venerdì 28 giugno 2019
Mr. Ciak: La mia vita con John F. Donovan | Beautiful Boy | Serenity
mercoledì 26 giugno 2019
Recensione: Pelle di foca, di Su Bristow
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Pelle di foca, di Su Bristow. E/O, € 17, pp. 272 |
Le
chiamano selkie. Metà donne e metà foche, queste splendide
figure dalla doppia natura popolano le acque e le leggende nordiche.
Qualche volta, come in Ondine o La canzone del mare,
hanno ispirato anche la settima arte. Il fascino imperituro del
folklore è arrivato infine anche in libreria, insieme alle onde del
primo mese di mare. Quella che potrebbe sembrare alla lontana un
aggiornamento della storia della Sirenetta,
combattuta com'era fra i fondali e la terraferma per amore di un
principe, in realtà trae spunto da una leggenda scozzese. Un
pescatore, invaghitosi di una misteriosa creatura in mutazione, le
sottrae la pelle originaria e la costringe ad adattarsi agli usi e i
costumi degli uomini. Il romanzo d'esordio di Su Bristow parte da
qui, e l'indispensabile succede proprio nelle dieci pagine
introduttive: lei si trasforma e lui, accecato dalla lussuria, la
stupra sul bagnasciuga. La giovane, già incinta, non può
raggiungere le altre foche oltre gli scogli; il pescatore, pentito
per la brutalità del gesto, promette di sposarla. Ma il paese, sul
chi va là, intanto parla e sparla, scomodando la magia nera davanti
all'ennesimo fondato sospetto.
Credi
di essere l'unico pescatore che esce in una notte di luna piena e
prende più di quello che si aspettava?
L'autore
approfondisce i personaggi del racconto orale, dando loro una
personalità sfaccettata e il nome di battesimo. Il timido Donald,
oggetto di scherno a causa della salute cagionevole e della pelle
delicata, regge poco gli spintoni dei bulli e ancora meno l'alcol.
Attaccato alle gonne della madre Bridie, l'orgogliosa levatrice del
paese, tituba all'idea di mettersi a capo della ciurma dello zio
Hugh: non brilla infatti per spirito d'iniziativa e, da quando il
padre è scomparso in un nubifragio, diffida dall'acqua alta. Con una
moglie accanto, tuttavia, diventa un uomo nuovo. A dargli lezioni
d'umanità, letteralmente e metaforicamente, interviene la dolce
Mairhi: la selkie incinta si
strugge alla vista del mare, vorrebbe ma non può nuotare. Muta come
un pesce e dai modi tipicamente infantili, imita i versi delle
bestie, piace ai bambini del posto e, messa alle strette, può
trasformarsi perfino in una minaccia contro i violenti. Nonostante le
tragiche premesse iniziali, in poco tempo diventa la protagonista di
una tranquilla routine coniugale. Ma l'incanto può forse durare per
sempre? A ben vedere, infatti, non ha mai avuto facoltà di scelta.
Era
strano stare con lei. Gli altri gli davano addosso in continuazione,
con le parole, gli sguardi, i giudizi. Donald passava la vita a
difendersi, in attesa della tempesta successiva, senza mai capire
davvero cosa stesse succedendo. Non capiva neanche cosa pensasse lei,
ma Mairhi non gli chiedeva nulla. Eppure aveva bisogno di lui per
dare un senso a ciò che aveva intorno. Per la prima volta da quando
Donald aveva memoria, c'era qualcuno più sperduto di lui.
Sullo
sfondo di una realtà portuale in cui tutti sono imparentati con
tutti, in un villaggio che brilla per il suo straordinario senso
comunitario ma è minacciato altresì dalla crescente xenofobia, va
in scena un caso di coscienza molto vicino a quello descritto
nella Luce
sugli oceani.
Fatto di grandi atmosfere e piccoli personaggi, Pelle
di foca si
concentra sul realismo di una convivenza – tralasciando i risvolti
degli ultimi capitoli – assai meno magica del previsto. Per Donald
e Mairhi la quiete prima della tempesta dura un po' troppo. Quanto
sono moderni quei dialoghi, a proposito di casi di violenza domestica
e gravidanze a rischio? Quanto appaiono all'avanguardia le
protagoniste femminili, soprattutto all'ombra della provincia più
bigotta? Una storia che prometteva di portarmi lontano, a malincuore,
non salpa mai. Colpa della bonaccia di una scrittura standard, che
punta tutto sulle interazioni verbali e poco sulle descrizioni
dettagliate di paesaggi o attanti. Colpa, ancora, di un coro di
compaesani pronti a redimersi come nella tradizione dei migliori
apologhi: tanto accomodanti da invogliarti a restare sulla
terraferma. Si incappa, così facendo, in una limpida storia
d'affetti e scelte che non avrebbe avuto bisogno di parole superflue.
Ma si perde, purtroppo, qualsiasi promessa d'avventura. C'è sempre
una certa nostalgia quando si alza la marea. C'è una nostalgia
profonda anche qui: la rilettura di una leggenda indimenticabile che
intrattiene anche nel formato del romanzo, nonostante la
appesantiscano le ancore delle lungaggini superflue; quello che la
narrativa a volte dona, altre sottrae, tanto quanto la marea.
Il
mio voto: ★★★
Il
mio consiglio musicale: Max Gazzé – La leggenda di Cristalda e
Pizzomunno
lunedì 24 giugno 2019
Recensione: Il nostro giorno, di David Levithan
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Il nostro giorno, di David Levithan. Rizzoli, € 18, pp. 464 |
Ci
sono ritorni che aspettavi senza saperlo. È successo con Il
nostro giorno: all'apparenza
seguito fuori tempo massimo del romanzo di David Levithan, letto e
adorato negli anni del liceo, ha temporeggiato sei anni prima di riprendere le
redini del capitolo precedente – nel mentre ci sono stati un
capitolo intermedio raccontato dal punto di vista della
coprotagonista, purtroppo mai letto, e l'omonimo film di Michael
Sucsy, sottovalutato dagli spettatori ma comunque ottimo per
rinfrescarsi la memoria. Ho salutato i protagonisti a diciannove
anni, così, ma allo stesso tempo, al cinema, l'ho fatto giusto la
scorsa estate. Ora come allora quel finale dolce-amaro, sospeso nei
forse, mi era sembrato perfetto: non sono per le precisazioni a ogni
costo – mi piace il mistero dell'inspiegato –, né per il lieto
fine delle fiabe. L'idea di saperne di più, onestamente, attraeva e
spaventava. E se, giovanissimo ai tempi, mi fossi lasciato andare a
un entusiasmo ingiustificato con la lettura di Ogni giorno?
E se l'autore avesse rovinato tutto, rivangando la storia d'amore fra
A e Rhiannon per un pubblico ormai fuori target? Il sospetto mi ha
fatto compagnia, e mi ha fatto preoccupare, per le prime pagine.
Seguito diretto del predecessore, Il nostro giorno è
infatti ambientato a poche settimane di distanza dagli avvenimenti
del capitolo introduttivo. Ricordiamo a grandi linee la peculiarità
della trama: nel momento del risveglio l'anima di A viaggia da un
corpo all'altro. A volte maschio, a volte femmina, vive la
maledizione di cambiare ogni giorno pelle ma il privilegio, d'altro
canto, di vestire i panni di qualcun altro. Straordinario portavoce
di empatia e tolleranza, finiva per violare le regole innamorandosi
di Rhiannon: sedicenne di aperte vedute che ogni giorno, qualsiasi
fosse il suo aspetto, ne ricambiava i sentimenti.
Ci
viene detto che le parole più potenti del mondo sono “ti amo”. E
anche se penso che siano potenti, penso che questa frase lo sia
altrettanto: “Ho iniziato a conoscerti, e voglio conoscerti di
più”.
Per
il bene di entrambi, non poteva durare. Ma, come leggiamo, si sono
accorti presto di non saper fare a meno l'uno dell'altra. Anche se
nel frattempo lei si è fidanzata con Alexander, il ragazzo perfetto,
e ha un piede in due scarpe. Anche se lui, fedelissimo, è vittima di
una violenta crisi di identità. Non ci vorrà molto per scambiarsi
messaggi e canzoni in chat. Per ricascarci, lasciandosi dietro tracce
inequivocabili per il piacere perverso di X: alter-ego del
protagonista, è un villain in piena regola – infesta i corpi degli ospiti come farebbe una presenza demoniaca, uccide, minaccia – ma,
a differenza dei cattivi da fumetto, a muoverlo sono più i dolori di
un'esistenza in solitaria che i piani criminali. Ai lati opposti di
una simile barricata, A e la sua metà oscura devono decidere da che
parte stare; accanto a chi svegliarsi. Deve essere per forza un
viaggio solitario, il loro? Cos'è giusto per i corpi invasi, e cosa
per quelle anime erranti? Il nostro giorno
è un romanzo maturo. Da un lato, il faccia a faccia fra i
Viaggiatori porta alla luce questioni etiche e dilemmi morali, con
congetture che oscillano fra filosofia, scienza e fede; dall'altro,
invece, la strana relazione a distanza con Rhiannon, a ben vedere,
non è tutta rose e fiori. L'adolescente è chiamata ancora una volta
a giostrarsi fra amicizie e futuro, macinare chilometri in macchina,
mentire. Provata dagli abbandoni e dagli andirivieni, appare più disincantata, rischiando di arrivare già
stanca a incontri goduti quindi a metà. Mancarsi, però, è meglio che
deludersi?
Ciò
che c'è tra noi, be', di sicuro non è una cosa normale. Ma il
punto, quando si ama qualcuno, è che sei tu a scrivere la tua
versione della normalità. Ed è esattamente questo che faremo. […]
Noi saremo onesti e condivideremo le nostre vite. Faremo dei casini e
ci daremo una mano a vicenda per risolverli. Faremo degli errori,
soprattutto a proposito dei nostri sentimenti. Però ci saremo, nei
giorni belli e in quelli brutti. Perché io non voglio che tu sia
qualcuno con cui esco, A, o che tu faccia dentro e fuori dalla mia
vita: voglio che tu sia la mia costante.
Compendio
d'azione e introspezione, con l'aggiunta vincente di piccoli inserti
thriller, il ritorno in libreria di David Levithan conferma la sua
bravura al di sopra della media in materia di Young Adult. Questa
volta ha scelto una struttura polifonica di punti di vista speculari,
regalandoci passaggi che appaiono veri gioielli di scrittura creativa
– il soggiorno di A nel corpo di un ragazzo iperattivo, scosso da
un terremoto di input chimici, o la storia parallela di due
adolescenti dai sentimenti incerti a un convegno di letteratura queer
–, dolcissimi appuntamenti galanti – su una panchina innevata a
Central Park dove sarebbe bello invecchiare insieme, davanti ai capolavori
impressionisti al Met, durante una marcia per l'uguaglianza a Washington DC –, spiragli di un mondo ben più
popoloso del previsto – a sorpresa scopriamo che ci sono altri
nella condizione di A, e si confessano nei forum anonimi, e lanciano
preoccupanti segnali d'aiuto.
Mi
sono tenuta stretta le mie storie capendo che ciascuno di noi ne
contiene una moltitudine e che nessuna racconta esattamente la
stessa cosa. Ciascuno di noi ha dentro di sé almeno una storia che a
raccontarla ci spezza il cuore. Ciascuno ha almeno una storia in cui
siamo sorpresi della nostra stessa forza d'animo e una storia che non
si è mai avverata e che più di tutte avremmo voluto poter
raccontare. Spesso non è colpa nostra se questa storia non è mai
diventata vera; spesso siamo rimasti bloccati nell'attesa che le
storie di altri combaciassero con le nostre.
Delicato
e moderno, educativo senza mai salire in cattedra con inutili pretese
di verità, Il nostro giorno per
fortuna non dice
troppo né si snatura. Diverso ma uguale, attento alle questioni di
genere con l'intelligenza di sempre, nell'era della presidenza Trump
torna a riflettere su sesso e identità, armonia e compartecipazione,
attraverso un'ordinaria relazione fra ragazzi straordinari. A e Rhiannon
hanno una nuova lezione da imparare, nuove parole per definire un
sentimento che travalica i confini di amore e amicizia. Il cuore,
infatti, è un organo capiente. Possiamo amare a lungo e di più,
senza vincoli, a patto di non sacrificare noi stessi: non siamo fatti in fondo per consacrare la nostra vita a una sola persona, a una sola
battaglia. Il sopraggiungere della mezzanotte vanificherà tutti gli
sforzi? Il carpe diem secondo David Levithan passa allora da qui: un romanzo
puntuale nel suo essere in ritardo, che a colpi d'arte risarcisce
gli orfani inconsolabili di Sense8
– siamo tele astratte di Rothko, non forme predefinite – e, nel
mese del pride, a testa alta, marcia con l'arcobaleno di tutti i suoi
colori.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: P!nk – What About Us
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venerdì 21 giugno 2019
Mr. Ciak: Noi, We Have Always Lived in the Castle, Ted Bundy e altri psycho-thriller
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mercoledì 19 giugno 2019
Recensione: Doppio vetro, di Halldóra Thoroddsen
|Doppio vetro,
di Halldóra
Thoroddsen. Iperborea, € 15, pp. 128 |
Osservare
la vita in differita per non lasciarsi scalfire. A una certa età, sedersi
accanto a una finestra e aspettare. L'inevitabile va accolto
sferruzzando, facendo il conto di tutte le volte in cui il telefono
squilla per annunciare che un altro amico è passato a miglior vita. Ma qualcosa, qualcuno, a sorpresa
ha il potere di risvegliare il desiderio del mondo esterno. Come
ignorare la chiamata di una seconda opportunità? La protagonista,
sulla soglia degli ottant'anni, lavora a maglia, scribacchia i propri
pensieri, scruta: il divario generazionale, la prevedibilità di
storie destinate nel bene e nel male a ripetersi, il disinteresse di
quei nipoti ormai disaffezionati alle favole della buonanotte.
Pur considerandosi un residuo del secolo passato, a modo suo cerca di
stare al passo. Nella Parigi degli anni Cinquanta, d'altronde,
frequentava gli intellettuali alla moda e studiava matematica per
accontentare la famiglia intransigente, filosofia per diletto.
Il mondo è cambiato in fretta, e i telegiornali le
portano notizie dal mondo direttamente in soggiorno. Nei giorni
storti, infatti, perfino la caduta del governo o una manifestazione
studentesca risultano essere fiammelle sparute contro le giornate
buie dell'inverno nordico. Invecchiando, la vedova ha imparato ad
apprezzare gli uomini medi, un po' noiosi. Invecchiando, sono cambiate le priorità imminenti:
in caso ci si innamori, non si parlerà più di andare in vacanza bensì di case di riposo da mettere al vaglio.
La
passione richiede sacrificio. Sempre la stessa storia, eterni
sacrifici. Ma la vecchiaia non deve bruciare tra le fiamme, semmai
tenere vive le braci. Prendersene cura, badare alla continuità. “I
desideri non si avverano in un attimo pavido”, le sussurra una voce
dentro di lei. Vuole davvero rallentare la discesa, raffreddare il
fuoco per pura e semplice grettezza e starsene a casa con i suoi
doni?
Affezionata
alla propria autonomia, la protagonista biasimava i coetanei che
cercavano un partner a ogni costo. Ma in una caffetteria è saltato
fuori Sverrir, arzillo ma non troppo, con un'onorata carriera da chirurgo alle spalle e una famiglia negli Stati Uniti: fra loro
mancheranno il fuoco e lo struggimento, ma senza
etichette si godono comunque nella buona e nella cattiva sorte una convivenza
guardata di cattivo occhio dagli eredi. Che pensano maliziosamente al
sesso vissuto a fatica, ai risparmi sperperati e, invano, desidererebbero condurli sulla retta via. Agli occhi degli altri
questi innamorati della terza età non sono niente. Possono forse
viversela senza promesse solenni, con tanto di ex
sospettose fra le scatole? Quale nome si leggerà per
primo sui necrologi?
Il doppio vetro dell'ultimo successo Iperborea
ammortizza la pioggia, il sole e il vento. I suoni e i rumori
violenti. Le emozioni, mai. Dall'altra parte, tuttavia, qualcosa si
perde. Sommesso, essenziale, delicatissimo, il romanzo della
Thoroddsen incanta e lascia estranei quanto o più di Le nostre anime di notte: storia
d'amore e senilità, interrotta in fase di scrittura dalla scomparsa
dell'autore Kent Haruf. Al punto da risultare più vicino al racconto che al
romanzo; una vicenda irrisolta. Le padrone di casa restano per tutto il tempo
prive del nome di battesimo. Alcuni comprimari entrano ed escono disordinatamente: a
volte senza annunciarsi, altre senza congedarsi. La leggerezza impalpabile dello stile, insieme a coloriture politiche poco lampanti agli occhi dei lettori disinformati, piacciono a metà.
È
brutto non sentire se si è vivi.
Come
superare la paura di morire? Ci si rifugia prima in casa, poi
nell'illusione di un amore speciale perché tardivo. Infine, nei
vaneggiamenti della fantasia: la testa persa fra le nuvole, come
succede al soggetto della meravigliosa copertina illustrata. Romanzo
realistico e quotidiano, benché perdutamente proiettato nella dimensione
poetica del sogno per contrastare così l'avanzata dell'oblio, Doppio
vetro si legge in un pomeriggio dolce-amaro. E lascia di pari
passo fascino e confusione, davanti a una sensibilità, a un lirismo,
così diverso dai nostri. L'Islanda non è soltanto un punto sulla
carta geografica, ma tutto un mondo di nomi impronunciabili, scenari
mozzafiato e politici fanfaroni. È un altro mondo, lontano dal mio gusto, di raccontare e raccontarsi. A cuore aperto, a
porte chiuse.
Il
mio voto: ★★½
Il
mio consiglio musicale: Ornella Vanoni - Domani è un altro giorno
lunedì 17 giugno 2019
Recensione: Persone normali, di Sally Rooney
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Persone normali, di Sally Rooney. Einaudi, € 19,50, pp. 248 |
Marianne
e Connell seguono alla lettera il classico canovaccio delle storie
d'amore un po' travagliate. Benché si conoscano da tutta la vita,
andare ripetutamente a letto insieme all'ultimo anno di liceo non è
stato l'inizio di una relazione felice. Lei, secondogenita in una
famiglia di avvocati, si atteggia a misantropa e rifugge la
popolarità: più attenta a quello che succede fuori dalla finestra
che a lezione, freme di anticonformismo nella sua divisa troppo
stretta e non elemosina tenerezze. Lui, figlio di una mamma single
che a casa di Marianne fa la domestica, è la stella della squadra di
calcio, ha tutt'intorno amici adoranti, ma nel privato arrossisce per
un nonnulla. Agli antipodi della barricata – ricca contro povero,
emarginata contro popolare – vivono la loro frequentazione con un
misto di discrezione e vergogna. Si guardano alle spalle per
assicurarsi che nel circondario non ci siano occhi indiscreti. C'è
un'affinità innegabile, fisica e psicologica, ma purtroppo manca la
naturalezza. Nel buio di una stanza, aggrovigliati su un letto
singolo, non vedono la luce del sole. Come sarebbero in pubblico:
abbaglianti, o tuttalpiù abbagliati? Molto più che amici di letto,
si scambieranno un ti amo che seminerà resistenze e malumori. Al
ballo di beneficenza della scuola lui invita un'altra; all'esame di
maturità lei per poco non lo straccia; all'indomani dell'ammissione
al Trinity College, a ruoli inversi, lei si trasforma in una
carismatica capogruppo e lui in un signor nessuno. I famosi migliori
anni sono già passati? E l'occasione giusta?
Non
lo dico per dire, ti amo davvero. A lei tornano a riempirsi gli occhi
di lacrime e li chiude. Questo momento le sembrerà di un'intensità
insopportabile anche nei ricordi, ma ne è già consapevole fin da
ora, mentre sta accadendo. Non si è mai considerata degna di essere
amata da qualcuno. Adesso però ha una nuova vita, di cui questo è
il primo istante, e anche dopo tanti anni penserà ancora: Sì,
proprio così, quello è stato l'inizio della mia vita.
Facciamo
la loro conoscenza nella stagione dei nuovi inizi e delle scelte che
cambiano la vita; quattro anni dopo li salutiamo con dispiacere
immenso. Come in Un giorno, i
capitoli sono scene dal taglio cinematografico con giorni o perfino
mesi a dividerli: i dialoghi brillanti, riportati attraverso il
discorso diretto libero, riflettono l'imbarazzo degli incontri
improvvisi, le schermaglie, i rovesci di fortuna. I supermercati sono
troppo piccoli, i corridoi troppo stretti. Nessuna città, neppure
Dublino, è abbastanza grande; né il tempo lungo a sufficienza. Come
le coppie storiche delle nostre sitcom preferite, fanno sesso per
noia, per vendetta, per fare la pace. Finiscono inevitabilmente l'una
fra le braccia dell'altro, ma si ostacolano a suon di
incomunicabilità. Per mancanza di chiarezza, o forse di coraggio.
È
magra, pensa. Era così magra, prima? Lei preme la faccia contro la
sua ultima maglietta pulita. Indossa ancora il vestito bianco che
aveva nel pomeriggio, adesso con uno scialle ricamato d'oro. Lui la
stringe forte, e il suo corpo sposa quello di lei come quei materassi
che pare facciano bene alla salute.
Conoscono
a memoria i reciproci numeri di telefono. Ci sono, e sono tanto
sicuri da darlo per scontato, nel momento del bisogno. Ma
inconsapevolmente, vicendevolmente, si tarpano le ali: bocciano i
nuovi partner e mandano in malora le occasioni propizie. Maestri
degli arrovellamenti psicologici, su carta potevano ispirare grande
antipatia ma, a sorpresa, si sono lasciati apprezzare dall'inizio
alla fine fra riconoscenza e riconoscimento. Merito di uno stile
semplice e cerebrale, essenziale nella scrittura ma con un'attenzione
tipicamente artistica verso i gesti, i tic nervosi, le simmetrie.
Parlando, infatti, si tormentano i capelli, le mani o la bocca.
Eccoli, vivissimi e tremanti, mentre fumano e armeggiano con le
bustine del tè nel bollitore. Lei così masochista, legata a uomini
possessivi. Lui così fragile, frustrato per il mancato recupero
dello status liceale. Le azioni compiute sovrappensiero tradiscono le
loro insicurezze. E tu, lettore, potresti giurare di vederli davvero:
come fossero attori in carne e ossa, di quelli navigati, che
interagiscono con gli oggetti di scena simulando la routine e
aspettano il primo ciak del regista – non a caso, diretta da Lenny
Abrahmson e prodotta da Hulu, la serie TV omonima è già stata
annunciata.
È
incredibile come prendi delle decisioni perché ti piace qualcuno,
dice lui, e poi tutta la vita è diversa. Credo che la nostra sia
quella strana età in cui la vita può cambiare enormemente per delle
decisioni minime. Ma su di me tu nell'insieme hai avuto un'ottima
influenza, tipo che adesso sono decisamente una persona migliore,
credo. Grazie a te.
In
oltre duecento pagine i protagonisti cercano disperatamente
l'indipendenza economica ma, al contempo, bramano la dipendenza
affettiva. In balia di un sentimento che ora può schiavizzare, ora
affrancare, faranno l'amore e la guerra: se tutto va per il meglio,
anche pace con loro stessi. Al suo ritorno in libreria la ventottenne
Sally Rooney, letta adesso per la prima volta, si scopre all'altezza
di quel successo istantaneo che subito l'ha resa chiacchieratissima.
Talentuosa e straordinariamente onesta ha conquistato anche me, di
solito titubante davanti all'etichetta di romanzo generazionale. Ma
l'autrice irlandese, di soli tre anni più grande del sottoscritto,
sa raccontare alla perfezione la gioventù dell'Erasmus,
dell'Interrail, della friendzone, dello psicologo una volta a
settimana. Ci hanno reso ciechi le seghe, quelle mentali. Ci ha
fregati la nostalgia, sentimento del passato che intanto ruba viveri
al presente. Noi: la generazione di ma cosa penserà la gente, cosa
commenteranno i social. Nevrotici a vent'anni, desidereremmo la
normalità – qualsiasi cosa implichi – ma poi, riflettendoci,
non sapremmo bene che farcene.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Lorde – Liability
venerdì 14 giugno 2019
Dear Old Mr. Ciak | Tutto su Almodóvar
2006. Un
cadavere da occultare, un incendio doloso, una donna scomparsa.
Partiamo in quarta. Partiamo con il migliore dei suoi film: quello
insuperato. Lo splendido Volver,
secondo soltanto a Tutto su mia madre
in quanto a premi, ha le fattezze di un gineceo ospitale e
coloratissimo. Irrinunciabile, nonostante il macabro delle tematiche
affrontate e il carattere spigoloso delle padrone di casa. Per una
volta tutt'altro che soffocante, la provincia madrilena è un porto
sicuro che invita Penelope Cruz e sua sorella a gettare le ancore. A
ripopolare le case infestate, grazie a tutta la vitalità di cui è
capace la morte e a tutta la fatalità, al contrario, annidata nella
vita. Se la prima fa i conti con l'assassinio del marito, l'altra
chiacchiera amabilmente con lo spettro della madre. Sotto forma di un fantasma
in incognito, la magica Carmen Maura lascia la tomba e aiuta i propri cari. In un paesello in cui sciogliere i nodi del passato confidando nella vaghezza del domani, si onorano i defunti e si disonorano le famiglie omertose. Ci
si prende cura non tanto dei morti, quanto dei vivi. Volver
ha in sé il dolce e l'amaro,
gli sposalizi perfetti, una scrittura felicissima dal gusto teatrale.
E un posto a sedere in un ristorante abusivo, che nella cella
frigorifera custodisce l'armonia e i cadaveri. Mi ha insegnato
che bisogna pensare alle stanze sfitte, non alle lapidi. Confidare
nella furbizia, dire di tanto in tanto qualche bugia a fin di bene, senza rinunciare però
al conforto del meraviglioso. (8,5)
mercoledì 12 giugno 2019
Recensione: Piccole anime folli, di Mirko G. Rauso
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Piccole anime folli, di Mirko G. Rauso. Leone Editore, € 12,90,
pp. 282 |
A
cosa può spingere la noia? Siamo a San Rodi, un paese immaginario in
cui la perversione è di casa. Gli anni Ottanta impazzano, ma il
loro eco è debole. Nonostante si scorrazzi in bicicletta come in
Stranger Things, in cerca di
boschi e misteri, in
Italia l'ombra del fascismo è ancora visibile. Dei cimeli di quegli
anni, da noi piuttosto lontani dalle mode d'oltreoceano, sono approdate soltanto le videocassette e i fumetti fantascientifici. Ma laggiù i veri mostri siamo noi. Traviati
dall'immobilismo e dalla calura, i quindicenni fanno
gruppo e giocano a fingersi onnipotenti. Braccano e seviziano
animali, si proclamano Cacciatori. Ci sono Arcangelo e Tommaso, il
primo in sovrappeso e l'altro segretamente omosessuale, mentre strada
facendo si è aggiunto allo squadrone Piero B, troppo piacente per essere un reietto
ma indebolito da un infortunio calcistico. Hanno famiglie sciagurate, case pericolanti,
scheletri nell'armadio, e il loro leader conosce i loro dolori come
le proprie tasche: il carismatico Fermo, che pronuncia proclami
magniloquenti nello stile di Mussolini, fa leva
sulle fragilità degli amici. Fino al punto di rottura. Quanto tempo è
richiesto per passare a prede più
ghiotte?
Ogni
giorno, dopo la scuola e prima che calasse la notte, impugnavano le
loro maestose biciclette e si allontanavano dal pietroso centro
cittadino, alla ricerca di avventure. Avevano visto troppi film, e
volevano comportarsi da eroi. Speravano di trovare qualcosa nei
boschi che li circondavano, sognavano di imbattersi in qualche
animale raro o in qualche artefatto dimenticato. Questi quattro
quindicenni emarginati erano Arcangelo, Piero B, Tommaso e Ferro.
Si
va a caccia di esseri umani, così, ma Fermo non lascia niente di
intentato. La vittima designata dovrà cadere spontaneamente nella
sua rete. Purtroppo o per fortuna il povero Mollusco – che di
verghiano ha sia soprannome sia il destino da vinto – si lascia
circuire in fretta. Vessato a scuola, maltrattato in famiglia,
avrebbe bisogno di buoni amici. Anche se gli tocca passare attraverso
disgustosi riti d'iniziazione. Anche se, sin dall'inizio, è
spacciato.
Piccole anime folli è un esordio che attraeva per toni e atmosfere. Un romanzo di formazione estremo e disperato che riportava alla mente il primo Ammaniti. Sfogliandolo ho subito pensato che in compagnia del bravo Mirko Rauso, già sceneggiatore, avrei trovato pane per i miei denti. Se possibile, andando avanti, l'impressione si è acuita. Piccole anime folli spiazza. Inizia in un modo, finisce in un altro. È un macello, in quanto caotico e sanguinosissimo. Insensato, come d'altra parte dev'essere la violenza in tenera età. Questo perverso gioco di ruolo viene mandato a monte dall'arrivo di una ragazza dai capelli fiammeggianti, Venusia, il cui ingresso fatale cambia alleanze e obiettivi. Aggiungete al disegno un improbabile poliziotto dal cuore malandato, che di cognome si chiama Donovan, e una professoressa con un corpo da commedia sexy e il pallino del satanismo; una scia di omicidi coreografici, che portano la firma di un novello Jack Lo Squartatore dal cappello a cilindro, e una guerra intestina fra maschi e femmine se ai Cacciatori vengono a contrapporsi all'improvviso le Streghe.
Piccole anime folli è un esordio che attraeva per toni e atmosfere. Un romanzo di formazione estremo e disperato che riportava alla mente il primo Ammaniti. Sfogliandolo ho subito pensato che in compagnia del bravo Mirko Rauso, già sceneggiatore, avrei trovato pane per i miei denti. Se possibile, andando avanti, l'impressione si è acuita. Piccole anime folli spiazza. Inizia in un modo, finisce in un altro. È un macello, in quanto caotico e sanguinosissimo. Insensato, come d'altra parte dev'essere la violenza in tenera età. Questo perverso gioco di ruolo viene mandato a monte dall'arrivo di una ragazza dai capelli fiammeggianti, Venusia, il cui ingresso fatale cambia alleanze e obiettivi. Aggiungete al disegno un improbabile poliziotto dal cuore malandato, che di cognome si chiama Donovan, e una professoressa con un corpo da commedia sexy e il pallino del satanismo; una scia di omicidi coreografici, che portano la firma di un novello Jack Lo Squartatore dal cappello a cilindro, e una guerra intestina fra maschi e femmine se ai Cacciatori vengono a contrapporsi all'improvviso le Streghe.
Non
dobbiamo guardare Manson, dobbiamo guardare Gesù. La perfezione, il
miracolo. Io sono l'agnello di Dio, il re dei Cacciatori solitari, il
Distruttore silenzioso. Sono stato scelto, e voglio portare a termine
ciò per cui sono stato messo al mondo. Cacciatori, è giunto il
tempo di ultimare la Caccia finale, la Caccia suprema.
In
quel di San Rodi il più pulito ha la rogna. La malvagità, come la
peste nera, è un contagio; una realtà basata su leggi medievali. Ironico e
amante del cinema di serie B, Rauso non va preso sul serio. Si dà
alla pazza gioia nel finale, e i lettori più impressionabili
potrebbero essere infastiditi da un autore che ciabatta nel torbido o dall'introduzione di loschi figuri vestiti come in
Mad Max. A questo punto mi prendo il permesso di fargli un po' le pulci, perché in fondo mi ha divertito da morire.
Intrattenitore nato, lo scrittore ventisettenne ha il difetto di raccontare più che mostrare. A volte enfatizza poco, altre lo fa concentrandosi sui dettagli secondari. La colpa potrebbe essere di un narratore al di sopra di tutto e tutti, che funziona alla perfezione per gestire la coralità corrotta degli abitanti, meno per la messa a punto della suspance o di dialoghi verisimili. In sella a una bicicletta a cui soltanto di recente ha tolto le rotelle, rinunciando agli equilibri dell'ordinario per raccontare invece l'azzardo, l'autore rischia frequentemente di scivolare e di lasciare a cuocere troppa carne al fuoco. Più lungo e complesso del previsto, però, Piccole anime folli piace comunque perché ha il coraggio e la consapevolezza dei propri errori. Una compravendita dell'innocenza che perde la bussola – negli ultimi capitoli sconfina nel granguignolesco di Gianluca Morozzi –, mai il filo.
Intrattenitore nato, lo scrittore ventisettenne ha il difetto di raccontare più che mostrare. A volte enfatizza poco, altre lo fa concentrandosi sui dettagli secondari. La colpa potrebbe essere di un narratore al di sopra di tutto e tutti, che funziona alla perfezione per gestire la coralità corrotta degli abitanti, meno per la messa a punto della suspance o di dialoghi verisimili. In sella a una bicicletta a cui soltanto di recente ha tolto le rotelle, rinunciando agli equilibri dell'ordinario per raccontare invece l'azzardo, l'autore rischia frequentemente di scivolare e di lasciare a cuocere troppa carne al fuoco. Più lungo e complesso del previsto, però, Piccole anime folli piace comunque perché ha il coraggio e la consapevolezza dei propri errori. Una compravendita dell'innocenza che perde la bussola – negli ultimi capitoli sconfina nel granguignolesco di Gianluca Morozzi –, mai il filo.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: Anastasio – La fine del mondo
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lunedì 10 giugno 2019
I ♥ Telefilm: Fosse/Verdon, Fleabag S02, Killing Eve S02
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