martedì 25 novembre 2025

Ritorni di fiamma: Wicked 2 | After the Hunt | Una battaglia dopo l'altra | Bugonia | Materialists

Aspettare il ritorno di Wicked ha scandito il mio anno in maniera precisa. Un'emozione infantile, lieve, che si è rinnovata in una sala con i cosplayer all'ingresso e un pubblico abbigliato a tema. Il prosieguo della storia ha un difetto: anche a teatro, il secondo atto è meno memorabile e più ingenuo. Le canzoni da cantare a squarciagola sono poche. I colpi di scena non mancano, ma, come spesso succede a Broadway, è un deus ex machina — non il Mago di Oz — ad alimentare i triangoli, a trasformare i comprimari in cattivi, a scaraventare Dorothy giù dal cielo. Epico, ma con un eccezionale amore per i dettagli, Chu omaggia il talento delle maestranze — scenografi e costumisti su tutti — e quello di un cast perfetto. Se la forza di Erivo ha già brillato, qui si ha la consacrazione di Grande: incantevole, frivola e fragilissima, punta all'Oscar con una favola politica che ne fa ora una pedina, ora un simbolo. L'attesa di Wicked: For Good è stata più emozionante del film in sé? Forse. Ma perfino l’esplosione di una bolla di sapone finisce per suonare assordante — e magica, come le rivoluzioni. (7,5)

Dopo Queer, Guadagnino torna e divide. Yale trema per un'accusa di molestie. Nella caccia alle streghe, gli interrogativi incalzano. E tutti, pur di proteggere la propria reputazione, diventano capaci di tutto. Roberts, di bianco vestita ma moralmente in chiaroscuro, giganteggia accanto a Stulhbarg in un thriller senza vincitori né vinti. L'istrionico Garfield è davvero un predatore? Adebiri, mai all'altezza del resto del cast, usa la propria vulnerabilità per occultare un plagio? E cosa spinge la Roberts a schierarsi, o a non farlo? Citando Allen - il maggiore regista vittima della cancel culture -, Guadagnino provoca con un film sontuoso e ambiguo. Smaschera le ipocrisie della Gen Z dell'inclusione e dei trigger warning, ma anche l'omertà dei Boomer mai scesi a patti coi loro scheletri nell'armadio. Lo scontro avviene lasciando fuori i corpi: questa volta solo il pomo della discordia in un cinema dove i non detti, come in Anatomia di una caduta, feriscono più dei dialoghi o degli stridori della colonna sonora. «Di' tutta la verità», scriveva Dickinson, «ma dilla obliqua». After the Hunt la dice così, sbieca e tagliente, fino a confondere giusto e corretto. (8)

Chase Infiniti è una figlia che non ha mai conosciuto la madre. Leonardo DiCaprio è una padre sempre in hangover, con un passato da sovversivo per amore. Sean Penn è un militare repubblicano che, a dispetto dei segreti feticismi sessuali, vorrebbe sedere fra i suprematisti bianchi. Ambientato in una polveriera a ridosso del confine messicano, Una battaglia dopo l'altra è un film tra il thriller e la commedia nera, l'impegno politico e il grande intrattenimento, i fratelli Coen e Breaking Bad. Esilarante a dispetto dell'urgenza delle tematiche, frenetico nonostante la durata fiume, adatta Vineland di Thomas Pynchon ai giorni nostri e, in mezzo ad assalti, guerriglie e inseguimenti, non dimentica di indirizzare una lettera di speranza alle nuove generazioni: la meglio gioventù che erediterà dai padri il gusto della disobbedienza civile, ma non la mascolinità tossica. Se l'antieroe DiCaprio è un boomer lontano dai cliché action, l'Oscar sembra brillare per un Penn iconico come non mai. Il cinema è una cosa meravigliosa, soprattutto quello di un Paul Thomas Anderson in forma smagliante. Quando fa la rivoluzione, di più. (9)

Emma Stone (in sala anche con il brutto 
Eddington) è un'aliena sotto copertura con l'obiettivo di portare il genere umano all'estinzione? È la teoria del complotto di un imprevedibile Jesse Plemons, che insieme al cugino autistico progetta un rapimento in cui l'emergenza ambientale si mescola alla vendetta. Con un pugno di attori fidati, Yorgors Lanthimos torna con una commedia nera dalle derive splatter in cui mancano i suoi vezzi stilistici (grandangoli, fish-eye, campi lunghi o lunghissimi) e, soprattutto, il graffio vero nella scrittura. Sarà perché, questa volta, si tratta del remake di un piccolo cult coreano? O forse è per via della vaga noia per i soliti nomi, i soliti registi che sfornano un film all'anno, i soliti film appesantiti da venti minuti troppo? Nel dubbio che ci accompagna fino a fine visione, si sorride comunque al pensiero di ciò che i protagonisti sarebbero capaci di fare. Bugonia - il cui titolo spoilererà il finale ai secchioni del classico - è il Lanthimos meno disturbante e più sopra le righe. Ma anche quello inedito, perché finalmente divertente. (6,5)

Che fine hanno fatto le commedie romantiche: quelle leggere e patinate, a lieto fine, tipiche degli anni Novanta? Celine Song, reduce dal successo dell'intenso ma sopravvalutato Past Lives, risponde con un triangolo sentimentale degno dei classici di Jane Austen. La splendida Dakota Johnson è una novella Emma divisa tra lo scapolo d'oro Pedro Pascal e il cameriere di belle speranze Chris Evans, ragione e sentimento, in un film ambientato nell'inferno del dating, degli algoritmi e del consumismo sfrenato. I soldi non faranno la felicità, forse, ma garantiscono una serena vita di coppia. È la tesi di un film classico, ma diversissimo da come gli spot promozionali e il discutibile titolo italiano ce lo hanno raccontato. Cinico, contemporaneo e calcolatore, Materialists fa del matrimonio un contratto e dell'amore merce di scambio. La nostra affascinante eroina newyorkese troverà il suo principe azzurro, o rischierà il burnout? Inevitabile, a fine visione, sentirsi un po' più brutti, soli, poveri e bassi rispetto all'inizio. Celine, diccelo, per favore: cosa ti hanno fatto di male gli uomini alti soltanto uno e settanta? (7)

venerdì 14 novembre 2025

Il buio in salotto: Interview with the Vampire | Monster: Ed Gein | Il mostro

Misteriosamente passata in sordina in Italia – arriverà su Netflix a dicembre –, è già arrivata alla terza stagione in patria. Perché la serie TV tratta dai romanzi di Anne Rice sta facendo così fatica a trovare il suo pubblico? Perché io stesso ho recuperato le prime due stagioni dopo anni di rimandi, per poi rimanere abbagliato da una trasposizione che – nell'anno dei fasti di I peccatori – brilla per eleganza di scrittura, efferatezza e sensualità? La storia, già raccontata in un film con Tom Cruise e Brad Pitt, cambia forma e dinamiche, ma mantiene immutati il gusto scenografico e le elucubrazioni. Jacob Anderson e Sam Reid – che nulla, notorietà a parte, hanno da invidiare al duo originale – ripropongono l'eterno conflitto tra creatore e creatura, all'interno di una relazione tossica minata dall'arrivo di Claudia: figlioccia adolescente avida di libertà. Nella seconda stagione, ci si sposta a Parigi e, in fuga dalla solitudine, ci si unisce a una congrega. Tra canti, balli e mattanze, lo spettacolo si fa più spettacolare ancora e, mentre subentra il nuovo amore per Assad Zaman – più anziano, più saggio, più costante di Lestat –, si gettano le basi per uno degli episodi più belli dell'anno. La memoria di un immortale è sempre infallibile? Si può vivere onestamente, nonostante il troppo sangue versato? Da questo trio, in una serie opulenta e imprevedibile come un ballo in maschera, chi non si lascerebbe azzannare? (8)

Dopo le stagioni dedicate a Jeffrey Dahmer e ai fratelli Menendez, la serie di Ryan Murphy abbandona l'asciuttezza del dramma processuale per sposare i toni dell'horror. Benché molto patinata, potrebbe mettere alla prova con scene gore e voyeurismo: niente, tra nefandezze e feticismi, ci è risparmiato. L'obiettivo, ambiziosissimo, è non tanto realizzare il biopic di Ed Gein, ma raccontare un'epoca; un Paese. Non sempre all'altezza, gli episodi mettono troppa carne al fuoco e peccano di una direzione incerta. In disordine, si parte dal mondo interiore di Gein (gli abusi materni, il trauma della Shoa, la disforia di genere) per poi fare tappa a Hollywood (Psycho, Non aprite quella porta, Il silenzio degli innocenti sono alcuni dei film ispirati al suo modus operandi) e negli uffici dell'FBI (Gein, infatti, avrà un ruolo chiave nella cattura di Ted Bundy). Ne emerge un ritratto non sempre accurato, ma multiforme e personale, che trova una sua identità nel corso degli ultimi episodi: quelli meno sanguinosi e più lirici, dove un Charlie Hunnam da Emmy conferma un'intensità perfino superiore alla sua avvenenza e l'irriconoscibile Vicky Krieps ruba a molti la scena nelle vesti di una sadica nazista. Quando abbiamo fatto di un serial killer un'icona pop? Quando abbiamo trasformato un uomo schizofrenico in un mostro? (7)

Alle porte di Firenze, ha ucciso otto coppie nell'arco di diciassette anni. L'incubo di una generazione di innamorati — già al centro di una miniserie Sky con Ennio Fantastichini e di innumerevoli podcast — torna in una produzione attesissima, con la firma di uno dei registi più internazionali del nostro cinema: Stefano Sollima. Lontano dallo sperimentalismo a cui ci ha abituato, sceglie una maggiore asciuttezza — in cui, però, si fatica a scorgere la sua impronta — e un taglio inedito ma discutibile. Più che di una serie sul Mostro, si tratta di un prequel sul delitto di Barbara Lonci e Antonio Lo Bianco: a collegarli alle altre morti, l'utilizzo della stessa pistola. Frammentario e confuso, Sollima si muove tra gli anni Sessanta e gli Ottanta, la Sardegna rurale e una Firenze assediata, col risultato che le indagini facciano semplicemente da contorno alle vicende della famiglia Mele: un marito pavido, una donna sottoposta a violenze esasperanti, le frequentazioni ambigue coi fratelli Vinci. Pacciani e i famigerati compagni di merenda faranno capolino nella seconda stagione? In questa storia di misoginia e repressione sessuale, per ora, non c'è spazio per gli eventi più noti né per un cast di nomi altisonanti: a spiccare, nell'anonimato imperato, è il solo Valentino Mannias, sinuoso e spietato come un lupo. (5,5)

venerdì 7 novembre 2025

Recensione: La notte devastata, di Jean-Baptiste Del Amo

 La notte devastata, di Jean-Baptiste Del Amo. Feltrinelli, € 20, pp. 432 |

È un grande anno per il cinema horror. Per non essere da meno, anche Feltrinelli si è messa al passo con un romanzo citazionista e dalle atmosfere vintage, che farà la gioia e il terrore degli amici cinefili. Ambientato nel cuore degli anni Novanta, in un sobborgo residenziale ormai in decadenza, racconta di una banda di amici con l'hobby dei film di genere e delle bravate. A sedici anni, la morte è un pensiero incidentale. Al TG: qualche incidente stradale, suicidi in sordina, la piaga dell'Aids. Medhi, membro dell'unica famiglia straniera del quartiere, è vittima del bullo della scuola. Alex ha da poco sepolto la madre, divorata dal cancro. Tom, ossessionato dagli insetti, vorrebbe aizzare una scolopendra contro il patrigno. Max, fidanzato con la bella del liceo, è attratto dal gemello di lei. Lena, l'ultima arrivata, è in fuga da un passato violento.

A volte era sembrato a Lena che lei e i suoi amici sarebbero stati in un certo modo eterni e che l'universo esistesse solo per loro, semplicemente perché erano là a posarvi lo sguardo. Ma ormai era consapevole della loro fugacità, fragilità e impermanenza, aveva acquisito quella consapevolezza del tempo che passa, preleva quello che gli devi e non offre in cambio che un po' di oblio.

Tutti hanno le proprie ombre. Tutti sono attratti dalla casa nell'impasse des Ormes. È lì che si manifestano le fobie e i desideri più sfrenati, in un budello infernale a metà tra il sonno e le veglia. Il folgorante Jean-Baptiste Del Amo, colpevolmente scoperto qui e ora, è la luce in un mondo prigioniero della penombra, dove gli incubi si mescolano ai sogni erotici e i bassi istinti prendono il sopravvento. In un angosciante gioco di specchi e doppelganger, sarà impossibile distinguere una dimensione dall'altra e arginare le conseguenze. Derivativo sin dalle premesse, appesantito da una cinquantina di pagine di troppo e non sempre fedele alla sua dimensione corale, La notte devastata resta comunque una lettura sinceramente spaventosa in cui riecheggiano le grida di It, Nightmare, Amityville Horror.

L'innocenza può essere un inferno.

A elettrizzare, tuttavia, non sono soltanto gli insetti giganti, i parti mostruosi, gli sfondi lovecraftiani, ma la descrizione di un'adolescente sensoriale e irrequieta che tanto somiglia a quella dei romanzi del connazionale Nicolas Mathieu. Divisi tra frustrazione, fumo e noia, i protagonisti si scoprono prigionieri di un film horror con la colonna sonora dei Nirvana, in cui l'incanto infantile è ormai spacciato e la consapevolezza del tempo, della diversità e dell'oblio, conducono sulla soglia del più spaventoso dei mondi: quello degli adulti. Si sopravvive alla morte dell'innocenza?

Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Nirvana – Come As You Are