: 192
Prezzo: € 9,90
Sinossi: Veronica Soffici è una ragazza molto speciale, parla con gli scrittori defunti che popolano la biblioteca di casa, mangia mele con i chiodi di garofano e sente di essere la sola a difendere la sorella Cecilia da pericoli terreni e ultraterreni. La sua è una famiglia di industriali, la cui fortuna è stata costruita sulla ricetta segreta di una marmellata diventata famosa in tutto il mondo. Ma i tempi cambiano e l'ombra del fallimento sembra incombente, mentre i primi scandali di Tangentopoli cominciano ad apparire nelle cronache. Un aiuto potrebbe arrivare da un ambiguo faccendiere, l'unico in grado di garantire una via d'uscita, ma sarà necessario sacrificare qualcuno. Giorno dopo giorno, Veronica riporta nel suo diario ricordi, visioni, fantasie ma anche i mutamenti repentini che stravolgono la routine familiare, insieme al viavai di speculatori, portaborse e politici che stringono d'assedio i terreni intorno a villa Soffici. Alla ragazza non resta che organizzare una forma di resistenza tutta sua e giocare la crudele partita con il mondo. Questo romanzo è un grido di battaglia a difesa dell'innocenza e della fantasia contro l'avanzare di una barbarie dell'anima che non concede prigionieri.
                                           La recensione
Disegni: Nicoletta Ceccoli. 
Quella delle sorelle Soffici è una storia scoperta un giorno e letta, così, su due piedi, il giorno immediatamente successivo. Che bizzarria. Che assurdità. Che... che... non lo so. Il fatto di averlo trascurato, nei giorni di gloria del mirabolante esordio di Pierpaolo Vettori, dico, e anche il romanzo in sé e per sé. Strani, tutti quanti. Io, con la mia sbadataggine, e le sorelle Soffici, con i santi che dormono ai piedi del letto, luminosi come lucciole, e i demoni che, sfacciati, tirano per i piedi e la camicia da notte la povera Cecilia, per trascinarla nella gola dell'inferno prima del tempo previsto. Guardate, io non lo so davvero a che cosa pensavo. Fissavo la copertina, con il vestitino di organza bianca infiocchettato e la finestra scura a far da cornice, e mi piaceva anche. Moltissimo. Per uno che giudica irrimediabilmente i libri che compra dalla copertina, inspiegabile il non aver comprato – e studiato, e sfogliato, e letto – questa favoletta per bambini grandi e con grandi problemi a conservare la lucidità, a mantenere l'attenzione, a discernere fantasia e realtà. A tagliare con un coltello da burro, senza farsi male, perché i cerotti sono finiti e per gli antibiotici ci vuole la prescrizione medica, luce e oscurità: da prendere, spalmare sul pane, dividire. Il boccone buono a noi, quello avvelenato al nostro nemico. Con la mela maledetta di Adamo ed Eva, mentre il veleno del serpente ancora circolava nella polpa fresca e croccante, l'avo delle sorelle Soffici ha fatto barattoli e barattoli di marmellata. Diciamo così... Marmellata maledetta, che ha nutrito generazioni di italiani disoccupati, scandali finanziari al vetriolo, antipatie mortali, industrie facoltose costruite sulle bestemmie dei diseredati. Ne parlano in tivù, e la tivù può fare miracoli: i trucchi a quintali, le luci giuste, i toni distaccati dei giornalisti di uno Studio Aperto a caso. Nel mondo dello spettacolo, tutto è il contrario di tutto. Sembra bello quel che disgusta, è libero chi meriterebbe il carcere, la marmellata Soffici – assieme al fango, insieme al letame – macchia il tricolore come una colpa (e una polpa) eterna che è scambiata per pittoresca. Fa parte di noi. Ormai, l'Italia va così. Quindi perché cambiare? Anche la famiglia è un'industria, ma senza le luci dei riflettori a rischiarare i coni d'ombra. In questo buio anonimo, tribolato da apparizioni e spezzato da scossoni frequenti, vivono come animaletti randagi le sorelle Soffici - frutto reale di quella mentalità alienante, estranea, in un mondo di vasetti di marmellata in vetro e con elegante tappo d'alluminio, pieni di dolcificanti e solo con la promessa vaga e ingannatrice della frutta di stagione. Dopo grosse magagne, arresti evitati, furberie lasciate in eredità ai posteri, qualcosa doveva pure andare storto. Sono andate e nate storte le due figlie del Signor Soffici. Veronica e Cecilia sono due adolescenti belle e rotte che fanno parte dell'altro lato del mondo. Le definiscono con un generico “sfortunate”, per non chiamarle “minorate mentali”, “da manicomio”. Le buone maniere prima di tutto; anche dell'onestà. Soprattutto di quella. E, onestamente, Veronica odia il padre debole, la matrigna petulante, il sapore della confettura di pesche, quel dottore dai lineamenti da topo – Anton – che sta portando alla morte il povero papà e seducendo la civettuola consorte. Ama la nonna, i libri e sua sorella. Tre cose e basta, ma con tutto il suo malandato e semplicissimo cuore. In un'estate di scandali e rivelazioni, nasce e si conclude la loro bislacca storia. Una breve odissea familiare che vedi sfrecciare nel tunnel degli orrori, o forse in quello dei baci. Perché anche i mostri sono capaci di tenerezze. 
Il romanzo di Pierpaolo Vettori mi ha inquietato e tratto in inganno, tentato e piantato in asso. Cristallino e crudele, delizioso e terrificante, stupisce e ti prende per fesso. Lasci che sia così. Non capita tutti giorni. A me non credo sia capitato davvero mai. Mai avuto nient'altro di simile tra le mani. Qualcosa a cui non sapevo rinunciare, anche se sarebbe stato saggio farlo. Queste sorelle siamesi, coi capelli di spaghetti e gli occhi enormi dei quadri di Walter Keane, saltano fuori dai ritratti immaginari di Diane Arbus, dai pozzi abbandonati degli horror coreani, dalle tane di mascalzoni di Bianconigli e dal cappello a pois dei funghi allucinogeni di narcotrafficanti di Brucaliffi. Sono figlie di un'altra epoca e della nostra. E di un papà scrittore, nato già adulto, che le ha cresciute con i cartoni di Tim Burton e gli aspri, mancati lieto fine di Guillermo Del Toro. Intontito, ho pensato anche a Boris Vian e alla famosa schiuma dei suoi giorni. Vogliono restare sempre insieme e fermare il tempo con uno schiocco di dita. Pensano di partire con le carovane e i pulmini gialli, di seguire il circo errante, e nel frattempo hanno i loro libri preferiti come spie e imbucano lettere a poeti defunti utilizzando un nodoso albero cavo come cassetta della posta. Svelano misteri e fanno della loro adolescenza perduta il più grande di tutti. In assoluto. Diario di una bambina che brucia abiti da sposa, memorie in fiamme di una bugiarda patologica, Le sorelle Soffici è un piccolo – o grande? - romanzo gotico contemporaneo. Scritto con sapienza, cesellato con cura. Cura, pazienza, che c'è anche nelle costellazioni di buchi narrativi che lo affliggono, come bubboni e cicatrici che il "dottor" Vettori non ha minimamente intenzione di sanare. Ti lascia a leccarti le ferite, con un colpo di scena e una chiusa netta che è una coltellata che arriva dal nulla e da tutte le parti insieme. Zac, zac!. A mettere una corona di spine alla stranezza, e a te un copricapo da pagliaccio, le sensazioni contrastanti che ti dicono che l'hai amato e che l'ha detestato. Ci pensi, e ci pensi, e ci pensi. Alla tua opinione in merito, al messaggio, al resto. L'hai letto in un soffio e non hai preso appunti. Freud avrebbe riempito Moleskine di appunti e scritto un saggio, invece. Il libro psicoanalizzava te, mentre tu psicoanalizzavi il libro.
Il mio voto: ★★★★ 
Il mio consiglio musicale: Pan's Labyrinth Song 

giovedì 30 agosto 2012

Recensione: Tenerezza, di Robert Cormier

L'amore arriva a tanto?

Titolo: Tenerezza
Autore: Robert Cormier
Editore: Elliot “Scatti”
Numero di pagine: 187
Prezzo: € 17,50
Sinossi: Lori Cranston, quindicenne: corre via in fretta, scappa di casa, come ha sempre fatto. Stavolta è per evitare uno degli amici di mamma, troppo lesto ad allungare le mani. Quello che vuole è solo un po' di tenerezza. Eric Poole, assassino. Ha ucciso madre e patrigno, ha compiuto diciotto anni e pagato il suo debito con la giustizia. Non ha mai toccato quelle ragazze, però. Neanche sfiorate con un dito, almeno a sentire lui. Jake Proctor, detective: un adulto che non ci vede chiaro. I conti devono tornare. La giustizia deve avere la meglio. Può essere dura, ma non esistono alternative. I due ragazzi si incontrano. Viaggiano insieme. Lori si ricorda di Eric, della sua storia. E dopo un po' capisce di non poterlo più lasciare. Anche se ha già ucciso e potrebbe farlo ancora. Anche se il loro rapporto li condurrà ben oltre ogni rischio. Perché in Eric Lori ha trovato la tenerezza tanto desiderata.
                                                       La recensione
La locandina del film
- Hai provato a suicidarti?
- Forse. Non lo so veramente – disse lei, cercando di evitare il suo sguardo. - Non volevo vivere, ma neppure morire...
 Di solito, sono i libri in cui ci imbattiamo casualmente le sorprese più inaspettate. E' stato così – in mancanza di letture più interessanti, per caso – che in passato ho scoperto chicche imperdibili come i romanzi di Dean Koontz e di John Green. I brividi negli uni, le risate più incontenibili negli altri. Quando, grazie alla mia amica Mariachiara, ho scoperto Tenerezza, il nome di Robert Cormier ha fatto un grandioso ingresso sulla lista degli autori da tenere in considerazione per i prossimi acquisti. L'autore, venuto a mancare nel 2000 all'età di 75 anni, ha saputo conquistarmi dalla prima pagina per la sua unicità. Etichettato come un romanzo Young Adult, il suo quindicesimo libro ha una bellezza disastrosa e contorta, data da un linguaggio brutalmente realistico e da due personaggi del colore del petrolio. Due figure “borderline”, protagonisti di un acuto scandagliamento e di un'ecografia che mette in luce due cuori pulsanti tra cicatrici, bruciature e ossa rotte. Due personaggi atipici, duri, affascinanti al di là di qualsiasi ragionevole rimostranza. Lori, quindici anni, colleziona baci. Eric Poole, diciotto, è un ladro d'attimi di tenerezza rubati. Lei, un viso da bambina e un corpo di donna, scappa da un patrigno dalle mani troppo lunghe e da una madre che non potrà mai essere felice sotto lo stesso tetto di una figlia che le sottrae sguardi e attenzioni. All'inizio del libro la troviamo con gli occhi chiusi, vulnerabile, mentre sente il respiro affannoso dell'impiegato del negozio di musica, che, in cambio di pochi minuti in sua compagnia, le dà qualche disco gratis e qualche canzonetta dietro cui perdersi. Lui ha passato tre anni della sua adolescenza in riformatorio. E' stato condannato per l'omicidio a sangue freddo dei suoi genitori, ma nessuno è a conoscenza dell'omicidio di tre ragazze che non avranno mai pace. Avevano i capelli neri e un sorriso dolce. Si sono spente dolcemente nel fitto di un bosco e quella morte veloce le ha sottratte dagli abbracci e dalle carezze che sono venute dopo. Da una tenerezza che non sa esprimersi altrimenti. 
Una disperata Lolita e un magnetico angelo nero. Una ragazzina in fuga e un efferato assassino. Una storia d'amore senza precedenti in un' America degli anni '90 che non è mai stata delineata con tanta coraggio e freddezza. Strana, impossibile, senza assoluzione. Il romanzo si lascia leggere in poche ore, scritto con uno stile conciso e semplice che alterna ruvidamente punti di vista e ricordi. I protagonisti, con risolutezza e arroganza, riescono ad emerge perfettamente nel poche pagine che compongono questo curioso racconto d'adolescenza e non sembrano risentire affatto di uno spazio di movimento tanto ristretto. Si evolvono, scoprono parti nuove di sé stessi e, insieme, vanno spediti verso uno dei più grandi punti dolenti di un romanzo altrimenti degno di nota: l'epilogo. 
Alcuni potranno definirlo inaspettato, altri spiazzante, ma io l'ho trovato soltanto molto – troppo - incoerente. Si gira l'ultima pagina e, con grande delusione, ci si trova davanti ai ringraziamenti. I titoli di coda di un film a presa diretta finito troppo presto. Probabilmente, potrebbe essere al centro di considerazioni alla soglia del poetico e oggetto di una tessitura di riflessioni filosofeggianti, ma io l'ho trovato sbrigativo e ovvio. Amaro in perfetta assonanza con il resto della storia, ma non altrettanto indimenticabile. Ruvido, ma non tanto da segnarti. Un gigantesco “ma”, in una storia che - a causa della mole ridotta - da una parte, è riuscita miracolosamente a delineare due straordinari personaggi, dall'altra, si è lasciata dietro un frammento di radicale importanza, che, in conclusione, avrebbe fatto la differenza. I protagonisti mi sono rimasti estranei, le loro ragioni lontane dalla mia comprensione. Un capitolo in più, e tanti “perchè?” avrebbero potuto avere la loro risposta. Amato e odiato, il romanzo che ha diviso la critica americana, che spesso ne ha criticato il pessimismo e la durezza, nel 2009 è diventato un film (ancora inedito in Italia) con Russel Crowe, e Jon Foster (The Door in the floor) e Sophie Traub (The Interpreter) nei panni dei giovani protagonisti. Tenerezza è comunque un'occasione per leggere uno YA ruvido e faticoso come pochi e per rivalutare i precedenti romanzi del compianto Cormier. La guerra dei cioccolatini (la scheda qui) è già nella mia wishlist! Poteva ambire all'eccellenza, ma si accontenta di una sufficienza stiracchiata. 
Il mio voto: ★★★ -
Il mio consiglio musicale: Gary Jules – Mad World
Nota sull'edizione: L'edizione letta non corrisponde a quella della scheda. Si tratta di un tascabile della collana Supertrend, firmata dalla Mondadori, e datata 1999. Attualmente, la Elliot è l'unica casa editrice grazie al quale il titolo è in commercio, ma vi invito a cercare in biblioteca o in qualche negozietto di libri usati per un po' di risparmio. Anche se non pienamente, ne vale la pena.