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Cubozoa

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Cubozoi
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
SottoregnoEumetazoa
RamoRadiata
PhylumCnidaria
ClasseCubozoa
Werner, 1973
Ordini

Cubozoa Werner, 1973 (da “kubos-zoon” cioè cubo-animale) è una classe di Cnidaria, un tempo inclusa fra gli Scyphozoa, caratterizzata da una fase medusoide con l'ombrella di forma cubica. Sono anche chiamate cubomeduse.

I cubozoi raggruppano una ventina di specie marine e sono quindi considerati una classe di piccole dimensioni. Ciò malgrado, hanno caratteristiche uniche che le rendono particolarmente interessanti, come degli organi visivi complessi[1], comportamenti riproduttivi peculiari ed una tossicità molto elevata.

Caratteristiche

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Cubozoa, struttura
Elementi strutturali di una cubozoa: adulto (fronte e sezione) e polipo.

Alcune specie comprendono una ventina di specie marine predatrici con nematocisti potenti e spesso molto pericolose per l'uomo.

La fase medusoide è predominante e possiede una campana a sezione quadrangolare o piramidale. Un tentacolo, o un gruppo di tentacoli, si trova a ciascun angolo del quadrato formato dall'ombrella; alla base di ciascun tentacolo si trova una dura lamina appiattita chiamata pedalium. Ogni tentacolo è coperto da circa 500 000 cnidociti, i quali contengono le nematocisti, organi urticanti a forma di arpione che iniettano una biotossina alle vittime[2]. I ropali sono strutture sensoriali in numero di quattro, a metà di ciascun lato poco al di sopra del margine, e comprendono, oltre alla statocisti, organi fotorecettori molto sviluppati e dotati di lente biconvessa[1]. I ropali sono disposti in una nicchia alla base della campana ed hanno la possibilità di guardare sia all'interno del corpo della medusa, che all'esterno. L'interpretazione dei segnali sensoriali è delegata ad una rete neurale, dato che i celenterati non dispongono di un cervello.

Illustrazione comparata di tre tipici bauplan medusoidi di cubozoi

Come gli altri cnidari, i cubozoi sono composti da due strati di cellule: l'ectoderma e l'endoderma, con un tessuto centrale chiamato mesoglea, costituito essenzialmente da acqua e da cellule provenienti dagli altri due tessuti, che fornisce la galleggiabilità alla medusa. La cavità stomacale è divisa in setti e si estende fino ai tentacoli attraverso dei canali che passano lungo i pedalia[3]. Il margine dell'ombrella non è dentellato e la subombrella si ripiega all'interno a formare un velarium, che aumenta l'efficienza del nuoto. Le cubomeduse sono infatti nuotatrici attive e predatrici voraci, le cui prede principali sono i pesci.

Lo stadio polipoide (detto cubopolipo) è ridotto e presenta cnidociti solo sulle estremità dei tentacoli, contrariamente a tutti gli altri polipi noti degli cnidari (di solito, ogni tentacolo termina con una sola grossa cellula urticante). La morfologia del polipo è totalmente simmetrica e, una volta avvenuta la metamorfosi in medusa, non ne rimangono tracce; queste due caratteristiche hanno spinto Werner a promuovere l'ordine delle Cubomedusae nella classe Cubozoa[4]. I cubopolipi hanno inoltre un singolo anello di nematocisti all'estremità di ogni singolo tentacolo.

Queste meduse cacciano attivamente le loro prede: non vanno alla deriva, trascinati dalla corrente e dalle onde, come altri ordini di meduse. I cubozoi sono capaci di raggiungere velocità di 1,5 a 2 metri al secondo, circa 4 nodi (7.4 km/h)[5]. Il veleno delle cubomeduse è differente da quello dei scifozoi ed è usato per cacciare le prede o per difendersi dai predatori, anche se le tartarughe marine che si nutrono di queste meduse non sembrano sensibili al veleno[5].

La medusa è dioica e larvipara, cioè gli individui di sesso femminile mantengono l'uovo fecondato in apposite tasche finché non ne esce una larva planula, che formerà a sua volta un polipo primario che si fisserà su un substrato solido grazie al disco pedale. Le cubomeduse non subiscono strobilazione, come le scifomeduse: il cubopolipo si moltiplica per gemmazione laterale, generando un polipo secondario che, dopo qualche mese di fase polipoide, passa attraverso vari stadi finché non metamorfosa completamente trasformandosi in una medusa che si accresce senza fasi intermedie[6].

I cubopolipi hanno una forma semplice, simmetrica, con una bocca circondata da 24 tentacoli e sono alquanto diversi dai polipi degli scifozoi, il che suggerisce che cubozoi e scifozoi abbiano origini filogenetiche separate[4][7].

Alcune specie di meduse si riuniscono in gruppi numerosi per la riproduzione, la quale sembra avvenire una volta all'anno[7][8].

Nel caso della Copula sivickisi, il rituale di accoppiamento è complesso: il maschio si aggrappa ad un tentacolo della femmina e le si avvicina, prima di produrre uno spermatoforo, un agglomerato di sperma, che passa direttamente alla femmina. Dopo che il maschio si è separato, la femmina usa tre dei suoi tentacoli per spingere lo spermatoforo lungo il manubrio per fertilizzare le uova presenti nell'ombrella[9].

Pericolosità

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Le cubomeduse, dette anche "vespe di mare", sono un ordine di Cnidari, e sono considerate le più pericolose per l'uomo[10], in quanto il loro veleno può fermare il cuore in poco tempo. Le specie più pericolose vivono soprattutto nei mari australiani e il suo veleno è utile per la caccia al punto che trovare un pasto per lei è piuttosto semplice.

Esemplare di medusa Irukandji catturato nel Queensland, in Australia.

Alcune specie di cubozoi sono conosciute come meduse Irukandji (Carukia barnesi Southcott, 1967, Malo kingi Gershwin, 2007 e Keesingia gigas Gershwin, 2014), dal nome della sindrome che il loro contatto può scatenare. Sono meduse di piccole dimensioni ed estremamente velenose, che si trovano soprattutto presso le coste australiane.

La puntura di una medusa Irukandji causa dei sintomi che sono noti come Sindrome di Irukandji. Questi sintomi sono stati documentati per la prima volta da Hugo Flecker[11] nel 1952 e prendono il nome dalla popolazione degli Irukandji, che vive nella zona costiera settentrionale del Cairns.[12]

Come altre meduse, le Irukandji sono dotate di pungiglioni (nematocisti) non solo sui tentacoli (dove sono disposti a grappolo ed assomigliano a gocce d'acqua), ma anche sull'esombrella. In più, il veleno è diffuso solo a partire dalla punta delle nematocisti, piuttosto che dall'intera lunghezza. I ricercatori ritengono che il veleno possegga una forza sufficiente a stordire in modo immediato le prede delle meduse Irukandji, che sono pesci piccoli e veloci.

La cubomedusa più pericolosa è la Chironex fleckeri, che si trova nelle acque australiane[13]. La C. fleckeri può causare la morte, ma non la Sindrome di Irukandji.

Distribuzione e habitat

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Una Carybdea marsupialis nuota nelle acque di Civitavecchia.

I cubozoi sono diffusi in quasi tutti gli oceani del pianeta. Le specie velenose sono limitate alla fascia tropicale dell'Oceano Indiano e Pacifico; varie altre si trovano nell'Oceano Atlantico e nell'est, sud o nord Pacifico, come la costa nord della California, della Nuova Zelanda (Carybdea sivickisi)[14] o del Giappone (come la Chironex yamaguchii)[15]. Nel mar Mediterraneo è presente la Carybdea marsupialis[16], lungo le coste del Sudafrica la Carybdea branchi[17].

Questa vasta distribuzione non implica grandi movimenti migratori. Tutti i cubozoi sono radicati alle coste in cui vivono, preferendo i fondali bassi e le coste della cosiddetta zona neritica, un aspetto confermato da studi filogenetici e tassonomici[18]. L'identificazione di una stessa specie, ad esempio la Carybdea rastonii, in punti lontani come Giappone, isole Hawaii e Australia Meridionale sarebbe semmai dovuto a descrizioni imprecise, che hanno indotto ad accomunare specie diverse sotto lo stesso nome. Vi sono eccezioni, come la C. arborifera, arrivata alle Hawaii forse dall'Australia grazie a una lunga dispersione nell'oceano, e le specie del genere Alatina, molte delle quali vivono ai limiti della piattaforma continentale a centinaia di metri di profondità[19].

Le grandi differenze fra specie atlantiche e indo-pacifiche si possono spiegare con antiche dispersioni di specie vicarianti. La rarità dei fossili di cubozoi non aiuta a datare quando le varie famiglie si siano allontanate dall'antenato comune. I reperti datano al Cambriano medio[20], al Carbonifero nel caso della Anthracomedusa turnbulli Johnson & Richardson 1968, e al Giurassico superiore per la Quadrumedusina quadrata Haeckel, 1869. Considerando però l'habitat nella zona neritica, la diversificazione dei cubozoi è avvenuta probabilmente non per migrazioni, ma per lo spostamento delle placche continentali con la rottura di Pangea e il conseguente cambiamento della profondità oceanica[18].

La tassonomia della classe è ancora oggi centro di un dibattito acceso. Tradizionalmente i cubozoi erano assimilati agli scifozoi, ma il polipo dei cubozoi così come il loro ciclo vitale sono molto diversi dagli scifozoi ed è stata quindi proposta una nuova classe[4]. Un altro argomento a favore di avere una classe Cubozoa separata da Scifozoa è che le cubomeduse sembrano più prossime agli idrozoi per via della simmetria radiale del polipo e della totale trasformazione di quest'ultimo in medusa[4], una caratteristica in comune con le narcomeduse[21][22].

La classe Cubozoa è stata considerata negli anni come minore, in quanto molte specie sono poco numerose o locali. Il risultato è stata una tassonomia spesso confusa, dovuta agli sprazzi di pochi, occasionali, studiosi[23].

La prima specie ad essere descritta è la Carybdea marsupialis, nel 1758 da Linneo sotto il nome di "Medusa marsupialis". La stessa specie era stata indicata nel 1739 da Jano Planco come "Urtica soluta marsupium referens"[24]. È stato solamente un secolo dopo che René Lesson aggiunse tre nuove specie alla classe: Beroe gargantua, Bursarius cythereae e la Marsupialis flagellata. Va detto che nessuna delle specie descritte da Lesson è oggigiorno identificabile con chiarezza[23]. Reynaud aggiunse nel 1830 la specie Carybdea alata, mentre trent anni più tardi Müller registrò due ulteriori specie: la Tamoya haplonema e la T. quadrumana. Quest'ultima è stata anche la prima Chirodropida ad essere descritta, per cui fu spostata in un nuovo genus: Chiropsalmus Agassiz, 1862.

Va detto che i cubozoi erano artificialmente piazzati come specie di scifozoi e in qualche caso, come narcomeduse degli idrozoi[25]. È stato quindi il lavoro di Ernst Haeckel che ha dato ordine ai Cubozoi, registrando 15 nuove specie e definendo una tassonomia arrivata fino ai nostri giorni. Anche se negli anni successivi altre specie sono state aggiunge all'ordine, negli ultimi tempi le uniche nuove specie identificate provengono dai mari australiani[23] e pochi autori hanno rimesso in discussione la classificazione di Haeckel, malgrado che questa sia ormai superata dato che non è più capace di descrivere la biodiversità delle cubomeduse conosciute.

Classificazione attuale: i due ordini

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La classe dei cubozoi un tempo comprendeva un unico ordine, Cubomedusæ, a sua volta suddiviso in due famiglie: Carybdeidae e Chirodropidae[26]. Dal 2012, l'ordine delle Cubomedusæ è assimilato a Carybdeida[27].

La classe Cubozoa è quindi suddivisa in due ordini monofiletici[18]:

  • Carybdeida (Caribdeidi) o Cubomedusae, con quattro tentacoli o gruppi di tentacoli.
  • Chirodropida (Chirodropidi), con numerosi tentacoli fissati ad ognuno dei quattro angoli dell'ombrella.
  1. ^ a b (EN) Nilsson, D., Gislen L., Coates M. M., Skogh C., Garm, A., Advanced optics in a jellyfish eye, in Nature, n. 435, 2005, pp. 201-205, DOI:10.1038/nature03484.
  2. ^ (EN) Williamson J.A., Fenner P.J., Burnett J.W., Rifkin J., Venomous and poisonous marine animals: a medical and biological handbook, Surf Life Saving Australia and University of New North Wales Press Ltd., 1996, ISBN 0-86840-279-6.
  3. ^ (EN) Larson, R. J., Cubomedusae: Feeding, functional morphology, behavior and phylogenetic position, in Mackie, G. O. (a cura di), Coelenterate Ecology and Behavior, New York, Plenum Press, 1976.
  4. ^ a b c d (EN) Werner, B., New investigations on systematics and evolution of the class Scyphozoa and the phylum Cnidaria, collana Publications of the Seto Marine Biological Laboratory, vol. 20, 1973, pp. 35-61.
  5. ^ a b (EN) Box Jellyfish - Cubozoa, su animals.nationalgeographic.com, National Geographic. URL consultato il 19 settembre 2014 (archiviato dall'url originale il 24 gennaio 2010).
  6. ^ Guida al riconoscimento del plancton neritico dei mari italiani (PDF)[collegamento interrotto], Roma, Ministero dell'Ambiente, 2006, p. 207. URL consultato il 2 ottobre 2014.
  7. ^ a b (EN) Arneson, A. C. & Cutress, C. E., Life history of Carybdea alata Reynaud, 1831 (Cubomedusae), in G. O. Mackie (a cura di), Coelenterate Ecology and Behavior, New York, Plenum Press, 1976, pp. 227-236.
  8. ^ (EN) Hartwick, R. F., Observations on the anatomy, behaviour, reproduction and life cycle of the cubozoan Carybdea sivickisi, in Hydrobiologia, vol. 216/217, 1991, pp. 171-179.
  9. ^ (EN) C. Hoekenga, Jellyfish Romance - (Copula sivickisi), su invertebrates.si.edu, Smithsonian National Museum of Natural History. URL consultato il 23 ottobre 2014 (archiviato dall'url originale il 7 marzo 2015).
  10. ^ Una Cubozoa appare nel film Sette anime, dove ha infatti un ruolo chiave nel progetto letale del protagonista, interpretato da Will Smith.
  11. ^ (EN) Pearn JH, Australian Dictionary of Biography, vol. 14, Melbourne University Press, 1990, pp. 182-184, ISBN 0-522-84717-X.
  12. ^ (EN) Hugo Flecker, Irukandji sting to North Queensland bathers without production of weals but with severe general symptoms, in The Medical journal of Australia, vol. 2, n. 3, 19 luglio 1952, pp. 89-91, ISSN 0025729 (WC · ACNP), PMID 14956317.
  13. ^ Rachael sopravvive alla puntura mortale, su La Repubblica. URL consultato il 24-12-14. su un caso di attacco all'uomo da parte di una cubomedusa, in cui la vittima è sopravvissuta.
  14. ^ (EN) Gershwin L., Staurozoa, Cubozoa, Scyphozoa (Cnidaria), in New Zealand Inventory of Biodiversity, 1: Kingdom Animalia, Gordon D, 2009.
  15. ^ (EN) Lewis C, Bentlage B, Clarifying the identity of the Japanese Habu-kurage, Chironex yamaguchii, sp nov (Cnidaria: Cubozoa: Chirodropida) (PDF), in Zootaxa, vol. 2030, 2009, pp. 59-65. URL consultato il 28 settembre 2014.
  16. ^ (EN) Carybdea marsupialis., su The Jellies Zone. URL consultato il 28 aprile 2010 (archiviato dall'url originale il 22 ottobre 2010).
  17. ^ (EN) Gershwin L, Gibbons M, Carybdea branchi, sp. nov., a new box jellyfish (Cnidaria: Cubozoa) from South Africa (PDF), in Zootaxa, vol. 2088, 2009, pp. 41-50.
  18. ^ a b c (EN) Bastian Bentlage, Paulyn Cartwright, Angel A. Yanagihara, Cheryl Lewis, Gemma S. Richards & Allen G. Collins, Evolution of box jellyfish (Cnidaria: Cubozoa), a group of highly toxic invertebrates, in Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, vol. 277, n. 1680, 2010, pp. 493-501, DOI:10.1098/rspb.2009.1707, PMC 2842657, PMID 19923131.
  19. ^ (EN) Gershwin, L., Carybdea alata auct. and Manokia stiasnyi, reclassification to a new family with description of a new genus and two new species. (PDF), in Memoirs of the Queensland Museum, vol. 52, 2005, pp. 501-523. URL consultato il 25 settembre 2014.
  20. ^ (EN) Cartwright P., Halgedahl S. L., Hendricks J. R., Jarrard R. D., Marques A. C., Collins A. G., Lieberman B. S., Exceptionally preserved jellyfishes from the middle Cambrian, 2007, DOI:10.1371/journal.pone.0001121.
  21. ^ (EN) Salvini-Plawen, L., On the origin and evolution of the Lower Metazoa, in Zeitschrift für zoologische Systematik und Evolutionsforschung, vol. 16, 1978, pp. 40-88.
  22. ^ (EN) Petersen, K. W., Development of Coloniality in Hydrozoa, in G. Larwood and B. R. Rosen (a cura di), Biology and systematics of colonial organisms, Londra e New York, Academic Press, 1979, pp. 105-139.
  23. ^ a b c (EN) Lisa-ann Gerswin, Taxonomy and phylogeny of Australian cubozoa, Ph.D. thesis, 2005, p. 10. URL consultato il 20 ottobre 2014.
  24. ^ (LA) Plancus, J., De Conchis minus notis liber cui accessit specimen aestus reciproci maris superi ad littus portumque Armini, Venezia, 1739.
  25. ^ (EN) Agassiz, L., Contributions to the Natural History of the United States of America, vol. III pt. IV. Hydroidae, Boston, Little, Brown & Co., 1862.
  26. ^ (EN) Cornelius, P.F.S., Cubozoa, in European register of marine species: a check-list of the marine species in Europe and a bibliography of guides to their identification, Collection Patrimoines Naturels, n. 50, Costello, M.J. et al., 2001, p. 111.
  27. ^ (EN) Bentlage, B. & Lewis, C., An illustrated key and synopsis of the families and genera of carybdeid box jellyfishes (Cnidaria: Cubozoa: Carybdeida), with emphasis on the “Irukandji family” (Carukiidae), in Journal of Natural History, vol. 46, 2012, pp. 2595-2620.

Altri progetti

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Collegamenti esterni

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(EN) Collins, Allen G. (2014), Cubozoa, in WoRMS (World Register of Marine Species). URL consultato il 25 ottobre 2014.