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venerdì 19 ottobre 2012

Il senso “perduto” delle lacrime


ottobre



Venerdì di ottobre. Il cielo è grigio, un grigio uniforme, piacevole nel contrasto con gli alberi e le siepi ancora verdi. Ho visto nei giorni passati una persona che mi è cara, piangere. 
Ho intravvisto qualcosa dietro quelle lacrime, una specie di ritorno all’infanzia.  E, nell'abbraccio sentito, ho capito quanto sia  necessario fare uscire il pianto.

Penso a quello struggente poesia del Pascoli, che le maestre di una volta facevano imparare a memoria per Natale, e di cui ho sempre amato tutti i versi.

"...O ciaramelle degli anni primi,
d'avanti il giorno, d'avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;

che non ancora si pensa al pane,
che non ancora si accende il fuoco:
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.

Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;

sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!
(Giovanni Pascoli)

Poi cerco qualcosa di cui ho un vago ricordo in Eugenio Borgna, nel suo libro “Le intermittenze del cuore”.

“Si può scrivere una storia delle lacrime?
La lacrima dice proprio ciò che non racconta, ciò che ancora non si dice. 
In un’eloquenza silenziosa, la lacrima si enuncia scomparendo, scorrendo”

Le lacrime sono le parole del silenzio e non ha senso analizzarle con la lama sottile e tagliente della ragione. Non si possono che accogliere nella loro leggerezza  e nella loro luminosa inconsistenza.

“Per darci la loro luce, per darci la loro leggerezza, per offrirci  il loro silenzio, si sono affidate all’oscurità, si sono sottomesse  alla gravità, si sono date ai sospiri …”

“Le lacrime esistono al di là della luce, al di là della pesantezza, e persino al di là del silenzio. E’ allora che piangiamo per davvero..
Da questa eloquenza silenziosa nasce una conversazione infinita”
[…]

Lacrime che rinascono e si inaridiscono nella vita di ciascuno di noi: sulla scia di emozioni fuggitive e impalpabili, strazianti e crudeli, nelle quali il passato rifluisce nel presente, rendendolo friabile e umbratile, inafferrabile e aperto, nonostante tutto, agli orizzonti di una indicibile espérance.

Da Le intermittenze del cuore di Eugenio Borgna – Universale Economica Feltrinelli.


Immagine dal web.



mercoledì 29 agosto 2012

E dopo l’assenzio, un vecchio post


Dopo avere riportato ieri qualche stralcio da un libro sull'assenzio, mi viene voglia di riproporre quanto da me scritto in questo blog il 7 gennaio 2009

Arte e Follia


"Qualche giorno fa, in un commento ad un mio post, Jaenada commentava sul fatto che grandi come Alda Merini o Pound, fossero stati rinchiusi in manicomio.

Proseguendo il discorso e pensando all'associazione mentale che spesso leggendo o guardando opere d'arte mi colpisce dolorosamente, ossia il pensiero della "follia" - vorrei fermarmi a scrivere alcune considerazioni, non tutte mie.

Ho chiesto aiuto - da tempo - ad autori come Umberto Galimberti, Eugenio Borgna, Bruno Callieri, persone che portano chiarezza, conforto davanti ad un tema simile: la follia.

Antonia Pozzi

E' indubbio che ci sia una creatività incistata nella follia.

C'è nell'artista un bisogno di esprimere mondi altri da quello che abitualmente viviamo, un desiderio di espandere orizzonti fino alla vertigine del senza-confine.

Come diceva Jaspers "c'è la perla nella conchiglia" - immagine metaforica dello spirito creativo dell'artista che è al di là dell'opposizione tra normale ed anormale, come appunto la perla che nasce dalla malattia della conchiglia.


Come non si pensa alla malattia della conchiglia - ammirandone la perla - così di fronte alla forza vitale dell'opera non pensiamo alla schizofrenia che forse era la condizione della sua nascita.

Eugenio Borgna legge la follia come "la sorella sfortunata della poesia".

E quindi le esperienze di vita e di morte nelle considerazioni filosofiche di Simon Weyl, la malinconia sfibrata ed oscurata di Emily Dickinsons e di Ingeborg Bachmann che si fa musica in Franz Schubert, il destino di dolore e lo scacco esistenziale di Van Gogh, nelle cui esperienze d'arte, trova espressione l'angoscia psicotica .... sono lo specchio dove, spesso oscuramente, a volte con toni abbaglianti - la condizione esistenziale di noi tutti trova un suo riflesso, una sua descrizione.

La follia - come scrive Bruno Callieri - è la scissione nell'uomo, la sua lontananza dagli altri, la sua estraneità al mondo e la psichiatria organistica di certo non aiuta, proponendo farmaci.

Farmaci, non ascolto, non conoscenza delle diverse modalità della sofferenza esistenziale che non ha organi del corpo specifici come riferimento.

Ma anche noi, noi tutti dovremmo prestare attenzione all'urlo straziante del folle (chi non ha davanti agli occhi "l'Urlo" di Munch") o al suo muto silenzio, dal momento che non possiamo ignorare che la sua disperazione - solo per intensità e frequenza differisce dalla nostra.

"Noi siamo un colloquio" diceva Hoederlin dall'abisso della sua follia.

Già Kafka annotava che "scrivere una ricetta è facile, ma ascoltare la sofferenza è molto, molto più difficile"


Alcune considerazioni sono state tratte da:

Umberto Galimberti - Scoprire Il dolore dell'anima;
Eugenio Borgna - Come in uno specchio oscuramante,
Eugenio Borgna - Malinconia
Bruno Callieri - Corpo, esistenze, mondi.

L'immagine di Antonia Pozzi è stata trovata in rete

domenica 15 aprile 2012

Domenica d'aprile

E' domenica. Una domenica d'aprile che non sa di primavera.

Una volta, la domenica, mio padre usciva a comprare i giornali, mia madre faceva i lavori di casa - quei lavori che non poteva fare durante la settimana, perché al lavoro. Preparava il mangiare, il famoso per me "arrosto della domenica" con patate al forno.
Prima ancora si cambiavano le lenzuola  e tutto aveva un sentore di pulito e di... arrosto.
In questo quadretto domenicale non riesco a vedere cosa facessi io.
Forse aiutavo mia madre.

Ripropongo solo un paio di frasi che mi risuonano dentro, ogni volta che mi ci imbatto:





"Se non fosse per i ricordi, il tempo non significherebbe nulla.
Eppure eccoci insieme seduti  dove la luce del tramonto è più bella, e l'ultimo raggio di sole è il più bello di tutti.
Era lì che ci riunivamo per dare l'addio a quei giorni abbronzati e scottati, che coloravano il fiume nella tenerezza del suo insonne sfuggire"

Pat Conroy - "Beach Music - Bompiani, pag. 172.





"Quando si parla di tempo non ci si riferisce, ovviamente, al tempo dell´orologio ma al tempo soggettivo, al tempo vissuto: il tempo interiore della speranza è il futuro come quello della attesa, il tempo interiore della nostalgia e della tristezza è il passato, benché con incrinature diverse, il tempo della gioia è il presente così friabile e così inafferrabile, il tempo dell´ira è il presente dilatato, e deformato, in slanci di aggressività, il tempo dell´ansia è il futuro: un futuro che si rivive come già realizzato nelle ombre dolorose di una morte vissuta come imminente".

Da Le emozioni ferite di Eugenio Borgna - Ed. Feltrinelli

mercoledì 7 gennaio 2009

Arte e Follia

Qualche giorno fa, in un commento ad un mio post, Jaenada commentava sul fatto che grandi come Alda Merini o Pound, fossero stati rinchiusi in manicomio.

Proseguendo il discorso e pensando all'associazione mentale che spesso leggendo o guardando opere d'arte mi colpisce dolorosamente, ossia il pensiero della "follia" - vorrei fermarmi a scrivere alcune considerazioni, non tutte mie.

Ho chiesto aiuto - da tempo - ad autori come Umberto Galimberti, Eugenio Borgna, Bruno Callieri, persone che portano chiarezza, conforto davanti ad un tema simile: la follia.

E' indubbio che ci sia una creatività incistata nella follia.

C'è nell'artista un bisogno di esprimere mondi altri da quello che abitualmente viviamo, un desiderio di espandere orizzonti fino alla vertigine del senza-confine.

Come diceva Jaspers "c'è la perla nella conchiglia" - immagine metaforica dello spirito creativo dell'artista che è al di là dell'opposizione tra normale ed anormale, come appunto la perla che nasce dalla malattia della conchiglia.


Come non si pensa alla malattia della conchiglia - ammirandone la perla - così di fronte alla forza vitale dell'opera non pensiamo alla schizofrenia che forse era la condizione della sua nascita.

Eugenio Borgna legge la follia come "la sorella sfortunata della poesia".

E quindi le esperienze di vita e di morte nelle considerazioni filosofiche di Simon Weyl, la malinconia sfibrata ed oscurata di Emily Dickinsons e di Ingeborg Bachmann che si fa musica in Franz Schubert, il destino di dolore e lo scacco esistenziale di Van Gogh, nelle cui esperienze d'arte, trova espressione l'angoscia psicotica .... sono lo specchio dove, spesso oscuramente, a volte con toni abbaglianti - la condizione esistenziale di noi tutti trova un suo riflesso, una sua descrizione.

La follia - come scrive Bruno Callieri - è la scissione nell'uomo, la sua lontananza dagli altri, la sua estraneità al mondo e la psichiatria organistica di certo non aiuta, proponendo farmaci.

Farmaci, non ascolto, non conoscenza delle diverse modalità della sofferenza esistenziale che non ha organi del corpo specifici come riferimento.

Ma anche noi, noi tutti dovremmo prestare attenzione all'urlo straziante del folle (chi non ha davanti agli occhi "l'Urlo" di Munch") o al suo muto silenzio, dal momento che non possiamo ignorare che la sua disperazione - solo per intensità e frequenza differisce dalla nostra.

"Noi siamo un colloquio" diceva Hoederlin dall'abisso della sua follia.

Già Kafka annotava che "scrivere una ricetta è facile, ma ascoltare la sofferenza è molto, molto più difficile"


Alcune considerazioni sono state tratte da:

Umberto Galimberti - Scoprire Il dolore dell'anima;
Eugenio Borgna - Come in uno specchio oscuramante,
Eugenio Borgna - Malinconia
Bruno Callieri - Corpo, esistenze, mondi.

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