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lunedì 27 febbraio 2012

Il blog di Tonino: L'Italia del 1931

Il blog di Tonino: L'Italia del 1931



L'Italia del 1931


Questo post è stato scritto da Tonino su Il blog di Tonino, scoperto per caso e per fortuna, proprio stasera.
Il link è all'inizio


"Nel 1931, quando sono venuto al mondo, se avessi subito potuto guardarmi attorno, avrei visto il seguente panorama.


L’Italia con circa 41 milioni di abitanti. Attivi il 44,4%, di cui il 51,7% in Agricoltura, il 26,3% nell’Industria e il 22% nei Servizi.


Il prodotto interno lordo era così ripartito: agricoltura il 38,3%, industria il 25,1%, terziario il 24,3%, del quale il 12,3% nell’amministrazione pubblica.


Nella popolazione quelli che lavoravano erano 18.212.000 ed i non attivi erano 22.831.000.


La paga mensile era circa:
contadino £. 90, 
operaio £. 200, 
impiegato £. 270, 
ragioniere £.350, 
alto dirigente da 900 a 1000 £.


L’Italia toccò in quest’anno e nel seguente il punto più basso della crisi economica del ’29, scatenata dall’alta finanza USA, con uno dei maggiori tributi mondiali, imposti dal Regime, come da questi pochi cenni:
crollo dei titoli azionari del 40%, 
l’agricoltura perde l’11%, 
l’industria manifatturiera il 15%, 
la disoccupazione sale ad un milione di unità, 
i fallimenti sono 14.000. 


Questo il prezzo del “risanamento” delle banche e .. dei banchieri: 
le imposte passano in 8 anni da 12 a 21 miliardi di lire,
il pane al costo di 2 £/kg ha 60 cent. di tasse e più ancora per sale e zucchero che su 7,45 £/kg ben 5.32 sono di tassa governativa. 
falliscono le banche di Stato austriaca e tedesca. 
Gli USA “esigono” il pagamento dei debiti.


E’ un quadro che stiamo rivivendo oggi, nel 2012. Allora pagarono quasi solamente quelli di sempre, come oggi.


Da allora, nel ’31, alla fine della guerra, furono anni di sofferenze, di dittature, di rivincite colonialiste e cinque di guerra mondiale con 60 milioni di morti ed infinite stragi bestiali, distruzioni, rovine e fame fino al capolinea, nel 1945."


A me sembra interessante, e non solo come quadro storico.
Grazie a Tonino.

sabato 14 gennaio 2012

Viale delle padelle di latta - Tin Pan Alley



Il 45 giri, questo sconosciuto... Chi ricorda ancora quei dischetti neri, piccoli e fragili che giravano per le mani degli adolescenti fino a qualche anno fa? Ormai totalmente dimenticati a favore dei più moderni supporti di riproduzione della musica, i 45 giri sono diventati in pratica una rarità o un cimelio buono per i nostalgici, un po' sulla scia di quel personaggio dei fumetti di fantascienza, Nathan Never, che ama rivangare il passato attraverso la collezione di vinili. 


Ma il 45 giri non è solo un disco di piccole dimensioni, è anche il simbolo di un periodo, la proiezione di un'epoca e soprattutto un modo ben preciso di fruire la musica, in linea con l'affermarsi sempre più esteso della "musica di plastica", ossia la musica leggera, le canzoni veloci usa e getta, l'effimero successo dell'estate. 


Tin Pan Alley


Disco maneggevole, pratico ed economico insomma, il 45 giri nasce nel 1945 e si affianca sul mercato al già da tempo affermato e onnipresente 78 giri. Nel giro di pochi anni, però, la svolta. L'anno è il 1954 quando, per la prima volta, si vendono più 45 giri che 78 giri. 


E' il momento storico in cui il business discografico compie il grande balzo in avanti. L'ordine di grandezza delle vendite passa dalle migliaia ai milioni, configurando la fruizione di massa della musica. 
Nasce il monopolio delle grandi case, con produzioni diversificate per venire incontro alle esigenze culturali e di svago di tutte le fasce sociali. 


Indirettamente, ciò ha un effetto tellurico sulla storia della musica popolare: le grandi case tendono a monopolizzare la produzione e a gestire in modo "economicistico" la creazione e la diffusione della musica. 


In questo senso, le "major" hanno tutto l'interesse a mantenere i gusti del pubblico immobili, legati sempre alla stessa forma musicale (la canzone), proponendo produzioni facili e accessibili a tutti. 
Le case che controllano il mercato si chiamano Columbia (New York), RCA (New York), Decca (1932, New York), Capitol (fondata nel 1942 ad Hollywood), Mercury (1946, Chicago), MGM (1946, Hollywood). 


Una delle fucine più celebri di questo genere di produzioni è la celeberrima Tin Pan Alley, un isolato compreso fra la Fifth Avenue e Broadway dove sorgevano i principali teatri di vaudeville. 
Qui aveva sede un microcosmo di ditte coinvolte nel business della musica popolare: autori di canzoni (publishing house), studi di registrazione, talent scout, manager, eccetera. Tin Pan Alley passò quindi dal ragtime e al fox-trot o alle canzoni d'opera alle canzoni più scatenate dell'epoca rock. 


Tin Pan Alley, quindi, aveva fatto della musica popolare un business tale che si rese necessaria un'istituzione per tutelare i diritti d'autore ossia, in altri e meno "artistici" termini, la pioggia di miliardi che pioveva su di essa. Ecco allora nascere, nel 1914, l'ASCAP (American Society of Composers, Authors and Publishers) intesa a difendere appunto i diritti di proprietà delle canzoni. 


In seguito, il formato a 45 giri è stato tra i maggiori trascinatori dell'industria discografica, soprattutto grazie al fatto che i brani si potevano "smerciare", se così si può dire, al dettaglio, evitando all'acquirente più onerosi esborsi per acquistare l'intero album dell'artista in questione. Infine, non va dimenticato che i mitici juke-box, anch'essa entrati di diritto a far parte di una precisa iconografia del passato, non erano altro che macchinari "alimentati" a 45 giri. Finito il 45 giri è sparito di conseguenza anche il glorioso juke-box e, con lui, tutta la carica di socialità che sapeva esprimere.


Nell'ambito del collezionismo, gli esemplari più prestigiosi e ricercati sono quelli della Vogue americana o della Saturne francese, in particolare quelli che portano la data 1945 o 1946.


Fonte: Biografie online   
    
Altre informazioni qui:http://en.wikipedia.org/wiki/Tin_Pan_Alley

martedì 20 dicembre 2011

Luglio 1950

E' leggermente fuori stagione, ma questa che propongo è una pagina che riprendo da "Quaderni e diari - 1950/1973) di Hannah Arendt - Neri Pozza Editore.






"Luglio 1950
Paragonata all'eternità passata, che era prima che noi fossimo, e all'eternità futura, che sarà dopo che noi saremo stati, la nostra intera esistenza qui è pura presenza.


Vivere realmente significa realizzare questo presente: un mezzo fra i tanti è il non-dimenticare-mai e fare in modo che non si scinda in passato e futuro.


A differenza delle eternità, infatti, il proprio passato temporale così come il proprio futuro temporale  hanno la tendenza a divorare il presente.
(...)
La memoria potrebbe anche esistere per dare sostanza all'esser presente della vita e per presentare il sapere
di tutte le cose.


Ciò che ricordiamo non ha, in quanto tale, nessun indice temporale, soltanto ciò che è stato dimenticato porta l'indice del passato. ..."

sabato 17 dicembre 2011

Mnemosyne



....
 E sempre va nell'assoluto un desiderio.
Molto però è da serbare
Ed è necessaria la fedeltà
Avanti però e indietro non vogliamo vedere,
Ma lasciarci cullare
come barca che ondeggia sul mare.
(Hoederlin)

venerdì 16 dicembre 2011

Fabbrica desideri la memoria ...


Ogni tanto mi ritrovo a riflettere sulla Memoria. 
Ne ho parlato qui in "Memoria, oh Memoria" e qui in "Non Ora, non qui"
Ma sicuramente anche altrove.
Ora invece cito ancora una volta da "Piccolo Inventario degli Specchi" di Alfonso Lentini le frasi seguenti:


(...) Sulla memoria è possibile intervenire "chirurgicamente" non solo per cancellare i ricordi, ma addirittura per costruire ricordi artificiali, peraltro con tecniche semplicissime, senza neanche aprire la scatola cranica  ricorrere all'ipnosi o alla stregoneria.




Lo sanno bene gli operatori della pubblicità. A volte, per esempioriescono a farci credere che un prodotto è molto più antico di quanto sia in realtà. Basta mostrare in continuazione fotografie o filmati che sembrano antichi invecchiando con particolari viraggi la pellicola e mostrando persone vestite alla moda dei tempi passati insieme a quel determinato prodotto. Dopo un po' a molti sembrerà di ricordare che anche loro da bambini ...
(...)
Uno degli endecasillabi più dolci che un poeta abbia mai scritto sulla natura molle della memoria, me lo offre un amico - esperto di gibigianne e di poesia - porgendomi un foglio su cui splende una poesia di Vittorio Sereni.


Ecco il verso in questione:
Fabbrica desideri la memoria ...


Alfonso Lentini - Specchi - Stampa Alternativa

mercoledì 16 marzo 2011

Ricordi e profumi

Scrive Diane Ackerman:

"Basta sfiorare il filo teso di un profumo che i ricordi  risuonano immediatamente" 
  
Anch'io nel  novembre 2008 scrissi qualcosa sulla memoria olfattiva e dopo il post di ieri sento il bisogno di rifugiarmi un po' nei profumi...

"Tra i cinque sensi l'olfatto è considerato il senso della gioia di vivere.

Cassetti profumati, erbe essiccate, sacchettini di lavanda, il profumo del pane in forno o di una torta, la chimica di un dopobarba, l'odore salmastro del mare , quello inebriante del tiglio in fiore ...

È una memoria nella nostra vita, quella che forse, più della scrittura, ci permette di conservare il passato.

Anche se siamo distratti o preoccupati, un odore può raggiungerci e farci ritornare indietro, dentro quel passato che è pronto a riemergere se solo lasciamo socchiusa la porta.




Platone nel Fedro racconta il mito sull'invenzione della scrittura da parte del dio egiziano Theuth e sul dono di essa, destinato agli uomini che Theuth fa al faraone.



Qui cito Giorgio Colli riprendendo le seguenti frasi da "La nascita della Filosofia":

"Theuth magnifica i pregi della sua invenzione, ma il faraone ribatte che la scrittura è sì uno strumento di rammemorazione, ma puramente estrinseco, e che persino rispetto alla memoria, intesa come capacità interiore, la scrittura risulterà dannosa.

giovedì 27 gennaio 2011

Bambini a Terezin


Tramonta il sole e il silenzio intorno regna; soltanto giù presso la garitta dei gendarmi si sentono passi pesanti.Così il gendarme sorveglia gli Ebrei suoi, che non fuggano dal Ghetto, e per non far venire qui da loro ariani lo zio o la zia.
Hanus Klauberg nato 24.1.1932,morto 9.10.1944 a Auschwitz
Arnost Hilovshy nato 31-7-1931 morta 23-10-1944 a Auschwitz
(Eva Schulz-ovà, Terezin nata nel 1931 morta nel 1941- 43)
La decima ora a un tratto è giunta, e le finestre della caserma dei Dresdesi si sono oscurate.Le donne si scambiano diverse dicerie, ricordano quando a casa avevano da mangiare.
Alcune litigano, altre alla calma invitano.
Finalmente una dopo l'altra tacciono, qui e là si gira finché ci si addormenta: quante sere così ancora proveremo?
Questo noi non sappiamo.


I bambini di Terezin furono 15.000. Quando il campo fu liberato dai sovietici, solo un centinaio erano ancora vivi. Gli altri erano stati o avvelenati o cremati. Oltre ai loro 4000 disegni, sono stati ritrovati diari, 66 poesie, libri di ricordi e periodici illegali, i cui autori furono gli stessi bambini. Il tutto oggi è custodito presso il Museo Ebraico di Praga.

http://www.homolaicus.com/storia/contemporanea/terezin/






giovedì 9 aprile 2009

La memoria


"I ricordi sono costruzioni: crescono e maturano con il progredire della nostra vita.
State sempre in guardia contro la certezza del "Lo ricordo come se fosse ieri".

Che la memoria talvolta debba essere sollecitata è una cosa di cui William James si era già reso conto nel XIX secolo:

"Immaginate che resti zitto per un momento e poi vi ordini con voce autorevole: Ricorda! La vostra memoria obbedisce all'ordine e produce una immagine del passato?

Certamente no. Resta lì, attonita e domanda

Che cosa dovrei ricordare, esattamente?

In poche parole, le serve una indicazione. La memoria non risponde a comando, ma si lascia guidare dagli stimoli. Non serve chiedere alla memoria che cosa l'abbia sollecitata, perché solo di rado riesce ad identificare il suggerimento occulto".

"Quando cominciamo a frugare nella memoria in cerca di qualcosa che abbiamo dimenticato, entriamo in uno strano regno psichico detto rimozione.

Il concetto di rimozione dipende da una certa forza di spirito. I sostenitori di questa teoria credono nella capacità dello spirito di difendersi contro certi eventi troppo drammatici che minacciano di sopraffarlo, rimuovendo determinate esperienze ed emozioni della coscienza".

La nostra mente sembra aprire delle porte, mentre di fatto ne chiude altre. Il fenomeno si chiama amnesia.

Parte della memoria, la memoria cosciente, non ricorda gli eventi, mentre un'altra parte, quella inconscia, funziona in modo indipendente dalla prima, e i ricordi del trauma, riaffiorano sotto forma di sogni o sentimenti d'ansia."

(Estrapolato da "DE REUNIE" di Simon Van der Vlugt - Feltrinelli Editore)

domenica 11 gennaio 2009

Non ora, non qui


"Mi torna alla mente il passato con parvenza di intero, per un bisogno di appartenenza a qualcosa, che stasera mi spinge verso di esso, verso una provenienza."

Questo breve ed intenso primo libro di Erri De Luca porta già impressi in ogni frase i segni di un vero scrittore: un tono di voce che appena si coglie diventa inconfondibile e la integrità di uno sguardo che sa mettere nel giusto fuoco i pensieri e i sentimenti.

Qui la memoria non è consolazione, ma è un dramma, e il tempo gioca un suo gioco crudele stabilendo distanze insormontabili tra chi narra e la materia del proprio racconto.

Una luce bianca e densa come quella che filtra da nuvole alte, bagna queste pagine.

E' la luce in cui il protagonista de "Il posto delle fragole" di Bergman vedeva i propri genitori ancor giovani a pescare con la canna sulle rive di un lago.

Leggendo questo libro, che rievoca i sentimenti di una infanzia trascorsa a Napoli e per sempre scomparsa, ho ripensato a quella immagine struggente che dice con assoluta e trasparente immediatezza il dolore per la vita che tutto cancella e ci rende estranei a noi stessi e al nostro passato.

(Raffaele La Capria)

Erri De Luca - Non ora non qui - Ed. Feltrinelli

domenica 7 dicembre 2008

Il libro del riso e dell'oblio

La prima volta che lo lessi, vi lessi soprattutto il tradimento e da questa prospettiva fu uno dei libri (assieme a La Insostenibile Leggerezza dell'Essere) che più mi causò dolore: il dolore dei miti infranti.

Scrive Angela Migliori:
“Testimone in prima fila di quell’era in cui “il poeta regnava al fianco del carnefice”, Kundera immerge la penna nel nero della sua rabbia regalandoci la straordinarietà del suo essere artista, del suo possedere un mondo estetico unico, della sua capacità di incarnare uno degli ultimi spiriti universali, di rappresentare un maestro in grado di riannodare continuamente i fili della tradizione e di aprire, contemporaneamente, possibilità inesplorate e feconde per la scrittura.

Kundera definì “Il libro del riso e dell’oblio” un “romanzo in forma di variazioni” calamitato sul tema della “lotta dell’uomo contro il potere” che è poi “la lotta della memoria contro l’oblio”.


  • Scrivere, dunque, per sottrarsi alla terribile tendenza verso la cancellazione di ciò che è stato, di ogni più piccolo frammento del passato rinnegato allo scopo di oscurare il futuro privandolo di senso
  • Scrivere per impedire che le presunte verità decantate a gran voce dal balcone di un palazzo barocco, sovrastino l’eco ridondante della storia.
  • Scrivere la vita posando il proprio sguardo disincantato e malinconico sul mondo,rivelandone così i più assurdi ed affascinanti meccanismi.
  • Scrivere e lasciare che il lettore riconosca, di volta in volta, un po’ di sé in particolari atteggiamenti e situazioni che coinvolgono i protagonisti di questo romanzo, all’apparenza tutti profondamente distanti fra loro e, nel contempo, accomunati dall’inestinguibile desiderio di aggrapparsi al presente, con gli occhi rivolti all’indietro, decisi a farsi strada nella nebbia dei ricordi, per arrestare “la propria inesorabile caduta attraverso il vuoto spazio in cui risuona l’orribile riso degli angeli che copre col suo squillo ogni parola”. “Il passato si ostina a restare nelle prime pagine dell’esistenza di ognuno e non si lascia cancellare” plasmando così, la persona e tessendo una fitta ragnatela che imbriglia ed immobilizza anima e corpo.
  • Mirek non può eliminare Zdena dalla sua mente pur vergognandosi del lontano amore provato per una donna tanto brutta. Karel “si getta sul corpo di Eva con la sensazione che quel balzo sopra di lei sia un balzo attraverso un tempo smisurato: il balzo del bambino che giunge di slancio alla virilità”; un balzo che lo porta a descrivere ripetutamente il passaggio dal ragazzino che "guardava impotente quel gigantesco corpo di donna, all’uomo che stringe quel corpo e lo domina" Tamina lotta contro l’arrendevolezza della memoria, con il pensiero fisso alle sue lettere perdute e si tortura ricercando i tratti del marito, rievocandoli in ogni viso di uomo incrociato che diventa, di volta in volta, materiale da plasmare sotto la forza progressivamente sempre meno autentica dei ricordi, allo scopo di incontrare ancora lo sguardo del suo defunto amore. Lo studente affoga la sua lytost, “il suo stato tormentoso suscitato dallo spettacolo della propria miseria, improvvisamente scoperta”, precipitando nella dimensione senza tempo della poesia. Lasciandosi avvolgere e coinvolgere dalla sua bellezza, capace di attraversare infiniti mondi, sconvolgendo le più elementari leggi della logica e della cronologia. Jan infine si perde con lo sguardo a fissare la linea di confine che, secondo la sua ottica, divide nettamente la vita erotica di un uomo “nell’iniziale eccitazione senza il piacere propria dell’adolescenza e nel successivo piacere senza eccitazione che caratterizza, all’opposto, la maturità”.
  • Kundera, dunque, offre una galleria di personaggi tutti "(in)discretamente" sopra le righe e, appunto per questo, tutti spudoratamente reali nella loro fragilità, che finisce spesso con l’implodere nel riso.
  • Il riso sarcasticamente malvagio di chi assiste allo sconvolgimento di un ordine precostituito di cose che, private del loro senso presunto, perdono anche il posto loro assegnato nella pretesa gerarchia delle categorie.
  • Un libro dal ritmo lento ed accuratamente studiato, scritto per graffiare l’anima con l’indolente rassegnazione di una penna che testimonia la verità lottando coraggiosamente contro il potere, contro l’oblio: terribili tarli intenti a logorare il legno della nostra esistenza e della nostra consapevolezza, derubandoci dell’identità.”
“Il libro del riso e dell’oblio” di Milan Kundera Editore: Adelphi Data pubblicazione: 1998

domenica 30 novembre 2008

Memoria, oh memoria


Tra i cinque sensi l'olfatto è considerato il senso della gioia di vivere.

Cassetti profumati, erbe essiccate, sacchettini di lavanda, il profumo del pane in forno o di una torta, la chimica di un dopobarba, l'odore salmastro del mare , quello inebriante del tiglio in fiore ...

È una memoria nella nostra vita, quella che forse, più della scrittura, ci permette di conservare il passato.

Anche se siamo distratti o preoccupati, un odore può raggiungerci e farci ritornare indietro, dentro quel passato che è pronto a riemergere se solo lasciamo socchiusa la porta.


Platone nel Fedro racconta il mito sull'invenzione della scrittura da parte del dio egiziano Theuth e sul dono di essa, destinato agli uomini che Theuth fa al faraone.

Qui cito Giorgio Colli riprendendo le seguenti frasi da "La nascita della Filosofia":

"Theuth magnifica i pregi della sua invenzione, ma il faraone ribatte che la scrittura è sì uno strumento di rammemorazione, ma puramente estrinseco, e che persino rispetto alla memoria, intesa come capacità interiore, la scrittura risulterà dannosa.

Quanto alla sapienza, la scrittura la fornirà apparente, non già veritiera.

E Platone commenta il mito accusando di ingenuità chiunque pensi di tramandare per iscritto una conoscenza e un'arte, quasi che i caratteri della scrittura avessero la capacità di produrre qualcosa di solido. Si può credere che gli scritti siano animati dal pensiero: ma se qualcuno rivolge loro la parola per chiarire il loro significato, essi esprimeranno sempre una cosa sola, sempre la stessa."

E ancora:

"Platone contesta in linea generale alla scrittura la possibilità di esprimere un pensiero serio e dice letteralmente:

'nessuno uomo di senno oserà affidare i suoi pensieri filosofici ai discorsi immobili, com'è il caso di quelli scritti con lettere'.

Ancora più solennemente ribadisce poco oltre, ricorrendo ad una citazione omerica: "Perciò appunto ogni persona seria si guarda bene dallo scrivere di cose serie per non esporle alla malevolenza e alla incomprensione degli uomini. ..."

Come dire, quindi che le cose più serie riposano nella parte più bella dell'essere umano.



Le parti tra virgolette provengono da La Nascita della Filosofia di Giorgio Colli - Piccola Biblioteca 29 - ADELPHI - pagine 111 - 112.

mercoledì 19 novembre 2008

Il dubbio




In un passo delle "Confessioni" Sant'Agostino si interroga sull'idea del tempo - muovendo verso quei luoghi del dubbio che imprimeranno al suo pensiero il fascino irresistibile del mistero.

"Cos'è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so. Tuttavia, questo posso affermare con fiducia di sapere:che, se nulla passasse, non vi sarebbe un tempo passato, e se nulla venisse, non vi sarebbe un tempo futuro, e se nulla esistesse, non vi sarebbe un tempo presente.

Ma allora questi due tempi, il passato e il futuro, come possono esistere, se il passato ormai non è più e il futuro non ancora? Quanto al presente, se fosse presente senza diventare passato, non sarebbe più tempo, ma eternità." (Agostino di Tagaste - "Confessioni", XI - Mondadori Editore, 1996)

Il filosofo di Tagaste, circa 2.000 anni fa, aveva compreso che - del mondo dell'uomo e del manifestarsi di questi nel mondo - è lecito porre interrogativi, più che decretare sentenze.

L'autenticità del dubbio consiste nella forza che esso istituisce, nel muovere verso il comprendere che non in-clude, ma incessantemente dis-chiude.

Il dubbio insorge con sinuosa seduzione nell'attimo stesso in cui sorprende l'incanto e la inquietudine del mistero.

La memoria è dunque racconto che l'anima, istituendo silenzi e parole, drammatizza sulla scena, dove si alternano, tra luci confortanti ed ombre inquiete, indifferenza e pathos.

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