De Pretore Vincenzo
De Pretore Vincenzo | |
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Commedia | |
Luca De Filippo (al centro della scena) nella trasposizione televisiva del 1976 | |
Autore | Eduardo De Filippo |
Lingua originale | |
Genere | Teatro napoletano |
Composto nel | 1957 |
Prima assoluta | 26 aprile 1957 Teatro de' Servi, Roma |
Personaggi | |
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Riduzioni cinematografiche | TV: una trasposizione televisiva del 1976 con regia dello stesso autore e musiche di Roberto De Simone. Tra gli interpreti lo stesso Eduardo nel duplice ruolo del tabaccaio della piazzetta e di San Giuseppe, Luca De Filippo in quello di Vincenzo De Pretore, e Angelica Ippolito in quello di Ninuccia. |
De Pretore Vincenzo è una commedia di Eduardo De Filippo rappresentata la prima volta nel 1957 e inserita dallo stesso autore nel gruppo di opere che ha chiamato Cantata dei giorni dispari.
Trama
[modifica | modifica wikitesto]Il sipario si apre su una stanza al buio[2] dove dorme De Pretore Vincenzo, un giovane ladruncolo a cui piace fare una vita comoda e senza privazioni che si procura con ripetuti, piccoli furti. È una vita facile e senza fatiche ma con la costante paura di essere arrestati. Dopo che la portiera lo ha svegliato portandogli la colazione entra nella stanza Ninuccia, una giovanissima serva, innamorata persa del giovane al quale confida di volerlo sposare a tutti i costi, altrimenti si ucciderà.
De Pretore racconta alla ragazza, inframmezzando il suo discorso con un cantilenante «Mi spieco? È giusto?», di avere trovato un antico prezioso anello che è convinto sia stato il destino a portare nelle sue mani. Egli crede infatti che quell'anello sia per lui come il segno della sua appartenenza ad una nobile famiglia. Il giovane racconta a Ninuccia di venire da Melizzano, un paese dell'entroterra napoletano, dove era stato allevato da una donna, Maria, che lavorava nel palazzo del signore del luogo insieme al marito, Giuseppe. Maria gli aveva sempre raccontato che era stato portato in paese da una lussuosa auto e abbandonato. Egli quindi è convinto di essere nobile, di avere diritto ad una vita corrispondente al suo rango e quindi di voler sposare una donna degna di lui e non una povera sguattera come Ninuccia, che per campare lava bottiglie in un'osteria. Anche lui ama la giovane ma la sposerà solo dopo essersi arricchito col suo "lavoro". Ma Ninuccia non vuole aspettare: vuol fare subito l'amore con il giovane ladro, che non potrà però esaudire il suo desiderio poiché arrivano i carabinieri che lo arrestano.
Il quadro successivo mostra Ninuccia che aspetta, in una piazzetta dove campeggia una statua semiabbandonata, scorticata e polverosa di san Giuseppe, il ritorno dalla galera di De Pretore. Ninuccia, animata da una sincera fede popolare, invita il giovane ad affidare la sua vita alla protezione di un santo e per convincerlo gli racconta storie di grandi miracoli. Il giovane si persuade e sceglie come santo protettore il S.Giuseppe della piazzetta e, dopo aver fatto allontanare Ninuccia, in un colloquio semiserio col santo gli promette un grande restauro se lo aiuterà nel suo mestiere di ladro. I miracoli cominciano subito: nella piazza arrivano dei turisti stranieri che il giovane deruba facilmente.
È passato del tempo: in una specie di sarabanda, nella piazza rimessa a nuovo, dove splende di luci la statua del santo, De Pretore, saltando come un invasato ruba sfacciatamente a destra e a manca, senza che nessuno se ne accorga, e contemporaneamente offre grandi ceri "per grazia ricevuta" al santo. E così continua, convinto che la sacra protezione lo renda come invisibile, sottraendo apertamente una borsa a un impiegato di banca che però reagisce sparandogli e ferendolo a morte.
Nella scena successiva appare, in una sorta di quadro popolare a forti tinte dove predomina il colore rosso delle mele e del sangue sul camicione bianco della tenuta celestiale di De Pretore, il paese di Melizzano che deve il suo nome alle mele che infatti sono ammucchiate in enorme quantità da ogni parte. De Pretore si trova, senza sapere come né perché, di fronte al palazzo del Signore della sua infanzia e chiede di entrare mostrando il suo nobile anello come segno della sua nobile discendenza. Compare anche Ninuccia, vestita signorilmente, che gli fa capire che ormai è morto. Allora, pensa De Pretore, è inutile farsi accogliere dal Signore tanto vale cercare di entrare in Paradiso. Dovrà però convincere san Pietro, e farsi accompagnare dalla Madonna, che ha l'aspetto della madre adottiva e da san Giuseppe che ha le sembianze del tabaccaio della piazzetta, anche lui truffato da De Pretore quando era in vita.
È un Paradiso-Melizzano quello che vede De Pretore, che somiglia agli splendidi presepi barocchi napoletani con tutti i classici personaggi della sacra rappresentazione. De Pretore pretende la protezione di san Giuseppe che, preso da simpatia, lo accompagna dal Signore[3] che deve decidere se accoglierlo o meno nel suo palazzo.[4] Impietosito dal triste destino del giovane il Signore comanda: "De Pretore Vincenzo rimarrà in casa mia... Mi spiego? È giusto?". Su questo intercalare usato spesso nel parlare da De Pretore, "mi spiego e giusto", ripetuto in coro sempre più sottovoce dai personaggi si chiude la scena.
L'ultimo quadro della commedia rappresenta una «squallida stanzetta del pronto soccorso» dove De Pretore sta morendo tra la disperazione di Ninuccia che chiede di riavere l'anello del giovane ad un infermiere che le domanda chi essa sia. Ninuccia risponde: "Nessuno".
Storia della commedia
[modifica | modifica wikitesto]In una intervista Luciano Lucignani, critico teatrale, narra come nacque questa commedia di Eduardo. Egli nel 1956 aveva letto un poemetto di Eduardo scritto nel 1948 intitolato "Vincenzo De Pretore" e gli era subito apparso chiaro come questo testo potesse essere facilmente tradotto in una commedia. Ne aveva parlato con lo stesso autore che stranamente aveva subito accettato l'idea.[5]
Per una serie d'impegni di Eduardo che avevano ritardato la realizzazione del progetto i due finalmente si ritrovarono a Parigi, in un albergo del Lungosenna per scrivere il copione. Lucignani racconta che dopo aver riflettuto per pochi minuti Eduardo disse: "Atto primo scena prima", cominciando a dettare il testo della commedia come se lo avesse già completo nella sua mente. Si interrompeva solo per certe osservazioni di Lucignani, che accettava di buon grado modificando il testo che alla fine non era altro che la traduzione in prosa dei versi del poemetto. Il primo atto fu terminato in una quindicina di giorni. Nel frattempo Eduardo seguiva le prove pomeridiane della sua commedia Questi fantasmi! che doveva andare in scena a Parigi e quindi si lavorava alla nuova commedia solo la mattina. Dopo il grande successo della rappresentazione parigina, tornato a Roma, Eduardo concluse in una settimana il secondo atto.
Lucignani nel frattempo aveva preparato l'allestimento al teatro dei Servi a Roma di proprietà di religiosi, dove, scritto in breve tempo anche il terzo atto, la commedia andò in scena con il titolo di "De Pretore Vincenzo" ; titolo diverso dal poemetto, poiché Eduardo ne voleva mettere in rilievo il modo popolare, alla napoletana, di presentarsi facendo precedere il cognome al nome. Il terzo atto dava qualche preoccupazione agli impresari: secondo loro aveva qualcosa di blasfemo con quel Padreterno che era simile a un commissario di polizia e con gli angeli che lo attorniavano raffigurati come dei poliziotti. Senza considerare la "scandalosa" scena iniziale, sia pure interrotta prima della naturale conclusione, dove Ninuccia, quasi antesignana di certe tematiche femministe, accetta, messa alla prova da De Pretore che vuole saggiare la sua ingenuità, di fare l'amore con il giovane senza badare, lei sinceramente religiosa, a vincoli sacri matrimoniali.[6]
Certo il messaggio che veniva dalla commedia non era sicuramente gradito alla gerarchia ecclesiastica: puntualmente i giornali cattolici attaccarono ferocemente la commedia, che pure aveva avuto un enorme successo. Perciò i religiosi proprietari del teatro li costrinsero ad andarsene e a trovarne uno nuovo che fu il Valle di Roma, dove però, dopo una settimana, dovettero interrompere le rappresentazioni poiché non si aveva di che pagare l'affitto.
La commedia aveva dato grandi soddisfazioni per il successo di pubblico ottenuto ma scarso fu il risultato economico. Eduardo, che era rimasto molto amareggiato da questa vicenda, fu invece difeso dalla stampa di sinistra e da quel momento incominciò a spostarsi, lui che non aveva precise idee politiche, verso l'area culturale della sinistra. In certe sue commedie successive a De Pretore Vincenzo, ancora si percepisce questo suo malanimo verso quel clero cattolico che aveva ostacolato il successo della commedia.
Analisi della commedia
[modifica | modifica wikitesto]Il tema della giustizia è centrale in questa commedia, come in altre commedie[7] di Eduardo.
«Voglio dire che tutto ha inizio, sempre da uno stimolo emotivo: reazione a una ingiustizia, sdegno per l'ipocrisia mia ed altrui, solidarietà e simpatia umana per una persona o un gruppo di persone, ribellione contro leggi superate e anacronistiche con il mondo di oggi.... Se un'idea non ha significato e utilità sociale non m'interessa lavorarci sopra.[8]»
Egli ci racconta come fosse stato ispirato per il poemetto da cui è tratto il dramma da un avvenimento a cui a 14 anni aveva assistito al tribunale di Napoli: «Mi viene alla memoria quando vidi in una mattinata d'inverno, quelle squallide aule della Sezione Penale: tre ragazzi napoletani, smunti, magri, laceri, sudati, sporchi, incatenati tutti e tre con catene e bracciali non so se di acciaio o di ferro, dovevano essere giudicati per dei furtarelli, penso fossero stati scippi commessi chissà quanto tempo prima. Quello che mi rimase veramente impresso fu questo: il primo ladruncolo fu giudicato e condannato, ma non poté rassegnarsi che fossero giudicati anche gli altri due incatenati con lui ... Naturalmente, tra una sentenza e l'altra passa del tempo, perché in tribunale hanno fatto l'abitudine a questi disgraziati, non fanno più pena a nessuno; ... e quindi il magistrato impartiva ordini, l'usciere parlava forte di cose sue con altre persone, c'era l'indifferenza, ecco, nei confronti del ragazzo condannato, il quale ad un certo punto si alzò e disse: «Io me ne voglio andare. Mi avete condannato fatemi portare via. Basta qua non ci voglio restare.» Non gli dettero ascolto, anzi l'obbligarono a sedersi. Improvvisamente nel giovane esplosero violente la rabbia, la ribellione; per sfogarle si batté le catene e i bracciali sulla fronte, così forte che schizzi di sangue macchiarono le pareti e il suo viso divenne una maschera di sangue. Nemmeno allora fu portato via... Il presidente fece sgomberare l'aula, tutti uscirono, e io pure fui contento di tornare a respirare aria libera. Fu un'esperienza tremenda per me.»[9]
De Pretore, è vero, è un mariuolo, ma ha una sua filosofia che lo giustifica agli occhi di Eduardo: «Qui sulla terra... c'è tanta gente che il bene se lo butta per la faccia, che non guarda se spende dieci o mille, che se spende mille, nel momento stesso che le ha spese, non ci pensa più. Allora...se io tolgo cinquecento a quello che spende mille, quale è il male che gli faccio? Io ho rubato...così senza orientamento, alla "come succede", ma...[dice rivolto al santo della piazzetta] se voi mi fate incontrare sulla mia strada persone come quelle che vi ho detto prima, io posso prendere da loro quello che mi serve senza avere nessuno scrupolo di coscienza»[10] Quindi egli giustamente ruba senza scrupolo di coscienza perché ruba per vivere e se muore per rubare questo lo deve assolvere agli occhi del Signore.
Ma il cielo non bada a quello che è accaduto a De Pretore, neppure san Giuseppe il suo protettore (poiché c'è bisogno di protettori che ti raccomandino ai "signori" in terra e in cielo), si è accorto di nulla quando lo hanno ucciso, eppure il giovane lo ha onorato con candele e preghiere. Ma persino lo stesso Signore è lontano dalle faccende umane della povera gente. De Pretore quando gli racconta la sua vita gli deve addirittura spiegare, a lui che è onnisciente, che vuol dire "figlio di padre ignoto"[11] anche se poi è una strana definizione questa poiché macchia la reputazione sociale dei figli innocenti e salva quella dei padri colpevoli.[12]
Qual è la colpa di De Pretore? Di essere vissuto come un ignorante, se avesse potuto andare a scuola forse la sua vita sarebbe stata diversa. È questo un tema che stette particolarmente a cuore a Eduardo che s'interessò molto del fenomeno napoletano della delinquenza giovanile. Da senatore a vita s'impegnò per questi giovani delinquenti che aveva visitato e con cui aveva parlato all'Istituto di rieducazione dei minori del Filangieri di Napoli e che cercò di aiutare concretamente devolvendo una grande somma e i guadagni delle sue recite per questi giovani napoletani che, come dice Ninuccia, al termine della commedia, sono considerati dalla società: «Nessuno».
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Nella versione televisiva Gennarino Palumbo interpreta il pizzaiolo. Il suo richiamo da venditore («'a lava 'e ll'uoglio, 'a lava' e ll'uoglio...don Peppì i miei rispetti,cià facimmo 'na pezzella?») sarà inserita nella versione televisiva dell'atto unico Il cilindro probabilmente come omaggio all'attore che era scomparso da poco.
- ^ Come in altre commedie (Natale in casa Cupiello, Il sindaco del rione Sanità, Napoli milionaria!, Questi fantasmi!) Eduardo con questo ripetuto artificio scenografico sembra voler dire agli spettatori che sta per iniziare una creazione dalle tenebre: la vita della commedia nasce dal buio come la vita reale.
- ^ Interpretato magistralmente da Mario Scaccia, di cui Eduardo aveva molta stima tanto da presentarlo al pubblico del suo teatro, il San Ferdinando di Napoli, dicendo: «Questo attore che vi presento merita tutta la mia stima e quindi la vostra ammirazione, dovete seguirlo come seguite me.». Eduardo lo volle come protagonista anche in un'altra opera, L'arte della commedia, per il personaggio del prete "mangiacastagne".
- ^ Nel testo originale della commedia il "Signore" è così descritto "indossa un vestito da cacciatore, osserva e imbraccia di tanto in tanto il fucile". Alla prima rappresentazione invece il "Signore" aveva l'aspetto di un commissario di polizia attorniato da angeli poliziotti. Nella versione televisiva infine prevale l'aspetto pittorico popolare delle sembianze del Signore che viene raffigurato col classico triangolo dorato sulla testa, attorniato da angeli biondi e paffuti, in mezzo a nubi risplendenti da cui promana la sua voce stentorea. E come se Eduardo, che subì l'accusa di blasfemia non avesse rinunciato sino all'ultimo a conservare nella versione televisiva, un certo modo ironico, quasi caricaturale, della rappresentazione delle scene del Paradiso-Melizzano.
- ^ Dalla poesia di Eduardo trae certamente spunto il film Un ladro in paradiso, diretto nel 1952 da Domenico Paolella e interpretato da Nino Taranto
- ^ Il delicato tema del matrimonio verrà ripreso nell'ultima commedia di Eduardo Gli esami non finiscono mai dove Eduardo esprime tutta la sua opposizione disgustata nei confronti di quei matrimoni falliti semplicemente perché voluti per realizzare un atto di amore sessuale, semplice e naturale, che avrebbe potuto evitare ogni futuro legame e dramma conseguente di una vita avvelenata di due esseri che si odiano.
- ^ Il sindaco del rione Sanità e Il contratto
- ^ Discorso di Eduardo all’Accademia dei Lincei in occasione del conferimento del Premio internazionale Feltrinelli per il teatro – Eduardo De Filippo, I capolavori di Eduardo, ed. Einaudi, Torino 1973, p.VII
- ^ Eduardo De Filippo, I capolavori di Eduardo, Einaudi, Torino, 1973, p. VII.
- ^ ibidem
- ^ Da una nota autobiografica risalente ai primi Settanta: «Mi ci volle del tempo per capire le circostanze della mia nascita perché a quei tempi i bambini non avevano la sveltezza e la strafottenza di quelli d'oggi e quando a undici anni seppi che ero "figlio di padre ignoto" per me fu un grosso choc. La curiosità morbosa della gente intorno a me non mi aiutò certo a raggiungere un equilibrio emotivo e mentale. Così, se da una parte ero orgoglioso di mio padre, della cui compagnia ero entrato a far parte, sia pure saltuariamente, come comparsa e poi come attore, fin dall'età di quattro anni [...], d'altra parte la fitta rete di pettegolezzi, chiacchiere e malignità mi opprimeva dolorosamente. Mi sentivo respinto, oppure tollerato, e messo in ridicolo solo perché "diverso". Da molto tempo, ormai, ho capito che il talento si fa strada comunque e niente lo può fermare, ma è anche vero che esso cresce e si sviluppa più rigoglioso quando la persona che lo possiede viene considerata "diversa" dalla società. Infatti, la persona finisce per desiderare di esserlo davvero, diversa, e le sue forze si moltiplicano, il suo pensiero è in continua ebollizione, il fisico non conosce più stanchezza pur di raggiungere la meta che s'è prefissata. Tutto questo però allora non lo sapevo e la mia "diversità" mi pesava a tal punto che finii per lasciare la casa materna e la scuola e me ne andai in giro per il mondo da solo, con pochissimi soldi in tasca ma col fermo proposito di trovare la mia strada. Dovrei dire: di trovare la mia strada nella strada che avevo già scelto da sempre, il teatro, che è stato ed è tutto per me.»
- ^ Oggi, anche per la battaglia politica condotta da Eduardo, questa dizione disonorevole non compare più su i documenti anagrafici.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Eduardo De Filippo, Teatro (Volume terzo) - Cantata dei giorni dispari (Tomo secondo) - Mondadori, Milano 2007, pagg. 167-333 (con una Nota storico-teatrale di Paola Quarenghi e una Nota filologico-linguistica di Nicola De Blasi)
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) De Pretore Vincenzo, su IMDb, IMDb.com.
- [1] Eduardo recita il poemetto Vincenzo De Pretore (file audio mp3 scaricabile, durata 20' circa)