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lunedì 23 maggio 2016

Recensione: Unrivaled - La sfida, di Alyson Noel

"Era rimasta chiusa in camera a meditare sulla linea sottile che separava la fama dall'infamia. Per un colpo di sfortuna, la sorte aveva voluto che per lei fossero inestricabili."

Titolo: Unrivaled – La sfida
Autrice: Alyston Noel
Editore: Harper Collins
Numero di pagine: 284
Prezzo: € 16,00
Sinossi: Tutti desiderano diventare qualcuno nella vita. Layla Harrison vuole fare la giornalista; Aster Amirpour sogna di essere un'attrice di successo; Tommy Phillips ha intenzione di diventare una rockstar. Madison Brooks ci è riuscita: ha afferrato il destino e lo ha piegato al proprio volere molto tempo fa. Ora è la più acclamata stella di Hollywood, e ciò che ha fatto per diventare il personaggio di cui tutti parlano è solo una macchia sull'asfalto, polvere sotto i tacchi delle sue Louboutin. Finché Layla, Aster e Tommy non ricevono un invito speciale per entrare nel mondo esclusivo della vita notturna di Los Angeles e partecipare a una spietata competizione di cui Madison Brooks è l'obiettivo. Ma proprio quando le loro speranze si accendono come stelle che bucano lo smog della California, Madison Brooks scompare... e le aspettative dei quattro ragazzi si spengono, oscurate da una nebbia di bugie.

                                              La recensione
La visione di Blake Lively a Cannes – stupenda in azzurro, in rosa, in oro e, con la gravidanza a fare capolino e ad arrotondarle le forme, forse, ancora di più – mi ha ricordato perché al ginnasio fossi perdutamente cotto della sua inarrivabile Serena van der Woodsen e seguissi, fedelissimo, un mondo di intrecci, tradimenti e surreali colpi di scena descritti da colei che, nell'anonimato, cantava e condannava i rampolli e le meteore delle scandalose élite di Manhattan. Tra il teen e la soap, trash solo verso la conclusione, Gossip Girl era – è – il mio guilty pleasure con la lettera maiuscuola. Da allora, cercasi rimpiazzo. A consolare gli orfani e i nostalgici, chi a New York non ci ha mai messo piede e alcuni party di certo non può permetterseli, ci hanno pensato le amiche di Pretty Little Liars e, lo scorso anno, i nobili britannici secondo The Royals: serial che, senza cerimonie, ho abbandonato strada facendo. Il primo, infatti, non mi aveva anticipato che oltre che carine e giovani le quattro protagoniste fossero stupide da non credere; con il secondo, nonostante il piacere degli episodi introduttivi, era venuta meno la curiosità e non restava, allora, che il trash. Quello, in dosi abbondanti: ingenerose. Finché, tra i guilty-pleasure-ma-non-troppo, non è spuntato dal nulla Unreal. Quali meccanismi nascondeva un programma in cui ragazze bellissime si sfidavano per il cuore di un lui assai ambito, se le sporche manovre della produzione facevano vittime innocenti e la commedia nera prendeva d'un tratto il sopravvento? Unreal e Unrivaled: un titolo in assonanza, un'altra sfida annunciata, la contaminazione a fantasia tra il mistery e lo chick lit. Come nel caso del telefilm Lifetime, anche con Alyson Noel c'era la sorpresa, dietro l'angolo? Primo di una serie, tradotto in tempi record e coccolato dalla nascente HarperCollins Italia, Unrivaled è ambientato in una Los Angeles festaiola e rumorosa, ha protagonisti che indossano le migliori griffe e coltivano i peggiori propositi, fa una satira non troppo caustica ma che si legge, e lì sta la sorpresa, con un ghigno di sottile apprezzamento. Il titolo si riferisce alla missione di tre diciottenni senza grilli per la testa, determinati sin dall'inizio, che rispondono all'invito del potente e misterioso Ira, proprietario dei locali notturni più in
La fragola in copertina, intinta nell'oro, è il frutto proibito a cui Tommy, Layla e Aster tendono la mano, ignari degli effetti collaterali della loro cupidigia. Vogliono sfondare. Il primo, ragazzo di periferia con la chitarra in spalla, sogna la carriera delle rock star e il cenno del capo di un padre gelido, ignaro della sua stessa esistenza; la seconda, hipster fino al midollo e con un fidanzato storico che sprizza gioia di vivere, scrive cattiverie e news su un blog di pettegolezzi; l'ultima, che per ribellarsi a due genitori aristocratici e normativi gioca a fare la cattiva ragazza, sa che la sua pelle caffellatte e il fare da gatta morta le apriranno in fretta e furia le porte dello showbusiness. Intanto, fanno i promoter per l'uomo che, in pugno, custodisce le chiavi di Los Angeles. Ci sono tre locali da riempire e loro sono i leader di tre diverse squadre. Chi la avrà vinta? Chi potrà vantarsi di avere, come fiore all'occhiello, l'attrice Madison Brooks e la sua dolce metà? La ragazza che s'inchina davanti alle stelle, però, scompare nel nulla. Cosa hanno a che fare i protagonisti con il sequesto dell'ospite più ambita?
Il romanzo della Noel è una lettura disimpegnata ma coinvolgente, che lascia più domande che risposte. Una “toccata e fuga” dal senso d'irrisolto, di incompiuto, che nel pugno stringe un pugno di mosche; generi che si combinano sì e no; polvere di stelle cadenti. Pensato per un pubblico di giovanissimi, nonostante le premesse, non risulta di certo più cinico o provocante del young adult medio; e il riferimento principale, ahinoi, è quello delle “liars”, tanto benvolute altrove. Con un mistero che, nel prossimo romanzo, ci darà i debiti grattacapi e un finale che suona tanto come un arrivederci, alla prossima puntata.
Ci sono romanzi dallo stile chirurgico e nitido, che non puoi fare a meno di definire cinematografici. Unrivaled è invece modesto, nel bene e nel male, e ammiccante: televisivo, con il bollino giallo. Tra lo standard e l'irriverente, segue un compromesso che, questa volta, non mi è dispiaciuto, benché non ami le vie di mezzo, le pietanze senza pepe, la satira senza coraggio. Ma La sfida mi ha divertito, intrigato il necessario, e un'altra puntata di prova, un altro romanzo, me lo concederei ben volentieri. Al momento, sospendo il giudizio. Non cambio canale, senza sapere che fine ha fatto Madison Brooks e com'è, nel dettaglio, un mondo che qui ho occhieggiato tra i flash dei paparazzi e in mezzo ai punti di vista di un trio all'oscuro dei fatti. Freno un po' l'istinto di darmi allo zapping sfrenato. Il guilty pleasure, però, resta più appetibile sul divano, in pigiama e alla luce dello streaming, che tra le pagine. 
Su questo no, non cambierò idea. 
Il mio voto: ★★½
Il mio consiglio musicale: Vogue – Madonna 

mercoledì 29 aprile 2015

Mr. Ciak: Mommy, Adaline - L'eterna giovinezza, Pride, Le streghe son tornate

Quando ho smesso di piangere sono andato in cerca delle parole. E' successo più o meno così. Poi mi sono chiesto come avrei voluto parlarvene e quale scusa avrei trovato per inserire uno dei film più belli dello scorso anno – purtroppo, recuperato solo ora – nella Top Ten del cinema che è venuto nei quattro mesi scorsi e che verrà nei nove successivi. Imbroglierò; regole mie, blog mio. Mommy finirà in cima al podio e sull'header, sicuro come solo la morte. E le parole si sono nascoste, non si sono fatte trovare, perché alla fine più ci tornavo sopra, più mi rendevo conto che i fazzoletti non sarebbero bastati. A un certo punto, mi ero trovato con le guance umide senza preavviso. Succedeva e basta; avevo dato il mio via libera, e giù di goccioloni furiosi. Quando in casa sono solo e il film è bellissimo rendo di più. Ci sono i film che vanno pianti, altrimenti li capisci a metà. Mai pensato che Xavier Dolan – venticinque anni, cinque film presentati a Cannes; un artista della forma, ma dell'emozione? -, mi avrebbe regalato una delle visione più indimenticabili e il primo pianto dell'anno. Maledetto. Ma anche grazie. Scoperto la scorsa estate, aveva tutto ciò che odio - presunzione, sicurezza, autorialità – ma un occhio ipnotico: se lo sguardo ne era uscito appagato, il cuore non aveva trovato pane per i suoi denti. Con lui misuro un cinema che dev'essere sensazione: la sola forma è come un corpo che invecchia. Resta altro; e quelle poche benedette volte che resta lo senti nello stomaco. Come le farfalle che svolazzano o il dopo sbronza che risale. Mommy è un clamoroso esempio di cinema d'autore fatto per il mondo. Concezione impossibile, come gli unicorni e Babbo Natale; paradosso. Ma Dolan nella sua nicchia sonnolenta non ci sta. Si sentiva imbarazzato quando la critica lo paragonava ad autori che lui neanche conosce: non molto tempo fa, infatti, è stato un ragazzino che è cresciuto considerando genii Cameron, Spielberg e Columbus; un fruitore orgoglioso di pellicole mainstream; uno col mito dei film per famiglie vecchio stile – quando nella sua, di famiglia, c'era invece qualche problema. All'età in cui c'è chi si laurea e chi scappa all'estero, lui firma il suo capolavoro. Mommy è il film per famiglie secondo lui. Suo, suo per forza, ma diverso, finalmente: parla meno di sé; si emoziona di meno, c'è più controllo; ma emoziona di più te, con devastazione e dolcezza e generosità. Il cantante, nei concerti, stona un po' quando deve cantarti le sue storie d'amore e il suo privato. Allora il regista si mette da parte, toglie il suo nome dal cast e ci parla, mantenendosi dietro la macchina da presa, della prima parola che ogni bambino pronuncia: mamma. Ma la mamma sciagurata della magnifica Anna Dorval non festeggia il dieci maggio e ha un figlio pazzo che pensa di curare con il suo amore. Sono una famiglia sgangherata, in cui altri uomini non sono ammessi, ma - nonostante le botte e gli insulti - si vogliono bene con trasporto. Sono l'unica cosa che hanno. Guai a separarli. Lo spettatore entra in casa Dorval insieme alla vicina di Suzanne Clément, un'estranea che solo in mezzo a loro, altri estranei, riesce a parlare senza balbettare. Mommy è universale, ruvido e purissimo. Esagerato e strabordante. La scena madre, di solito, è quella che si ricorda. Quella in cui trionfa spontanea la commozione. Ma Mommy ha vari finali, troppe scene cult e la fattezza di una continua e lunga scena madre. Poetica della libertà, inventata da uno che ha la coscienza di un vecchio e l'iperattività di un bambino che a scuola purtroppo non fa faville: proprio non vuole capire che deve scrivere nel rigo giusto, che non deve uscire dai margini. Cerca di contenersi, perciò, chiudendo i personaggi in un significativo 4:3: due bande nere ai lati dello schermo, l'immagine come tra parentesi, Diane e Steve – di rado nella stessa inquadratura – imprigionati dalla pazzia di lui. Il prodigioso Antoine Olivier Pilon – sedici anni, la zazzera bionda, il grugno alla Macklemore – sul suo pianeta irraggiungibile. Che tenta il suicidio e chiede perdono alla mamma, come se avesse fatto rompere per sbaglio un bicchiere. Che piange, si dispera, cerca il suo aiuto, come ho fatto io il primo giorno all'asilo; quando la maestra Luciana le ha chiesto di andare via – e io piangevo e mamma piangeva – e alla fine è tornata a prendermi, ma tanto stavo già meglio. Che al karaoke, stonato, le dedica Vivo per lei – Bocelli e Giorgia in una surreale colonna sonora che comprende Dido, Lana Del Rey, Céline Dion, gli Oasis e Ludovico Einaudi. Ci sono giorni cattivi e giorni buoni, in cui la felicità, a portata di mano, è un'utopia in 16:9: lo schermo si amplia, le sbarre del carcere si fondono e Steve, a bordo di uno skateboard, scorazza nella vita vera. Finalmente organico, finalmente benvenuto al mondo. I figli – e film come Mommy – so' pezzi 'e core. (10)

Ci sono i film brutti, quelli belli e le occasioni mancate come questa: il terreno era fertile, ma nessuno ha voluto seminarlo. I frutti perciò sono pochi e acerbi. Se fosse stato un romanzo, Adaline sarebbe stato un Neri Pozza: lungo, minuzioso, elegante. La storia di una donna che ha smesso di invecchiare e che è stata testimone di anni e anni di storia: un cenno alle due guerre; una vaga sottotrama spionistica, magari; l'America oggi, ieri e domani, dal punto di vista di una che c'era col crollo di Wall Street, l'uomo sulla luna, le Torri Gemelle. Poi, oltre la storia, anche l'amore: immancabile per ogni vita appassionata, figuriamoci due. Hollywood non ci ha pensato. Un altro Benjamin Button sarebbe stato troppo, quindi ecco la splendida Adaline: ventinovenne da un secolo, innamorata dell'amore, colta, ma priva di esperienza. I flashback dei roaring years e dell'epoca beat, il Charleston e i capelloni, ma il resto? Manca il senso di profondità storica, la saggezza di cui la protagonista immortale non ha fatto dono ai suoi sceneggiatori. C'è un mondo d'amore – e non in senso negativo, perché i sospiri si contano e i sorrisi no – ma lo sfondo è evanescente. Adaline è infiocchettato ad arte, impeccabile, ma perfettino. La macchina da presa danzante, i fiocchi di neve, i costumi messi in risalto dalle forme della splendida protagonista e un epilogo fiabesco che, una mezz'ora prima della chiusa, già si intuisce – e io l'ho suggerito alla sala piena, ovviamente. La voce di un funzionale narratore, però, te lo racconta come fosse una fiaba e la suggestione c'è, anche se non sono riuscito ad oltrepassare mai l'uscio del palazzo. Buona la prova di Blake Lively – altissima, biondissima e purissima – ; e poi, guardatela, cammina sulle nuvole. Con lei Michiel Huisman, altro volto del piccolo schermo che, alla sua bellezza rude, unisce inaspettato brio; infine, un Harrison Ford il cui ruolo, teoricamente inaspettato, è svelato con idiozia nel trailer. Titolo vago e un po' ingannevole The Age of Adaline. Meglio dare spazio ai suoi “lovers” sin dalle premesse, così da chiarire che si tratta di una commedia romantica originale e non di una ricostruzione storica banale: è diverso, se ci si fa caso. (6)

Quella di Joe è la storia di tanti ragazzi della sua generazione; gente cresciuta ai tempi della musica dance, delle restrizioni della Lady di ferro, dell'Aids. Pride è l'orgoglio di Joe, pronto a spiccare il volo lontano dal nido, e quello della comunità omosessuale tutta che, all'alba di una rivoluzione di costume, scende in piazza e si fa sentire. Pride è l'orgoglio dei minatori britannici che, al centro di una crisi che forse ci è familiare, perdono il posto. Ma c'è anche un altro orgoglio, negativo, che è da prendere e mettere da parte: come conciliare operai di paese e gay di città? In Pride, tratto da una storia vera, la causa di uno diventa la causa di tutti. I minatori non hanno mai visto un omosessuale – almeno non dichiarato – e gli omosessuali non hanno mai visto un minatore – almeno non uno spogliarellista vestito da minatore. Così, operai tutti d'un pezzo balleranno, al centro della pista; arzille nonnine faranno le domande più indiscrete sulle pratiche erotiche di una coppia lesbo; gay londinesi riceveranno lezioni di mascolinità da uomini che sostituiranno padri conservatori che hanno tolto loro il saluto, mentre a loro volta essi tireranno fuori lati femminili nascosti e confessioni che hanno il potere di liberare. Passato in sordina in Italia, ma apprezzatissimo all'esterno, Pride è intelligente e ben confezionato, con punti di vista inediti e attori totalmente in parte – accanto ai mattatori della vecchia scuola, spicca il Dominic West di The Affair, passato brillantemente dal ruolo di sciupafemmine a quello di ballerino (e come balla!). Una miriade di tematiche affrontate con umorismo e delicatezza, uno script che abbraccia situazioni eterogenee e personaggi numerosi, un sentore di bontà che perdura. Le tregue, le strette di mano che siglano lunghe amicizie, i volti qualsiasi e le storie comuni che mostrano che un passo alla volta e perfino l'immutabile cambia. L'individualismo è un falso. Due ore piene, il pensiero speranzoso che forse è giusto – in questo nostro mondo bello perché vario - avere fiducia nel genere umano. (8)

Sotto la guida di un Gesù Cristo argentato, un soldato logorroico, Spongebob, l'uomo invisibile e un bambino criminale rapinano una gioielleria e scappano con la ricca refurtiva. Sembra una barzelletta surreale, ma le geniali sequenze d'apertura hanno il marchio di fabbrica di Alex de la Iglesia: regista spagnolo famosissimo, autore di pellicole che sono già cult – La Comunidad, suo, è uno dei film che riguardo più volentieri in assoluto -, figlio illegittimo di Almodòvar e Rodriguez, compagno di culla di Quentin Tarantino. O cose così. Dalla Spagna con squallore. A una prima parte da manuale, però, se ne alterna una seconda che sfocia in un finale lungo, sensazionalistico e non troppo in linea con il resto. Il difetto vero, purtroppo, è in agguato alla fine. Per una volta, il titolo italiano non sbaglia. Le streghe son tornare – che si rifà a uno slogan femminista – è un'arguta satira sui sessi dal linguaggio originalissimo, sebbene non completamente riuscita, e le protagoniste, fattucchiere perchè totalmente libere, mettono lo spettatore uomo in castigo in un angolo. La sanno lunga, la canzone; sanno quel che dicono. Per i protagonisti maschili, a questo punto, o la fuga o cambiare sponda. Dopo anni di assenza, ritorna con stile e ai Goya fa furore, subito pronto al'esportazione. Perché la storia rocambolesca di tre rapinatori nella casa delle streghe ha tanto del suo mondo ma a chi, profano, imparerà a conoscerlo da qui, con una commedia nera che gioca abilmente con l'horror, ricorderà un certo Edgar Wright, e non è poca cosa. Dalle parti di Hot Fuzz e La morte ti fa bella, in un calderone di effetti speciali, violenza e battutacce, si aggirano uomini in lotta per l'affidamento, ex diseredati, figli che devono rispondere alla domanda ossessiva vuoi più bene a mamma o a papà?; contro di loro, le partecipanti a un sabba demoniaco, in una casa abitata da donne. Che la lotta tra maschi e femmile, e tra bene e male, abbia inizio. (6,5)

mercoledì 23 maggio 2012

I ♥ Telefilm: Gossip Girl

Le serie Tv destinate ad un pubblico adolescenziale, di solito, si pongono con l'obbiettivo di dare insegnamenti ai giovani spettatori e di fotografare, nel corso degli episodi, la realtà contemporanea.
Nella serie di cui vi parlerò oggi, però, il discorso è un po' diverso! Si parla di droga, famiglie allargate, sesso, ambizioni e gelosie, il tutto, però, risulta amplificato e reso più patinato dalle luci che si riflettono sui grattacieli di Manhattan, dalle sfarzose ambientazioni e dalle favolose feste a cui si imbucano continuamente gli impeccabili protagonisti, sempre alla moda e in cerca di scoop e dei flash dei curiosi.
Vite diverse, sogni differenti, stili agli antipodi. Ad unire le esistenze dei protagonisti e a farle incrociare in sexy balli in maschera e in strade perennemente affollate è la voce che anima e tormente gli animi dei rampolli dell'Upper East Side. Gossip Girl.
Invisibile, ma onnipresente essenza della serie che da lei riprende il nome.
Dan, un ragazzo povero in canna con il sogno di sfondare nel mondo dell'editoria e una cotta insanabile per una ragazza totalmente al di fuori della sua portata.
Serena, la sua musa bionda; un ampio attico, una famiglia a soqquadro e una migliore amica/nemica con cui competere continuamente.
Blair è icona di eleganze e stile, amica inseparabile di Serena e ape regina di un liceo privato ci New York.
Chuck Bass - ricco, viziato, un po' stronzo, orgoglioso e cineco – è il riottoso Mr. Darcy con il quale la volitiva Blair spera da sempre di formare una coppia stabile e equilibrata: l'Heathcliff che dolcemente la tormenta. Accanto a loro, Nate – una frangetta bionda ed un cognome celebre e pesante da portare; Jenny – un'esuberante adolescente dai capelli ossigenati e con il sogno della moda; Lily e Ruphus – 40 anni, due matrimoni falliti alle spalle e la voglia di tornare ad amarsi. Sono personaggi dai caratteri forti e dalle caratteristiche veramente particolari.
Troppo definiti per risultare verisimili o organici al nostro mondo. Come valeva per Glee, tuttavia, pur essendo incredibilmente distante da noi “comuni mortali”, Gossip Girl è una delle serie che seguo da più tempo e che è diventata meta fondamentale dei miei pomeriggi d'evasione.
Io, diciamolo, sono noioso; ho una vita moscia ed ordinaria! Loro, pur avendo tanti difetti e vizi da cui sarebbe meglio fuggire a gambe levate, hanno tutto quello che non ho ed è incredibilmente bello affacciarsi sul loro mondo dorato nell'arco di appena 40 minuti.
Vivono vite spericolate, piene: non si annoiano mai!
In ballo ci sono i loro sogni e la stabilità delle loro frizzanti relazioni, che si snodano sul web, a Central Park e negli eleganti bistrot di Parigi.
Vivono entusiasmanti fiabe urbane – con tanto di principi e matrimoni da prima pagina – ed eclatanti avventure che, probabilmente, nemmeno una versione chick- lit di Lara Croft oserebbe immaginare!
Sono tutti belli, vestono tutti le firme più esclusive e, sinceramente, i loro viaggi e le loro cerimonie megagalattiche sembrano fare un'impertinente linguaggia alla crisi che ha messo con le spalle al muro le società di mezzo mondo.
Gossip Girl è E-V-A-S-I-O-N-E. E' sbagliato, inverosimile, frivolo, ma, quando lo guardo, io scivolo in un colorato e morbido oblio di musica pop, scenari mozzafiato, lunghe passerelle e perfidi I-Phone!!
I protagonisti litigano, sbandierano al mondo la loro amarezza, si odiano, si amano, ma costituiscono un'unica, grande famiglia che, sono certo, è solida e affiatata anche al di fuori delle telecamere. Ispirato a una serie di romanzi editi in Italia dalla Rizzoli, il telefilm è giunto alla sesta serie, che, da Settembre, sarà trasmessa sul canale The CW (Supernatural, The Vampire Diaries, Ringer).
Firmato dai realizzatori di Chuck e The OC, annovera nel cast i cameo di celebri star statunitensi ( Lady Gaga, Hilary Duff, Liz Hurley...) e ha lanciato ad Hollywood due talentuose prime donne dalla disarmante bellezza e dal fresco talento: Blake Lively ( Le belve, Lanterna Verde, 4 Amiche e un paio di jeans) e Leighton Meester ( The roommate, Monte Carlo, Country Strong).

Quanti di voi, come me, lo seguono? :)

domenica 5 febbraio 2012

Passion Bookmarks # 5

In questa nevosa domenica di Febbraio, un nuovo appuntamento con la rubrica Passion Bookmars !
Oggi , per festeggiare il nostro primo mese insieme, ben sei segnalibri per tutti i follower :)
Il tema della settimana riguarda . . . i Telefilm !




I segnalibri sono ispirati a :
  • The Vampire Diaries, tratto dalla saga di Lisa Jane Smith ( Newton & Compton).
  • Dexter , tratto dai romanzi di Jeff Lindsay ( Mondadori )
  • True Blood, ispirato ai romanzi di Charlaine Harris ( Delos Books )
  • The secret Circle, tratto da “ I diari delle streghe” di Lisa Jane Smith ( Newton & Compton).
  • Gossip Girl, basato sui romanzi di Cecily Von Ziegesar ( Rizzoli)
  • Pretty Little Liars , tratto da “ Giovani, carine & Bugiarde” di Sarah Shepard ( Newton & Compton).