sabato 30 maggio 2020
L'elaborazione in seconde stagioni da elaborare: Kidding, After Life, Homecoming, Dead to Me
giovedì 28 maggio 2020
Recensione: Parlarne tra amici, di Sally Rooney
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Parlarne tra amici, di Sally Rooney. Einaudi, € 12, pp. 286
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In
un’altra vita voglio nascere privilegiato. Con sincera invidia,
l’ho pensato leggendo le (dis)avventure delle amiche di Sally
Rooney. Sfaccendate, altolocate e ciarliere, frequentano le case dei
personaggi dello star system e tracannano vino rosso da bicchieri di
cristallo. Tra feste per pochi eletti, presentazioni e vernissage,
fanno anche tappa in uno splendido casolare immerso nella campagna
francese.
Frances
e Bobbi hanno fatto coppia per un po’. Aspiranti poetesse, sono
rimaste in ottimi rapporti e si spalleggiano: nella buona società così come
sul palcoscenico. Se la prima è una ventunenne pallida e insicura,
che per paura di non farcela si accontenta di
vivere della luce riflessa dell’ex fidanzata, la seconda è al
contrario ricca di famiglia e sempre a proprio agio. È la
sfrontata Bobbi a possedere il lasciapassare per la casa di Melissa,
fotografa, e del marito Nick, attore da copertina: la fascinazione
verso i coniugi è fortissima.
Siamo a Dublino, ma sembra di essere nella New York di Noah Baumbach e della sua musa Greta Gerwig: discorsi allegramente letterari, poligoni sentimentali degni di una commedia francese, generazioni agli antipodi inquadrate tra ammirazione e irritazione.
Siamo a Dublino, ma sembra di essere nella New York di Noah Baumbach e della sua musa Greta Gerwig: discorsi allegramente letterari, poligoni sentimentali degni di una commedia francese, generazioni agli antipodi inquadrate tra ammirazione e irritazione.
Si può amare più di una persona, ha detto lei. Perché
dovrebbe essere diverso dall’avere più di un amico? Tu sei mia
amica e hai anche altri amici, vuol forse dire che non mi consideri
davvero?
Diciamolo
subito: se i sentimenti Persone normali sono memorabili perché
ordinari, quelli di Frances sono fuori dalla nostra portata. E
proprio per questo incuriosiscono un po'. In lotta contro il capitalismo e
il patriarcato, stagista non pagata presso un’agenzia letteraria,
la protagonista non vuole essere più la banale ragazza di campagna
che passa inosservata alle feste popolose. Cerca la sfrontatezza, la
risposta ammiccante, la relazione clandestina. E in mezzo a una
compagnia frivola, aperta e bellissima incrocia così lo sguardo di
Nick: uomo nell’ombra di una donna talentuosa e volitiva, che
nonostante il fisico scolpito nasconde in realtà un carattere
fragile. Attratta dalle debolezze di quest’ultimo, Frances spera di
nascondere le proprie. E benché anticonformista, suo malgrado,
finisce per interpretare un cliché: quello dell’amante. Desidera
segretamente quel tenore di vita oppure lo disprezza? La seconda
parte, spezzato l’idillio snob, finisce per dilungarsi
sulle paturnie di una giovane immatura e contraddittoria, difficile
da amare, che si rivela essere la protagonista imperfetta di un
esordio imperfetto.
Sono
solo una persona normale, ha detto. Quando a te piace qualcuno, lo
fai sentire come se fosse diverso da chiunque altro.
Sbilanciato.
Interessante a momenti alterni. Ma personale, generoso, onesto:
pervaso da una specie di magnetismo irresistibile. Nel romanzo
successivo, per fortuna, ci saranno meno seghe mentali e più cuore.
Dopo trecento pagine, dopo mille intrighi, voltafaccia e cambi di
ruolo, questa volta si ha l’impressione di non venirne mai a capo.
Frances, eternamente indecisa, potrebbe trasformare tutto in un nulla di fatto da un momento all’altro. E andare avanti all’infinito, con le sue chiacchiere, con i suoi dubbi esistenziali, tagliandoci fuori dalla sua cerchia un attimo prima dei ringraziamenti.
Non è tutto oro ciò che luccica: anche i ricchi piangono. Privilegiati sì, ma con zone d’ombra pronte a essere rivelate negli scavi psicologici della seconda parte, i personaggi di Sally Rooney hanno i loro momenti storti: ripensamenti sui pro e i contro delle coppie aperte; rapporti burrascosi con il proprio corpo e con il prossimo; momenti di debolezza non sempre curabili con il paracetamolo. Onestamente continuo a preferirli nella prima parte: una dissertazione sull’insostenibile leggerezza dell’essere giovane, bisessuale e radical chic, infarcita di chiacchiere alcoliche sugli uomini e le donne, la sessualità e il futuro.
Frances, eternamente indecisa, potrebbe trasformare tutto in un nulla di fatto da un momento all’altro. E andare avanti all’infinito, con le sue chiacchiere, con i suoi dubbi esistenziali, tagliandoci fuori dalla sua cerchia un attimo prima dei ringraziamenti.
Non è tutto oro ciò che luccica: anche i ricchi piangono. Privilegiati sì, ma con zone d’ombra pronte a essere rivelate negli scavi psicologici della seconda parte, i personaggi di Sally Rooney hanno i loro momenti storti: ripensamenti sui pro e i contro delle coppie aperte; rapporti burrascosi con il proprio corpo e con il prossimo; momenti di debolezza non sempre curabili con il paracetamolo. Onestamente continuo a preferirli nella prima parte: una dissertazione sull’insostenibile leggerezza dell’essere giovane, bisessuale e radical chic, infarcita di chiacchiere alcoliche sugli uomini e le donne, la sessualità e il futuro.
Il
mio voto: ★★★
Il
mio consiglio musicale: Gaia – Coco Chanel
sabato 23 maggio 2020
Il romanzo che ha ispirato il prossimo film di Charlie Kaufman: recensione di Sto pensando di finirla qui, di Iain Reid
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Sto pensando di finirla qui, di Iain Reid. Rizzoli, €
18, pp. 253 |
Sto
pensando di finirla qui. La protagonista, per tutto il tempo
priva del nome, lo pensa della sua attuale relazione e della
sua vita, considerata inappagante. Di lei sappiamo pochissimo.
Soltanto che viaggia in macchina – direzione, la fattoria dei
suoceri – e che accanto ha Jake, professore amorevole e
premuroso che frequenta da qualche settimana. Stanno imparando a
conoscersi, ma la protagonista fa fatica. Ad abituarsi al rumore
della deglutizione del partner, alle conversazioni che arrancano,
alla desolazione di quelle strade secondarie. Qual è la percezione
che l’uno ha dell’altra? Cosa pensano, mentre fuori dal
finestrino si susseguono immagini rapide di campi e nuvole? Una tempesta è in arrivo. A metà tra Tom at the farm e Il gioco di Gerald, questo romanzo è lo snervante flusso di coscienza di una
donna in balia delle proprie ansie sociali. Dei ricordi, della
solitudine, del mal di vivere, dei bilanci con cui mette
in discussione sé stessa e la propria relazione.
I racconti
basati su eventi realmente accaduti molto spesso hanno a che fare più
con la finzione che con la realtà. Vale sia per le cose inventate
sia per quelle vere. Si tratta di storie, in entrambi i casi, che
vengono ricordate e raccontate. Le storie sono il modo in cui
impariamo le cose. Sono il modo in cui ci conosciamo a vicenda. Ma la
realtà, quella succede una volta sola.
Sto
pensando di finirla qui. È il pensiero del lettore più impaziente,
davanti a un thriller psicologico che si concede un preambolo lungo
cento pagine per entrare nel vivo della narrazione. Il romanzo di
Iain Reid, presto un film Netflix grazie al talento immaginifico dell'acclamato Charlie Kaufman, è costituito da riflessioni sulla vita di coppia e
da tappe stranissime. Episodi all’apparenza grotteschi, che
scandiscono un trip lisergico e contorto, affascinante nel suo
destabilizzarci continuamente. Il ritorno a casa dei personaggi,
infatti, sarà ritardato da contrattempi terrificanti. Si parte dalla
cena servita in un casolare in stato di semiabbandono – carne
sanguinolenta, verdura in gelatina, e per finire il gioco dei mimi –,
con un duo di genitori sopra le righe a guardia di una porta
ricoperta di graffi: conduce in cantina. Si prosegue con il desiderio impellente di granita al Dairy Queer, anche in pieno inverno. Si finisce con
un tour claustrofobico in una scuola vuota – o almeno si spera che
lo sia –, a metà tra un labirinto e una prigione.
La mia
storia non è come un film dell’orrore, gli dico. Non ti fa fermare
il cuore e non ti gela il sangue nelle vene. Non ci sono mostri o
violenze. Nessun salto dalla sedia. Per me, queste cose non sono
spaventose. Invece, quello che ti disorienta, che capovolge ciò che
da per scontato, che disturba e scompagina la realtà, quello sì che
fa paura.
Sto
pensando di finirla qui. Lo dici alle prese con la seconda metà,
quando fai le ore piccole pur di ultimare la lettura. Pur di venirne a capo. All’inizio scettico, ti scopri terrorizzato da
piccoli dettagli inquietanti e da elementi stridenti, che nel
silenzio della casa addormentata mettono letteralmente i brividi. Lo
stile di Reid, stringato, introduce sottopelle un serpeggiare di
sensazioni difficili da descrivere. Dice bene la copertina, sì:
avrai paura senza sapere perché. Non c’è niente che non
vada, ma allo stesso tempo nulla torna. Perché tutto può cambiare
all’improvviso. Pagina dopo pagina la storia ci svelerà il suo
significato più allegorico e profondo. Ma serve attendere,
assecondare la curiosità, perché i dialoghi suoneranno innaturali
qui e lì e le situazioni in cui i protagonisti si cacciano
appariranno a dir poco surreali. Non tutto viene giustificato alla
luce dell’epilogo. Non tutto lascia a bocca aperta, soprattutto se i film
di genere ormai non hanno grandi segreti per voi. Ma molto gli si
perdona, soprattutto grazie ai ritmi deliranti e ossessivi, da
istantaneo mal di testa, che ricordano uno squillo di telefono nel
cuore della notte. Non stupisce che l’autore di Essere John
Malkovich, Il ladro di orchidee e Anomalisa abbia
visto il potenziale dell’autore, magari da mettere meglio meglio a fuoco
in una trasposizione che già mi figuro diversissima: ancora più folle. Se dovessi immaginare di trarre una storia da un
dipinto di Escher, comunque, sarebbe proprio così.
Il mio
voto: ★★★½Il mio consiglio musicale: Joy Division – Love Will Tear Us Apart
mercoledì 20 maggio 2020
Se ne parlano tutti ci sarà un perché: Normal People | Little Fires Everywhere | Hollywood
sabato 16 maggio 2020
Mr. Ciak: Bombshell, Le ragazze di Wall Street, Emma e altri film sul girl power
Più
che la serie TV, i nati nella mia generazione ricorderanno la duologia con Cameron Diaz, Lucy Lu e Drew Barrimore. Alla
luce di un girl power più autoreferenziale che mai, gli angeli dello
spionaggio soft son tornati. Nonostante il tocco femminile, è stato un flop annunciato. Colpa di una regia
patinata, che lascia un po’ a desiderare nelle scene d’azione?
Non mancano i cambi d’abito, le parrucche, le macchinazioni più o
meno telefonate, né un trio meglio assortito del previsto: la
Stewart si presta a essere la macchietta del gruppo; la Harris è
forse la migliore del cast, nei panni della scienziata goffa; la Balinska ipnotizza come amazzone dal fisico statuario.
Su di loro veglia la Banks, che scherza sulla mezza età e domina un
cenacolo di giovani desiderose non di essere principesse, bensì
spie. Non necessario, come ogni reboot, l’ultimo Charlie’s
Angels è stato un insuccesso parzialmente meritato, ma piacevole
e scacciapensieri poggia su una formula che intrattiene
comunque. Vestiti succinti, giarrettiere e flirt, ma anche una
consapevolezza tutta nuova sui ruoli di genere che divertirà gli
uomini e lusingherà le donne. Basta però a giustificare la missione? (5,5)
giovedì 14 maggio 2020
Recensione: Un matrimonio americano, di Tayari Jones
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Un matrimonio americano, di Tayari Jones. Neri Pozza, € 18,
pp. 364 |
Qual
è il segreto per un matrimonio duraturo? Tra mille titubanze, se lo
domanda ogni coppia impreparata al grande passo. Banalmente,
assicurano i parenti, il segreto è l’amore: il resto, poi, è
tutto in discesa. E l’amore non manca a due come Roy e Celestial.
Trent’anni, belli come il sole, complici e appassionati, sanno
trasformare perfino le scaramucce in preamboli romantici. Ogni
litigio, infatti, dev’essere sospeso per quindici minuti se si
pronuncia una parola d’ordine: 17 novembre, la data del loro
anniversario. Un piccolo armistizio per frenare sul nascere i
sospetti di lei – a Roy piace fare il cascamorto con le altre donne
– e le pretese di lui – vorrebbe diventare presto genitore. Ma
l’amore in sé può bastare? Quando Roy viene arrestato con
l’accusa infondata di stupro, qualcosa si spezza. La lontananza
mette alla prova la loro pazienza, cambia ogni cosa. Nonostante una
lunga corrispondenza epistolare, inevitabilmente si sfilacciano
promesse e buone intenzioni. E i sentimenti, all’apparenza
inscalfibili? Si può biasimare il marito, se entra in cella
innocente – era un comune rappresentante di testi scolastici – e
ne esce per forza di cose smaliziato? Si può biasimare la moglie,
ancora, se nel frattempo ha inaugurato un negozio di bambole
artigianali – tutte, però, hanno il volto del piccolo Roy – e si
è rifugiata nel conforto di un altro uomo, il migliore amico Andre?
Immaginavo
forse che avremmo seguito quello schema in eterno? Che saremmo
invecchiati insieme, continuando ad accusarci e perdonarci. All’epoca
non sapevo che cosa volesse dire “per sempre”. Forse non lo so
nemmeno ora. Ma quella sera al Piney Woods ero convinta che il nostro
matrimonio fosse un arazzo finissimo, fragile ma che si poteva
riparare. Spesso lo strappavamo e lo rammendavamo, sempre con un filo
di seta, bellissimo ma molto cedevole.
Proprio
come La storia di un matrimonio, letto e amato qualche mese
fa, il romanzo di Tayari Jones racconta non l’armonia di un duo
bensì i dolori di un triangolo amoroso tanto ingiusto quanto
inevitabile. Da sinossi, invece, ci si aspettava probabilmente una
storia diversa, di fedeltà e razzismo. Il fatto che i protagonisti
siano entrambi di colore e che l’accusa di stupro dipenda
dall’etnia di Roy diventa assolutamente incidentale e permette
all’autrice, in maniera coraggiosa, di allontanarsi dai territori
di Se la strada potesse parlare per tratteggiare finalmente
una comunità afroamericana lontana dai cliché dei drammi sul tema.
Qui si parla infatti di famiglie alto-borghesi, che possono contare
su impieghi ben remunerati e case ospitali. L’attenzione del
lettore finisce allora per concentrarsi sull’universalità del
dilemma sentimentale e sulle difficoltà del ritorno alla normalità
di Roy. Uscito dal carcere, si trova a dover piangere la sepoltura
della mamma e a fare i conti con l’amara verità: il cuore
impegnato di Celestial. Il romanzo, intensissimo, indaga con ferocia le loro passioni e ci mostra personaggi difficili da
amare: nelle verosimiglianza dei litigi vi sembreranno proprio usciti da un film grande e struggente.
È
impossibile smettere di amare qualcuno. Forse l’amore cambia forma,
ma resta.
Per
gran parte della lettura aspettiamo con tensione crescente il loro
incontro. Lei vede la sua presenza dappertutto, come se fosse uno
spettro infestante; lui ha in tasca le vecchie chiavi di casa e spera
che tornando ad Atlanta trovi sempre la solita serratura e l’albero
di noci in giardino. Con il cuore a mille, sotto Natale, il loro
faccia a faccia strazierà mostrandoli l’uno alla mercé
dell’altra. È possibile perdonarsi? È un crimine lasciar
prevalere i compromessi? Il segreto, si diceva, è l’amore. Ma
l’innesto di anime tra Roy e Celestial, in una stagione crudele,
non ha avuto il tempo di attecchire. È stato ostacolato dalle piogge
torrenziali dell’ingiustizia e della distanza geografica. Tayari
Jones, con la pazienza di un giardiniere, esamina i loro corpi e i
loro fusti, le loro intenzioni e le loro radici. E in un epilogo
commovente svela infine un doppio verdetto: state pur certi che
nessuno è innocente, che qualcuno soffrirà. Ma l’amore, signor
giudice: l’amore come sta?
Il
mio voto: ★★★★½
Il
mio consiglio musicale: Fugees – Killing Me Softly with His
Song
venerdì 8 maggio 2020
Recensione: Molto mossi gli altri mari, di Francesco Longo
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Molto mossi gli altri mari, di Francesco Longo. Bollati
Boringhieri, € 16, pp. 176 |
Avevo
questo romanzo in libreria dal periodo dell’uscita. Ma, a
testimonianza di come le letture non abbiano una data di scadenza, ho
scelto di conoscere l’esordio di Francesco Longo ora. Il mood,
infatti, era di quelli perfetti. Mentre in streaming sono immerso
negli amori inconfessati della serie Normal People, il quattro
maggio – per inaugurare la fase due – sono finalmente tornato a
passeggiare al mare: uno dei miei veri affetti stabili. Tutto preso
dagli struggimenti post-adolescenziali e dagli andirivieni in
spiaggia, insomma, non potevo non tuffarmi a bomba nelle estati di
Santa Virginia. Una località fittizia, a un’ora di treno da Roma,
che fa da sfondo alle amicizie rievocate dal narratore. Sarà che il
protagonista ha il mio stesso nome, sarà che ho sempre vissuto sulla
costa, ma l’immedesimazione è stata istantanea.
Smilzo,
occhialuto e cagionevole, Michele è un tipo malinconico e
sedentario. Di quelli che si commuovono per la bellezza dei tramonti,
scrutano le stelle in cerca di UFO, fantasticano di mostri alati in
fondo al lago. Di quelli che hanno fatto dell’attesa il senso
stesso della loro esistenza, e non a caso hanno l’abitudine di
tuffarsi sempre per ultimi. Nato e cresciuto in una località presa
d’assalto dai turisti, non l’abbandona a vacanze finite. Abita in
un paese popolato soltanto per tre mesi all’anno e nei restanti
nove viene lasciato in balia del mare d’inverno.
Sono
stati tutti convocati dal mare, dalla promessa di una mareggiata
epica che ha richiamato anche chi non si vedeva più da anni. La
spiaggia è a sud del promontorio, è la Baia di Santa Virginia. Lì
abbiamo trascorso tutte le nostre estati. Lì l’infanzia era una
cosa sola con la sabbia.
L’autore
descrive con esattezza la solitudine di cui il suo protagonista
soffre, ma è con l’arrivo di giugno che lo fa rianimare: quando,
come da tradizione, si ricompone il cosiddetto gruppo della Baia.
Anno dopo anno, infatti, Michele ha stretto con un manipolo di
coetanei che si riunisce soltanto d’estate. Ci sono Guido, spavaldo
ma fedele, che ha portato la moda del surf da un viaggio in
California; la bella Silvia, che raccoglie le confessioni di tutti ma
raramente si sbottona; il Cicogna, accanito lettore destinato a fare
il naturale salto alla scrittura; Gabriele con la sua inseparabile
chitarra; e c’è soprattutto Micol, con un cespuglio di capelli
ricci e gli occhi più brillanti della luna. Senza dirglielo, il
protagonista la amerà fino all’età adulta. Loro come vivono
invece l’attesa del mare? Con la stessa pena, con le stesse
speranze, con lo stesso languore? Strutturato tra passato e presente,
Molto mossi gli altri mari li racconta com’erano e come
sono: radunati eccezionalmente per una bufera tropicale che allarma i
meteorologi ma promette, d’altra parte, onde altissime. Michele
saprà affrontarle di petto, soprattutto davanti alla notizia delle
nozze di Micol?
Di
una cosa solo tu puoi essere geloso: del mare.
Questo
è un piccolo romanzo generazione che vive non tanto di personaggi
quanto di atmosfere. Se gli amici di Michele sembrano spesso
schiacciati dall’apatia, poco messi a fuoco nella foga della
nuotata e condannati a un finale per me sin troppo precipitoso, a
fare la differenza è una natura kantiana in cui scorgere l’ennesima
sfida. Piace allora per i cieli coperti, per i braccialetti
dell’amicizia al polso, per le pedalate a perdifiato e per le
grigliate, per la metafora alla base: l’età adulta come una
mareggiata da fronteggiare. Non importa il cosa né il perché.
Questa volta importa il come: ossia attraverso una prosa splendida
sin dalle allitterazioni del titolo. Questa volta importa il quando:
nella stagione che inevitabilmente precede l’autunno degli ideali.
Le sensazioni conclusive sono familiari ma altalenanti. Se da una
parte la componente sentimentale mi ha ricordato una frustrante
partita di ping pong, dall’altra la lettura ha il profumo di brace
e risate dei falò di fine estate. Al centro di una storia di attese
e devozione, Michele e Micol evitano il presente per paura. Baciano
altre persone, si distraggono con altre relazioni. Si crogiolano in
un’eterna sospensione. Come se l’estate – della vita, della
gioventù – potesse durare per sempre. In attesa che l’onda del
secolo o li schiacci, o li faccia volare.
Il
mio voto: ★★★
Il
mio consiglio musicale: Hola (I Say) – Marco Mengoni feat. Tom Walker
martedì 5 maggio 2020
I congiunti e gli affetti stabili nelle graphic novel: Residenza Arcadia | Basilicò | Freezer
|Residenza Arcadia, di Daniel Cuello. € 20, pp. 167, ★★★★|
Chiusi
in casa, spiano le mosse del vicinato. Aguzzano l’udito per
origliare. Denunciano. La routine degli
abitanti di Residenza Arcadia, satira quanto mai attuale,
potrebbe ricordarvi qualcosa. I giorni della nostra quarantena.
Terrorizzati dal cambiamento – un po’ come noi davanti alla fase
due –, gli anziani protagonisti tutelano le loro
proprietà con il pugno di ferro. Benché vengano nominati Don
Matteo e Turisti per caso, siamo in una società distopica
imprecisata: pare che ci sarà una guerra imminente, che il Partito e
la Gendarmeria vadano temuti, e che presto ci sarà una parata
per celebrare la Nazione. Gli stessi conflitti si respirano anche nel
condominio: colpa dei nuovi inquilini – terroristi – da far
sloggiare. Raffigurata come un idillio sin dal nome, la Residenza è
un covo di scaramucce, pettegolezzi e voltafaccia mortali. Badate ai
disegni, inquietanti come nel miglior Burton, e diffidate da quei protagonisti che sembrano adorabili: la solitaria
Mirta con il suo canarino; Emilio e Dirce, con ospite il nipote
metallaro; i temutissimi Ester e Dimitri, dai modi affabili ma con un
passato insospettabile – quello di lui vi commuoverà. Daniel
Cuello, originario di un Paese che ha avuto una lunga e infelice
relazione con le dittature, scuote per crudeltà e dolcezza. E
condanna il conservatorismo di una certa generazione, sempre in prima
linea per apostrofare il lassismo dei tempi correnti. Oasi da
proteggere, il condominio diventa un microcosmo in cui legge e morale
viaggiano su binari diversi. Perché difendere con le unghie e con i
denti una casa destinata comunque alla polvere del tempo? Perché
mantenere lo status quo, se è un incubo che ricorda i fascismi?
|
Basilicò, di Giulio Macaione. € 16, pp. 153,
★★★½|
Alcune
famiglie sono un’associazione a delinquere. A mettere sotto
processo la propria è Maria, matriarca sputasentenze con cinque
figli grandi e un marito scappato con la domestica Nancy. Come
in American Beauty, la narrazione prende avvio da un luogo
particolare: l’oltretomba. La protagonista, nel giorno del suo
stesso funerale, racconta il suo albero genealogico e gli eventi che
hanno portato alla sua morte. Risposta politicamente scorretta alle
saghe familiari tanto in voga, Basilicò sarà apprezzato dai
fan di Carnage o I segreti di Osage County.
Complessati, sguaiati e inviperiti, i membri della famiglia Morreale
credono nei valori tradizionali, nel senso del decoro, nell’omertà.
I capitoli, illustrati da una penna che incanta, sono ora in bianco e
nero, ora in un nostalgico color seppia. Introdotti dalle ricette
della migliori ricette della tradizione – dalla parmigiana al
pesto, dal cous cous al ragù – inoltre assumono di volta in volta
il punto di vista dei figli: Giovanni, un prof bistrattato; Agata,
artista povera in canna; Diego Maria, omosessuale sfortunato in
amore; Rosalia, moglie e amante; infine Santo, ultimogenito
dall’esistenza girovaga. Riuniti per il compleanno di Maria, si
troveranno a celebrarne le esequie. La mamma si è portata nella
tomba trucchi e consigli? Se il segreto della sua cucina era il
basilico, il segreto del basilico invece qual era? I colpi di scena
del finale assicureranno anche qualche tavola horror. La graphic
novel di Giulio Macaione è un omaggio a Palermo, alle gioie della
tavola, ai dolori delle famiglie infelici a modo loro.
|Freezer, di Veronica “Veci” Carratello. € 18, pp. 137,
★★|
Un’altra
famiglia disfunzionali da cui fuggire, un’altra lettura grottesca. Questa volta si
parla dei Robinson: sì, proprio come quelli della serie TV. Mina, in
attesa dello sviluppo ormonale, sognerebbe per sé il potere
dell’invisibilità. Difficile se primogenita in una casa dov’è
impossibile non essere immischiati nelle tragicomiche dei parenti .
Tocca citarne qualcuno: il padre, attore della pubblicità della
carta igienica; lo zio Ernesto, che in una chat trova l’anima
gemella; il gatto Kafka, aspirante suicida; una nonnina chiusa nel
silenzio impenetrabile della vedovanza. A metà tra Little Miss
Sunshine e Metti la nonna in freezer, la graphic novel ha
protagonisti già visti altrove e un umorismo che purtroppo non mi ha
divertito. Il pregio più grande è l’irresistibile estetica
vintage, con un tripudio di colori terrosi, citazioni musicali anni
Settanta e un tratto degno della sfrontatezza dei prodotti di Cartoon
Network. Peccato che Freezer somigli più a un insieme di
strisce comiche che a un racconto, più a un puzzle di sketch che a
una storia fatta e finita. I (nuovi) Robinson potrebbero essere i
personaggi di una sitcom strampalata e scorretta che ci dispiacerebbe
vedere in poltrona. Questo volume, un breve assaggio delle stranezze
di cui sono capaci, è però un episodio pilota nemmeno troppo
soddisfacente.
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sabato 2 maggio 2020
Miniserie "fantastiche" e dove trovarle: Tales from the Loop | The Outsider
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