Discussione:Destalinizzazione
Destalinizzazione | |
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Argomento di scuola secondaria di II grado | |
Materia | storia |
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Il Partito Comunista Italiano negli anni cinquanta aveva una salda tradizione filosovietica, che lo stesso Palmiro Togliatti aveva in tutti i modi promosso e rafforzato. Ad esempio il 6 marzo 1953 affermò alla Camera dei deputati commemorando Stalin: "Giuseppe Stalin è un gigante del pensiero [...] Col suo nome verrà chiamato un secolo intero [...]"[1]. Né peraltro molto diversi furono in quella occasione i commenti di leader lontani dal comunismo, quali A. De Gasperi, a dimostrazione che la memoria della guerra antifascista combattuta e vinta assieme, col decisivo contributo dell'URSS, era ancora viva.
Il rapporto Chruščëv, comunque, colse di sorpresa la base comunista. Il testo venne rivelato nell'aprile del 1956; il 17 giugno l'Unità (organo ufficiale del partito) ammise che "la società sovietica era giunta a certe forme di degenerazione".
Il 4 luglio successivo Togliatti proclamò per altro: "È per me fuori discussione che la linea seguita dai compagni sovietici nella costruzione di una società socialista è stata giusta". La sua intervista al periodico "Nuovi Argomenti", in risposta a "Nove domande sullo stalinismo", costituì una efficace messa a punto della posizione dei comunisti italiani sull'argomento.
Il 17 marzo 1959 l'Unità pubblicava il rapporto di Togliatti al Comitato Centrale del partito che tra l'altro affermava:
«Ricordate quali conseguenze si vollero dedurre dalle critiche al culto della personalità? Da parte degli avversari si pretese che quelle critiche dovessero significare che tutto il sistema sovietico era da respingersi e da condannarsi. Questa posizione venne difesa, in seno al movimento operaio, dai revisionisti, e ci fu chi la sostenne alla testa dello stesso partito socialista, affermando che delle trasformazioni istituzionali sarebbero state fatalmente compiute nell'Unione Sovietica, forse allo scopo di instaurare la democrazia come metodo e come sistema, di tornare al regime parlamentare, o alla rotazione dei partiti di Governo, come da noi... I fatti hanno fatto piazza pulita di queste fantasticherie balzane.»
Il XXII Congresso del PCUS, con le gravi accuse al "gruppo antipartito" e la decisione di sfrattare la salma di Stalin dal Mausoleo della Piazza Rossa, provocò nel novembre 1961 un altro choc.
Un gruppo guidato da Giorgio Amendola chiese libertà di dissenso, i giovani comunisti di riabilitare Leon Trotsky ed il giornale Nuova generazione (poi soppresso) "...alcuni fatti confortano la tesi secondo cui la denuncia dello stalinismo è, almeno in parte, solo strumentale ai fini della lotta di potere..." e ad accusare Khruščёv di "usare gli stessi metodi di Stalin nella lotta al gruppo antipartito".
Finalmente il 28 novembre il Comitato Centrale del PCI pubblica una risoluzione in cui si afferma che "una parte di quella durezza di Stalin non era in alcun modo giustificata dalla necessità di difendere la rivoluzione..." e più avanti che dirigenti comunisti italiani erano all'oscuro di tutto, tesi parzialmente smentita dallo stesso Togliatti che in un discorso tenuto a Frascati il 21 novembre affermava pubblicamente che "..anche durante il XVIII Congresso del PCUS tenutosi nel 1939, vivo Stalin, vennero denunciate delle violazioni della legalità socialista".
Lo stesso 21 novembre la Pravda (Organo ufficiale del PCUS) criticava alcuni compagni italiani "...che vorrebbero investire con le loro critiche tutto il sistema socialista e non solo il culto della personalità".
In risposta il 1º dicembre i dirigenti del PCI Giancarlo Pajetta e Mario Alicata indissero una conferenza stampa per rassicurare Mosca:
«...l'autonomia dei partiti comunisti non va intesa in opposizione, ma in funzione all'internazionalismo comunista...»
Negli anni settanta con Enrico Berlinguer la differenziazione del PCI dalla politica del PCUS e dall'esperienza sovietica si acuirà fino a portare allo "strappo" del 1981.