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lunedì 26 marzo 2018

Pausa pranzo

Sono nove, affiatate, si conoscono da buona parte della loro vita. Sono giovani, qualcuna veste più sofisticata, qualcun'altra casual, ma tutte di tendenza, tant'è che indossano tutte delle polacchine.
Sedute nella luce diafana di questo marzo pazzerello, una finestra a illuminare il tavolo sul quale consumano il pranzo, chiacchierano. Di maschi. Di coppie che popolano altre stanze del posto in cui trascorrono quasi ogni mattina assieme.
"Giulio sta con Sara".
"Ma lui è più piccolo di lei".
"Già".
"E voi -  mi intrometto tra quei nomi per me sconosciuti - siete fidanzate?".
Qualcuna alza la mano, "Io sì" dice una sillabando un nome.
"No non so come fai a stare con lui - dice un'altra - io l'ho avuto vicino ed era insopportabile".
"Lascialo - sentenzia una terza - si scaccola!".
"Anche io ero fidanzata" mi rivela quella che riteneva insopportabile il fidanzato dell'amica "ma poi mi sono lasciata e ora sono single".
"Che significa single?", mi domanda la Lolla.

Sono nove, si conoscono da quando avevano più o meno tre anni e la più grande di loro sta per compierne otto. Hanno percorso già cinque anni assieme, crescendo e cambiando tra i banchi di scuola.
Sono le compagne della Lolla. Averle tutte a pranzo, e sentirle parlare, è un'esperienza indicibile. Sono piccole donne, sono la proiezione di quello che potranno e vorranno essere.

mercoledì 18 ottobre 2017

Meglio soli

E' successo mentre passeggiavamo a Matera, di sabato sera, nel bel mezzo dello struscio cittadino. E' successo a Matera, ma, premetto, sarebbe potuto accadere in qualsiasi altro posto. Nel giro di pochi minuti passiamo da una comitiva di ragazzi dove un'adolescente si lascia andare, ridendo, a un'imprecazione, a un'altra dove due ragazze che potranno avere al massimo 16 anni, scherzano e un dà all'altra, ridendo, della troia. E' successo a Matera, ripeto, ma non è diverso da altre situazioni in cui mi sono imbattuta recentemente nella mia città, con adolescenti, spesso ragazze, che usano espressioni volgari, imprecano, bestemmiano. A volte nell'assurdo silenzio di genitori non complici, ma più che altro quasi succubi dei figli. Abulici.
Forse sono vecchia e anche un po' codina. Non sono mai stata, neanche in gioventù, una che usava o abusava delle parolacce. Qualche volte mi può scappare, certo, ma non ne ho fatto mai la mia forma linguistica prediletta. Detto questo ho e ho avuto amiche che usano le parolacce molto più di me e so, per esperienza, che quando si è giovani essere sboccati fa figo. Fa grande. Il punto, tuttavia, è che c'è un'enorme differenza tra usare le parolacce e imprecare. E anche le mie amiche più sboccate a certe vette non arrivavano, né le ho mai sentite darmi o darsi della troia. Non nei litigi e neppure per scherzo.
E allora, che succede ai giovani d'oggi? Come mai sempre più femmine si abbandonano a una linguaggio un tempo retaggio non dico di maschi, perché ci sono maschi e maschi, ma di uomini di infimo livello?
Ecco allora che mentre passeggiavo a Matera, ma sarebbe potuto succedere altrove solo che ero lì, un pensiero mi si è formato in testa. Non passerà molto tempo che anche Ieie e la Lolla saranno adolescenti e avranno una vita sociale che si svolgerà prevalentemente senza di me. Come genitore desidererò per loro quello che desideravo anch'io da ragazza, degli amici con cui passare il tempo, perché stare soli può essere triste.
E se questi amici saranno come i giovani che mi capita di incontrare sempre più spesso? Sarei contenta che, pur di non rimanere soli, si accodassero a persone del genere, le approvassero, le imitassero?
Ecco, ho pensato, sarà anche triste, ma piuttosto che questo, preferisco il vecchio detto, meglio soli che male accompagnati. Sì, ho pensato in un moto di assurdo (assurdo?) egoismo, piuttosto che questo, meglio soli.

mercoledì 8 febbraio 2017

L'altro lato dell'amicizia

Ti ho vista ieri: guardavi la tua amichetta giocare con un'altra bambina. Facevano finta, un gioco in cui voi due siete bravissime. Le guardavi, seduta in disparte, gli occhioni dilatati dal dispiacere, il capo chino, un'espressione così infantile che non ti è consueta e che mi ha sciolto il cuore.
Per la tua amica era come se non ci fossi, invisibile, trasparente, non uno sguardo né una parola. Incapace di comprendere e di reagire, tu, abituata a essere cercata, chiamata.
Avrei voluto prenderti e portarti via, proteggerti da quella delusione. Ma non l'ho fatto perché sarei stata infantile e dannosa.
Ti ho parlato, poi.
Di amicizie, di coraggio e faccia tosta. Parole che a mia volta ho sentito e non mi hanno fatto piacere, ma sono necessarie.
Perché le amicizie esclusive sono bellissime, ma possono farti sentire molto sola. Perché si può stare bene anche in tre o in quattro. Perché bisogna farsi avanti, non si può sempre aspettare. E a volte è necessario cercare altri amici, che non vuol dire dimenticare i vecchi.
Ti ho guardata e sapevo esattamente quanto faceva male. Ma forse anche quel male è necessario, è l'altro lato dell'amicizia e serve anche quello a crescere.

lunedì 25 luglio 2016

Briciole al tempo

Non ricordo bene come è iniziata. Era la prima media e io avevo fatto gruppetto con alcune bambine conosciute da poco, sentendomi accusare di tradimento dalle vecchie compagne delle elementari che erano ancora in classe con me. Lei occupava il banco dietro al mio, con i suoi voluminosi capelli ricci che era costretta a legare per non ostacolare la visuale ai compagni delle file posteriori.
In un modo o nell'altro dovemmo trovarci simpatiche, sentire, annusare, una certa affinità, perché un giorno mi invitò a casa sua. Ricordo esattamente che appena entrata, dall'ingresso scorsi la sua camera con un castello rosa fatto di costruzioni e alcuni gattini di ceramica che troneggiavano su una mensola. Quella casa mi pacque subito, e mi piacque la sua giovanissima mamma che sapevo aver vissuto all'estero e bilingue. Era simpatico anche il suo papà che giocava a nascondino con noi.
Fu l'inizio di una bellissima amicizia. Lei fu la prima amica che non era più solo una compagna di giochi, ma una confidente di quell'età meravigliosa e strana che è l'adolescenza. Cantavamo le canzoni di Sanremo leggendole da Tv Sorrisi e Canzoni, giocavamo in casa a pallavolo, sport di cui entrambe eravamo appassionate, lasciandoci dietro danni ancora visibili. Ma soprattutto facevamo lunghissime chiacchierate quando ci sembrava che solo in quello scambio reciproco potevamo trovare comprensione.
Furono due anni bellissimi. Poi un cambio di lavoro la portò via, in una città a oltre 800 chilometri. Tra le lacrime ci giurammo eterna amicizia.
Da qualche parte ho ancora il quadernone viola con lo scoiattolo su cui 28 anni fa scrisse l'indirizzo di casa sua, e la precisazione "portone verde scrostato" perché non avessi problemi a trovarlo. Ieri ci siamo riviste. Anche quest'anno, approfittando di una momentanea vicinanza, macinando qualche chilometro e rubando un po' di tempo alle ferie, agli impegni familiari e alla stanchezza, siamo riuscite a organizzare un breve incontro, un pranzo fuori con le nostre famiglie per vederci e aggiornarci, e ribadire che a dispetto del tempo che passa siamo ancora buone amiche.
Ed è stato bello scoprire che il desiderio di ritrovarsi era reciproco, nonostante per qualcuno in una domenica di luglio con temperature oltre i 30°, sarebbe più opportuno andare al mare .
Ma la verità è che adesso che il giro di boa dei quaranta si avvicina, non mi sembra più di avere davanti tutto il tempo del mondo, di poter recuperare i minuti che non si sono passati insieme e di poter riavvicinare gli amici che avevo accanto. Adesso più che mai so che quelle lacrime che versai quando lei se ne andò, erano quanto di più vero poteva esserci. La mia amica sarebbe andata via per sempre e quei lunghi pomeriggi insieme non ci sarebbero stati più. 
E allora se bisogna rubare briciole al tempo, in due si fa meno fatica.