lunedì 22 novembre 2021
Le visioni indie di novembre: Titane | Pig | Petite Maman | Shiva Baby | Passing
giovedì 4 novembre 2021
Halloween passa, la paura resta: A Quiet Place 2 | Old | Malignant | A Classic Horror Story | Relic | The Night House
Il titolo mette subito le cose in chiaro. Prendete, perciò, il solito gruppetto variegato. Aggiungete un incidente. Dal nulla, fate sbucare una casa nel bosco. L'horror sanguinoso e leggero, immancabile nelle serate con gli amici, è servito. Ma niente è come sembra. Serve coraggio a dedicarsi al cinema di genere in Italia. Non troppo implicitamente, Roberto De Feo ce lo lascia intuire dopo i titoli di coda. Dopo The Nest, il regista torna al genere e lo omaggia, lo scompone, lo destruttura. Piacevole e divertito, può contare su un buon cast – la protagonista è Matilda Lutz – e sul colpo di scena del finale: chiacchierato sul web, per me non è abbastanza appagante da giustificare le citazioni sparse. Peccato. Perché c'è una riflessione sul fare cinema che brilla per ironia e acidità. Ma la sensazione è che oltre i cottage di Evil Dead, le sirene di Silent Hill, le soffitte di Hereditary, le tavolate di Midsommar e i fantocci di Wicker Man, De Feo abbia inventato poco. Quando citerà meno gli altri e più sé stesso, diventerà bravissimo. Per ora il divertimento è assicurato, ma solo per patiti del genere. (6,5)
Beth, insegnante perseguitata dalla tragedia sin dall'adolescenza, ha un ennesimo dolore con cui fare i conti: il suicidio del marito architetto. In una casa troppo grande per una donna sola, viene a conoscenza di segreti e stranezze. Perché Owen era ossessionato da donne identiche a lei? Cosa nasconde, soprattutto, la casa speculare costruita dall'altra parte del lago? Fatto di lunghi silenzi infranti, stanze vuote e sguardi smarriti, The Night House ricorda le atmosfere del recentissimo L'uomo invisibile. Lento e notturno, più vicino al thriller psicologico che all'horror, finisce per somigliare un po' alle Verità nascoste. Dramma sull'elaborazione mascherato da ghost story, si confronta con il tema del doppio; affascina e confonde, raccontando una storia arcinota attraverso una prospettiva differente. Ma i risvolti finali sono prevedibili e il maggiore colpo di scena appare liquidato in fretta. Occasione parzialmente mancata, intrattiene comunque grazie ai misteri delle sue case-labirinto e alla bravura dell'eccezionale anfitriona: Rebecca Hall, combattuta tra terrore e nostalgia bruciante. (6,5)
venerdì 22 ottobre 2021
Recensione: Due donne - Passing, di Nella Larsen
Girato in un abbagliante bianco e nero e diretto dall’attrice inglese Rebecca Hall, Passing è arrivato qualche giorno fa alla Festa del Cinema di Roma. A novembre, poi, sarà la volta di Netflix. E chissà che non si farà strada fino agli Oscar, con la sua storia, attuale più che mai, d’identità razziale e linee invisibili. Quanto è seducente, quanto pericoloso, spacciarsi per ciò che non si è? Pubblicato negli anni Trenta da un’autrice di madre danese e padre caraibico, il romanzo vive una seconda vita grazie alla recente rivalutazione della recente critica femminista e all’attenzione impensata del cinema. Bistrattato, dimenticato, frainteso, riesce tutt’oggi a sorprendere grazie al suo piglio intrigante e inquieto: un incrocio tra Alfred Hitchock e Woody Allen.
Incomincio a credere che nessuno sia mai del tutto felice, o libero, o al sicuro.
L’incontro tra Irene e Clare, amiche d’infanzia, va letto come l'episodio di un noir: cambierà tutto irrimediabilmente. La prima, moglie di un medico afroamericano, è una donna di colore nella Harlem benestante del dopoguerra: in casa si parla poco o niente dei linciaggi pubblici, ma in compenso si organizzano balli o tè sbucati dalle pagine più lussuose di Fitzgerald. L’altra, Clare, è una disertrice: graziata da una pelle dorata e dai tratti gentili del viso, infatti, si finge bianca secondo una pratica assai diffusa negli anni ruggenti. È passata dall’altra parte della cosiddetta «color line», sposando un uomo razzista e inconsapevole delle origini della moglie. Nonostante quella scelta, esecrabile per Irene, la fascinazione verso Clare è istantanea: maliziosa e felina, divorata dalla smania di possesso, la seconda donna è una femme fatale che s’intrufola nella vita dell’altra e mette tutto a soqquadro.
A che cosa servono gli amici, se non a sopportare i nostri peccati?
Irene è davvero appagata, o nel suo matrimonio ci sono ombre degne di sospetto? Che le liti frequenti per l’educazione dei figli siano un’avvisaglia dell’insoddisfazione latente del marito? Sarebbe stato meglio imitare Clare e vivere nella bugia, sotto una maschera d’avorio? Libera, ma non per questo al sicuro, Clare ha bisogno di una tramite per tornare a frequentare la sua gente. Ma una volta «passati» è forse possibile tornare indietro? All’apparenza distante dai drammi strazianti della discriminazione, immerso com’è nella bolla ovattata dell’alta-borghesia, Passing alimenta una rete di sospetti, pensieri scomodi, ambiguità etiche. Talora compassato nello stile, ha una struttura teatrale e lunghi dialoghi. Mai didascalica, Nella Larsen semina dilemmi su dilemmi e ci lascia con un epilogo frettoloso, tanto sfuggente quanto affascinante, da lasciar decantare giorni e giorni per metabolizzarlo meglio. Singolare storia di bianchi e neri, di bianchi e di neri, sceglie punti di vista inediti e si muove infine in una palette di grigi sfumati. Se costretti a scegliere, meglio salvare sé stessi o la razza?
Il mio consiglio musicale: Aretha Franklin - (You Make Me Feel Like A) Natural Woman