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Congresso di Vienna

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Disambiguazione – Se stai cercando la conferenza tenutasi a Vienna nel 1515, vedi Primo Congresso di Vienna.
Congresso di Vienna
Il Congresso di Vienna in un dipinto di Jean-Baptiste Isabey
TemaRipristino e riorganizzazione dell'assetto dell'Europa all'età precedente le guerre napoleoniche e la rivoluzione francese
Partecipantiprincipali potenze europee
Apertura1º novembre 1814
Chiusura9 giugno 1815
StatoImpero austriaco (bandiera) Impero austriaco
LocalitàVienna
EsitoMutamenti territoriali, inizio della Restaurazione

Il Congresso di Vienna fu una conferenza tenutasi presso il castello di Schönbrunn (in tedesco Schloß Schönbrunn) nell'omonima città, allora capitale dell'Impero austriaco, dal 1º novembre 1814 al 9 giugno 1815 (benché diverse datazioni riportino l'inizio e la fine del Congresso al 18 settembre 1814 e al 9 giugno 1815[1]). Vi parteciparono le principali potenze europee allo scopo di ridisegnare la carta dell'Europa e ripristinare l'Ancien régime dopo gli sconvolgimenti apportati dalla rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche. Con il Congresso di Vienna si apre infatti quella che viene definita come l'età della Restaurazione in Europa che può considerarsi conclusa con i moti del 1848.[2]

Per la prima volta gli Stati europei decisero che il modo giusto di mettere fine a una guerra fosse riunire tutti gli Stati interessati e discutere una soluzione valida per tutti: un'idea che è sopravvissuta fino ad oggi[3]. L'idea che i grandi conflitti e le questioni internazionali andassero risolte da riunioni a cui partecipavano tutte le nazioni coinvolte era oramai entrata nella cultura della diplomazia europea. Un secolo dopo, questa idea avrebbe assunto la forma della Società delle Nazioni e, a meno di 150 anni dalla chiusura del Congresso, avrebbe portato alla nascita delle Nazioni Unite[3].

L'apertura del Congresso

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«Gli abusi del potere generano le rivoluzioni; le rivoluzioni sono peggio di qualsiasi abuso. La prima frase va detta ai sovrani, la seconda ai popoli.»

Il Congresso di Vienna si tenne nella capitale dell'allora Impero austriaco, dal 1º novembre 1814[5] al 9 giugno 1815. Un ruolo di primo piano ebbe la partecipazione delle maggiori quattro nazioni europee vincitrici: Austria, Regno Unito, Prussia e Russia, che tentarono così di dare un nuovo stabile assetto all'Europa dopo l'avventura napoleonica. Insieme ad altre delegazioni di diversi stati anche la Francia partecipò al congresso per l'abile azione diplomatica di Talleyrand, vescovo prima della rivoluzione dell'89, deputato rivoluzionario, collaboratore di Napoleone e in quel periodo ministro degli esteri di Luigi XVIII. Egli riuscì a far applicare per la Francia, vittima del tiranno napoleonico, il principio di legittimità secondo il quale dovevano essere restaurati sui loro troni i sovrani illegittimamente spodestati da Napoleone. La Francia del resto aveva già stipulato la pace con un precedente trattato siglato a Parigi il 30 maggio 1814.

Le discussioni continuarono malgrado il ritorno di Napoleone dall'esilio e la sua riassunzione del potere in Francia nel marzo 1815, e l'atto supremo del Congresso fu firmato nove giorni prima della sua finale disfatta nella battaglia di Waterloo, avvenuta il 18 giugno 1815.

Tecnicamente, il Congresso di Vienna non si svolse come un normale congresso, dato che non si riunì mai in sessione plenaria, e la maggior parte delle discussioni avvenne in sessioni informali tra le grandi potenze.

Le decisioni prese dal Congresso seguirono due linee-guida per l'assegnazione dei territori europei ai vari sovrani:

Il bilanciamento dei poteri
  • il principio di equilibrio, concepito con lo scopo di non concedere ad alcun paese la supremazia territoriale in Europa, ma, al contrario, di equilibrare le forze delle varie potenze europee in modo che nessuna di queste potesse prevalere sulle altre: questo principio portò alla nascita, ad esempio, del Regno Unito dei Paesi Bassi (da non confondersi con quello odierno), che funse da "cuscinetto" tra la Francia e la Confederazione germanica;
  • il principio di legittimità per riassegnare il trono ai legittimi sovrani deposti durante il periodo napoleonico, come ad esempio accadde nella Francia post-rivoluzionaria, a capo della quale venne nominato sovrano il fratello minore del re Luigi XVI ghigliottinato, Luigi XVIII, considerato come legittimo successore di Luigi XVII[6]; in questo modo veniva ripristinata la monarchia, anche se in questo caso si trattava di una monarchia costituzionale (benché "ottriata", cioè elargita per volontà sovrana[7]). Questo principio tuttavia non venne sempre rispettato: ad esempio le repubbliche di Venezia e di Genova non vennero ricostituite.

L'ordinamento degli stati restaurati venne lasciato ai singoli sovrani, ma fu generalmente costituito da quello tipico delle monarchie assolute: senza parlamenti o con rappresentanze non elettive.

Si le Congrès danse, il ne marche pas (Se il Congresso danza, non cammina)

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Si le Congrès danse, il ne marche pas

Dopo la caduta e l'abdicazione di Napoleone a Fontainebleau (6 aprile 1814) e la ratifica della prima Pace di Parigi, la sesta coalizione venne sciolta, mentre sul trono di Francia fu posto il legittimo sovrano, Luigi XVIII di Borbone, fratello minore del decapitato Luigi XVI. Secondo l'articolo XXXII del trattato di pace si sarebbe dovuto riunire a Vienna un congresso plenario delle potenze vincitrici per dare un nuovo assetto e un ordine durevole all'Europa, che per quasi vent'anni era stata calpestata, devastata e ridotta allo stremo dalla lunga guerra contro l'imperatore francese.

Luigi XVIII di Francia

I sovrani vincitori e i loro ministri plenipotenziari si incontrarono in un primo momento a Londra; soltanto nell'autunno del 1814 il Congresso ebbe inizio a Vienna. Vi presero parte le delegazioni diplomatiche di quasi tutte le nazioni europee. Dall'ottobre 1814 al giugno 1815 Vienna, e soprattutto il luogo d'incontro, il Dipartimento di Stato (più tardi anche la Cancelleria di Stato) nel Palazzo di Ballhausplatz, sede del Principe di Metternich, divenne il cuore del continente per la sua centralità politica. Anfitrione di questo grande consesso fu l'imperatore d'Austria Francesco I d'Asburgo-Lorena. Gli ospitanti cercarono di rendere il soggiorno delle personalità d'alto rango il più piacevole possibile.

Francesco I d'Asburgo-Lorena

I lavori del Congresso furono continuamente inframezzati da feste, cene, balli e ricevimenti tenuti dalla corte austriaca, dai nobili viennesi oppure dalle numerose delegazioni convenute[3]. La continua atmosfera di festa fece coniare al principe Charles Joseph de Ligne la famosa immagine del "Congresso danzante"[8].
In una lettera al principe de Talleyrand del 1º novembre 1814, Ligne scrisse:

«Mi attribuiscono il motto "Il Congresso danza, ma non va avanti". Ed esso non stilla nulla come il sudore di questi signori che ballano. Credo anche d'aver detto: "Questo è un congresso di guerra, non un congresso di pace."»

Anche diversi contemporanei, nonostante deplorassero l'immobilità politica, misero però in risalto la magnificenza e lo splendore dell'evento. Il segretario-generale del Congresso, il conte Friedrich von Gentz, in una lettera del 27 settembre 1814, scrisse:

«La città di Vienna offre ai presenti una visione spettacolare; tutta l'Europa è qui rappresentata dalle più illustri personalità. L'imperatore, con l'imperatrice e le grandi principesse di Russia, il re di Prussia con parecchi principi della sua casa, il re di Danimarca, i re e i principi ereditarii di Baviera e del Württemberg, i duchi e i principi delle case di Meclemburgo, Sassonia-Weimar, Sassonia-Coburgo, Assia ecc., metà dei vecchi principi e dei conti dell'Impero, e poi un numero immenso di diplomatici provenienti dai più vari reami d'Europa. Tutto questo non fa che dar vita ad un movimento e a una tale varietà di immagini ed avvenimenti che solo la straordinaria epoca, nella quale noi viviamo, sarebbe in grado di produrre. Gli affari di Stato nel frattempo, con lo sfondo di tali singolari cose, non stanno andando avanti affatto.»

Tuttavia, alcuni storici sono dell'opinione che il Congresso non trascurò i suoi impegni effettivi tra i vari balli e tutti gli altri intrattenimenti, ma stabilì le linee guida del nuovo ordine di pace e stabilità dell'Europa, anche se la grossolana quanto pungente opinione del feldmaresciallo Blücher sembrerebbe dare un'altra impressione.

«Il Congresso assomiglia ad una fiera in un piccolo paese, in cui ognuno dà una lucidata al dorso del proprio bestiame per venderlo e barattarlo.»

Il Duca di Wellington

Al Congresso, il Regno Unito fu prima rappresentato dal ministro degli esteri, il Visconte Castlereagh; dopo il febbraio 1815, dal Duca di Wellington; e nelle ultime settimane, dopo che Wellington se ne andò per affrontare Napoleone, dal Conte di Clancarty. L'Austria era rappresentata dal principe Klemens von Metternich, il ministro degli Esteri, e dal suo delegato, Barone Wessenberg. La Prussia era rappresentata dal principe Karl August von Hardenberg, il cancelliere, e dal diplomatico e studioso Wilhelm von Humboldt.

Lord Castlereagh

La Francia di Luigi XVIII era rappresentata dal ministro degli Esteri Charles Maurice de Talleyrand-Perigord. Sebbene la delegazione ufficiale della Russia fosse guidata dal suo ministro degli Esteri, il conte Karl Vasil'evič Nessel'rode, lo zar Alessandro I per lo più operò personalmente. Inizialmente, i rappresentanti delle quattro potenze vincitrici sperarono di escludere i francesi da una seria partecipazione ai negoziati, ma Talleyrand riuscì abilmente a inserirsi nei dibattiti interni sin dalle prime settimane.

Poiché la maggior parte del lavoro al Congresso fu svolta da queste cinque potenze (assieme, per certi temi, con le rappresentanze di Spagna, Portogallo e Svezia; sui temi tedeschi, di Hannover, Baviera, e Württemberg; su quelli italiani, dello Stato Pontificio e dei Regni di Sardegna e di Napoli e Sicilia), la maggior parte delle delegazioni non ebbe molto da fare al Congresso, e l'ospite, l'imperatore Francesco I d'Austria sostenne splendidi intrattenimenti per mantenerle occupate.

Le materie su cui si discusse furono molteplici e in generale solo le perdite territoriali a danno dei francesi non furono oggetto di discussione. Queste erano già state decise riportando i confini francesi a quelli precedenti le avventure napoleoniche.

Mutamenti territoriali

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L'Europa dopo il Congresso di Vienna

Il principale risultato del Congresso, a parte la ratifica della perdita, che era già stata stabilita dalla "Pace di Parigi", dei territori che la Francia si era annessa tra il 1795 e il 1810, fu l'accrescimento della Russia che guadagnò gran parte del Ducato di Varsavia e la Finlandia, e l'ingrandimento del territorio della Prussia, che acquistò la Westfalia, la Renania settentrionale e parte della Polonia.

Il consolidamento della Germania dai quasi 300 stati del Sacro Romano Impero (disciolto nel 1806) in un sistema (molto più gestibile) di trentanove stati fu confermato. Questi stati andarono a costituire una blanda Confederazione Tedesca sotto la guida di Prussia e Austria.

Europa centrale

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In particolare le materie trattate furono quelle polacco-tedesche.

Lo zar presentò un piano in cui prevedeva la creazione di una Polonia indipendente satellite della corona russa. Questo piano fu fortemente osteggiato dalle altre potenze, e alla fine si giunse a un accordo spartendo la Polonia e attribuendo gran parte della Sassonia al sovrano prussiano. In generale si portò la composizione della Confederazione Tedesca a 39 stati sotto il controllo di Austria e Prussia.

Il principe di Talleyrand

L'oggetto più controverso al Congresso fu, infatti, la cosiddetta crisi sassone-polacca. I russi e prussiani avanzarono una proposta secondo la quale la maggior parte dei territori austriaci e prussiani della Polonia sarebbero andati alla Russia, che avrebbe creato un regno polacco indipendente in unione personale con la Russia, con lo zar Alessandro quale re.

In cambio, i prussiani avrebbero ricevuto come compensazione tutta la Sassonia, il cui re veniva considerato abdicante per non aver abbandonato Napoleone abbastanza in fretta. Gli austriaci, i francesi, e gli inglesi non approvarono questo piano, e, ispirati da Talleyrand, firmarono un trattato segreto il 3 gennaio 1815, consentendo alla guerra, se necessario, per impedire che il piano russo-prussiano producesse il suo effetto.

Sebbene nessuna delle tre potenze fosse particolarmente pronta alla guerra, i russi non vollero sfidarle, e si elaborò presto una composizione amichevole, per cui la Russia ricevette il grosso del Ducato napoleonico di Varsavia come Regno di Polonia (chiamato Polonia del Congresso), ma non ricevette il distretto di Poznań (Granducato di Poznan), che fu dato alla Prussia, né Cracovia, che rimase una città libera. La Prussia ricevette il 40% della Sassonia (più tardi nota come provincia di Sassonia), con la restante parte resa al re Federico Augusto I di Sassonia (Regno di Sassonia).

La Gran Bretagna ne uscì come la potenza che aveva più interesse per l'equilibrio in Europa, ma all'esterno dell'Europa si rafforzò acquisendo le ex colonie francesi delle Indie Occidentali o che appartenevano a stati in passato alleati della Francia: acquisì così dai Paesi Bassi il Sudafrica e il capo di Buona Speranza. L'Inghilterra era rappresentata da Lord Castlereagh, ministro degli esteri, un nobile irlandese che aveva ricevuto istruzioni di poter mettere sulla bilancia dei negoziati i territori inglesi extraeuropei per potersi avvantaggiare in Europa. Ma egli non seguì tale indicazione, percependo che gli altri stati non si erano resi conto dell'importanza delle colonie: quest'abile mossa permetterà alla Gran Bretagna di rimanere la più grande potenza coloniale sino alla fine della seconda guerra mondiale.

Il nuovo assetto politico territoriale italiano

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L'Italia come disegnata dal Congresso di Vienna nel 1815

Dopo il congresso di Vienna l'Italia fu divisa in una decina di stati (che si ridussero a otto, entro una trentina di anni dal Congresso, a causa di alcune annessioni di stati minori a entità più vaste):

  • il Regno di Sardegna, governato dai Savoia, riottenne il Piemonte e la Savoia e venne ingrandito con i territori della Repubblica di Genova, nonostante le proteste dei delegati genovesi. La Repubblica genovese era stata infatti ricostituita nel 1814 per editto dell'Ammiraglio britannico William Bentinck.
  • Nel resto del nord venne costituito il Regno Lombardo-Veneto, sotto il controllo dell'Austria, comprendente i territori di terraferma della Repubblica di Venezia (che anch'essa non venne ricostituita), del Veneto, del Friuli e della Lombardia orientale, tutti uniti alla parte rimanente della Lombardia. Al Regno Lombardo-Veneto fu annessa anche la Valtellina, visto che si era opposta alle richieste svizzere, che miravano a far sì che questa valle - sulla quale la Svizzera aveva una sorta di protettorato dal 1512 - ritornasse al Canton Grigioni o fosse unita alla Confederazione, come cantone autonomo. Nel Lombardo-Veneto inoltre fu inserita anche la Transpadana ferrarese, un territorio appartenente allo Stato Pontificio, un lembo di terra a nord del fiume Po, storicamente e culturalmente associato all'Emilia[9].

Sotto forte influenza austriaca si trovavano inoltre:

Dettaglio dell'assetto territoriale del Granducato di Toscana e della Toscana del Nord alla fine del 1815, con gli ex feudi imperiali della Lunigiana già ascritti al Ducato di Modena

Indipendenti, ma legati all'Austria da vincoli di alleanza e interesse:

Altri mutamenti

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I rappresentanti al Congresso concordarono numerosi altri mutamenti territoriali. La Norvegia fu trasferita dalla Danimarca alla Svezia. Un grande Regno Unito dei Paesi Bassi fu creato come stato cuscinetto per il principe Guglielmo d'Orange-Nassau, e comprendeva sia le vecchie Province Unite sia i territori precedentemente governati dall'Austria, i quali avrebbero poi costituito dal 1830 in avanti il Belgio.

Ci furono altri, meno importanti, aggiustamenti territoriali che comprendevano significativi guadagni territoriali per i regni tedeschi di Hannover (che guadagnò la Frisia orientale a scapito della Prussia e vari altri territori della Germania nord-occidentale) e di Baviera (che guadagnò il Palatinato renano e territori in Franconia). Il Ducato di Lauenburg fu trasferito da Hannover alla Danimarca e la Pomerania svedese fu annessa dalla Prussia. Il trattato riconobbe inoltre i diritti portoghesi su Olivença, ma essi furono ignorati e l'area rimase sotto controllo spagnolo.

La Santa Alleanza

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Lo stesso argomento in dettaglio: Restaurazione e Santa Alleanza.

«S'identificò la storia della civiltà con la storia della religione, e si scorse una forza provvidenziale non solo nelle monarchie, ma sin nel carnefice, che non potrebbe sorgere e operare nella sua sinistra funzione se non lo suscitasse, a tutela della giustizia, Iddio: tanto è lungi dall'essere operatore e costruttore di storia l'arbitrio individuale e il raziocino logico.»

Joseph de Maistre

Il Congresso di Vienna segna l'inizio dell'età della Restaurazione dove avanzava ispirata dal Romanticismo una nuova concezione della storia che smentiva quella illuminista basata sulla capacità degli uomini di costruire e guidare la storia con la ragione. Le vicende della Rivoluzione francese e il periodo napoleonico avevano dimostrato che gli uomini si propongono di perseguire alti e nobili fini che s'infrangono dinanzi alla realtà storica. Il secolo dei lumi era infatti tramontato nelle stragi del Regime del Terrore e il sogno di libertà era sfociato nella tirannide napoleonica.

Da questa nuova visione della storia opera della volontà divina si promanano due visioni contrapposte: la prima è una prospettiva reazionaria che vede nell'intervento di Dio negli eventi umani una sorta di avvento di un'apocalisse che metta fine alla sciagurata storia degli uomini ai quali non rimane che volgersi al passato (così per esempio in François-René de Chateaubriand, in Joseph de Maistre), la seconda, che si potrebbe definire liberale, alla luce dell'ideale «conservare progredendo»[11], vede invece nell'azione divina una volontà diretta, nonostante tutto, al bene degli uomini e auspica un nuovo cristianesimo per una nuova società (ad esempio: Lamennais, Saint Simon).

Lo zar Alessandro I di Russia

Con lo zar Alessandro l'ideale di una politica concepita in termini di mistica religiosa sembra costituirsi con la formazione della Santa Alleanza. Lo zar voleva impegnare in questo patto sacro i contraenti di Prussia, Russia, Austria a conformarsi nel governo dei loro popoli ai principi della carità cristiana scritti «nell'eterna religione di Dio salvatore»[12].

Il Principe di Metternich

Sebbene ampiamente derisa da molti statisti (Castlereagh lo chiamava «un pezzo di sublime misticismo e assurdità» e Metternich un «nulla altisonante»), il 26 settembre 1815 i sovrani europei vi aderirono, con l'eccezione del Papa, avverso a un'alleanza che univa assieme cattolici, luterani e ortodossi, del sultano della Turchia, che non era particolarmente interessato ai princìpi cristiani, e del Principe-Reggente del Regno Unito, che non poteva assentire a un tale trattato senza coinvolgimento ministeriale (in effetti egli firmò nel suo ruolo di Reggente di Hannover), ma soprattutto perché il Regno Unito temeva che questa alleanza nascondesse la volontà della Russia di avere mano libera nei Balcani.

In seguito, la Santa Alleanza fu progressivamente associata con le forze della reazione in Europa, e particolarmente con gli orientamenti politici di Metternich, che aveva come supremo criterio di politica internazionale quello del mantenimento dell'ordine europeo e divenne il simbolo stesso della reazione fino alla rivoluzione austriaca del 1848 che lo costrinse a dimettersi.

Quadruplice e Quintuplice Alleanza

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Il 20 novembre 1815 fu redatto un secondo patto tra Prussia, Austria, Russia che con l'adesione della Gran Bretagna prese il nome di Quadruplice Alleanza.

Al Congresso di Aquisgrana, dell'ottobre-novembre 1818, gli alleati, in cambio del pagamento delle riparazioni di guerra (ancorché ridotte), approvarono il ritiro dei propri corpi di occupazione, stanziati in Francia sin da Waterloo. La Francia di Luigi XVIII venne invitata ad aderire al patto che prese il nome di Quintuplice Alleanza e che sopravvisse fino alla morte dello zar Alessandro nel 1825[13].

La presenza della Francia era ancora formale data la diffidenza delle altre quattro potenze europee che avevano stipulato contemporaneamente anche un protocollo segreto, che confermava la garanzia reciproca in funzione anti-francese.

La vera promozione della Francia da potenza sconfitta ad alleato dev'essere fatta risalire, al Congresso di Verona del 9-14 ottobre 1822, quando, nonostante il dissenso inglese, Austria, Russia e Prussia autorizzarono i ministri di Luigi XVIII alla spedizione militare in Spagna per restaurare il governo assoluto di Ferdinando VII di Borbone: quello fu, in effetti, il vero evento che sancì il reingresso di Parigi nel consesso delle grandi potenze europee. Il corpo di spedizione denominato "I centomila figli di San Luigi" con la vittoriosa battaglia del Trocadero (1823)[14] restaurò l'assolutismo monarchico di Ferdinando VII di Borbone[15].

Gli strumenti dell'alleanza

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Per il mantenimento dell'ordine, l'alleanza si basava sul principio di intervento: nel caso uno Stato avesse avuto dei problemi causati da disordini rivoluzionari che non fosse in grado di sedare e che potessero contagiare gli altri Stati, questi si ritenevano in obbligo d'intervenire per sedare le rivolte. Al principio di non ingerenza negli affari interni di uno Stato si sostituiva così il principio politico della sovranità limitata degli Stati e l'ideale della solidarietà internazionale, da attuarsi con la periodica consultazione dei governi europei nei Congressi e tramite quello strumento di polizia internazionale che era la Santa Alleanza.

I paesi coinvolti nel Congresso si accordarono infatti di riunirsi a intervalli, a norma dell'Articolo VI:

«Per assicurare l'esecuzione del presente Trattato e consolidare i legami ora così uniti i Quattro Sovrani per la felicità del mondo hanno concordato di rinnovare i loro incontri a periodi prefissati […] per la considerazione di misure per la serenità e prosperità delle Nazioni e per il mantenimento della Pace in Europa.»

Ciò portò all'istituzione del sistema del Congresso, e ai successivi congressi: i più importanti saranno quelli di Aquisgrana (1818), di Troppau (1820), di Lubiana (1821), che autorizzò l'intervento austriaco nel napoletano, e infine il congresso di Verona (1822) già citato.

I partecipanti alla firma del trattato

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Le quattro grandi potenze e la Francia borbonica

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Le quattro grandi potenze che in precedenza avevano costituito il cuore della Sesta coalizione furono anche il fulcro del Congresso di Vienna. Alla vigilia della sconfitta di Napoleone esse già avevano delineato la loro comune posizione col Trattato di Chaumont (marzo 1814), e negoziato il Trattato di Parigi con i Borboni durante la Restaurazione:

Gli altri firmatari

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Critiche ed elogi

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«Raramente l'incapacità dei governi a frenare il corso della storia si è manifestata in maniera più evidente che nella generazione successiva al 1815. Prevenire una seconda Rivoluzione francese, o la catastrofe ancora peggiore di una rivoluzione generale europea sul modello di quella francese era l'obiettivo supremo di tutte le potenze che avevano impiegato vent'anni a sconfiggere la prima; e questo era persino l'obiettivo della Gran Bretagna che non aveva in simpatia gli assolutismi reazionari… e sapeva che le riforme non potevano né dovevano essere evitate, ma temeva una seconda espansione franco-giacobina… Eppure mai nella storia europea lo spirito rivoluzionario era stato così endemico…»

Gli Inglesi comunicano agli africani l'abolizione della tratta degli schiavi

Il Congresso di Vienna fu spesso criticato da storici del XIX secolo e da quelli più recenti per il fatto di aver ignorato gli impulsi nazionali e liberali e per avere imposto una reazione repressiva sul continente.

Questa critica era già sostenuta dall'opposizione Whig nel Regno Unito al tempo della conclusione del Congresso. Le decisioni prese dal Congresso di Vienna, dove la pace e la stabilità furono barattate con le libertà e i diritti collegati alla rivoluzione francese, fecero parte integrante di ciò che divenne noto come l'ordine conservatore.

Nel XX secolo, tuttavia, alcuni storici sono arrivati ad ammirare gli statisti del Congresso, la cui opera, si disse, aveva impedito un'altra guerra generale europea per quasi cent'anni (1818-1914)[20].

L'abolizione della tratta degli schiavi

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Uno dei pochi meriti indiscussi del Congresso di Vienna fu la sottoscrizione, «interponendovi i suoi zelanti uffici Pio VII»[21], di una Dichiarazione contro la tratta degli schiavi contenuta nell'allegato 15 dell'Atto finale (8 febbraio 1815). Sia pure sostenuta dagli interessi inglesi nei confronti delle colonie francesi, fu un passo importante nella lotta allo schiavismo.[22]

Restituzione delle opere d'arte

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Lo stesso argomento in dettaglio: Furti napoleonici.

Durante il Congresso di Vienna, vennero inoltre discusse le clausole riguardanti la proprietà delle opere d'arte portate in Francia con le spoliazioni napoleoniche e poste al Musée Napoléon, divenuto successivamente Museo del Louvre. Austria, Spagna, stati tedeschi e Inghilterra ordinarono l'immediata restituzione di tutte le opere sottratte "senza alcun negoziato diplomatico" sostenendo che "la spoliazione sistematica di opere d'arte è contraria ai principi di giustizia e alle regole della guerra moderna". Secondo la storica dell'arte Dorothy Mackay Quynn[23], la Francia si opponeva argomentando come "il diritto di conquista è comune a tutte le nazioni in tutte le epoche". Nel Congresso di Vienna venne alla fine affermato come non ci potesse essere alcun diritto di conquista che permettesse alla Francia di detenere il frutto di spoliazioni e che tutte queste opere d'arte dovessero essere restituite.[24]

Severe critiche ai diplomatici di Vienna per avere ignorato i principi del liberalismo e le aspirazioni delle popolazioni, sacrificate sull'altare della ragion di Stato, risuonarono già durante lo svolgimento del congresso alla Camera dei comuni negli aspri attacchi dell'opposizione alla linea politica adottata a Castlereagh. Furono queste le prime manifestazioni di una corrente di pensiero destinata a dominare i giudizi sul congresso espressi dalla cultura storica, politica e letteraria dell'Ottocento.

La prima voce in tal senso fu quella dell'abate Dominique-Georges-Frédéric Dufour de Pradt, uno spregiudicato e abile ecclesiastico e diplomatico, nonché prolifico scrittore, che pubblicò nel 1815 un'opera, Du congrès de Vienne, di scarso valore, ma scritta con vivacità e suffragata da un notevole successo di pubblico e da un'ampia circolazione europea, proprio perché rispecchiava evidentemente opinioni largamente condivise. L'abate imputò al congresso un errore «immenso», che non poteva «essere abbastanza deplorato», quello di avere considerato gli uomini come «delle greggi destinate a essere divise» fra un certo numero di pastori; l'autore individua in questo errore la migliore risposta «contro coloro che si lamentano che i popoli divengano indocili e difficili da governare: bel miracolo, quando essi vedono che non sono tenuti in nessun conto da coloro che li governano!»

La tradizione risorgimentale ha ovviamente alimentato in Italia delle vere requisitorie contro I'opera del congresso. Nel 1818 il frusinate Luigi Angeloni, democratico radicale in contatto con Filippo Buonarroti, pubblicava a Parigi in due volumi alcuni ragionamenti, Dell'Italia uscente il settembre 1818, nei quali si riprometteva di «mostrare come fosser malmenate, e crudelmente disconcie in Vienna le italiche cose» (Dedicatoria, p. VI). Le sue critiche si appuntavano in particolare su Castlereagh, reo di non aver permesso la rinascita della Repubblica di Genova e di avere respinto a Vienna con «orgogliosa freddezza», le richieste dei deputati milanesi affermando che non tutti gli stati sono adatti «a reggersi per costituzione» (vol. I, p. 202).

Un giudizio fortemente critico è espresso anche nella ponderosa Storia documentata della diplomazia europea in Italia dall'anno 1814 all'anno 1861, pubblicata a partire dal 1865 da Nicomede Bianchi. Questi, ponendo sul banco degli accusati Metternich, accomunava nella sua condanna anche l'Inghilterra che, considerando l'Austria «la miglior guarentigia per la stabile futura quiete dell'Europa» (vol. I, p. 128), aveva consegnato la penisola al suo predominio. Nell'opera si ritrova l'immagine cupamente negativa del cancelliere austriaco che fu condivisa da tutte le generazioni animate dagli ideali risorgimentali:

«Calcolando gli uomini a guisa d'armenti, il principe di Metternich portava le perdite patite dall'Austria a due milioni cinquecento ventimila e seicento sudditi, e quindi ne chiedeva, a titolo di compensazione e in virtù di trattati, due milioni seicento ottantasettemila e sessantasette. Di coteste mercanteggiabili creature umane due milioni ducentoquindicimila e ducentotrentatre erano di stirpe italiana, manifestamente abborrenti di passare in dizione di straniero signore. Ma ciò poco importava a quei diplomatici, che si credevano capaci di plasmare a modo loro l'indole e l'andamento delle umane societa»

Interessante sul piano dell'analisi storica è l'opera di Madame de Staël Considérations sur la révolution française, pubblicata postuma nel 1818, che non si occupa esplicitamente del congresso ma esprime sulla politica inglese a Vienna, e sul suo interprete Castlereagh, un duro giudizio, che riassume in forma compiuta il pensiero delle correnti liberali sull'opera dei diplomatici di Vienna e rappresenta un tassello importante nella valutazione negativa che ha a lungo pesato sulla memoria del ministro inglese:

«Il ministero inglese, al Congresso di Vienna, aveva avuto la disgrazia di essere rappresentato da un uomo le cui virtù private sono degnissime di stima, ma che ha fatto più male alla causa delle nazioni di nessun altro diplomatico del continente. Un inglese che denigra la libertà è un falso fratello più dannoso degli estranei perché ha l'aria di parlare di ciò che conosce e di fare gli onori di ciò che possiede. I discorsi di Lord Castlereagh nel Parlamento sono caratterizzati da una glaciale ironia singolarmente funesta, quando si attacca ciò che c'è di bello nel mondo. Infatti la maggior parte di coloro che difendono i sentimenti generosi sono facilmente sconcertati, quando un ministro in carica tratta i loro desideri come chimere, quando si fa beffe della libertà come del perfetto amore, ed ha l'aria di usare una certa indulgenza verso coloro che la amano, non imputando loro che innocente follia.

I deputati di diversi stati d'Europa, ora deboli e un tempo indipendenti sono venuti a chiedere alcuni diritti, alcune garanzie ai rappresentanti della potenza che essi adoravano come libera. Sono ripartiti col cuore rattristato, non sapendo più chi, fra Bonaparte e la più rispettabile nazione del mondo, avesse fatto loro il male più duraturo»

Anche la storiografia tedesca dell'Ottocento ha formulato giudizi molto negativi sull'opera dei diplomatici di Vienna, responsabili di avere sacrificato, in nome dell'equilibrio europeo, le aspirazioni a una più solida unità della Germania. Al riguardo è sufficiente fare riferimento all'opera di Heinrich von Treitschke. Ostilissimo, come tutti i patrioti del 1815, alle piccole corti della Germania, i «sultani» odiati da Stein, interpreti del particolarismo tedesco, e anche all'Austria, nemica per sua natura della nazione germanica, Treitschke giudica la confederazione germanica l'opera di «una diplomazia miope chiusa in se stessa, e immemore di tutte le tradizioni» della nazione, «la più indegna costituzione che sia mai stata imposta dai propri sovrani a un grande popolo civile» (Il Congresso di Vienna, pp. 143-144). Lo storico tedesco irride anche all'ideale della pace europea perseguito da Castlereagh e da Metternich:

«Rinasceva il sogno effeminato della pace perpetua, sintomo infallibile d'un'epoca politicamente e spiritualmente esausta. Molti nobili spiriti d'ogni condizione e d'ogni nazionalità s'abbandonarono seriamente alla speranza che la storia mondiale avrebbe arrestato d'ora innanzi il suo eterno corso e si sarebbe sottoposta in muta reverenza alle decisioni dell'areopago di Vienna»

Sul versante francese l'attenzione si catalizzò in particolare sulle conseguenze della decisione di assegnare alla Prussia la zona renana come compenso per la mancata annessione dell'intera Sassonia. In questo quadro molte voci si levarono a porre sotto accusa l'opera di Talleyrand il quale, accettando questa soluzione, avrebbe improvvidamente creato le premesse della disfatta del 1870, che portò alla perdita dell'Alsazia e della Lorena già rivendicate dai nazionalisti tedeschi nel 1815. Già nel 1866, dopo la guerra austro-prussiana, premessa dell'unificazione tedesca, lo storico Daniel Ramée (Le congrès de Vienne) denunciava il tragico errore di avere accettato che la Prussia si stabilisse sul confine orientale della Francia. In seguito queste accuse furono ancora alimentate dal disastro di Sédan, e sono state ripresentate in forme diverse da molti storici fino a oggi.

  1. ^ Bloy Marjie, The Congress of Vienna, 1 November 1814 - 8 June 1815, su victorianweb.org. URL consultato il 30 marzo 2014.
  2. ^ Restaurazione e rivoluzione in Europa (1815-49) (PDF), su scienzepolitiche.unical.it.
  3. ^ a b c Il Congresso di Vienna, 200 anni fa, su ilpost.it, 1º novembre 2014. URL consultato il 1º novembre 2014.
  4. ^ In Gabriele Nicolò, Duecento anni fa si chiudeva il Congresso di Vienna, Osservatore Romano del 9 giugno 2015.
  5. ^ Albert Malet e Jules Isaac, Révolution, Empire et première moitié du siècle XIX, edizioni Hachette, 1929, p. 404.
  6. ^ Dalla morte del padre nel 1793, fu considerato re di Francia e di Navarra col nome di Luigi XVII dai monarchici francesi e dalle corti europee, anche se era stato imprigionato dai repubblicani. Non regnò mai effettivamente e si spense all'età di dieci anni, nel 1795, a causa delle dure condizioni di prigionia.
  7. ^ Costituzione ottriata, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 9 giugno 2020.
  8. ^ L'espressione, riportata in varie forme sembra debba attribuirsi originariamente al commento del Principe di Ligne: «Le Congrès ne marche pas; il danse.» («Il Congresso non cammina; danza).»
  9. ^ Ottocento ferrarese, su ottocentoferrarese.it. URL consultato il 9 febbraio 2019 (archiviato dall'url originale il 9 febbraio 2019).
  10. ^ Vincenzo Federici, Gli Statuti di Pontecorvo, ed. Abbazia di Montecassino 2006 p.4
  11. ^ Alessandra Necci, Il Diavolo zoppo e il suo Compare: Talleyrand e Fouché o la politica del tradimento, Marsilio Editori, 2015.
  12. ^ Patto della Santa Alleanza, art. 2 e in Diritto religioni, Pellegrini Editore, p. 343
  13. ^ Pietro Orsi, Gli ultimi cento anni di storia universale, 1815-1915, Società tipografico-editrice nazionale, 1919, pag.48 e sgg.
  14. ^ Battaglia nella quale si distinse il pretendente al trono del Regno di Sardegna, Carlo Alberto per farsi perdonare il sostegno dato nel 1821 ai moti liberali di Torino
  15. ^ John G. Ikenberry, Dopo la vittoria. Istituzioni, strategie della moderazione e ricostruzione dell'ordine internazionale dopo le grandi guerre, Vita e Pensiero, 2003, pag.109 e sgg.
  16. ^ RUFFO, Fabrizio, principe di Castelcicala in "Dizionario Biografico", su treccani.it. URL consultato il 14 novembre 2021.
  17. ^ Umberto Castagnino Berlinghieri, Congresso di Vienna e principio di legittimità: la questione del sovrano militare ordine di San Giovanni gerosolimitano, detto di Malta, Vita e Pensiero, 2006, ISBN 978-88-343-1422-7. URL consultato il 14 novembre 2021.
  18. ^ Barbara Innocenti, Marco Lombardi e Josiane Tourres, In viaggio per il Congresso di Vienna: Lettere di Daniello Berlinghieri a Anna Martini con un percorso tra le fonti archivistiche in appendice, Firenze University Press, 2020.
  19. ^ Giovanni Battista Cassinis, Parere per l'ordine di San Giovanni di Gerusalemme intorno all'intelligenza ed agli effetti dei decreti del parlamento siciliano del 5 agosto 1848 e del dittatore Garibaldi del 17 e 19 maggio 1860, tipogr. V. Vercellino, 1862. URL consultato il 14 novembre 2021.
  20. ^ Henry Kissinger, Diplomazia della Restaurazione, trad. it. di E. Brambilla, Garzanti, Milano, 1973.
  21. ^ Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da s. Pietro sino ai nostri giorni, Tipografia Emiliana, 1853, p. 145.
  22. ^ In effetti lo sviluppo della Rivoluzione industriale che si era avviato in Inghilterra poneva in secondo piano la convenienza economica dell'utilizzo del lavoro servile nel sistema produttivo capitalistico. Era molto più economicamente dispendioso assicurare tutte le necessità materiali per la sopravvivenza dello schiavo e della sua famiglia piuttosto che elargire un salario all'operaio di cui si comprava esclusivamente la sua forza lavoro.
    Il lavoro servile conservava invece una certa convenienza in quegli stati a prevalente economia agricola basata sulla monocoltura. Ma anche qui ben presto la meccanizzazione dell'agricoltura rese economicamente non produttiva la manodopera servile.
  23. ^ Dorothy Mackay Quynn, The Art Confiscations of the Napoleonic Wars, in The American Historical Review, vol. 50, n. 3, 1945, pp. 437–460, DOI:10.2307/1843116, ISSN 0002-8762 (WC · ACNP). URL consultato il 26 aprile 2019.
  24. ^ (EN) Hui Zhong, China, Cultural Heritage, and International Law, Routledge, 27 novembre 2017, ISBN 978-1-351-60569-4. URL consultato il 19 maggio 2020.

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