
Gira e rigira, quando tra i nomi di copertina ti capita di imbatterti in
Mauro Pagani vale sempre la pena di prestare più attenzione. Non perché
necessariamente sia lui a fare cose magistrali, ma perché, grazie anche
al tempo passato, al fiuto più volte dimostrato, all'esperienza e alla
sensibilità artistica, è quasi impossibile trovare Mauro Pagani
coinvolto in un brutto lavoro. E succede anche questa volta. Il
contributo di Mauro è minimo per quanto efficace (suona il violino in
tre canzoni), ma il progetto Indaco sta in piedi benone e ci offre
l'ultimo grande disco di questa estate discontinua, se vogliamo, ma non
improvvida di belle canzoni.
Il brodo di coltura da cui emergono
gli Indaco, peraltro, ha molto in comune con quello di Mauro: Rodolfo
Maltese, chitarrista ed autore degli Indaco, nasce nel Banco del Mutuo
Soccorso, da dove passa anche Pierluigi Calderoni (batteria). Se poi
aggiungiamo che tra gli ospiti ci sono Francesco Di Giacomo e Tony
Esposito, Enzo Gragnaniello e Antonello Salis, Andrea Parodi (ex
Tazenda) e Lester Bowie, il quadro si fa più definito. Gli altri
titolari della formazione sono il percussionista (fondamentale il suo
apporto!) Arnaldo Vacca, Luca Barberini al basso, Carlo Mezzanotte alle
tastiere, Gabriella Aiello, voce e Antonio Magli, tastiere (questi
ultimi due però non hanno partecipato al disco).
Dall'incontro
tra Maltese e Mario Pio Mancini, violinista, bouzoukista e altro autore
del gruppo, sono nati gli Indaco, ormai da una decina d'anno (tutti
dischi editi dal Manifesto Cd a 8 euro, ente sempre più benemerito a
favore della buona musica d'autore). Il primo disco è una autoproduzione
che data addirittura 1991, dal titolo, per l'appunto di "Indaco", il
gruppo non c'è ancora, e i singoli partecipanti si firmano come Mario
Pio Mancini, Rodolfo Maltese and the New Ensamble. Nel 1995 è la volta
di "Flying with the Chakras" e, come si può inuire dal titolo segna una
virata verso la new age. Nel 1997 esce "Vento del deserto". Nel 1999
escono con "Amorgos", la cui title track chiude anche Porte d'Oriente.
Nel 2000 è la volta di "Spezie", un live. Seguono cinque anni di
silenzio, interrotti da "Terra maris" del 2002, unico album non del
Manifesto e infine Porte d'Oriente che è un po' una sorta di "greatest
hits" di brani che vengono comunque dal passato, unito a due inediti (se
non vado errato): "Salentu" e "Father P.".
La musica degli
Indaco è un miscuglio molto interessante di armonie indiane, suoni
mediorientali, contaminazioni mediterranee e rimembranze di quello che
fu il prog-rock degli anni d'oro. Potrebbero essere elementi di scontro,
di possibili collisioni pericolose, di frizioni vicine al kitsch, che
invece viene miracolosamente evitato. Lo stupore nasce dall'equilibrio
che riesce a crearsi da costruzioni così vicine al barocco, ma,
effettivamente, come l'architettura barocca che semplicemente "non
poteva stare in piedi" e poi dura da secoli, così anche i canti e le
musiche di Indaco, pur sfiorando pericolosi sprofondi, restano sempre
validi e in piedi. Da questa solida fragilità nasce la meraviglia.
Disco
"barocco" quindi. Nel senso etimologico della "perla impura", della
bizzarria stravagante ed eccentrica, del tentativo di emozionare e
coinvolgere lo spettatore. Un disco che è prodotto dell'immaginazione
col fine di esercitare l'immaginazione, perché dal superamento del
limite si possa arrivare a persuaderci che qualcosa di non reale possa
diventare reale. Anche questo melange sonoro che arriva dall'India alle
regioni celtiche. D'altra parte, proprio nella presentazione del disco
gli Indico precisano che "gli steccati dei generi, in cui si è soliti
confinare la musica, dissezionandone il respiro e la forza" a loro
stanno stretti. Fino all'obiettivo di creare "una sorta di zona franca
della buona musica, con la porta sempre aperta verso altre esperienze".
Non
è un disco di facilissimo ascolto, non da ombrellone o da tormentone
estivo. E forse a qualcuno l'eccessivo puntare su termini new age (qui
abbiamo Kundalini e Mantra) potrà dare fastidio, ma fortunamente non ci
sono quasi mai parole ad accompagnare i suoni e quando ci sono le parole
seguono orbite dinamiche che si rifanno alle tradizioni popolari più
che alla new age. "Salentu", "Il volo del gabbiano", "Father P." e
"Amorgos" i brani più coinvolgenti.
di Leon Ravasi
- Rodolfo Maltese / guitars
- Mario Pio Mancini / bouzouki, electric violin
- Arnaldo Vacca / percussions
- Pierluigi Calderoni / drums
- Luca Barberini / bass
- Carlo Mezzanotte / keyboards
- Gabriella Aiello / vocals
- Antonio Magli / keyboards
Guest musicians:- Francesco Di Giacomo / vocals (5)
- Mauro Pagani / violin (3, 6, 8), flute (3)
- Tony Esposito / percussions (2)
- Enzo Gragnaniello / vocals (2, 3, 8, 11)
- Andrea Parodi / vocals (1, 9)
- Antonello Ricci / reed-pipe (3)
- Antonello Salis / accordion (5, 6)
- Fiona Davidson / harp, vocals (7)
-
Lester Bowie / trumpet (12)
- Pivio / remix (12)
1. Salentu (4:03)
2. Su nuraghe (5:30)
3. Andalusiana (4:36)
4. To the lighthouse (5:40)
5. Tharros (5:32)
6. Il volo del gabbiano (4:21)
7. Father P. (3:04)
8. Waiting for kundalini (7:02)
9. Soneanima (5:02)
10. Mantra (6:26)
11. Teatro do mar (5:33)
12. Amorgos (6:41)
Total Time: 63:32
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