Ciao
a tutti, e bentrovati! Come avete passato il Natale? Io, in
questi ultimi giorni, sono stato alle prese con uno romanzo che mi ha
letteralmente prosciugato. Uno dei titoli, forse, più
attesi di quest'anno. Abbracciandovi, vi lascio con la mia
recensione e vi auguro buona lettura. Perdonate la lunghezza, ma con
un'autrice di questo calibro non poteva non essere così. Per farmi
meno odiare da voi, in grassetto, sono evidenziati i punti
chiave. Come sempre, fatemi sapere la vostra. A
prestissimo! ;)
Titolo:
Il seggio vacante
Autrice:
J.K Rowling
Editore:
Salani
Numero
di pagine: 553
Prezzo:
€ 22,00
Sinossi:
A chi la visitasse per la prima volta, Pagford apparirebbe come
un'idilliaca cittadina inglese. Un gioiello incastonato tra verdi
colline, con un'antica abbazia, una piazza lastricata di ciottoli,
case eleganti e prati ordinatamente falciati. Ma sotto lo smalto
perfetto di questo villaggio di provincia si nascondono ipocrisia,
rancori e tradimenti. Tutti a Pagford, dietro le tende ben tirate
delle loro case, sembrano aver intrapreso una guerra personale e
universale: figli contro genitori, mogli contro mariti, benestanti
contro emarginati. La morte di Barry Fairbrother, il consigliere più
amato e odiato della città, porta alla luce il vero cuore di Pagford
e dei suoi abitanti: la lotta per il suo posto all'interno
dell'amministrazione locale è un terremoto che sbriciola le
fondamenta, che rimescola divisioni e alleanze. Eppure, dalla crisi
totale, dalla distruzione di certezze e valori, ecco emergere una
verità spiazzante, ironica, purificatrice: che la vita è
imprevedibile e spietata, e affrontarla con coraggio è l'unico modo
per non farsi travolgere, oltre che dalle sue tragedie, anche dal
ridicolo. J.K. Rowling firma un romanzo sulla società contemporanea,
una commedia sulla nozione di impegno e responsabilità. In questo
libro di conflitti generazionali e riscatti le trame si intrecciano e
i personaggi rimangono impressi come un marchio a fuoco. Pagford, con
tutte le sue contraddizioni e le sue bassezze, è una realtà così
vicina da non lasciare indifferenti.
La recensione
J.K
Rowling mi ha cresciuto come fosse una seconda mamma.
Mi
ha preso per mano quando, con il grembiulino blu e il colletto bianco
delle scuole elementari, leggevo ancora sillabando e, quasi dieci
anni dopo, con un affetto e una complicità accresciuta ad ogni
avventura vissuta inconsapevolmente assieme, mi ha lasciato
percorrere per l'ultima, indimenticabile volta il binario 9 e ¾ .
Direzione: Hogwarts. La sola e unica. Per sempre.
Ma
quando, insieme a mezzo mondo, ho saputo che in autunno sarebbe
ritornata nelle librerie con un nuovo romanzo, ho provato un
istintivo moto di rigetto. La stessa amara indifferenza provata
sedici anni prima, quando, un giorno come un altro, avevo realizzato
che mia madre - sempre più felice, affaticata e pesante - stava
foderando la stanza per i giochi con una carta da parati comprata per
un bambino che non ero io. La stessa incredulità apparsa negli occhi
di una bambina che, la notte di Natale, vede la mamma scambiarsi un
bacio sotto il vischio con un uomo che non è il suo papà, né
certamente un Santa Claus dalle mani troppo lunghe. La cara zia J.
aveva dato vita, alla fine, a una nuova creatura. Come
una moderna mamma single, rimasta sola alla partenza dei figli ormai
adulti, aveva riarredato l'appartamento, subaffittato la vecchia
cameretta del primogenito, riallineato le foto di anni lontani sul
caminetto e finto, suo malgrado, di vivere una nuova vita. Non mi
conosceva nemmeno, ma, ripeto, mi aveva cresciuto. Non
mi aveva pagato gli alimenti, non era a conoscenza delle mie allergie
e dei miei progressi a scuola, non aveva mai svuotato spazientita il
carrello che, a sua insaputa, avevo riempito dei dolcissimi alleati
del Mostro della Carie, ma, finché aveva avuto la magia per farlo,
era stata l'ultima voce sentita prima di addormentarmi; il primo e
ultimo angelo custode venuto ai piedi del mio lettino a darmi la
buonanotte.
Su
quel caminetto, adesso, vedevo incorniciate le foto dei miei
inseparabili fratelli d'inchiostro: le foto - di Harry alla prima
partita di Quidditch, di Hermione meravigliosa come non mai nel suo
abito da ballo, di Ron con la bacchetta fatta a pezzi dal famelico
Platano Picchiatore e dei tre amici, finalmente genitori - chiuse,
senza nemmeno avvertire, in uno scatolone da imballaggio. Le cornici
che si urtavano tra loro; i vetri che cozzavano forte; l'asfalto che
trema sotto di loro, divorato dalle gomme di un traballante camion
dei traslochi. Una nuova città, una nuova casa, una nuova storia. La
Rowling mi aveva... tradito, voltato le spalle. E io ero fermamente
intenzionato a non seguirla.

Poi,
proprio alla soglia delle feste, Il seggio Vacante arrivò
tra le mie mani sotto forma di un inaspettato regalo da parte di mio
fratello Diego. Dopo quel gesto di inaudita generosità fraterna il
mondo poteva anche finire: guardate, avevo visto proprio tutto! Ma
no, il mondo quella volta non finì, e il libro rimase. Sopravvissuto
all'apocalisse sbandierata da Mistero e da una lunga schiera di
ciarlatani invasati, al trattamento della commessa che l'aveva
incartato con la stessa delicatezza di Psycho quando aveva un
coltellaccio fra le mani e ad un viaggio che aveva portato l'autrice
alle porte dell'Inghilterra più malfamata, poteva non sopravvivere
al mio muto rancore? Mai.
Perché
cambiano il genere, il tono, i protagonisti, le ambientazioni, i
temi, ma sulla sua immensità non
si discute. Rimane, si consolida, si espande oltre l'infinito dei
suoi limiti. Se mai qualcuno ne avesse messo in discussione la
bravura, infatti, anche solo qualche capitolo di questo suo nuovo
capolavoro - perché sì, amici: di capolavoro si
tratta – basterebbe a fare annegare quell'eventuale sprovveduto nel
brodo dei suoi infondati pregiudizi. C'è
chi scrive per denaro; chi lo fa per avere successo facile; chi,
invece, perché non potrebbe fare altro. La Rowling è la Rowling.
Il suo nome, acclamato perfino nelle lingue più sconosciute del
mappamondo, diventa status.
Brava
lo è sempre stata, ma nemmeno io, che l'ho seguita dagli albori
della sua pubblicazione, mi sono accorto, fino a questo momento, di
quanto lo sia davvero.
Un
viaggio in treno le ha ispirato mondi fantastici e avventure sul filo
del soprannaturale, ma da quei finestrini appannati dalla brina
londinese ha visto - tra graffiti colorati e scritte oscene, villette
a schiera e bottiglie di birra - cose non destinate ai sognatori.
Perdere la strada della (sporca, violenta, vorace) realtà non è mai
stato per nessuno benedizione più grande; ma il genio dell'autrice
non ha mai chiuso gli occhi davanti ad essa. La narrativa per ragazzi
le ha fatto le ossa, destreggiarsi tra Avada Kedavra e
nemici a cavallo di scope volanti l'ha portata a questo: la saga di
Harry Potter è
stata la sua spietata e maniacale palestra mentale. Non
sorgono paragoni e non
ci sono indizi evidenti che conducano ad essa, ma è da nessuna parte
e ovunque al tempo stesso.
A quasi cinque anni dai commoventi adii dei Doni
della morte, una nuova
tappa: Pagford. La vita.
Lo
scenario del suo nuovo romanzo, con le antiche abbazie, le strade
lastricate e le piazze in fiore, potrebbe sembrare la mancata
ambientazione dell'ultimo successo di Joanne Harris, passata
momentaneamente dalla Francia di Chocolat a
un timido e radioso sorriso di Dio perso nel cuore della moderna
Inghilterra; tuttavia Pagford non è parte di una suggestiva fiaba,
ma di una commedia più nera e pericolosa della notte. Non è un
sorriso sul volto di Dio, ma un ghigno. A partire dall'ultimo giorno
di vita del compianto Barry Fairbrother, la Rowling intesse
un'intricata tela di alleanze e dissapori che vanno, tutte insieme, a
creare il manifesto elettorale per occupare a colpi di scandali e
vittime il seggio vacante del titolo. E in politica, come in guerra e
in amore, ogni trucco è valido.
Il
seggio vacante è il
mondo a portata di mano. E'
una guerra combattuta a colpi di gelidi sorrisi; di pettegolezzi più
fragorosi e distruttivi di colpi di cannone; di frecciatine
impregnate di veleno che, assetate di caos e distruzione, mettono a
soqquadro cucine e camere da letto, relazioni e amori, rapporti
interpersonali e famiglie in cui i parenti e serpenti fanno
certamente rima.
Per
capire, immaginate l'intera comunità di Pagford riunita al capezzale
di Barry. Attorno all'umile bara di vimini, persone che si spintonano
come per conquistarsi il primo piano in una foto di gruppo. Sono
strette in un abbraccio collettivo, gli uomini in un elegante
completo nero e le donne con cappelli a tesa larga all'ultima moda.
Ma, nella calca, si fanno sgambetti e dispetti, fanno linguacce per
beffarsi dell'autorità paterna, allungano le mani lascive sul sedere
di Gaia (l'avvenente ultima arrivata) e, ridendo sotto i baffi, fanno
il gesto delle corna a Miles, la cui moglie (la simpaticissima e
tristissima Samantha) è una “Desperate Housewife” in
incognito. Hanno gli occhi lucidi, ma non in tutti i casi si tratto
di pianto. C'è chi ha già fumato la prima canna di quella mattina,
chi ha passato la notte insonne per paura dei suoi peccati o degli
scatti di violenza di suo padre, chi ha passato la sua giornata nel
tentativo di ingraziarsi l'inconsolabile vedova. Krystal,
con il fratellino Robbie aggrappato alla gamba, e la timida
Sukhvinder non spiccano nella massa. La prima, proveniente dalle
brutture dei Fields, è
appariscente, ma tiene gli occhi bassi sentendosi fuori luogo; la
seconda, membro di una delle famiglie più prestigiose, nasconde i
segni della sua infelicità sotto le maniche lunghe del suo maglione. Sono
le rappresentanti di due mondi diversi, ma si riconoscono come simili
sullo sfondo di una società alienante ed alienata. Una ci prende a
parolacce, l'altra non ci rivolgerebbe, per pudicizia, nemmeno la
parola. Entrambe sono alla ricerca di un rifugio incontaminato e il
nostro grande cuore è pronto ad accoglierle e a tenerle lontano dai
vizi dell'una, dalle fragilità dell'altra.

Noi
siamo dietro quella Reflex che sta per immortalare il tutto per i
giornali locali. Osserviamo
la vita da un obiettivo che ha la forma perfetta di un microcosmo e,
al posto delle inutili coordinate celesti, abbiamo solo un prezioso
rullino che racchiude gli scatti rubati a questa lunga fiera della
vanità. I retroscena più curiosi, il backstage di un'inevitabile
catastrofe, le foto segnaletiche dei colpevoli e i referti medici
delle povere vittime intossicate dal velenoso British humour.
Lo
straordinario realismo di questo romanzo è dato dal perfetto
plurilinguismo di cui fa sfoggio l'autrice. Lei, infatti, non è la
signora capricciosa che fa una gita di piacere nei bassifondi; non
usa il gergo per sentirsi più moderna o termini assai crudi per
scioccare chi la crede l'eterna mamma di Harry Potter. Lo fa per
onestà intellettuale, per raggiungere tutti (dal ragazzino più
svogliato al conservatore più rigido), per dare voce – sulla base
del dantesco sinolo di contenuto e forma - a un'adolescenza
interrotta che non potrebbe mai passare dallo stato brado dei Ragazzi
dello zoo di Berlino al più
edulcorato e piccolo degli young adult. Magnificamente
scritto e costruito con maniacalità e genio esemplari, il ritorno
dell'autrice più amata è una feroce, brillante e spregiudicata
commedia umana. Una splendida martellata sui denti che, inaspettata
come la bellezza impensabile di questo romanzo, sconvolge fino alla
commozione. La
scrittrice inglese avrà anche rimandato al mittente il richiamo ad
Hogwarts, ma non ha perso di certo il suo magico tocco da re Mida.
Tutto quello che la sua penna tocca diventa oro inestimabile e Il
seggio vacante sembra ritornare
a quell'epoca lontanissima in cui, secondo la definizione di Hegel,
compito di ogni autore era quello di dar vita a una “moderna epopea
borghese”. A quell'epoca in cui i veri
romanzi erano così.
Il
mio voto: ★★★★★
Il
mio consiglio musicale: P!nk - Try