Reddito

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Fonte: OECD Data.

Il reddito, in economia, può essere definito come un flusso di ricchezza durante un periodo di tempo. Rappresenta in pratica il divenire di componenti economici attribuito ad un dato periodo di tempo.

Il reddito è quindi una variabile di flusso, in quanto legata ad un preciso orizzonte temporale senza il quale non avrebbe senso. Al reddito viene contrapposto il concetto di patrimonio che esprime in termini monetari la ricchezza in un dato istante: si usa dire pertanto che il reddito è flusso, mentre il patrimonio è stock[1].

Una delle principali funzioni del reddito è quella di costituire la base imponibile per le principali imposte di ogni ordinamento fiscale. Misurare infatti l'arricchimento di un dato soggetto rappresenta senza dubbio il parametro più equo per commisurare il prelievo fiscale

Principali caratteri del reddito:

  • è una variazione (esprime la natura dinamica dello stesso, mutabile dunque sia positivamente, sia negativamente)
  • deve poter essere individuato in un intervallo di tempo (esistono infatti esigenze di amministrazione aziendale che rendono indispensabile la determinazione periodica del reddito)
  • presuppone la presenza di un capitale (esso è lo strumento materiale della produzione aziendale; ne segue che il reddito è un valore, non un bene, dunque è astratto, ed è indeterminato, non deriva cioè da un'operazione di calcolo oggettiva)
  • è il risultato della gestione non del solo processo di produzione (operazioni interne), ma anche di un insieme di operazioni di gestione esterna

Il reddito è distinto dalla rendita che è una variabile di flusso finanziario legata a più di un periodo. La rendita è un'entrata costante ad intervalli di tempo regolari per un certo orizzonte temporale.

il reddito pro capite e il Pil pro capite sono indicatori della distribuzione della ricchezza economica di un paese.

Il Pil, prodotto interno lordo, però, non viene più considerato un indicatore sufficiente a valutare lo stato di benessere economico di una nazione.

Il Rob Index, l'indice di reddito di obiettivo benessere, contribuisce a calcolare, in modo esaustivo e sintetico, la distribuzione della ricchezza.

Il Rob, 2,5,reddito di obiettivo benessere 2,5, equivale al reddito indicato dall'Istat come soglia di povertà, moltiplicato per 2,5.

Il Rob Index calcola la percentuale di popolazione il cui reddito ha superato o eguagliato il Rob 2,5.

Ritenendo il multiplo per 2,5 della soglia di povertà, un valore di reddito di reale e obiettivo benessere, il Rob Index insieme alla percentuale di persone al di sotto della soglia di povertà, sono i due indici utili a valutare lo stato di benessere della popolazione di un paese.[2]

L'obiettivo della politica economica dovrebbe essere: massimizzare il Rob Index e minimizzare il numero degli individui che vivono al di sotto della soglia di povertà, quindi ottimizzare la distribuzione del reddito nazionale.

Classificazioni

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Uno delle più comuni classificazioni di reddito è relativa al soggetto percettore. A tal proposito si distingue tra:

Le persone fisiche sono tutti i nati vivi che, al momento della nascita, acquistano la capacità giuridica e, al momento del compimento dei 18 anni, acquistano la capacità d'agire.

Le persone giuridiche sono un insieme di persone fisiche che cooperano per il raggiungimento di uno scopo comune o un insieme di beni destinati ad uno scopo che può o non può essere a fine di lucro.

Dati sulle classi di reddito in Italia nel 2019

Un'ulteriore classificazione, sulla falsariga di quella effettuata dal legislatore tributario nella disciplina del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, segue il criterio della fonte di provenienza:

Criteri per stabilire la presenza di reddito

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Il legislatore fiscale del 1972 ha accolto una nozione di reddito complessivo, come entità onnicomprensiva ed eterogenea, risultante dalla somma dei singoli redditi (di lavoro, di capitale, ecc.).

Il concetto di reddito fiscale può dunque comprendere il reddito-entrata (cioè gli incrementi patrimoniali anche a titolo gratuito) e le cd. entrate figurative (ad es. il reddito dell'immobile occupato dallo stesso soggetto d'imposta). Le singole categorie di reddito individuate dalla legge sono ritenute un numerus clausus: se una determinata fattispecie vi rientra, allora è considerata reddito a tutti gli effetti (civili, fiscali, ecc.). Se invece non vi rientra, non è ritenuta una fattispecie imponibile e quindi non è tassabile nemmeno se produce un aumento di ricchezza.

Per stabilire se una data fattispecie rientra nella previsione dell'art. 6 del Testo Unico delle Imposte sui redditi, si applica il principio di equipollenza, secondo cui i proventi conseguiti in sostituzione del reddito e le indennità percepite per il risarcimento della perdita del reddito sono considerati redditi della stessa categoria di quelli perduti o sostituiti.

Il successivo art. 9 dello stesso testo Unico citato, inoltre, prevede altri criteri particolari per qualificare come reddito una data fattispecie:

  • il criterio del valore normale, per cui taluni beni che incrementano il patrimonio entrano a far parte della categoria dei redditi di capitale (ad esempio titoli, azioni, obbligazioni, corrispettivi in valuta estera, ecc.).
  • il criterio del costo specifico sostenuto dal datore di lavoro, nel caso di proventi in natura percepiti in sostituzione del reddito di lavoro dipendente (dove si prescinde dal valore normale).

Le plusvalenze derivanti dal conferimento in società (trattasi di vari negozi giuridici collegati, posti in essere allo scopo di sostituire un bene mobile o immobile con la partecipazione ad una società), sono considerati presuntivamente "cessioni a titolo oneroso", calcolate nella differenza tra il corrispettivo (valore normale delle azioni ricevute) ed il costo non ammortizzato del bene conferito.

Anche la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento si presumono effettuati a titolo oneroso, e quindi produttori di reddito.

Classificazioni a sfondo tributario

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Reddito come prodotto

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La più antica concezione probabilmente, riconducibile almeno ad Adam Smith che identificava il reddito come valore dei beni e servizi prodotti dedotto il valore del consumo dei beni capitali. Secondo questa concezione, la base imponibile deve comprendere esclusivamente i redditi ottenuti come corrispettivo della partecipazione ad un'attività produttiva, ossia la remunerazione dei fattori capitale e lavoro.

La funzione che spiega questa concezione è:

RP = Redditi da lavoro + redditi da capitale = Salari e stipendi + Profitto + Rendite + Interessi

Ovvero tutti i redditi provenienti dall'attività produttiva.[3]

È ritenuto riduttivo perché esclude dalla tassazione (con le conseguenti disuguaglianze sotto il profilo distributivo):

  1. plusvalenze nette
  2. entrate straordinarie o occasionali

Reddito come entrata

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Il reddito come entrata (RE) è stato elaborato dagli economisti Schanz, Haig e Simons, pertanto viene chiamato definizione S-H-S dalle loro iniziali. Esso corrisponde all'ammontare delle risorse consumabili senza intaccare il patrimonio iniziale; costituisce cioè reddito imponibile il consumo potenziale.

RE = (Redditi da lavoro + redditi da capitale) + plusvalenze nette + entrate straordinarie o occasionali

ovvero

RE = Consumo potenziale = Consumo effettivo + Variazione del patrimonio(+/-)

Questa definizione, essendo onnicomprensiva, è ritenuta abbastanza esaustiva da molti economisti, in quanto permette di tassare tutte le fonti di reddito.

Sorgono, tuttavia, problemi in merito al momento in cui debbano essere tassate le plusvalenze:[3]

Tassazione alla maturazione:

  • Richiesta la conoscenza del valore di mercato delle attività alla scadenza del periodo di imposta; tale conoscenza è generalmente imperfetta e frutto di stime, specialmente quando non esiste un mercato di riferimento o esso non è perfettamente trasparente (cioè può non rispecchiare l'effettivo valore economico dell'attività).
  • Il contribuente non dispone materialmente del valore liquido della plusvalenza maturata, dal momento che non è stata realizzata attraverso una transazione di mercato.

Tassazione al realizzo:

  • Determina la tendenza a tenere immobilizzato l'investimento più di quanto si farebbe in assenza di imposta (creando pertanto una distorsione nel mercato), al fine di rimandare il pagamento della stessa.
  • Incentiva l'elusione, attraverso la pratica di realizzare immediatamente le minusvalenze e viceversa rimandare la realizzazione delle plusvalenze.

Reddito come consumo

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Secondo la nozione di reddito-consumo (teorizzata da Luigi Einaudi), sarebbe da sottoporre a tassazione solo il consumo (annuale), al fine di escludere la quota di reddito destinata al risparmio. La base imponibile sarebbe pertanto calcolata come differenza fra il totale delle entrate (v.reddito-entrata) e l'ammontare risparmiato dal contribuente.

Fra le argomentazioni a favore dell'esclusione del risparmio dalla base imponibile, la principale è quella della doppia tassazione del risparmio: secondo i suoi sostenitori, se viene tassato tutto il reddito, cioè sia il consumo sia il risparmio, su quella quota risparmiata si pagherebbero due volte le imposte: la prima volta quando viene colpito l'intero reddito, e una seconda volta quando vengono colpiti gli interessi fruttati dal risparmio.

Non esistono applicazioni concrete di questo modello in quanto è complesso definire cosa sia "risparmio" e monitorarlo.[3]

Il problema della rilevanza a fini tributari dei proventi illeciti è datato e ancora controverso.
La stessa giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione esprime due orientamenti opposti, uno a favore della tassabilità, l'altro contro la tassabilità del cosiddetto pretium sceleris.

Ragioni a favore della tassabilità dei proventi illeciti
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In sintesi, le Sezioni Civili della S.C. di Cassazione hanno più volte ritenuto che:

  • il legislatore fiscale (cfr. d.P.R. n. 917 del 1986) ha sempre mostrato con indubbia chiarezza la sua indifferenza per la liceità o illiceità della fonte del reddito; in altri termini, la normativa tributaria accoglie il principio di neutralità fiscale, secondo cui la provenienza del reddito non è elemento di qualificazione di esso e l'illiceità dell'attività da cui esso deriva è elemento estraneo alla fattispecie economica;
  • il citato d.P.R. n. 917 del 1986 (ma il principio di neutralità fiscale già permeava il d.P.R. n. 645 del 1958 e il d.P.R. n. 537 del 1973) indica categorie di redditi talmente vaste e di ampio respiro da comprendere anche i proventi di attività illecite, purché rappresentino una novella ricchezza e manifestino quella capacità economica a sostenere decurtazioni ai sensi dell'art. 53 della Costituzione.
Ragioni contro la tassabilità dei proventi illeciti
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Le Sezioni Unite penali della S.C. di Cassazione ritengono che il principio di neutralità fiscale vada interpretato alla luce della regola generale della liceità della causa: è tassabile solo il reddito conseguito nell'ambito di un processo produttivo e non anche quello che sia conseguenza di un reato, dove invece le Sezioni Penali ravvisano la vigenza del contrario principio di ripetibilità dei cespiti illeciti.

In altre parole, i proventi derivanti da attività illecite, non essendo frutto di un'operazione produttiva tipizzata dal legislatore, ma di un arricchimento senza causa, non possono rientrare nella nozione di reddito in senso tecnico, tanto più che l'ordinamento ha predisposto strumenti giuridici per impedire che il reo consegua un utile economico da un'attività penalmente rilevante (risarcimento, restituzioni, confisca). Se si accogliesse la tesi opposta, si dovrebbe concludere che l'ordinamento fiscale voglia legittimare la permanenza di profitti illeciti nel patrimonio dell'autore del reato.

Reddito effettivo e reddito normale

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Fin dal 1865, la legislazione fiscale è stata caratterizzata dal contrasto fra la tendenza ad individuare il reddito effettivo e quella a dare rilievo al reddito normale. Vi è infatti una latente contraddizione tra la normativa che tende a rilevare l'«effettiva capacità contributiva», e la concrete determinazioni dell'Amministrazione Finanziaria che invece individua i redditi medio-ordinari per classi, coefficienti e simili meccanismi.

In economie di tipo statico e arretrato, l'Amministrazione Finanziaria usava criteri forfettari di imposizione basati sulla redditività media della categoria. Il reddito era cioè accertato in base a criteri standard che ragionevolmente si avvicinavano al reddito effettivo (indici statici, coefficienti di ricarico, medie ricavate dagli studi degli Ispettori compartimentali, ecc.).

Per le grandi società di capitali, il criterio della redditività media del settore non era però adeguato e doveva farsi riferimento alla situazione specifica della società sottoposta ad accertamento tributario.

Dottrina e giurisprudenza elaborarono la categoria dei cosiddetti «soggetti tassabili in base al bilancio», in cui dominava il principio dell'accertamento del reddito effettivo, in deroga al criterio dell'accertamento di un reddito normale (normale rispetto a tutti gli altri soggetti). Fu anche elaborata la Teoria dei metodi di accertamento, allo scopo di descrivere le regole del gioco in termini di motivazione e di prova.

Tale principio non fu travolto dalla riforma "Vanoni-Tremelloni" del 1958, che introdusse il «principio della perequazione tributaria» nonché l'obbligo generalizzato della dichiarazione dei redditi.

La perequazione tributaria era la ripartizione delle imposte tra i singoli cittadini in base alla accertata capacità contributiva di ciascuno. Base della perequazione era quindi un accertamento rigoroso dei redditi imponibili, per eliminare sperequazioni nella contribuzione e la pratica abusiva dell'evasione.

La riforma del 1958 (attuata con d.P.R. n. 645 del 1958) voleva garantire il contribuente contro accertamenti arbitrari ed adeguare l'imposizione al reddito effettivo. Lo scopo non venne raggiunto perché non vi era sufficiente controllo sull'evasione fiscale, e perché la giurisprudenza e la prassi avallarono il cd. accertamento sintetico (cioè induttivo), basato su criteri valutativi precostituiti e ciò rappresentava una deroga al criterio della tassazione della realtà economica.

  1. ^ Nell'inglese tecnico, stock ha il significato di "disponibilità finanziaria" (non solo monetaria). In generale, stock è "rimanenza", "giacenza", essendo un termine del linguaggio di magazzino.
  2. ^ Mercantilismo 4.0, Biblion Editore.
  3. ^ a b c Imposta personale[collegamento interrotto]

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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  • Reddito, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
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