E' un blog che nasce dal desiderio di descrivere la Natura nei suoi aspetti stagionali, anche con riferimento ai miti. Si è allargato poi a riflessioni sulla società e sull'individuo, passati e attuali. Non mancano poesie d\'autore e qualche pagina tratta da libri
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mercoledì 11 dicembre 2013
mercoledì 9 gennaio 2013
E ho voglia di dormire
| Orologio astronomico di Praga |
"Non so cos'è il tempo. Non so quale è la sua vera misura, ammesso che ne abbia una. So che la misura dell'orologio è falsa: divide il tempo in modo spaziale, dal di fuori.
Quella delle emozioni è falsa anch'essa, lo so: non divide il tempo, ma la sensazione di esso.
La misura dei sogni è sbagliata; li sfioriamo col tempo, a volte lungamente, altre volte in fretta, e ciò che viviamo è frettoloso o lento secondo un decorso di cui ignoro la natura.
A volte ho l'impressione che tutto sia falso, e che il tempo non sia altro che una cornice per inquadrare ciò che gli è estraneo. Quando ripenso al mio passato, i tempi sono disposti in livelli e piani assurdi, e io, in un certo giorno del mio solenne quindicesimo anno d'età, sono più giovane di quando ero bambino seduto fra i giocattoli.
La coscienza mi si confonde se penso a queste cose. So che c'è un errore, ma non so dove. E' come se assistessi a un numero di illusionismo durante il quale so di essere ingannato, ma non capisco la tecnica e la meccanica dell'inganno.
E mi vengono pensieri assurdi che tuttavia non riesco a considerare totalmente assurdi.
Mi domando se un uomo che medita lentamente dentro un'automobile che corre in fretta, mi domando se costui sta andando in fretta o lentamente. Mi domando se è uguale l'identica velocità con cui cadono in mare il suicida e colui che ha perso l'equilibrio sulla litoranea. Mi domando se saranno veramente sincronici i movimenti (che occupano lo stesso tempo) di fumare una sigaretta, di scrivere questo testo e di pensare in modo impreciso.
Ma cosa è mai questo che ci misura senza misura e ci uccide senza essere? Ed è in questi momenti in cui non so nemmeno se il tempo esiste, che lo sento come se fosse una persona, e ho voglia di dormire".
(Fernando Pessoa)
Titolo: Il libro dell'inquietudine
Autore: Fernando Pessoa
Editore: Feltrinelli - Traduzione dal portoghese di Maria Josè De Lancastre e Antonio Tabucchi.
domenica 15 aprile 2012
Domenica d'aprile
E' domenica. Una domenica d'aprile che non sa di primavera.
Una volta, la domenica, mio padre usciva a comprare i giornali, mia madre faceva i lavori di casa - quei lavori che non poteva fare durante la settimana, perché al lavoro. Preparava il mangiare, il famoso per me "arrosto della domenica" con patate al forno.
Prima ancora si cambiavano le lenzuola e tutto aveva un sentore di pulito e di... arrosto.
In questo quadretto domenicale non riesco a vedere cosa facessi io.
Forse aiutavo mia madre.
Ripropongo solo un paio di frasi che mi risuonano dentro, ogni volta che mi ci imbatto:
"Se non fosse per i ricordi, il tempo non significherebbe nulla.
Eppure eccoci insieme seduti dove la luce del tramonto è più bella, e l'ultimo raggio di sole è il più bello di tutti.
Era lì che ci riunivamo per dare l'addio a quei giorni abbronzati e scottati, che coloravano il fiume nella tenerezza del suo insonne sfuggire"
Pat Conroy - "Beach Music - Bompiani, pag. 172.
"Quando si parla di tempo non ci si riferisce, ovviamente, al tempo dell´orologio ma al tempo soggettivo, al tempo vissuto: il tempo interiore della speranza è il futuro come quello della attesa, il tempo interiore della nostalgia e della tristezza è il passato, benché con incrinature diverse, il tempo della gioia è il presente così friabile e così inafferrabile, il tempo dell´ira è il presente dilatato, e deformato, in slanci di aggressività, il tempo dell´ansia è il futuro: un futuro che si rivive come già realizzato nelle ombre dolorose di una morte vissuta come imminente".
Da Le emozioni ferite di Eugenio Borgna - Ed. Feltrinelli
Una volta, la domenica, mio padre usciva a comprare i giornali, mia madre faceva i lavori di casa - quei lavori che non poteva fare durante la settimana, perché al lavoro. Preparava il mangiare, il famoso per me "arrosto della domenica" con patate al forno.
Prima ancora si cambiavano le lenzuola e tutto aveva un sentore di pulito e di... arrosto.
In questo quadretto domenicale non riesco a vedere cosa facessi io.
Forse aiutavo mia madre.
Ripropongo solo un paio di frasi che mi risuonano dentro, ogni volta che mi ci imbatto:
"Se non fosse per i ricordi, il tempo non significherebbe nulla.
Eppure eccoci insieme seduti dove la luce del tramonto è più bella, e l'ultimo raggio di sole è il più bello di tutti.
Era lì che ci riunivamo per dare l'addio a quei giorni abbronzati e scottati, che coloravano il fiume nella tenerezza del suo insonne sfuggire"
Pat Conroy - "Beach Music - Bompiani, pag. 172.
"Quando si parla di tempo non ci si riferisce, ovviamente, al tempo dell´orologio ma al tempo soggettivo, al tempo vissuto: il tempo interiore della speranza è il futuro come quello della attesa, il tempo interiore della nostalgia e della tristezza è il passato, benché con incrinature diverse, il tempo della gioia è il presente così friabile e così inafferrabile, il tempo dell´ira è il presente dilatato, e deformato, in slanci di aggressività, il tempo dell´ansia è il futuro: un futuro che si rivive come già realizzato nelle ombre dolorose di una morte vissuta come imminente".
Da Le emozioni ferite di Eugenio Borgna - Ed. Feltrinelli
mercoledì 11 aprile 2012
Il non-tempo e l'adesso
"La lettura potrebbe essere l'ultimo
comportamento privato che non sia patologico né perseguibile.
È di certo
l'ultimo rifugio dall'epidemia del tempo reale. Perché la corrente della
narrativa esonda dagli argini del reale.
Il racconto denuda il lettore,
tenendolo in un luogo che il tempo non può raggiungere.
Il potere di un libro
sta nella sua capacità di cancellarci, di espandersi o contrarsi senza limite,
di girarsi intorno senza inizio né fine, di sfidare i nostri orari immaginari e
lasciarci spogli per concederci scatti più essenziali.
Le pagine che leggiamo
sono un non-tempo, e scorrono molto lontano dalla pubblica arena. Fin tanto che
rimaniamo lì, l'adesso si rivela la più audace delle invenzioni."
Richard Powers, "The Paris Review,
Il Libro per Aerei, Treni, Ascensori e Sale d'Attesa", Fandango, Roma,
2012
martedì 3 aprile 2012
Martedì piovoso e ... proustiano
Stamattina pioviggina, non una vera pioggia, ma una pioggerellina quasi invisibile non fosse per l'asfalto lucido e le siepi come più verdi ...
Siamo nella settimana di Pasqua e a me la Pasqua, più del Natale, mi riporta ricordi piacevoli dell'infanzia.
Ovviamente mi sento un po' "proustiana ..."
Sorvolavo rapidamente su tutto questo, imperiosamente sollecitato com'ero, a cercare la causa di quella felicità, del carattere di certezza con cui si imponeva, ricerca un tempo rinviata.
Ora, quella causa, la presagivo paragonando tra loro quelle diverse impressioni beate e che avevano questo in comune: che avvertivo il rumore del cucchiaio sul piatto, la disuguaglianza del lastricato, il sapore della madeleine nell'attimo presente e al tempo stesso in un istante lontano, al punto di far sconfinare il passato sul presente, di esitare non sapendo in quale dei due mi trovassi; a dire il vero, l'essere che allora assaporava in me quell'impressione, la assaporava in ciò che essa aveva di comune in un giorno remoto e nel presente, in ciò che aveva di extratemporale, un essere che appariva solo quando, per una di quelle identità tra il presente e il passato, poteva trovarsi nell'unico ambiente in cui potesse vivere, gioire dell'essenza delle cose, vale a dire al di fuori del tempo.
Ciò spiegava perché le mie inquietudini a proposito della mia morte fossero cessare nel momento in cui avevo riconosciuto inconsapevolmente il sapore della piccola madeleine, poiché, in quel momento, l'essere che ero stato, era un essere extratemporale, e dunque incurante delle vicissitudini dell'avvenire.
Viveva della sola essenza delle cose, e non poteva coglierla nel presente dove, non entrando in gioco l'immaginazione, i sensi erano incapaci di fornirgliela; lo stesso avvenire verso cui tende l'azione la abbandona a noi.
Quell'essere non era mai venuto a me, non si era mai manifestato se non al di fuori dell'azione, del godimento immediato, ogni volta che il miracolo di un'analogia mi aveva consentito di sfuggire al presente.
Lui solo aveva il potere di farmi ritrovare i giorni passati, il tempo perduto, dinanzi al quale gli sforzi della mia memoria e della mia intelligenza si arenavano sempre.
Marcel Proust, La Recherche. Einaudi, 1950.
mercoledì 22 febbraio 2012
Ancora a proposito del Tempo
Da una pagina letta di recente su un libro di Penelope Lively:
"Non è il fatto di invecchiare, nè le passioni che si smorzano..."
Ma l'età e invecchiare producono un'enorme confusione, rifletteva Stella. Una situazione anarchica, un mondo alla Lewis Carroll in cui, come Alice, non hai la minima idea di dove sei nè di chi sei.
(...)
La realtà è misteriosamente affine all'infanzia, che è un continuo presente. Si scivola da un giorno nell'altro, ma ci si porta appresso un carico di riferimenti che ci fa volare in ogni direzione, liberi nel tempo e nello spazio, allora e altrove e contemporaneamente ora e qui ..."
Appunti per uno studio del cuore umano di Penelope Lively - ed. Guanda.
E cosa ne pensa Charlies Schulz
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lunedì 2 gennaio 2012
Passato ... remoto?
A proposito di frammenti (v. mio post precedente) ho trovato qui
un pezzo, a mio avviso, storicamente e socialmente interessante e lo ripropongo integralmente.
"Lo spazio pubblicitario che ha chiuso i battenti nella primavera del '77 per fare spazio ad altre ben più aggressive forme di pubblicità, è stato per molti bambini della generazione degli anni '60 lo spartiacque fra la giornata dei doveri e dei compiti e il momento dello svago e dei sogni ad occhi aperti.
La ragione è semplice: quel breve programma era rappresentato dalla messa in onda di cinque comunicati pubblicitari (non esisteva ancora la parola spot) preceduti da brevissimi telefilm, per lo più costituti da cartoni animati (o da veri e propri pupazzi parlanti).
Insomma, tutto ciò che può fare la gioia di un bambino. Salvo il fatto che, poi, quello stesso bambino era costretto ad andare a letto, motivo per cui il programma rappresentò per molti, in verità, una sorta di spartiacque bifronte. Non a caso, anche nel linguaggio comune prese piede la frase: "Ti mando a letto dopo il Carosello", espressione di innocua e simpatica minaccia nei confronti dei piccoli telespettatori.
Nato il 3 febbraio 1957 (con un ritardo di un mese e due giorni sulla data annunciata in precedenza, il 1° gennaio 1957), il programma era il frutto di un compromesso tra le dirigenze della RAI ed i rappresentanti delle maggiori imprese industriali che vedevano nel mezzo televisivo enormi potenzialità commerciali. La RAI impose allora alle aziende di produrre pubblicità sotto forma di spettacolini o di scenette. Tale scelta era dettata anche dal fatto che si volevano evitare il più possibile le critiche di coloro che pagavano il canone e che non apprezzavano la pubblicità in televisione. La produzione di questi mini-film fu demandata nientemeno che all'industria cinematografica nazionale, il che garantì standard qualitativi ed inventivi indubbiamente alti. Ogni spot doveva ad ogni buon conto rispettare regole molto rigide.
Anzitutto, bisogna considerare che ogni spot aveva il tassativo limite temporale di 1 minuto e 45 secondi dei quali solo 20-30 potevano essere dedicati alla menzione del prodotto, il nome del quale non poteva essere ripetuto più di tre volte; la scenetta, inoltre, doveva essere separata nettamente dal codino pubblicitario finale, cosa oggi davvero impensabile. Un ciclo pubblicitario era costituito poi di quattro (ma successivamente anche di sei) spot che erano trasmessi a distanza di dieci giorni l'uno dall'altro. Naturalmente, un controllo molto severo era esercitato anche sui contenuti.
Non dovevano esserci riferimenti espliciti o impliciti o incoraggiamenti all'amoralità, al sesso, alla violenza, al vizio, alla disonestà. Una curiosità, anch'essa per noi ormai inconcepibile, consiste nel fatto che fossero esclusi gli spot sulla biancheria intima e nel fatto che vi fosse l'esplicito divieto di nominare parole considerate di cattivo gusto come "forfora", "sudore", "depilazione", e così via. Naturalmente la struttura narrativa non poteva prescindere dall'happy end di prammatica e dall'esaltazione della modernità vista solo in chiave di progresso benefico e continuo.
Spazio pubblicitario rigorosamente separato dal resto dei programmi, nel piccolo contenitore del Carosello sono comunque nate piccole storie che, nell'arco di qualche minuto, tenevano gli utenti inchiodati al video, tramite il sapiente uso di tutti i linguaggi disponibili nella comunicazione video: dallo sceneggiato al disegno animato, al balletto, al mimo, al gioco plastico, alla conferenza stampa, alla musica lirica, al coretto di montagna: il tutto con l'unica finalità di comunicare il famoso "messaggio commerciale" ed incentivare la propensione ai consumi, in un'Italia ancora in piena ubriacatura di Boom economico.
Non bisogna inoltre dimenticare che Carosello è stato una palestra per molti dei futuri grandi nomi dello spettacolo o della regia, uno spazio in cui essi potevano sperimentare le proprie doti a costi accessibili e senza incappare in produzioni ciclopiche e intimidenti.
Di fatto, poi, la trasmissione aveva un così alto gradimento di pubblico (con la nascita di quelli che potremmo definire i primi "tormentoni", rappresentati da neologismi o frasi inventate dai pubblicitari), che famosi attori non disdegnarono di partecipare a queste scenette. Fra i registi che compaiono in un ideale albo d'oro di Carosello, si possono dunque scorrere nomi come quelli dei sofisticati fratelli Taviani ed Ermanno Olmi, mentre fra gli attori è sicuramente da ricordare la partecipazione del grande Eduardo De Filippo e del futuro premio Nobel Dario Fo.
Altra caratteristiche fondamentale che contribuì alla fenomenale riuscita e popolarità di Carosello, furono le sue memorabili sigle, improntate all'allegria e al buonumore. L'unico cambio, in questo senso, avvenne verso la metà degli anni '60, e precisamente nel '63. La vecchia sigla ideata da Luciano Emmer, musicata da Raffaele Gervasio e sceneggiata da Nietta Vespignani fu cambiata con una nuova sigla disegnata da Manfredo Manfredi, i cui quadri a tempera raffiguravano le piazze delle città di Venezia, Siena, Napoli e Roma."
Da Biografieonline
un pezzo, a mio avviso, storicamente e socialmente interessante e lo ripropongo integralmente.
"Lo spazio pubblicitario che ha chiuso i battenti nella primavera del '77 per fare spazio ad altre ben più aggressive forme di pubblicità, è stato per molti bambini della generazione degli anni '60 lo spartiacque fra la giornata dei doveri e dei compiti e il momento dello svago e dei sogni ad occhi aperti.
La ragione è semplice: quel breve programma era rappresentato dalla messa in onda di cinque comunicati pubblicitari (non esisteva ancora la parola spot) preceduti da brevissimi telefilm, per lo più costituti da cartoni animati (o da veri e propri pupazzi parlanti).
Insomma, tutto ciò che può fare la gioia di un bambino. Salvo il fatto che, poi, quello stesso bambino era costretto ad andare a letto, motivo per cui il programma rappresentò per molti, in verità, una sorta di spartiacque bifronte. Non a caso, anche nel linguaggio comune prese piede la frase: "Ti mando a letto dopo il Carosello", espressione di innocua e simpatica minaccia nei confronti dei piccoli telespettatori.
Nato il 3 febbraio 1957 (con un ritardo di un mese e due giorni sulla data annunciata in precedenza, il 1° gennaio 1957), il programma era il frutto di un compromesso tra le dirigenze della RAI ed i rappresentanti delle maggiori imprese industriali che vedevano nel mezzo televisivo enormi potenzialità commerciali. La RAI impose allora alle aziende di produrre pubblicità sotto forma di spettacolini o di scenette. Tale scelta era dettata anche dal fatto che si volevano evitare il più possibile le critiche di coloro che pagavano il canone e che non apprezzavano la pubblicità in televisione. La produzione di questi mini-film fu demandata nientemeno che all'industria cinematografica nazionale, il che garantì standard qualitativi ed inventivi indubbiamente alti. Ogni spot doveva ad ogni buon conto rispettare regole molto rigide.
Anzitutto, bisogna considerare che ogni spot aveva il tassativo limite temporale di 1 minuto e 45 secondi dei quali solo 20-30 potevano essere dedicati alla menzione del prodotto, il nome del quale non poteva essere ripetuto più di tre volte; la scenetta, inoltre, doveva essere separata nettamente dal codino pubblicitario finale, cosa oggi davvero impensabile. Un ciclo pubblicitario era costituito poi di quattro (ma successivamente anche di sei) spot che erano trasmessi a distanza di dieci giorni l'uno dall'altro. Naturalmente, un controllo molto severo era esercitato anche sui contenuti.
Non dovevano esserci riferimenti espliciti o impliciti o incoraggiamenti all'amoralità, al sesso, alla violenza, al vizio, alla disonestà. Una curiosità, anch'essa per noi ormai inconcepibile, consiste nel fatto che fossero esclusi gli spot sulla biancheria intima e nel fatto che vi fosse l'esplicito divieto di nominare parole considerate di cattivo gusto come "forfora", "sudore", "depilazione", e così via. Naturalmente la struttura narrativa non poteva prescindere dall'happy end di prammatica e dall'esaltazione della modernità vista solo in chiave di progresso benefico e continuo.
Spazio pubblicitario rigorosamente separato dal resto dei programmi, nel piccolo contenitore del Carosello sono comunque nate piccole storie che, nell'arco di qualche minuto, tenevano gli utenti inchiodati al video, tramite il sapiente uso di tutti i linguaggi disponibili nella comunicazione video: dallo sceneggiato al disegno animato, al balletto, al mimo, al gioco plastico, alla conferenza stampa, alla musica lirica, al coretto di montagna: il tutto con l'unica finalità di comunicare il famoso "messaggio commerciale" ed incentivare la propensione ai consumi, in un'Italia ancora in piena ubriacatura di Boom economico.
Non bisogna inoltre dimenticare che Carosello è stato una palestra per molti dei futuri grandi nomi dello spettacolo o della regia, uno spazio in cui essi potevano sperimentare le proprie doti a costi accessibili e senza incappare in produzioni ciclopiche e intimidenti.
Di fatto, poi, la trasmissione aveva un così alto gradimento di pubblico (con la nascita di quelli che potremmo definire i primi "tormentoni", rappresentati da neologismi o frasi inventate dai pubblicitari), che famosi attori non disdegnarono di partecipare a queste scenette. Fra i registi che compaiono in un ideale albo d'oro di Carosello, si possono dunque scorrere nomi come quelli dei sofisticati fratelli Taviani ed Ermanno Olmi, mentre fra gli attori è sicuramente da ricordare la partecipazione del grande Eduardo De Filippo e del futuro premio Nobel Dario Fo.
Altra caratteristiche fondamentale che contribuì alla fenomenale riuscita e popolarità di Carosello, furono le sue memorabili sigle, improntate all'allegria e al buonumore. L'unico cambio, in questo senso, avvenne verso la metà degli anni '60, e precisamente nel '63. La vecchia sigla ideata da Luciano Emmer, musicata da Raffaele Gervasio e sceneggiata da Nietta Vespignani fu cambiata con una nuova sigla disegnata da Manfredo Manfredi, i cui quadri a tempera raffiguravano le piazze delle città di Venezia, Siena, Napoli e Roma."
sabato 17 dicembre 2011
giovedì 15 dicembre 2011
sabato 5 novembre 2011
In penombra
Ci appartiene veramente soltanto ciò che noi stessi portiamo alla luce estraendolo dall'oscurità che abbiamo dentro di noi...
Intorno alle verità che siamo riusciti a trovare in noi stessi spira un'aura poetica, una dolcezza e un mistero i quali non sono altro che la penombra che abbiamo attraversato.
(Da “Tempo ritrovato" - Marcel Proust)
(Da “Tempo ritrovato" - Marcel Proust)
sabato 28 maggio 2011
Procrastinazione
Procrastinare è un impulso umano basilare, analogo a quello che ci fa percepire una sorta di immortalità e di tempo infinito avanti a noi.
Fa parte del complicato rapporto degli esseri umani con il tempo.
Molte persone sottostimano il tempo necessario a completare una certa attività, in parte perché non considerano quanto hanno impiegato a completare progetti analoghi in passato, e in parte perché si basano su scenari non problematici, in cui incidenti o imprevisti non si verificano mai.
Già nel sedicesimo secolo Samuel Johnson descriveva la procrastinazione come "una delle generali manchevolezze" che "colpiscono, in misura più o meno importante, ogni persona", lamentando anche in se stesso questa medesima tendenza:
"Non potevo evitare di rimproverarmi per aver così a lungo trascurato ciò che doveva necessariamente esser fatto e la cui difficoltà aumentava per ogni momento in cui veniva rimandato"
A livello sociale la gravità del problema sembra aumentare con il passare del tempo.
La procrastinazione è una complessa combinazione tra debolezza, ambizione e conflitto interiore.
Chi pianifica e chi non realizza i suoi piani non sono veramente la stessa persona, ma parti diverse di quello che Friedrich Schelling ha definito l‘io diviso.
Schelling propone una concezione dell’io non come entità unica, ma come composto da esseri diversi, impegnati a scontrarsi e a mercanteggiare continuamente per assumere il controllo.
Al momento di prendere una decisione importante, la mente può essere considerata una sorta di parlamento, una camera di discussione. Fazioni diverse si scontrano, interessi a breve e a lungo termine si trincerano dietro l’avversione reciproca.
Non solo mozioni vengono proposte e rifiutate, ma alcune proposte addirittura vengono lanciate solo per nasconderne altre. ....
....
Se l’identità è un insieme di io in conflitto, cosa rappresenta ciascuno di essi?
La risposta semplice è che uno rappresenta i nostri interessi a breve termine (divertirsi, rimandare il lavoro e così via) e un altro gli obiettivi a lungo termine
L’idea di un io diviso, anche se sconcertante per alcuni, può essere liberatoria in termini pratici, perché porta a smettere di intendere la procrastinazione come qualcosa che si può sconfiggere semplicemente mettendosi d’impegno.
Dovremmo invece affidarci a tecniche e strumenti esterni per supportare quelle componenti del nostro io che vogliono mettersi al lavoro.
Ulisse sa che, quando udrà le sirene, sarà troppo debole per resistere all’impulso di condurre la nave contro le rocce per cercare di raggiungerle: si fa quindi legare dall’equipaggio, forzandosi al rispetto dei propri obiettivi a lungo termine.
Ma prima di buttarci decisi sui vari modi per sconfiggere la procrastinazione, dovremmo fermarci a considerare se, in qualche caso, non sia un impulso al quale dare più importanza.
E se la procrastinazione derivasse dalla sensazione che ci sia troppo da fare, e di conseguenza che niente valga la pena di essere fatto?
Dietro questa forma alquanto bizzarra di azione-come-inazione c’è la domanda, molto più sconvolgente, se qualunque cosa valga la pena di essere fatta.
In questo senso, può essere utile soffermarsi su due tipi di procrastinazione: quello autenticamente acratico e quello che comunica la sensazione che ciò che dovremmo fare, sotto sotto, è privo di senso.
....
... le difficoltà che l’uomo incontra e che non può vincere o superare, se non acquistando quella forza interiore che gli permetta di lottare vittoriosamente."
Estrapolato da un brano di -R. Resini da Google Reader pubblico
Fa parte del complicato rapporto degli esseri umani con il tempo.
Molte persone sottostimano il tempo necessario a completare una certa attività, in parte perché non considerano quanto hanno impiegato a completare progetti analoghi in passato, e in parte perché si basano su scenari non problematici, in cui incidenti o imprevisti non si verificano mai.
Già nel sedicesimo secolo Samuel Johnson descriveva la procrastinazione come "una delle generali manchevolezze" che "colpiscono, in misura più o meno importante, ogni persona", lamentando anche in se stesso questa medesima tendenza:
"Non potevo evitare di rimproverarmi per aver così a lungo trascurato ciò che doveva necessariamente esser fatto e la cui difficoltà aumentava per ogni momento in cui veniva rimandato"
La procrastinazione è una complessa combinazione tra debolezza, ambizione e conflitto interiore.
Chi pianifica e chi non realizza i suoi piani non sono veramente la stessa persona, ma parti diverse di quello che Friedrich Schelling ha definito l‘io diviso.
Schelling propone una concezione dell’io non come entità unica, ma come composto da esseri diversi, impegnati a scontrarsi e a mercanteggiare continuamente per assumere il controllo.
Al momento di prendere una decisione importante, la mente può essere considerata una sorta di parlamento, una camera di discussione. Fazioni diverse si scontrano, interessi a breve e a lungo termine si trincerano dietro l’avversione reciproca.
Non solo mozioni vengono proposte e rifiutate, ma alcune proposte addirittura vengono lanciate solo per nasconderne altre. ....
Se l’identità è un insieme di io in conflitto, cosa rappresenta ciascuno di essi?
La risposta semplice è che uno rappresenta i nostri interessi a breve termine (divertirsi, rimandare il lavoro e così via) e un altro gli obiettivi a lungo termine
L’idea di un io diviso, anche se sconcertante per alcuni, può essere liberatoria in termini pratici, perché porta a smettere di intendere la procrastinazione come qualcosa che si può sconfiggere semplicemente mettendosi d’impegno.
Dovremmo invece affidarci a tecniche e strumenti esterni per supportare quelle componenti del nostro io che vogliono mettersi al lavoro.
Una rappresentazione classica della volontà estesa al lavoro è la decisione di Ulisse di farsi legare al pennone della sua nave.
Ulisse sa che, quando udrà le sirene, sarà troppo debole per resistere all’impulso di condurre la nave contro le rocce per cercare di raggiungerle: si fa quindi legare dall’equipaggio, forzandosi al rispetto dei propri obiettivi a lungo termine.
Ma prima di buttarci decisi sui vari modi per sconfiggere la procrastinazione, dovremmo fermarci a considerare se, in qualche caso, non sia un impulso al quale dare più importanza.
E se la procrastinazione derivasse dalla sensazione che ci sia troppo da fare, e di conseguenza che niente valga la pena di essere fatto?
Dietro questa forma alquanto bizzarra di azione-come-inazione c’è la domanda, molto più sconvolgente, se qualunque cosa valga la pena di essere fatta.
In questo senso, può essere utile soffermarsi su due tipi di procrastinazione: quello autenticamente acratico e quello che comunica la sensazione che ciò che dovremmo fare, sotto sotto, è privo di senso.
....
... le difficoltà che l’uomo incontra e che non può vincere o superare, se non acquistando quella forza interiore che gli permetta di lottare vittoriosamente."
Estrapolato da un brano di -R. Resini da Google Reader pubblico
giovedì 16 dicembre 2010
Cinque minuti ancora
Forse in molti conoscono Federico Taddia, autore e conduttore radiotelevisivo da anni.
Io per caso mi sono imbattuta in questo suo scritto.
" Sì, lo so. E' ora...
Lo so che è finito il tempo di aprire gli occhi e piangere. Piangere per dire "ho fame", "ho sete", "ho bisogno di te".
Piangere per avere affetto, attenzione, protezione. Piangere, e basta, per dire "io ci sono".
Però vuoi mettere che bello avere tutte quelle coccole, quel calore, quegli abbracci, quel seno a disposizione, quel dondolio che ti sorregge, tutte quelle persone che fanno e che pensano per te ...
Dai, te lo prometto. cinque minuti ancora e basta.
Sì, lo so.
Lo so che ci sono delle lettere con cui scrivere delle parole e delle frasi. Lo so che non si dice "a me mi piace".
Lo so che i numeri sono importanti. Lo so che tutto il mondo attorno a me è fatto di storia, geografia, di scienza.
Ma vuoi mettere il godimento del dire parole senza senso, di dare i numeri, di guardare il mondo e perdersi nei suoi colori, negli odori, nelle sfumature.
Senza mai chiedersi "dove" e "quando"? Vuoi mettere il bello di non sapere e di non dover sapere...
Dai, te lo giuro. Cinque minuti ancora, e basta.
Sì, lo so.
Lo so che fa più bene una mela bio di un cheeseburger. Lo so che è meglio un buon libro invece che sciropparsi or di televisione. Lo so che una camminata in montagna è meglio della Playstation. Lo so che è meglio dirsi le cose in faccia invece che via sms. Però vuoi mettere la libertà di fare quello che si ha voglia di fare, di seguire l'istinto, di sfiorare anche la cattiva strada, il brivido di fare qualche errore, la leggerezza di non essere sempre lì a dire "questo fa bene, questo fa male". Vuoi mettere il piacere di fare le cose solo per il piacere di farle...
Dai, fidati. Cinque minuti ancora, e basta.
Sì, lo so.
Lo so che è ora delle grandi scelte. E' ora di guardare avanti. E' ora di progettare. Lo so che adesso ho delle responsabilità. Che devo essere esempio e testimone. Lo so che ho chi mi guarda, chi si ispira a me, chi si fida di me. Lo so che sono uomo, marito e padre. Però vuoi mettere quanto sia intrigante il "qui e ora", quanto sia affascinante il non dover mostrare niente a nessuno, quanto sia inebriante pensare a se stessi, quanto sia liberatorio poter dire "sì, ho sbagliato, ma chissenefrega".
Vuoi mettere quanto sia bello essere come si vuole essere ..."
Sì, lo so. E' ora ...
Cinque minuti ancora. E poi cresco!"
(Federico Taddia)
lunedì 13 dicembre 2010
Speriamo che non se ne accorga nessuno
Paolo Vergnani è uno psicologo attore, la cui biografia può essere trovata su Wikipedia
Il titolo di questo post si riferisce al seguente suo scritto:
"Ad agosto ho compiuto cinquanta anni.
E che uno lo voglia o no, si ferma a pensare.
Magari a come percepivi un cinquantenne quando eri un bambino.
Quando pensavi che stavi crescendo mentre lui era già cresciuto.
Che cosa voleva dire essere cresciuto?
Nella testa di un bambino voleva dire che poteva fare cose che a te erano vietate. Voleva dire che non aveva paure e nemmeno desideri, che poi da grande potresti anche pensare che le due cose vanno di pari passo; voleva dire che sapeva molte più cose, che sbagliava meno, che nessuno lo avrebbe sgridato.
Questo pensavi da bambino.
Poi arrivi a cinquanta anni.
E ti rendi conto del fatto che hai paure, tante, e anche desideri.
Che ci sono troppe cose che non sai, che hai sbagliato e continui a sbagliare e quando qualcuno te lo fa notare a volte ti fa male.
Allora non capisci se c'è qualcosa che non funziona in te o se qualcuno ha barato.
Possibile che tu non sia cresciuto se non nel giro vita?
E ti spaventi e ti vergogni anche un po', sperando che gli altri non se ne accorgano.
Poi un giorno succede che cominci a guardare i tuoi seri coetanei e a immaginarli bambini.
E ti viene facile.
E ti rendi conto del fatto che probabilmente nemmeno loro sono cresciuti.
E convivono con le loro paure e i loro desideri che vanno di pari passo e sperano che gli altri non se ne accorgano.
E ti viene da sorridere.
E forse sei cresciuto un po'. "
(Paolo Vergnani - psicologo attore)
giovedì 2 luglio 2009
Da "Fiume di cristallo"
Il significato della vita non può essere espresso a parole.
E' qualcosa che si sente in certi momenti: quando siamo vicini ad una persona cara, o ad un albero che ci incanta con la sua bellezza, o quando si è in completa comunione con se stessi e la natura.
Il significato della vita è un'esperienza, non un concetto e non la si può fermare nel tempo ...
Facciamo tesoro di ogni alba, di ogni goccia di pioggia che sfiora la pelle, della sensazione della sabbia...
Lasciamoci commuovere dalle lacrime di un bambino, Non esitiamo ad aiutare qualcuno finché siamo in tempo.
Perché il tempo non dovrebbe essere misurato in ore, minuti e secondi, ma in base ai momenti in cui ci sentiamo davvero vivi.
Tentiamo di concederci sempre il tempo per rimanere in contatto con la Natura, perché la Natura non è governata da leggi umane. E' Natura e basta.
(Estrapolato da Fiume di Cristallo di Sergio Bambarén)
mercoledì 19 novembre 2008
Il dubbio
In un passo delle "Confessioni" Sant'Agostino si interroga sull'idea del tempo - muovendo verso quei luoghi del dubbio che imprimeranno al suo pensiero il fascino irresistibile del mistero.
"Cos'è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so. Tuttavia, questo posso affermare con fiducia di sapere:che, se nulla passasse, non vi sarebbe un tempo passato, e se nulla venisse, non vi sarebbe un tempo futuro, e se nulla esistesse, non vi sarebbe un tempo presente.
Ma allora questi due tempi, il passato e il futuro, come possono esistere, se il passato ormai non è più e il futuro non ancora? Quanto al presente, se fosse presente senza diventare passato, non sarebbe più tempo, ma eternità." (Agostino di Tagaste - "Confessioni", XI - Mondadori Editore, 1996)
Il filosofo di Tagaste, circa 2.000 anni fa, aveva compreso che - del mondo dell'uomo e del manifestarsi di questi nel mondo - è lecito porre interrogativi, più che decretare sentenze.
L'autenticità del dubbio consiste nella forza che esso istituisce, nel muovere verso il comprendere che non in-clude, ma incessantemente dis-chiude.
Il dubbio insorge con sinuosa seduzione nell'attimo stesso in cui sorprende l'incanto e la inquietudine del mistero.
La memoria è dunque racconto che l'anima, istituendo silenzi e parole, drammatizza sulla scena, dove si alternano, tra luci confortanti ed ombre inquiete, indifferenza e pathos.
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