Non mi imbattevo da un po' in una storia così potente, risucchiante, che ti tira dentro e tu non puoi fare nulla per sottrarti, puoi solo abbandonarti. Non ti accompagna dolcemente per mano in un altro mondo, ma ti strappa dal tuo, di mondi, e ti butta in un’altra dimensione. È materica, profonda, sporca di quello sporco che sa di vita e sopravvivenza, volgare e cesellata. Non ha paura. È sgranata, feroce, non si sottrae dal rendere i suoi personaggi persone vere, di carne e di sangue e di sudore, non ne sfuma i contorni, non li abbellisce con una perfezione che non è reale. Sono le mani nelle viscere la sua potenza, non la distanza dalla vita, sono le cose che non si dovrebbero fare, non si dovrebbero dire, non si dovrebbero confessare quelle che ti colpiscono come un pugno allo stomaco, e ti rimangono appiccicate addosso come miele dorato, come sangue rappreso.
E “Uvaspina”, per me, è una storia d’amore.
Anzi, una storia di tanto amore e di tanti amori.
Un amore da meritare e di cui esser degni, un amore necessario, un amore che ti riporta in vita, che fa scorrere la linfa in una carne condannata ad essere esangue, un amore che ti fa finalmente respirare, un amore che allaga, che riempie tutto, che punge, un amore che ti dice "sono tuo", un amore che ti fa sentire finalmente intero, che ti regala una pelle vera, che ti fa sentire che esisti, che ti fa sentire vivo, che ti strappa il cuore dal petto e ti ficca mille spilli in gola, e ti ferisce, e butta il sale su quelle ferite, un amore desiderato, negato, un amore che disseta, tormenta, rassicura, disorienta, un amore che non è amore, un amore che diventa odio, un amore pazzo, puro, disperato, incomprensibile, trascinante, arreso, oscuro, un amore che sa di peccato e sacrificio e redenzione.
I baci, le botte, la saliva, gli umori.
La dolcezza e la ferocia.
La crudeltà e la tenerezza.
Le vittime e i carnefici.
Una Napoli che sa d’acqua salata fa da sfondo alle vicende della famiglia Riccio, che con le famiglie delle pubblicità non c’entra proprio un bel niente.
C’è Uvaspina, fragile e delicato come un chicco d'uva che a difendere la polpa dolce e fresca ha solo una pellicina sottile sottile sottile, un personaggio che ispira tenerezza e protezione, continuamente attaccato e ferito, spremuto, drenato, schiacciato, tormentato da chi dovrebbe amarlo e dal mondo, che non lo accoglie né comprende: la sorella che lo vessa, la madre che gli dice "sopporta, sopporta e stai zitto", lui mendicante di avanzi di un amore al quale non è concesso vivere alla luce del sole. E, nonostante tutto, è come se risplendesse di una luminosità quasi sovrannaturale, come se fosse un martire o un angelo.
C’è Minuccia, sorella di Uvaspina, che invece si fa odiare, che è sempre troppo o troppo poco, una trottola senza controllo che gira e gira e gira, spietata e velenosa, che ferisce e distrugge, feroce e violenta, che gode nell’umiliare gli altri e nell’avere il potere. E tutto questo basta per detestarla, ho pensato. Ma poi mi sono fermata un istante, un secondo solo, e ho guardato un po’ più in là... tra le tempeste, i lampi e i tuoni ho visto una ragazzina che avrei voluto abbracciare dicendole “va tutto bene”. Io credo che Minuccia si difenda come può dallo schifo del mondo, dalle mani che la frugano, dal proprio sentirsi “non abbastanza”, dal suo sentirsi sempre meno di tutti, più grassa, più volgare, più imperfetta; e credo anche che lo strummolo la ripari dalla propria insicurezza, rendendola contemporaneamente vittima e carnefice di se stessa.
Lei si protegge da tutto e da tutti nel modo più sbagliato e cieco, ma forse quello è l’unico modo che conosce.
C’è, poi la madre di Uvaspina e Minuccia, la Spaiata, che ogni volta che si sente abbandonata annuncia “io muoio”, in una specie di ricatto senza fine.
C’è il padre, Pasquale Riccio, sempre più assente e lontano e ingarbugliato in cose più grandi di lui.
C’è Antonio, il bel pescatore dagli occhi di due colori diversi, che legge tanto e racconta storie; con lui Uvaspina ha finalmente la propria bolla d'incanto, di ebrezza da felicità, di ubriacatura d'amore sconosciuto, un mondo suo, in cui non essere soltanto la vittima di Minuccia. Antonio insegna a Uvaspina a respirare, finalmente.
E poi ci sono il mare e l'acqua e l'odore di salmastro che permeano e impregnano tutto, tanto da dare l’impressione di esserci immersi, di averli addosso, sulle mani, sulla faccia, nelle narici, ovunque.
E c’é Napoli, che l’autrice ama di un amore profondissimo, che trasuda da ogni pagina, da ogni parola.
Leggetelo subito.
(Anche i ringraziamenti finali sono un'opera d'arte, balsamo per il cuore, lo scaldano e lo fanno sciogliere)