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giovedì 17 gennaio 2013

Woody Allen e il ruolo dell'illusione nella vita


A proposito del post predente a questo su Woody Allen, vorrei aggiungere uno scritto di Gianlorenzo Granzì
Non tutto, ovviamente, ma alcuni stralci.

Film, cinema
to-rome-with-love

"Dal 2000 Woody Allen ha smesso di ambientare le sue pellicole esclusivamente nell'isola di Manhattan, iniziando a girare il mondo....

Se in un primo tempo i personaggi del regista americano erano alla disperata ricerca di qualcosa, ora sembrano pacificati, seppur per una piccola ma decisiva differenza: hanno scelto di vivere nell'illusione di una "loro" realtà che è, a tratti, più vera della vita reale.
In quest'ultima fase il cinema di Allen risulta ancora vivo ed emozionante, al contrario di come vorrebbero alcuni critici che non riescono a scorgere l'incredibile e quasi disperata vitalità di un cineasta che film dopo film non smette di stupire e appassionare.
La critica ufficiale oggi si avvicina all'ultima produzione alleniana ricercando ancora le gag fulminani della sua prima produzione.

Non è però questo il filtro attraverso cui analizzare l'ultimo gruppo dei suoi film: da La maledizione dello Scorpione di Giada a To Rome with Love, due film a loro modo importantissimi, per quanto abbiamo detto sopra, ovvero il ruolo dell'illusione nell'esistenza umana


Sul finale di Incontrerai l'Uomo dei Tuoi Sogni, 2010 - afferma una voce fuori campo:
"L'uomo ha bisogno di illusioni come dell'aria che respira" , ed è proprio in questa frase il senso del 'nuovo'cinema di Allen.
Insomma c'è un evidentissimo filo che lega le storie di To Rome With Love, e il film agli ultimi  di Allen: Il sogno come unico sentiero per raggiungere la felicità.

[...]

Gianlorenzo Franzì conclude con queste parole:
"La felicità si può improvvisamente incontrare all'angolo della strada, colmando il senso di vuoto e di solitudine dell'uomo, dandogli così un barlume di speranza. E' questo il senso e la grandezza del cinema di Woody Allen".


Da Teatro contemporaneo e Cinema - rivista diretta da Gianfranco Bartalotta - Pagine-


 

venerdì 20 luglio 2012

IL POSTO DELLE FRAGOLE (Wild Strawberries - Smultronstället) - Ingmar Bergman


Cinema e teatro: IL POSTO DELLE FRAGOLE (Wild Strawberries - Smultronstället) - Ingmar Bergman

Oggi, ho trovato questo post sul blog di Loris: Cinema e teatro.


Mi ha colpito per la recensione perfetta e lo propongo su questo mio blog.


da http://cinetramando.blogspot.it


A inizio mese, a Bologna, in piazza Maggiore, cinema all'aperto, si proiettava questo film.


Dopo poco, la gente si alzava dalle poltrone e se ne andava.
Devo dire che ci sono rimasta male.


La fretta di questa società, sembra non permettere il centellinare una poesia,  una riflessione dal ritmo lento.
Occorrono violenza, risate sgangherate, tutto quello che non faccia pensare.


Ringrazio Loris e tutti coloro che leggeranno.


sabato 7 luglio 2012

Pugni chiusi e storie di un nostro passato vincente



Continuando ad aprire il proprio spazio alla produzione cinematografica autonoma ed offrendo supporto a quei film che si distinguono per la loro qualità artistica ed espressiva, il Valle Occupato  invita ad una altra serata del ciclo "Cinema Altro" con la proiezione straordinaria di "PUGNI CHIUSI".

Qui il Trailer: 



Aggiungo uno scritto di Ettore Zocaro.


A proposito del Teatro Valle

La sua è una storia che dovrebbe essere diffusa nelle scuole in quanto indicativa del valore dell’arte drammaturgica e delle sue infinite possibilità.

La nascita risale al secolo dei Lumi, precedendo, tra l’altro, di pochi anni la nascita dell’Argentina di Roma, del San Carlo di Napoli, della Scala di Milano e della Fenice di Venezia.

Roma nel Settecento viveva una vita teatrale molto intensa. Era il tempo di un autore come Metastasio, da cui non si poteva prescindere, era inoltre il tempo di Carlo Goldoni e Vittorio Alfieri.


Questo per dire che il teatro romano era nato sotto una buona stella, peraltro per appagare i desideri culturali dei viaggiatori stranieri che a quel tempo affollavano l’Urbe, a cominciare dal più illustre di tutti – Wolfgang Goethe.


Da quel momento fiorirono numerosi  luoghi scenici che si ponevano al fianco dei teatri privati dei nobili.


Il Valle concepito in un primo momento in legno, e soltanto successivamente edificato  come si presenta oggi, è il frutto di questo raffinato clima che segnò l’avvento del teatro italiano moderno.

Le prime scelte furono soprattutto opere musicali dei grandi compositori quali Cimarosa, Galluppi, Paisiello e Rossini.
La stagione della grande musica si ebbe tra gli ultimi anni del Settecento e i primi dell’Ottocento, dopodiché il Teatro si dedicò completamente alla prosa…

Teatro Valle

Straordinari i beniamini che entusiasmavano il pubblico, da Giacinta Pezzana a Tommaso Salvini, da Gustavo Modena a Ermete Novelli, da Sarah Berhnard a Eleonora Duse, da Ermete Zacconi a Gualtiero Tumiati.


Sarah-Bernhardt.


Una galleria di grosse prestazioni…


Eleonora Duse

Erano gli anni in cui si registrava molta gente a fare la fila al botteghino, in considerazione anche del fatto che la televisione non esisteva ancora.
...
Data storica per il Valle fu il 1921, con il debutto di “Sei Personaggi in cerca d’Autore” di Luigi Pirandello. 
Si trattò di una data storica in quanto diede una svolta al teatro italiano e mondiale.

Ricordando altri interpreti, ci si imbatte in un gruppo fornitissimo di attori impareggiabili in cui sono compresi fra gli altri, Tatiana Pavlova, Emma Gramatica, Elsa Merlini, Sergio Tofano, Paola Borboni e il prezioso Ettore Petrolini.


Si aggiunga la straordinaria rappresentazione dell’Old Vic di Londra con l’Amleto, protagonista Alec Guiness.


L’andamento generale di anno in anno è stato sempre a pieno ritmo, non tradendo mai le attese.


Da uno scritto di Ettore Zocaro su “Teatro contemporaneo e Cinema” – Anno IV n. 11- Gennaio 2012 - Pagine

mercoledì 1 febbraio 2012

La mia sola ambizione è servirti


Di Joseph Losey, regista americano nato il  14 gennaio del 1909 a La Crosse nel Wisconsin e morto a Londra il 22 giugno del 1984, conosco bene due film:
Messaggero d'amore e Il Servo.


Sul quotidiano La Stampa di oggi
è scritto fra l'altro quanto segue:


'A Torino la retrospettiva a cura di Emanuela Martini prevede i trentasette lungometraggi e i corti firmati da questo atipico autore (Joseph Losey)cresciuto nella stessa cittadina di un altro dei grandi del cinema Usa quale Nicholas Ray.


Laureatosi all’università di Harvard, giornalista per qualche anno al prestigioso "New York Times" e poi, a partire dagli anni Trenta, approdato nel mondo dello spettacolo prima come regista teatrale e poi cinematografico.
Il suo esordio sul grande schermo risale al 1948: "Il ragazzo dai capelli verdi", metafora in chiave fantastica della crescente intolleranza sociale che rappresentò l’inizio di un’intensa e ricca carriera, non priva di difficoltà. 


Complicazioni derivanti in particolare dal suo esilio: nel 1951 quando era in Italia per girare "Imbarco a mezzanotte", pellicola uscita al cinema con la firma Andrea Forzano, Losey venne infatti chiamato negli Stati Uniti a testimoniare di fronte al Comitato per le attività antiamericane della Camera dei Rappresentanti, il comitato incaricato di "sradicare" i comunisti dall'industria cinematografica. Egli non accolse l’"invito" e scelse di andare a vivere in Inghilterra.


L’impronta teatrale del cinema di Losey deriva dall’influenza che ebbe su di lui Bertolt Brecht, di cui trasferì sul palcoscenico un’acclamata versione di "Galileo" con Charles Laughton mattatore, e dalla collaborazione nata con Harold Pinter, a cui si deve la sceneggiatura di capolavori del cineasta americano come "Il servo", L’incidente" e la Palma d’oro al Festival di Cannes 1971 "Messaggero d’amore".'




sabato 3 dicembre 2011

Catturare la Luna

Le prime immagini fotografiche, o dagherrotipi, venivano sviluppate con vapori di mercurio, elemento alchemico per eccellenza, e stabilizzate con acqua salata calda.
Si ricavava in quel modo una superficie argentea in corrispondenza delle zone scure del soggetto e più opaca in quelle chiare; osservando la lastra in penombra, compariva un'immagine positiva con i lati invertiti, simile anche in questo particolare al riflesso degli specchi.



Queste prime emulsioni fotografiche avevano però una sensibilità molto bassa, perciò i pionieri degli "specchi congelanti" dapprincipio rivolsero i loro congegni verso il cielo, dove risplendono gli oggetti più brillanti, il Sole e la Luna.


Nel 1840 Daguerre, avventuroso pittore, scenografo ed inventore di trucchi ottici teatrali, ottenne il primo dagherrotipo della Luna.


Fare prigioniera la Luna con i vapori di mercurio, immobilizzarla in una superficie argentea, è stato il primo passo.


Esistevano già, a quei tempi, i mille teatri catottrici, le "lanterne magiche" che provocavano soprassalti di meraviglia fra il popolino come fra le dame più raffinate, il caravanserraglio di specchi in grado di sparare la luce su schermi giganteschi evocando coboldi, morgane e perfino le anime dei defunti, gli straordinari spettacoli di luci e colore, le "fantasmagorie", che giravano già nel Secolo dei Lumi per le piazze e le regge (incrociandosi a volte con altre meraviglie specchianti come l'anatra di ottone e il suonatore di flauto di Vaucanson, o il "Turco" scacchista del barone von Kempelen, esseri artificiali, duplicati della vita e dunque anch'essi parenti stretti degli specchi...).


In principio furono le lanterne magiche che già nel 1621 il gesuita Athanasius Kircher sembra avesse concepito...


Quando la fotografia si incontrò con i proiettori nacque il pre-cinema. Mille intelletti si diedero da fare con congegni meccanici sempre più vicini al loro sogno: dare movimento alle immagini. O meglio: congelare il movimento senza "bloccarlo".


Nasceva la magia più strabiliante: il cinema!


Da "Piccolo Inventario degli Specchi" di Alfonso Lentini - Stampa Alternativa.

venerdì 11 novembre 2011

Luc Besson

"Il cinema è l'opposto della politica: si sa che è finzione ma si può lo stesso raccontare la verità a partire da una storia che tutti sanno essere finta. 


La politica al contrario pretende di dire la verità, ma poi alla fine è tutto cinema"


(Luc Besson)

sabato 29 ottobre 2011

Il Principe delle Maree





"IL PRINCIPE DELLE MAREE.


Lettura in chiave Sophiartistica di Barbara Borelli.


Tanti anni fa, la visione di questo film mi sconvolse…
E’ per questo motivo che l’ho scelto come primo film di cui fare una lettura sophiartistica.
Ricordo ancora il profondo malessere che mi pervase durante la sua visione; da qui voglio partire, voglio entrare in contatto con quella sofferenza per poterla decodificare, la voglio accogliere per trasformarne il dolore.
Dopo l’odierna visione della pellicola, non mi è difficile capire i motivi del mio disagio di allora: io mi rispecchio fedelmente nel protagonista, fino ad oggi sono stata una perfetta Tom Wingo…
Il film comincia con la voce fuori campo di Tom che descrive la sua infanzia: “…Ci sono famiglie che vivono tutta la loro vita senza che capiti loro qualcosa di interessante, io ho sempre invidiato quelle famiglie…” e poi ancora: “…tutto questo è successo tanto tempo fa, prima che decidessi di non avere memoria…” e quelle particolari luci che avvolgono le sequenze dei ricordi, come se tutto emergesse dall’inconscio…
E’ la storia di una famiglia del Sud degli Stati Uniti, composta da tre figli, un padre violento ed una madre superficiale, ma soprattutto, è la storia di come un segreto possa pesantemente condizionare la vita delle persone.


Anch'io, come Tom Wingo, sono sempre stata molto brava a mantenere i segreti, anzi, vado oltre, li rimuovo proprio…come se non fossero successi… “mettiamoci una pietra sopra…” mi sono sentita consigliare da sempre…andiamo avanti…perchè è più semplice indossare la maschera del fare finta che tutto ciò non sia accaduto piuttosto che elaborare il proprio doloroso vissuto…


-E’ il modo del Sud, quando le cose diventano troppo dolorose, o le evitiamo o ci ridiamo su.
-E quando piangete secondo il modo del Sud?
-Noi non piangiamo!
E poi?...Come si potrà convivere tutta la vita con quegli invisibili mostri interiori che sono i nostri sensi di colpa?
Prima o poi dovrò affrontarli, prima o poi anch’io dovrò decidermi a fare quella corsa a perdifiato sulla spiaggia, incontro al buio, incontro a me stessa, come fa Tom prima di andare a New York, prima di cominciare a ricordare.


A New York Tom incontra la dr.ssa Lowenstein, che ha in cura la sorella Savannah dopo il suo ennesimo tentativo di suicidio. Il nostro protagonista, per amore della sorella, deve esserne la “memoria” aiutando così la dr.ssa a curarla. Il destino a volte gioca brutti scherzi, proprio lui, così bravo a rimuovere il dolore, per poter aiutare la sorella, è ora costretto a ricordare…
Tom ha imparato molto bene come nascondere il suo dolore, lo ha fatto per tutta la vita e non riesce quindi ad aprirsi alla dr.ssa Lowenstein.


I suoi complessi hanno mille tentacoli e lo immobilizzano. Anche il suo rapporto con la moglie Sallie risente di questa prigionia, perché non riuscendo a per/donarsi e a per/donare (in primis la madre) si rifiuta di donarsi, non riesce ad amare libera/mente se stesso e gli altri. Si dedica alla propria famiglia con tutte le sue forze, ma non è un amore sano, perché non è libero, è prigioniero dei propri sensi di colpa.


Il nostro inconscio erige corazze difensive tali, da non permettere neppure all’amore di scalfirle…e col passare del tempo, la corazza da difensiva diventa offensiva, perché ci rende statici, ci blocca nei confronti degli altri.


Tornato a casa per il compleanno della figlia minore, la moglie gli comunica che intende lasciarlo. E’ sconvolto, il suo mondo gli sta crollando addosso, è il momento di trovare il coraggio di affrontare il proprio dolore, è il momento di scegliere fra la Verità e la menzogna, fra l’Amore e l’odio. E’ giunto il momento di aprirsi al proprio Sé, rappresentato dalla dr.ssa Lowenstein, e dirle il gran segreto.
Tom racconta di una violenza subita da bambino insieme alla madre e alla sorella da parte di 3 evasi dal carcere e di come la madre Lila avesse ordinato ai figli di tenere segreto l’episodio ricattandoli.
-Se avessimo aperto bocca avrebbe smesso di essere nostra madre… ci ha detto che presto sarebbe stato giorno e che tutto sarebbe sembrato meglio alla luce del sole, poi mio padre è venuto a casa per la cena, ci siamo seduti a tavola ed abbiamo mangiato come se non fosse successo niente
e le immagini agghiaccianti di quella ‘normale’ silenziosa cena di famiglia, con tutte le vittime imbavagliate attorno al tavolo della vergogna, prigionieri del loro ‘modo del Sud, incatenati dai mille tentacoli dei sensi di colpa, e Savannah che si era messa il vestito alla rovescia e che 3 giorni più tardi cercò di uccidersi…lei poteva stare zitta, ma non sapeva mentire,
- Perché io credo che il silenzio fosse peggio della violenza carnale.


Aprendosi alla dr.ssa, confidandole il segreto, Tom fa emergere la Verità, quella Verità che lo libera dai ricordi che lo perseguitano.
Anch’io, ad un certo punto della mia vita, ho dovuto affrontare, come un eroe, i miei traumi infantili a spada tratta; è forse per questo motivo che mi piace tanto la mitologia greca, perché bisogna essere degli eroi per affrontare il drago che è dentro di noi, vincerlo e liberarsene.


Ora sì che possiamo dire di essere liberi, quella libertà che non deriva dal denaro o dal possesso delle cose materiali. Siamo liberi di quella libertà derivante dall’aver affrontato, vincendolo il nostro invisibile mostro interiore.


E’ questa la sintesi degli opposti, è così che si trasforma il dolore in energia creando nuova Bellezza. Lì per lì è come… un salto nel buio, sembra di doversi buttare dalla rupe di Sparta, ci vuole coraggio per affrontare la Verità, ci vuole coraggio per… accettarsi, ma bisogna essere fiduciosi, confidare che il proprio Sé ci indichi la strada.


Finalmente il nostro novello Ulisse, ormai saggio e libero dalla prigione dell’io, ritorna alla sua Itaca, ritrovando l’amore della moglie Penelope che lo ha aspettato. Durante il suo viaggio ha imparato ad amare se stesso e gli altri nella libertà ed ha abbandonato il progetto vendicativo comprendendo le imperfezioni dei genitori: è riuscito ad uccidere i Proci che albergavano nel suo cuore.
“…per la prima volta ho sentito di poter dare io qualcosa alle donne della mia vita, lo meritavano. Così sono tornato alla mia casa del Sud, ed è in presenza di mia moglie e delle mie figlie che io riconosco la mia vita: il mio destino. (…) 


A New York avevo imparato che dovevo amare mia madre e mio padre con tutta la loro imperfetta vergognosa umanità e che in una famiglia non esistono crimini che non possono essere perdonati, ma è il mistero della vita che ora mi sostiene e guardo verso il Nord e vorrei tanto che ci fossero due vite concesse a tutti gli uomini e tutte le donne…”


... e scorrono le immagini del trionfo della Bellezza: Tom, Sallie e le figlie abbracciati sulla spiaggia nella circolarità dell’amore.


Da parte mia, sarò più sintetica del nostro protagonista: penso che ogni persona, a qualunque età, sia sempre in tempo, se lo vuole, a trascorrere un’infanzia felice…


Barbara Borelli su Microcosmo

domenica 15 maggio 2011

The Kid e il Grande Dittatore (a proposito di Charlie Chaplin)

"Solo i bambini possono essere felici, e oltretutto, non per molto" dice l'eroina di Gor'kij, la saggia Vassa Zeleznova.
Non per molto, perché il severo "E' proibito" degli educatori e delle regole di comportamento future, inizia a segnare con la sua impronta negativa i desideri sfrenati della prima infanzia.

Chi non saprà sottomettersi abbastanza presto a queste costrizioni e non saprà metterle al proprio servizio: chi, diventato adulto, continuerà a rimanere bambino, si troverà sempre e ovunque in una situazione ridicola, provocando riso e sarcasmo.
.....
Il dramma del "piccolo uomo" nelle condizioni di vita della società contemporanea.
Quale che sia la lettura che lo stesso Chaplin fa del suo proprio finale, è chiaro che, per il "piccolo uomo" nella società contemporanea, non c'è nessun posto in cui andare.
Così come è impossibile per il bambino rimanere indefinitamente tale.

Mentre i tempi nuovi del fascismo vengono a sostituire i Tempi moderni di Chaplin, si constata nell'opera di quest'ultimo un notevole mutamento.
Ed è evidentemente proprio lui, Chaplin, che doveva creare il Dittatore.
Egli non poteva non immortalare questa figura delirante che si era messa alla testa di uno Stato cieco e di un paese che aveva perduto la testa.

Prima Chaplin recitava sempre il ruolo di coloro che soffrono; interpretava solo il barbiere del ghetto, che è il suo secondo ruolo nel Grande Dittatore. Qui, interpreta entrambi i ruoli. Sono i due poli estremi dell'infantilismo: il vincitore e il vinto.
... In questo film, Chaplin parla per la prima volta con la sua vera voce.
Perché per la prima volta, non è lui a dipendere dal suo metodo e dal suo sguardo, sono il metodo e la volontà di essere testimone a carico a trovarsi tra le sue mani di adulto.

E questo perché qui, risuona per la prima volta fino in fondo, distintamente, la voce del coraggio, la voce intelligibile di un cittadino non solo adulto, ma di un Grande Uomo, con la maiuscola.

In una intervista su Tempi moderni, Chaplin aveva detto:

mercoledì 13 aprile 2011

La Fabbrica dell'Obbedienza

Italiani, per favore, non urlate così. Ma è mai possibile che chi entra in un ristorante debba uscirne un'ora dopo con la testa sul punto di scoppiare? Tutti che raccontano i propri guai: prima della pastasciutta, tra la pastasciutta e il rollè di vitello, in attesa della mousse, prima del caffè, dopo il caffè, un impasto greve e quasi gelatinoso di vapori e parole pronunciate sempre a voce altissima, un po' fissando il proprio commensale, un po' la signora del tavolo accanto, in modo da essere sicuri che abbia sentito anche lei, che sia d'accordo con noi, anzi piena d'ammirazione per noi. Si direbbe che l'italiano sia spinto dal bisogno non di comunicare con il proprio simile, ma di trasmettere messaggi all'universo mondo: che cosa è mai la vita senza una grande platea?
Pagina 85

In conclusione, sono circa cinque secoli che la Chiesa lavora senza sosta sulla coscienza degli italiani, ne modella il carattere, lo condiziona, l'orienta, lo domina. Cinque secoli! Uno e mezzo dei quali - anno più anno meno - spesi a seminare terrore, ad accendere roghi, a operare ricatti, a umiliare senza pietà.

sabato 4 aprile 2009

Giorni e nuvole


Proseguo l'argomento proposto su "Volevo solo lavorare", ricordando il film di Soldini "Giorni e Nuvole", più che mai attuale.

Silvio Soldini presentò questo suo film alla conferenza stampa con le seguenti parole:

"Era da un po' che volevo fare un film legato alla realtà, a questo momento storico. Avevo voglia di fare un film piccolo - che si concentrasse su due personaggi principali e li seguisse da vicino"


Elsa e Michele (Margherita Boy e Antonio Albanese) sono una coppia alto-borghese, colta e benestante, con vent'anni di matrimonio alle spalle e una figlia di nome Alice.

La loro serenità anche economica ha permesso a Elsa di lasciare il lavoro e coronare un antico sogno: laurearsi in storia dell'arte.
Ma, improvvisamente, la loro vita cambia: Michele le confessa di avere perso il lavoro.

Da quel momento in poi, comincia un lento ma inesorabile declino, che il regista scarnifica scena dopo scena, non lasciando allo spettatore, la speranza che le cose possano aggiustarsi.

"Abbiamo elaborato una storia inserita nella situazione socio-economica di oggi, partendo da una sensazione di insicurezza che tutti percepivamo come qualcosa di nuovo, di preoccupante" dice il regista, aggiungendo che il tratto centrale del film è lo stupore che i personaggi provano dinnanzi all'inatteso crollo della loro vita, così come delle loro certezze.

Così con Elsa e Michele, anche lo spettatore viene trascinato da Soldini in questo gorgo progressivo di disperazione e di angoscia, sottolineato anche dall'uso a mano della macchina da presa.

"La macchina a mano, il fatto di seguire gli attori da dietro, l'uso del piano sequenza, tutto questo era per dare la sensazione di essere lì, insieme ai personaggi, mentre le cose stanno avvenendo", afferma il regista.

(da Reuters del 22 ottobre 2007)

mercoledì 4 marzo 2009

GLI ANNI CINQUANTA: America e maccartismo



Gli anni Cinquanta portarono a maturazione tutto quello che nel decennio precedente era stato seminato:
il maccartismo, la televisione, la Guerra Fredda.

Nel 1950 le sale cinematografiche videro calare il pubblico del 20%.

Come del resto la società del periodo, anche il cinema si presenta in termini schizofrenici, contraddittori.

Un tema classico del cinema americano è quello della famiglia: da un lato abbiamo deliziose pellicole piene di brio descrittivo che celebrano l'istituzione in termini di elegante e divertente leggerezza, come per esempio "Il padre della sposa" di Vincente Minelli, ma dall'altra questi sono gli anni dei "ribelli senza causa", dei James Dean, e dei Marlon Brando.

Dei due fu il primo in particolare a incarnare la ribellione alla famiglia in pellicole come "Gioventù bruciata" di Nicholas Ray e "La valle dell'Eden" di Elia Kazan.

Diverso il caso di Marlon Brando, la cui inquietudine sembrava incarnare una protesta generazionale che già stava prendendo strade meno dirompenti - ma pur sempre i grande effetto - con l'esplosione del rock & roll.


Fu comunque questo il periodo di quel fenomeno di isteria collettiva patrocinato dal senatore McCarthy che va sotto il nome di "caccia alle streghe".

E il cinema, mezzo di massa per eccellenza, venne sottoposto ad un setaccio ideologico radicale con le famigerate "liste nere" dei cineasti che si supponevano compromessi con la sinistra.


Allontanati uomini di grande rigore morale, la comunità rispose con l'attività di prestanomi che firmarono il lavoro di colleghi ingiustamente licenziati per permettere loro di guadagnarsi da vivere.

Vennero organizzate marce in difesa dei "dieci" di Holliwood e della libertà di pensiero, alcuni (Kazan, Dmytryk) testimoniarono contro i colleghi per semplice paura di perdere il posto.

E l'America si rese conto di essere molto diversa da quel che pensava.


Questo post è una trascrizione delle pagine 101 e 102 del libro "Introduzione al cinema di Hollywood" ed. Mondadori - scritto da Franco La Polla, uno dei principali studiosi italiani del cinema hollywoodiano, professore al Dams di Bologna, mancato il 27 febbraio scorso.


Cinema americano anni '50


Nella vasta e articolata produzione hollywoodiana che sta tra la fine della seconda guerra mondiale e il 1960, emerge un un nuovo impegno politico in senso lato, comune a registri e sceneggiatori, che iniziano ad affrontare esplicitamente con la loro opera temi quali la giustizia, l'antisemitismo, il razzismo, riflettendo le inquietudini sociali e ideologiche che attraversano la società americana di quegli anni.

Si tratta di un tentativo di rinnovamento ideologico e narrativo del cinema hollywoodiano dal suo interno, riflettendo la crisi di una società, ma anche la fine di quell'orizzonte produttivo cinematografico americano che poteva essere definito come "fabbrica dei sogni".


Di origine turca, Elia Kazan, giunge al cinema dopo una significativa attività teatrale con il Group Theatre, che risulterà determinante anche per la concezione drammaturgica alla base del suo cinema, sia nel trattamento della scena, sia nella direzione degli attori.

Le prime opere cinematografiche, tra cui "Un albero cresce a Brooklin" del 1945 e "Pinky, la negra bianca" del 1949 riflettono la necessità di affrontare tematiche sociali.

Kazan comincia una specie di autobiografia indiretta, in cui emorgono eroi negativi, fortemente critici nel loro tentativo di confrontarsi con le strutture sociali.

Coinvolto nella "caccia alle streghe" a Hollywood nel 1952, Kazan fu tra coloro che scelsero la delazione.

Le proprie contraddizioni, il disagio morale ed intellettuale che ne derivavano e che permeavano in generale la società, si riflettono del resto fortemente nelle sue opere degli anni Cinquanta, in una analisi approfondita e complessa della crisi americana.

  • Un tram che si chiama desiderio da Teneessee Williams:
  • Fronte del porto, dramma giovanile sullo sfondo di lotte sindacali;
  • La valle dell'Eden - da Steinbeck - dramma generazionale nella provincia americana sullo sfondo della prima guerra mondiale;
  • Splendore dell'erba.

Al mondo del cinema è dedicato Gli ultimi fuochi (1976) sceneggiato da Harold Pinter, dall'omonimo romanzo di Francis Scott Fitzgerald, in cui, attraverso la denuncia della brutalità della macchina hollywoodiana, si afferma l'impossibilità di essere se stessi.

martedì 3 marzo 2009

Eizenstein scrive su Walt Disney

Eizenstein nacque a Riga in Russia nel 1898. E' stato un grande registra cinematografico e uno dei grandi teorici del film.

A 26 anni girò La corazzata Potemkin, la storia di un ammutinamento avvenuto nel 1905 su una nave da guerra.
Quest'opera esercitò una grande influenza sul realismo cinematografico ed è considerata fra i più bei film della storia del cinema.

La fama di Eizenstein crebbe con Ottobre, girato nel 1927-28 e La linea generale

Andò a Hollywood, ma lì i suoi lavori furono respinti.

Conobbe Walt Disney.
Le parole che seguono qui, sono prese da un libro, pubblicato da SE nel 2004 scritto da Eizenstein con il titolo "Walt Disney"

Comincia così:

"Alma-Ata, 16/11/1941

L'opera di questo maestro è un apporto immenso degli americani alla cultura del mondo.


Giovane, con un paio di baffetti. Molto elegante. Direi una eleganza da damerino. Una somiglianza irresistibile con il suo eroe. In Topolino si ritrova la stessa raffinatezza, l'eleganza, una certa libertà del gesto. Non c'è da stupirsi!

Sembra sia il metodo a richiederlo. Lo stesso Disney recita "la parte", "il ruolo" di Topolino per questo o quel film.

Intorno a lui una decina o forse più, di disegnatori colgono al volo gli sketc comici del loro capo, mentre posa e recita.

E così questi disegni preparatori, infinitamente vivi, pieni di vitalità e in grado di comunicare attraverso l'enfatizzazione del tratto per il solo fatto di essere stati copiati da un uomo in carne ed ossa ... eccoli pronti per un film d'animazione.


Anche il cane Pluto, compagno turbolento del raffinato Topolino, non a caso è così pieno di vitalità: suo modello è un cugino di Walt, da cui si distingue per un modo di fare piuttosto maldestro, rozzo e goffo.

..... Il modesto studio di Disney, talmente lontano, in quegli anni, dal centro città hollywoodiano, dalla sua animazione e dalle sue complicazioni!

La modestia della sistemazione stupisce, se confrontata alla portata colossale della produzione: cinquantadue Topolino Silly Symphonies (tra le quali bisogna includere la Danza Macabra, di inimitabile comicità, con gli scheletri che suonano lo xilofono sulle proprie costole!) ...

Meraviglia anche che la sonorizzazione si effettui a New York, dove vengono spedite le partiture precisissime di musiche definite con esattezza in rapporto ai filmati dei disegni.

.... Sembra che quest'uomo non conosca solo la magia di ogni mezzo tecnico, ma sappia agire anche sulle corde più segrete dei pensieri, delle immagini mentali e dei sentimenti umani.

Egli crea in una zona dell'intimo più profondo e primitivo.

Là dove tutti siamo figli della natura. Crea a livello di rappresentazione dell'uomo non ancora incatenato dalla logica, dalla ragione, dalla esperienza.

E' così che le farfalle creano il loro volo, che i fiori crescono, che i ruscelli si stupiscono essi stessi del loro corso ..."


(Sergej Michallovic Eizenstein - Walt Disney - Edizioni SE)

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