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Cosacchi

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Cosacchi dell'Amur (1900 circa)

I cosacchi (in polacco kozacy; in russo казаки?, kazaki; in ucraino козаки?, kozaky; forse dalla parola turco-tatara qazaq', nomade o uomo libero) sono un'antica comunità militare che vive nell'Europa orientale, in maggioranza nella steppa ubicata tra l'Ucraina e gli Zarati Russi del nord-est.

Inizialmente con tale termine furono individuate le popolazioni nomadi tatare delle steppe del sud-est della Russia. Tuttavia, a partire dal XV secolo, il nome fu attribuito a gruppi di Slavi che popolavano i territori che si estendevano tra la Russia Meridionale e l'Ucraina Orientale lungo il basso corso dei fiumi Don e Dnepr (questi ultimi erano noti come cosacchi dello Zaporož'e); in questo senso, i cosacchi non costituiscono un gruppo etnico vero e proprio. Altre zone di colonizzazione successiva furono la pianura ciscaucasica (bacini dei fiumi Kuban' e Terek), il basso Volga, la steppa del bacino dell'Ural e alcune zone della Siberia orientale nel bacino del fiume Amur.

Il termine "cosacco" apparirebbe per la prima volta nel 1395, nelle Cronache della Repubblica di Novgorod, oppure secondo altri storici solo nel 1444 in un manoscritto moscovita, per designare soldati mercenari nomadi e liberi (ovverosia non soggetti agli obblighi feudali) che spesso offrivano i loro servigi ai vari principi.

Durante la guerra civile russa (1918-1922) i cosacchi, che inizialmente avevano appoggiato la rivoluzione contro lo Zar, si schierarono in gran parte con le Armate Bianche in opposizione ai bolscevichi, mentre nella seconda guerra mondiale lottarono invece sia per gli Alleati sia per l'Asse.

Carta della «Tartaria d'Europa» del 1684, contenente «le due Ukraine, una abitata da Cosacchi Tanaiti soggetti al Moscouita, l'altra da Cosacchi di Zaporowa, ora liberi e già dipendenti dalla Polonia»

Sotto il dominio polacco

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Matrimonio tra cosacchi, dipinto di Józef Brandt

I cosacchi furono il frutto del mescolamento di popolazioni nomadi tartare, le cui file furono via via ingrossate da parte di avventurieri (uhodniki), contadini e servi della gleba che contavano di sfuggire nella steppa l'autorità dello Stato nonché le dure condizioni di vita imposte loro dalla nobiltà feudale, che, oltre ad amministrare, possedeva territori, villaggi e uomini. Questa versione viene contestata da parte di alcuni storici, i quali sostengono che i cosacchi discendano dagli antichi sciti, dai kazari, dagli alani o addirittura dai tartari, dai turcomanni, dai circassi o financo dai kirghizi. Tuttavia, secondo il massimo storico cosacco, Anatolij Aleksandrovič Gordeev, la loro origine andrebbe rinvenuta nelle popolazioni russe originariamente deportate come schiave dai tartari e che ben volentieri in seguito accolsero nelle loro file avventurieri, contadini e servi della gleba russi in fuga.

I primi insediamenti cosacchi apparvero nell'area del basso Dnepr durante il XVI secolo in quella che era un'area di confine poco popolata fra la Polonia ed il Canato di Crimea. Quest'area, trovandosi a valle delle rapide del fiume, fu chiamata zaporož'e, ovvero "di là delle rapide". Nel 1583 l'area fu conquistata dalla Confederazione polacco-lituana ed assegnata al palatinato di Kiev.

Sotto la pressione dei feudatari polacchi che colonizzavano progressivamente il paese, i cosacchi zaporoghi si rivoltarono più volte. La più celebre di queste sollevazioni fu quella del 1648 guidata da Bohdan Chmel'nyc'kij. Essa porterà alla costituzione dell'Etmanato Cosacco, uno Stato cosacco sotto formale sovranità polacca. Nel 1654 l'Etmanato strinse un'alleanza con il Regno Russo contro la Polonia-Lituania (trattato di Perejaslav). Con il trattato di Andronio del 1667 Polonia e Russia si spartirono l'area abitata dai cosacchi zaporoghi: l'Etmanato fu così diviso in due parti, dette "ucraine" della Riva Sinistra e della Riva Destra (del fiume Dnepr), rispettivamente sotto la sovranità russa e quella polacca. L'ucraina sotto dominio polacco fu peraltro presto soppressa. In queste guerre dei cosacchi contro la Polonia il Canato di Crimea si schierò ora dall'una, ora dall'altra parte.

I cosacchi erano seminomadi e vivevano di caccia, pesca e scorrerie ed erano costantemente in lotta con i tartari che abitavano la stessa area, quantunque non mancassero mescolanze tra le due popolazioni antagoniste. Più tardi i cosacchi svilupparono anche un'agricoltura stanziale. I cosacchi erano organizzati in comunità militari e di mestiere rette da un atamano. Tutte le cariche erano di norma elettive e le questioni più rilevanti erano affrontate dall'assemblea della comunità (krug) secondo principi di uguaglianza e autonomia assoluta.

Il loro abbigliamento era costituito da un caffettano (una sorta di casacca) o dalla čerkessa (tunica lunga con le cartuccere). Quelli che furono inquadrati nell'esercito indossavano pantaloni blu con una fascia rossa, che indicava la loro esenzione dal pagamento delle imposte. Il loro armamento tradizionale comprendeva il kindžal (pugnale ricurvo), la šaška (sciabola) e la nagajka (frusta). Maneggiavano una lancia molto lunga e la loro preparazione militare prevedeva anche una danza chiamata hopak che eseguivano accovacciati, a braccia conserte. Il loro grido di battaglia era Gu-Rai! che significava "Verso la beatitudine del cielo!" da cui si pensa derivi il grido di battaglia urrà, diffuso nel mondo dai soldati della prima guerra mondiale che l'avrebbero udito al fronte dai cosacchi.

Sotto l'Impero Russo

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L'insediamento dei Cosacchi lungo il Don (i cosiddetti "Cosacchi Tanaiti") risale anch'esso al XVI secolo[1]. Anche quest'area inizialmente si trovava sotto sovranità crimaica, tuttavia i Cosacchi del Don furono gradualmente ingaggiati dal Regno Russo nella propria opera di conquista e colonizzazione della valle del Volga, della Siberia, così come lungo l'Ural ed il Terek, dove già vivevano comunità cosacche precedenti l'arrivo dei Tanaiti[2]. Il più famoso episodio di questa epoca è la conquista del canato di Sibir da parte dei Cosacchi guidati da Ermak Timofeevič per conto degli Stroganoff.

I Cosacchi zaporoghi scrivono una lettera al Sultano di Turchia, dipinto di I. E. Repin

I cosacchi, guidati da un ideale di vita avventurosa, caratterizzati da una propria cultura e gelosi della propria autonomia, finirono per svolgere il ruolo di difensori della religione ortodossa e dei confini più remoti dell'impero zarista, in specie contro tartari e turchi, nonché quello di pionieri nella conquista di nuovi territori in nome dello Zar. A questo scopo gli insediamenti cosacchi occupavano aree cuscinetto ai confini dell'Impero. A loro era affidata inoltre la raccolta dello iasak (imposta dovuta allo zar).

Le mire espansionistiche dell'Impero richiedevano la fedeltà dei Cosacchi, i quali tendevano però a creare tensioni, a causa del loro tradizionale stile di vita libero ed insofferente verso l'autorità. Perciò anche in Russia i Cosacchi si rivoltarono, spesso contro i voivoda, rappresentanti locali del potere centrale scelti fra la nobiltà russa i quali spesso si appropriavano dei beni destinati alla comunità, ma talvolta anche contro il governo. In particolare ebbero importanza nazionale le rivolte del 1606 guidata da Ivan Bolotnikov, quella di Sten'ka Razin fra il 1667 ed il 1671, quelle di Kondratij Bulavin e Ivan Mazeppa nel 1707, ed infine quella di Emel'jan Pugačëv a partire dal 1773. Lo Stato reagì con repressioni durissime, esecuzioni e torture. Lo zar Pietro il Grande abolì l'elezione degli ataman, da allora in poi designati dal potere centrale[3]. In seguito all'ultima di queste rivolte, quella di Pugaciof, l'imperatrice Caterina II decise di sopprimere l'Etmanato cosacco dello Zaporož'e, e la repressione colpì anche le altre comunità cosacche.

A partire da tale momento i Cosacchi, oramai divenuti inesistenti in Ucraina, divennero le truppe irregolari dell'Esercito imperiale russo, classificabili come cavalleria leggera. Passarono al soldo dello zar: dovevano procurarsi i cavalli e le armi bianche a proprie spese, mentre le armi da fuoco e le munizioni erano fornite dallo Stato. Queste truppe erano organizzate in corpi chiamati vojsko, ciascuno arruolato nell'area di insediamento cosacca di cui prendeva il nome. Tali aree mantenevano una certa autonomia, in quanto non rientravano nella competenza dei governatorati. Inoltre i Cosacchi erano esentati dal pagamento delle imposte.[senza fonte]

Questo è l'elenco dei corpi cosacchi (vojsko) esistenti nelle varie epoche:

Circa seimila cosacchi[4] costituivano la cavalleria al seguito del generalissimo Suvorov nella campagna d'Italia del 1799: furono le prime truppe ad entrare a Milano[5] e si distinsero sulla Trebbia[6].

Durante la ritirata di Russia di Napoleone i cosacchi del Don furono decisivi per attaccare e indebolire progressivamente l'esercito francese[7]: in continuo movimento, apparivano all'orizzonte sui fianchi dell'armata[8], oppure sbucavano dai boschi che costeggiavano la strada dove si trascinava la colonna in ritirata, e colpivano rapidamente, soprattutto i gruppi di ritardatari, gli sbandati, le pattuglie inviate alla ricerca di cibo e legname.

Sempre alla ricerca dell'indipendenza, i Cosacchi, in cambio del loro statuto speciale e dei privilegi concessi dal potere, si trasformarono perciò in fedeli soldati dell'Impero e poi in gendarmi dello zar. Nel secondo Ottocento e nei primi decenni del Novecento, infatti, il regime zarista usò i Cosacchi come forza di polizia a cavallo per reprimere le rivolte.

Durante la rivoluzione russa del 1905, truppe cosacche furono impiegate con funzioni di polizia nei confronti dei rivoltosi, spesso per sedare tumulti, affrontare e disperdere cortei di rivoluzionari, ecc. Spesso, a causa della loro fama di feroci combattenti, era sufficiente la diffusione della voce che sarebbero intervenuti i cosacchi, perché cortei di dimostranti si sciogliessero spontaneamente.[9]

Nella repubblica russa

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Appoggiarono inizialmente la rivoluzione, schierandosi con la rivoluzione di febbraio, probabilmente per reazione alla mutata politica zarista nei loro confronti, sostenendo la Repubblica Russa, ma nel 1918 passarono in gran parte alle forze antibolsceviche (Armate bianche), allorché videro pesantemente minacciate la loro autonomia e le loro prerogative. La militanza dei cosacchi, tuttavia, conobbe fasi alterne, ora con i bolscevichi, ora con i bianchi, spesso senza schierarsi, giacché non era infrequente il caso di reparti cosacchi che, non appena si avvicinavano alle loro terre, disertavano portando con sé tutto ciò che nel corso dei combattimenti avevano potuto razziare[10].

Cosacco era Simon Petljura, figura guida della Repubblica Nazionale Ucraina nel periodo della guerra civile russa, che combatteva sia i Bianchi che i Rossi per l'indipendenza ucraina. Durante la guerra civile e la guerra sovietico-polacca i Cosacchi "bianchi" si resero protagonisti di alcuni pogromi antiebraici[11], come narrato anche dallo scrittore Isaak Babel' nel suo diario di guerra.[12]

Con la sconfitta delle forze filozariste molti lasciarono i territori sovietici, in quanto oggetto delle misure di "decosacchizzazione", stabilite il 24 gennaio 1919 dal Comitato centrale del partito comunista bolscevico. Queste presero la forma di deportazioni di massa, di fucilazioni indiscriminate e di impiego nei lavori forzati. Si ritiene che circa 100 000 cosacchi si rifugiarono all'estero, ingrossando le file della emigrazione bianca. La politica di decosacchizzazione ebbe il suo culmine nel 1925, allorché il plenum del Comitato centrale pose fine alla tutela delle particolarità dei cosacchi e varò misure atte a cancellare quanto restava delle loro tradizioni.

Nella seconda guerra mondiale

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SS cosacche

Durante la seconda guerra mondiale i Cosacchi combatterono tenacemente nell'Armata Rossa contro le truppe dell'Asse che avevano invaso la Russia. Reparti di cavalleria cosacca attaccavano i carri armati tedeschi sparando sui comandanti che sporgevano dalle torrette, attiravano i carri nemici in zone in cui si sarebbero impantanati o sarebbero finiti nei fiumi gelati ove il ghiaccio non avrebbe retto al loro peso.[13] Tuttavia parte di loro, memori delle politiche di decosacchizzazione subite ad opera dei bolscevichi e lusingati dalla prospettiva di riguadagnare la perduta autonomia, passarono nelle file tedesche, parte nella Wehrmacht e parte nelle Waffen-SS (e precisamente nel XV SS-Kosaken Kavallerie Korps). Altri volontari cosacchi, reclutati fra i prigionieri di guerra dei tedeschi, furono inquadrati nell'Esercito Russo di Liberazione del generale A.A. Vlassov. Infine, anche il Regio Esercito italiano arruolò un reparto cosacco, anche in questo caso prevalentemente fra i prigionieri di guerra, il Gruppo squadroni cosacchi "Campello", al comando del maggiore Ranieri di Campello.

Con i tedeschi si schierarono gruppi armati che avevano combattuto già contro i bolscevichi, quali i generali Pëtr Nikolaevič Krasnov e Timofej Domanov, ma il nucleo più consistente fu quello affidato dai tedeschi al generale Helmuth von Pannwitz, un ufficiale originario della Slesia, ma buon conoscitore della lingua russa, da cui vennero a dipendere la I divisione cosacca, con 10.000 soldati cosacchi e 2.000 ufficiali.[14] ed il XV SS-Kosaken Kavallerie Korps. Con il deteriorarsi della situazione sul fronte russo, questi corpi furono ridislocati assieme alle loro famiglie in Carnia e nell'alto Friuli (Operazione Ataman), dove vennero impiegati anche contro le formazioni partigiane italiane e jugoslave.

Nel dopoguerra

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Alla fine del conflitto, arresisi alle truppe britanniche nel tentativo di evitare gli eserciti jugoslavo e sovietico, furono rimpatriati forzatamente o con l'inganno, assieme a mogli e figli, dagli Alleati, in ottemperanza degli accordi presi durante la conferenza di Jalta[15] e soprattutto in quanto la ferocia e lo zelo con cui si erano distinti a lato delle forze nazifasciste li rendeva anche agli occhi degli anglo-americani poco difendibili. Tra essi molti non erano tecnicamente cittadini sovietici, giacché fuoriusciti, come sopra ricordato, negli anni venti. Durante il rimpatrio ebbero luogo diversi episodi di suicidio collettivo, in particolare gettandosi nel fiume Drava nei pressi della città di Lienz nel Tirolo orientale. Coloro i quali giunsero a destinazione furono fucilati, impiccati o internati nei gulag (la Duma, il 12 giugno 1992, ha approvato una risoluzione per la riabilitazione dei cosacchi quali vittime dello stalinismo). Si stima che i cosacchi siano tra mezzo milione e tre milioni, molti dei quali contadini, mentre altri servono nell'esercito. Pur aspirando all'autonomia, non hanno mai potuto raggiungerla vivendo dispersi in varie zone della Federazione russa.

Con la legge federale della Federazione Russa n° 154-FZ del 5 dicembre 2005 «Del servizio pubblico dei cosacchi di Russia»[16] è stato ufficialmente istituito il corpo paramilitare dei Cosacchi registrati della Federazione Russa con compiti, durante i periodi di pace, principalmente legati alla conservazione, tutela e recupero delle foreste; educazione dei giovani secondo i valori patriottici e la preparazione per il servizio militare; l'assistenza durante calamità naturali, incidenti, incendi e stati di emergenza e di ordine pubblico.

Cosacchi famosi

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I cosacchi nella letteratura

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Nella letteratura russa troviamo testi famosi che hanno per protagonisti i cosacchi:

Nella letteratura italiana si possono trovare i testi seguenti:

I cosacchi nella cultura di massa

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Sebbene la loro fama sia legata soprattutto all'Impero russo, i cosacchi sono stati associati, dopo il 1945, all'espansionismo sovietico. Famosa è a tal proposito l'immagine, usata nella propaganda politica democristiana durante la guerra fredda, secondo la quale in caso di vittoria del Partito Comunista Italiano alle elezioni, l'Italia sarebbe divenuta un paese filo-sovietico e "i cavalli dei cosacchi si sarebbero abbeverati nelle fontane di San Pietro".

Anche nel brano Popoff dello Zecchino d'Oro 1967 si parla di un cosacco, chiamato proprio così.

  1. ^ (EN) Don River | Russia, Tributaries & History | Britannica, su www.britannica.com. URL consultato l'11 maggio 2024.
  2. ^ Andrew Gordeyev. The History of Cossacks, Moscow, 1992
  3. ^ Marco Barberi, I ribelli venuti dalla steppa, Focus Storia, ottobre 2011, n. 60, pp. 22-27
  4. ^ Limes - rivista italiana di geopolitica » La Russia è ancora il paese dei cosacchi - Versione stampabile
  5. ^ InStoria - Il ruggito dell'Orso - II, su www.instoria.it. URL consultato l'11 maggio 2024.
  6. ^ Giovani russi e italiani nei luoghi in cui fu sconfitto Napoleone, su serviziocivile.piacenza.it. URL consultato il 24 maggio 2014 (archiviato dall'url originale il 25 maggio 2014).
  7. ^ Lieven Dominic, La tragedia di Napoleone in Russia, Mondadori, Milano, 2010
  8. ^ Blond Georges, Vivere e morire per Napoleone, vol. II, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1998
  9. ^ John Hure, Cosacchi, pp. 204-206
  10. ^ John Hure, Cosacchi, p. 209
  11. ^ brano da R. Pipes Il regime bolscevico, Mondadori, 1999, su assemblea.emr.it. URL consultato il 4 giugno 2014 (archiviato dall'url originale il 7 giugno 2014).
  12. ^ brani da L'armata a cavallo di Isaak Babel', su assemblea.emr.it. URL consultato il 4 giugno 2014 (archiviato dall'url originale il 7 giugno 2014).
  13. ^ John Hure, Cosacchi, p. 219
  14. ^ John Hure, Cosacchi, pp. 222-223
  15. ^ John Hure, Cosacchi, p.224
  16. ^ (RU) Legge fédérale della Fédérazione Russa n° 154-FZ del 5 dicembre 2005 « Del servizio pubblico dei cosacchi di Russia »
  17. ^ Basato sulla storia di Pugačëv
  • John Hure, Cosacchi, Edizioni Piemme, Casale Monferrato, 1999, ISBN 88-384-4331-9.
  • Bruna Sibille Sizia, La terra impossibile: storia dell'armata cosacca in Friuli, Doretti, Udine, 1956.

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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