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Ivan Mozžuchin

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Mosjoukine

Ivan Il'ič Mozžuchin, francesizzato in Ivan Mosjoukine (in russo Иван Ильич Мозжухин?; Penza, 26 settembre 1889Neuilly-sur-Seine, 18 gennaio 1939), è stato un attore e regista russo naturalizzato francese negli anni venti.

Ivan Mozžuchin (1917)

Figlio di un'agiata famiglia russa, abbandonò gli studi di giurisprudenza per recarsi a Kiev e lì coltivare la sua grande passione per il teatro. Presto subì il fascino del cinema e, dopo alcune brevi comparse, esordì come attore in Sonata a Kreutzer (1911) di Pëtr Čardynin. Nel periodo pre-rivoluzionario si affermò lavorando soprattutto coi registi Evgenij Frančevič Bauer in La vita nella morte (1914) e Jakov Aleksandrovič Protazanov in La dama di picche (1916) e Andrej Kožuchov (1917).

Negli anni della rivoluzione e nell'incertezza produttiva che li accompagnò, Ivan Mozžuchin seguì l'onda migratoria che, al seguito dei grandi produttori Aleksandr Alekseevič Chanžonkov e Josif Nikolaevič Ermol'ev, coinvolse registi, attori e tecnici russi, portandoli prima in Crimea e, dal 1919, in diverse sedi europee. Mozžuchin, con la moglie Natalija Lisenko, seguì Ermol'ev a Parigi dove il produttore si insediò nei vecchi stabilimenti della Pathé, dove, nel 1922, Aleksandr Kamenka e Noel Bloch diedero vita alla Albatros. È qui che modificò il suo cognome in Mosjoukine; ma, a conferma dell'internazionalità della sua fama, sarà conosciuto anche come Moskine in Germania e Mozhukhin nel mondo di lingua anglosassone.

Il tema del distacco e della nostalgia per la patria fu al centro del primo film interpretato dall'attore in Francia, L'avventura angosciosa (1920) di Protazanov, che ne mise in mostra, ancora una volta, le notevoli capacità interpretative, a partire da una recitazione moderna, priva di forzature melodrammatiche, caratterizzata da espressioni e gesti misurati. È interessante come Lev Vladimirovič Kulešov, nel suo famoso esperimento, si sia servito proprio di una medesima espressione di Mozžuchin, alternata a diverse situazioni drammatiche, alle quali si adattava alla perfezione, per confermare le sue teorie sulla relativa irrilevanza dell'esperienza professionale dell'attore.

I film interpretati in Francia dall'attore furono quelli tipici dell'emigrazione russa: da un lato, per evidenti motivi commerciali, la rappresentazione dei classici della letteratura occidentale, come Kean (1924) di Aleksandr Volkov), dall'altro motivi legati alla tradizione e alla cultura russe. Appartiene a quest'ultima categoria uno dei due film diretti da Mozžuchin, Le Brasier ardent (1924), preceduto nel 1921 da L'Enfant du carnaval. In tutto questo periodo, in Russia la fama dell'attore rimase intatta, ed album ed almanacchi con le sue fotografie continuarono a trovare ampia diffusione.

Il tema della perdita d'identità fu centrale nel pirandelliano Il fu Mattia Pascal (1926), per cui Marcel L'Herbier lo volle nella parte del protagonista, e in cui l'attore diede, forse, il meglio di sé. Indimenticabile è la sua duplice interpretazione nello scontro fisico tra Adriano Meis e il suo alter ego Mattia, col suo carico di memoria e sofferenza, da cui Adriano si illude di essersi liberato per sempre, col cambiamento di nome e luogo.

Fu questo il canto del cigno per Mozžuchin. Mentre il flusso migratorio della comunità cinematografica russa tendeva a orientarsi in direzione delle nuove mecche del cinema, gli USA e gli stabilimenti Ufa in Germania, egli rimase a Parigi, dove le sue caratteristiche interpretative e l'imperfetta conoscenza del francese lo colsero impreparato ad affrontare la sfida rappresentata dall'avvento del sonoro. In un'epoca in cui, anche per motivi culturali, il divismo si coniugava quasi esclusivamente al femminile – Asta Nielsen, Lyda Borelli, Francesca Bertini, Musidora, Mia May, Louise Brooks e molte altre – Ivan Il'ič Mozžuchin fu forse, con le parziali eccezioni di Conrad Veidt e Emil Jannings, l'unico divo del cinema.

La sua stessa morte nel 1939, avvenuta nella miseria e nell'abbandono, è in qualche modo avvolta nel mistero (a causarne il decesso sarebbe probabilmente stata la tubercolosi). Fu raccontato che, nella squallida stanza in cui fu trovato morto, vi fossero molte lettere ancora sigillate di sue ammiratrici, che, tra somme di denaro ed effetti preziosi, contenevano una piccola fortuna.

  • (FR) François Albera, Albatros des Russes à Paris (1919-1929, ed. Mazzotta e Cinematèque française, 1995 ISBN 88-202-1145-9
  • Vittorio Martinelli, Nascita del divismo, Torino, Einaudi, 1999.
  • Natal'ija Nusinova, I russi in Europa. Il cinema della prima emigrazione", Torino, Einaudi, 1999.
  • Alberto Farassino, Cosmopolitismo ed esotismo nel cinema europeo tra le due guerre, Torino, Einaudi, 1999.
  • Giovanni Buttafava, Il cinema russo e sovietico, Marsilio, Venezia, 2000.

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