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Rimilitarizzazione della Renania

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Re-militarizzazione della Renania
parte degli eventi precedenti la seconda guerra mondiale in Europa
Localizzazione della Renania, come definita dal trattato di Versailles
Data7 marzo 1936
LuogoRenania, Germania
CausaIrruzione delle truppe tedesche in aree demilitarizzate
Schieramenti
Comandanti
Voci di crisi presenti su Wikipedia

La re-militarizzazione della Renania (in tedesco Rheinlandbesetzung) ebbe inizio il 7 marzo 1936, con l'ingresso delle forze militari della Germania nazista nella Renania demilitarizzata, contravvenendo al trattato di Versailles e ai trattati di Locarno. La manovra militare generò inevitabilmente una crisi diplomatica, che tuttavia non si tradusse subito in uno scontro bellico, anche in virtù del fatto che gli establishment di Francia e Gran Bretagna si opposero fermamente a un intervento militare.[1]

Dopo la fine della prima guerra mondiale, la Renania passò sotto occupazione alleata. Stando al trattato di Versailles, all'esercito tedesco era vietato l'accesso a tutti i territori a Ovest del fiume Reno, o entro 50 km a Est di esso. I trattati di Locarno del 1925 confermarono lo status di demilitarizzazione permanente della Renania. Nel 1929, il Ministro degli Esteri tedesco Gustav Stresemann negoziò il ritiro delle forze alleate. Gli ultimi soldati lasciarono la Renania nel giugno 1930.

Il 7 marzo 1936, il Cancelliere e Führer Adolf Hitler ordinò alla Wehrmacht l'occupazione della Renania con 20000 uomini. Francia e Gran Bretagna, seppur allarmate dalla violazione delle disposizioni di Versailles, decisero di non intervenire militarmente.[2]

Il mancato intervento militare di Gran Bretagna e Francia lasciò intendere a Hitler che nessuno dei due paesi avrebbe intralciato la politica estera nazista.[3]

Il 14 marzo 1936, durante un discorso a Monaco, Hitler dichiarò:

«Né le minacce né gli avvertimenti m'impediranno di andare per la mia strada. Seguo la strada che mi è stata assegnata dalla Provvidenza con l'istintiva sicurezza di un sonnambulo.»

[3]

Versailles e Locarno

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Confine tra Francia e Germania dopo la prima guerra mondiale (1919-1926).

Ai sensi degli articoli 42, 43 e 44 del trattato di Versailles del 1919, imposto alla Germania dagli Alleati dopo la prima guerra mondiale, alla Germania era "vietato mantenere o costruire qualsiasi fortificazione sulla riva sinistra del Reno o sulla riva destra a ovest di una linea tracciata cinquanta chilometri a est del Reno". Se si fosse verificata una violazione "in qualsiasi modo" dell'articolo, "sarà considerata come un atto ostile [...] e come calcolata per turbare la pace del mondo".[4] I Trattati di Locarno, firmati nell'ottobre 1925 da Germania, Francia, Italia e Gran Bretagna, stabilivano che la Renania dovesse mantenere il proprio status di smilitarizzazione permanente.[5]

Questo patto venne considerato importante, in quanto era un'accettazione volontaria tedesca dello stato della Renania smilitarizzata in contrasto con il diktat di Versailles.[5][6][7][8] I termini di Locarno prevedevano che la Gran Bretagna e l'Italia garantissero vagamente il confine franco-tedesco e il continuo status di smilitarizzazione della Renania contro una "flagrante violazione".[9] Ai sensi dei trattati di Locarno, un attacco tedesco alla Francia avrebbe provocato l'intervento militare di Italia e Gran Bretagna al fianco della stessa e, viceversa, un attacco francese alla Germania avrebbe innescato l'intervento anglo-italiano a fianco della nazione tedesca.

Lo storico americano Gerhard Weinberg definì lo stato smilitarizzato della Renania come "l'unica più importante garanzia di pace in Europa", in quanto veniva a mancare la possibilità per la Germania di attaccare i suoi vicini occidentali. Al contempo, la smilitarizzazione della Renania poneva la Germania in una condizione di maggiore vulnerabilità militare sul confine occidentale, precludendo in tal modo offensive sul fronte orientale: qualora la Germania avessero tentato di invadere qualsiasi stato garantito dal sistema di alleanze francese nell'Europa orientale, il cordon sanitaire[10], sarebbe stata infatti esposta a una devastante offensiva francese.

Finché i francesi continuarono ad occupare la Renania, essa funzionò come una forma di "garanzia" in base alla quale i francesi potevano rispondere a qualsiasi tentativo tedesco di riarmo palese annettendo la Renania. Una volta che gli ultimi soldati francesi lasciarono la Renania nel giugno 1930, essa non poté più svolgere il suo ruolo "collaterale", aprendo le porte al riarmo tedesco. La decisione francese di costruire la linea Maginot nel 1929 fu una tacita ammissione francese che il riarmo tedesco fosse solo questione di tempo e che, presto o tardi, la Renania sarebbe stata rimilitarizzata.[11][12] L'intelligence del Deuxième Bureau rese noto inoltre come nel corso degli anni '20 la Germania avesse violato in maniera ripetuta il trattato di Versailles con l'aiuto dell'Unione Sovietica. Con le truppe francesi fuori dalla Renania, era prevedibile come la Germania sarebbe diventata più propensa a violare il trattato di Versailles.[13] La Linea Maginot, a sua volta, dal punto di vista della sicurezza francese, ridusse l'importanza della presenza della regione smilitarizzata della Renania.

Le politiche estere delle potenze interessate

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La politica estera dell'Italia fascista mirava a mantenere una posizione "equidistante" da tutte le maggiori potenze ed esercitare il "peso determinante", consentendole di agire da vero e proprio ago della bilancia nello scacchiere internazionale. Il costo di un eventuale appoggio e allineamento dell'Italia alle posizioni di una qualsiasi potenza sarebbe stato il sostegno alle ambizioni italiane in Europa e/o Africa.[14]

L'obiettivo della politica estera dell'Unione Sovietica venne esposta da Iosif Stalin in un discorso il 19 gennaio 1925: se fosse scoppiata un'altra guerra mondiale, che Stalin riteneva inevitabile tra gli Stati capitalisti, "Entreremo nella mischia alla fine, gettando sulla bilancia il nostro peso critico, un peso che dovrebbe rivelarsi decisivo".[15]

La pietra angolare della diplomazia francese tra le due guerre era stata la creazione del cordon sanitaire nell'Europa orientale, idea coniata per la prima volta dal primo ministro francese Georges Clemenceau nel 1919[16], con lo scopo di mantenere sia i sovietici che i tedeschi fuori dall'Europa orientale. La Francia aveva così firmato trattati di alleanza con la Polonia nel 1921, la Cecoslovacchia nel 1924, la Romania nel 1926 e la Jugoslavia nel 1927.[17] Gli stati del cordone sanitario, di fatto, sostituivano economicamente e politicamente la Russia imperiale come principali alleati orientali della Francia, ed emersero come un'area d'influenza politica, militare, economica e culturale francese.[17][18] Se la Germania avesse dovuto attaccare uno qualsiasi di essi, la Francia avrebbe risposto con un'offensiva verso la Germania occidentale.

Molto prima del 1933, le élite militari e diplomatiche tedesche avevano considerato lo stato della Renania smilitarizzata solo come temporaneo, e prevedevano di re-militarizzare la regione alla prima occasione diplomatica favorevole.[19] Nel mese del dicembre 1918, in una riunione dell'élite militare tedesca (l'esercito tedesco funzionava come uno "stato nello stato"), venne decisa la ricostruzione della potenza militare tedesca per dare inizio a una nuova guerra mondiale, ma questa volta per vincerla.[20] Per tutti gli anni Venti e nei primi anni Trenta, i piani delle forze armate tedesche, la Reichswehr, svilupparono una strategia per distruggere la Francia e la sua alleata Polonia, che presupponeva la re-militarizzazione della Renania.[21] Il governo tedesco adottò misure per prepararsi alla rimilitarizzazione, come mantenere l'ex caserme in buono stato di manutenzione, nascondere materiale militare in depositi segreti e costruire dogane e torri di guardia antincendio lungo la frontiera che avrebbero potuto essere facilmente convertite in postazioni d'osservazione e di mitragliatrice.[22]

Dal 1919 al 1932, le spese della difesa britannica vennero basate sulla Ten Year Rule (in italiano: regola dei 10 anni), la quale presupponeva che non si sarebbero verificate grandi guerre per i prossimi dieci anni. La politica portò l'esercito britannico ad essere ridotto all'osso.[23] In Gran Bretagna, l'idea dell'"impegno continentale" d'inviare un grande esercito a combattere nell'Europa continentale contro la Germania non venne mai esplicitamente respinta, ma non venne neanche favorita.[24] Il ricordo delle pesanti perdite subite durante la prima guerra mondiale aveva portato molti a considerare l'impegno continentale del 1914 un grave errore. Per la maggior parte del periodo tra le due guerre, gli inglesi furono estremamente riluttanti a prendere impegni di sicurezza nell'Europa orientale e consideravano la regione così instabile da rischiare di coinvolgere la Gran Bretagna in guerre indesiderate. Al massimo, la Gran Bretagna era disposta a prendere solo limitati impegni di sicurezza nell'Europa occidentale, e anche allora cercava di evitare il più possibile l'impegno continentale. Nel 1925, il ministro degli Esteri britannico, Sir Austen Chamberlain, aveva notoriamente affermato in pubblico a Locarno che il corridoio polacco "non valeva le ossa di un solo granatiere britannico".[25][26] In quanto tale, Chamberlain dichiarò che la Gran Bretagna non avrebbe garantito il confine tedesco-polacco sulla base del fatto che il corridoio polacco avrebbe dovuto essere restituito alla Germania. La scarsa volontà degli inglesi di tener fede agli impegni presi a Locarno emerge nel divieto per i capi militari britannici di tenere colloqui di stato maggiore con le forze armate tedesche, francesi e italiane se si fosse verificata una "flagrante violazione" di Locarno.[27]

In generale, per la maggior parte degli anni '20 e '30, la politica estera britannica si basò sulla politica di appeasement, in base alla quale il sistema internazionale stabilito da Versailles sarebbe stato ragionevolmente rivisto in favore della Germania, al fine di ottenere l'accettazione tedesca dell'ordine internazionale per garantire la pace. Uno dei principali obiettivi britannici a Locarno fu la creazione di una situazione in cui la Germania potesse perseguire pacificamente il revisionismo territoriale nell'Europa orientale.[28] Il punto di vista britannico era che, se le relazioni franco-tedesche fossero migliorate, la Francia avrebbe gradualmente abbandonato il cordon sanitaire, come era noto il sistema di alleanza francese in Europa orientale tra le due guerre.[28] Una volta che la Francia avesse abbandonato i suoi alleati in Europa orientale come prezzo di migliori relazioni con la Germania, i polacchi e i cecoslovacchi sarebbero stati costretti ad adeguarsi alle richieste tedesche e a mantenere la pace cedendo i territori rivendicati dalla Germania come i Sudeti, il Corridoio di Danzica e la Città Libera di Danzica.[28]

Gli inglesi tendevano a sovrastimare la potenza francese, e persino Sir Robert "Van" Vansittart, il sottosegretario permanente al Foreign Office, che normalmente era filo-francese, scrisse nel 1931 che la Gran Bretagna avrebbe dovuto affrontare un "insopportabile" dominio francese dell'Europa e che era necessaria una rinascita del potere tedesco per controbilanciare la potenza francese.[29]

La situazione europea, 1933-36

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Le manovre diplomatiche

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Nel marzo 1933, il ministro della Difesa tedesco Werner von Blomberg fece elaborare piani per la re-militarizzazione.[30] Nell'autunno del 1933, iniziò a fornire un certo numero di unità paramilitari della Landspolizei nella Renania con addestramento militare segreto e armi militari per prepararsi alla re-militarizzazione.[31] Il promemoria del generale Ludwig Beck del marzo 1935 sulla necessità per la Germania di proteggere il Lebensraum (spazio vitale) nell'Europa orientale aveva accettato che la re-militarizzazione avrebbe dovuto aver luogo una volta che fosse stato diplomaticamente possibile.[30] In generale, i militari, i diplomatici d'élite e i politici tedeschi credevano che non sarebbe stato possibile re-militarizzare la regione prima del 1937.[32]

Il cambio di regime in Germania nel 1933 suscitò allarme a Londra, ma c'era una notevole incertezza sulle intenzioni a lungo termine di Hitler, che sottolineò gran parte della politica britannica nei confronti della Germania fino al 1939. Gli inglesi non potevano sapere con certezza se Hitler volesse semplicemente invertire Versailles o se avesse l'obiettivo inaccettabile di cercare di dominare l'Europa. La politica britannica verso la Germania fu una politica a doppio binario, alla ricerca di una "soluzione globale" con il Reich, in cui le "legittime" lamentele tedesche per il trattato di Versailles sarebbero state affrontate a favore della Germania. Nello stesso tempo gli inglesi perseguirono un riarmo per negoziare con la Germania da una posizione di forza. Fu un tentativo per dissuadere Hitler dalla scelta della guerra come opzione. Nel mese di febbraio 1934, un rapporto segreto del Comitato Requisiti della Difesa identificò la Germania come "ultimo nemico potenziale", a cui il riarmo britannico doveva essere diretto.[33] Sebbene la possibilità di bombardamenti tedeschi contro le città britanniche aumentasse l'importanza di avere una potenza amica dall'altra parte del Canale della Manica, molti decisori britannici erano freddi, se non addirittura ostili, verso l'idea dell'impegno continentale.[34] Quando nel 1934 iniziò il riarmo britannico, l'esercito ricevette la priorità più bassa in termini di finanziamento, dopo l'aviazione e la marina, il che doveva in parte escludere il opzione di impegno continentale.[35] Gli inglesi arrivarono sempre più a favorire l'idea di responsabilità limitata in base alla quale se fosse stato preso l'impegno continentale, la Gran Bretagna avrebbe dovuto inviare in Europa solo il più piccolo corpo di spedizione possibile, ma riservando i suoi sforzi principali verso la guerra in aria e in mare.[36] Il rifiuto della Gran Bretagna di assumere l'impegno continentale sulla stessa scala della prima guerra mondiale provocò tensioni con i francesi, i quali credevano che sarebbe stato impossibile sconfiggere la Germania senza un'altra forza terrestre su larga scala e non amavano profondamente l'idea di dover sostenere la maggior parte dei combattimenti sulla propria terra.

A partire dal 1934, il ministro degli Esteri francese Louis Barthou decise di porre fine ad ogni potenziale aggressione tedesca, con la costruzione di una rete di alleanze volte a isolare la Germania. Per questo motivo attivò il suo corpo diplomatico sia verso l'Unione Sovietica sia verso l'Italia. Fino al 1933, l'Unione Sovietica aveva sostenuto gli sforzi tedeschi per sfidare il trattato di Versailles, ma lo stridente anti-comunismo del regime nazionalsocialista con la sua richiesta del Lebensraum aveva spinto i sovietici a un drastico cambiamento sul mantenimento del trattato di Versailles. Nel mese del settembre 1933 l'Unione Sovietica tolse il suo sostegno segreto al riarmo tedesco, iniziato ben dodici anni prima nel 1921. Con il pretesto della sicurezza collettiva, il commissario degli Esteri sovietico Maksim Maksimovič Litvinov incominciò ad apprezzare il trattato di Versailles, che, fino ad allora, i leader sovietici avevano denunciato come un complotto capitalista per "schiavizzare" la Germania. A partire dal 1920, Benito Mussolini sovvenzionò in Austria il movimento di destra Heimwehr,[37] e, dopo che l'ultra-conservatore Cancelliere Engelbert Dollfuss nel 1933, di fatto, instaurò una dittatura, l'Austria cadde nella sfera di influenza italiana.[38] La campagna terroristica montata dai nazisti austriaci, con l'aperto sostegno della Germania, contro il regime Dollfuss, con l'obiettivo di rovesciarlo per realizzare l'annessione (Anschluss), fu la causa di forti tensioni tra Roma e Berlino.[38] Mussolini aveva avvertito Hitler più volte che l'Austria si trovava nella sfera di influenza italiana, e non della Germania, per cui chiedeva ai tedeschi di cessare il tentativo di rovesciare il suo protetto Dollfuss.

Il 25 luglio 1934, il Putsch di luglio a Vienna aveva visto Dollfuss assassinato dalle SS austriache e un annuncio da parte dei nazisti austriaci che l'Anschluss era a portata di mano. I nazisti austriaci tentarono di prendere il potere in tutta l'Austria e la Legione austriaca delle SS, con sede in Baviera, iniziò ad attaccare i posti di frontiera lungo il confine tedesco-austriaco in quello che sembrava l'inizio di un'invasione. In risposta, Mussolini mobilitò l'esercito italiano, concentrò diverse divisioni al Passo del Brennero e avvertì Hitler che l'Italia sarebbe entrata in guerra contro la Germania se avesse tentato di seguire il Putsch invadendo l'Austria. Hitler, di origine austriaca, sebbene profondamente offeso dalle schiette affermazioni di Mussolini secondo cui il suo luogo di nascita era nella sfera di influenza di qualsiasi potenza diversa dalla Germania, si rese conto che non era nella posizione di fare altro che battere in una ritirata umiliante. Con suo disgusto, dovette rifiutare il "Putsch" che aveva ordinato e non poté seguirlo invadendo l'Austria, il cui governo represse il tentativo di colpo di Stato dei nazisti austriaci.[38] Dopo che Barthou venne assassinato il 9 ottobre 1934, il suo lavoro nel tessere alleanze anti-tedesche con l'Unione Sovietica e l'Italia venne continuato da Pierre Laval.

Il 7 gennaio del 1935, durante un vertice a Roma, Laval in sostanza disse a Mussolini che aveva "mano libera" nel Corno d'Africa, e che la Francia non si sarebbe opposta a un'invasione italiana in Etiopia.[38] Il 14 aprile 1935, il primo ministro di Gran Bretagna Ramsay MacDonald, il primo ministro di Francia Pierre Laval e il Capo del Governo Benito Mussolini s'incontrarono a Stresa per formare il Fronte di Stresa, per opporsi a ulteriori violazioni tedesche di Versailles a seguito della dichiarazione tedesca del marzo 1935 che la Germania non avrebbe più rispettato le parti V e VI del trattato di Versailles.[38] Nella primavera del 1935 ebbero inizio i colloqui dello stato maggiore congiunto tra la Francia e l'Italia, con l'obiettivo di formare un'alleanza militare anti-tedesca.[38] Il 2 maggio 1935, Laval si recò a Mosca, dove firmò un trattato di alleanza con l'Unione Sovietica. Immediatamente, il governo tedesco incominciò una violenta campagna di stampa contro il patto franco-sovietico, sostenendo che era una violazione del patto di Locarno e un immenso pericolo per la Germania circondandola.

Nel suo "discorso di pace" del 21 maggio 1935, Adolf Hitler dichiarò: «In particolare, essi [i tedeschi] sosterranno e rispetteranno tutti gli obblighi derivanti dal patto di Locarno, a condizione che le altre parti siano pronte a rispettare a loro volta quel patto».[39] Quella linea nel discorso di Hitler venne scritta dal suo ministro degli Esteri, il barone Konstantin von Neurath, il quale desiderava rassicurare i leader stranieri che si sentivano minacciati dalla denuncia tedesca nel marzo 1935 della parte V di Versailles, responsabile del disarmo della Germania.[39] Allo stesso tempo, Neurath voleva fornire un'apertura per l'eventuale re-militarizzazione della Renania, quindi la copertura condizionale della promessa di obbedire a Locarno solo finché lo avessero fatto le altre potenze.[39] Hitler ritenne sempre che la Germania non si considerasse vincolata dal Diktat di Versailles ma avrebbe rispettato qualsiasi trattato che avesse firmato volontariamente, come Locarno, in base al quale la Germania aveva promesso di mantenere permanentemente la Renania smilitarizzata. Così Hitler promise sempre durante i suoi "discorsi di pace" di obbedire a Locarno, non a Versailles.[40]

La crisi abissina

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Lo stesso argomento in dettaglio: Incidente di Ual Ual.

Il 7 giugno 1935, in Gran Bretagna, MacDonald si dimise dalla carica di primo ministro a causa dei suoi problemi di salute. Venne sostituito da Stanley Baldwin del partito conservatore. Il cambio di leadership non influenzò significativamente la politica estera britannica. Il 3 ottobre del 1935, l'Italia invase l'Etiopia, dando inizio alla crisi abissina. Sotto la forte pressione dell'opinione pubblica britannica, molto favorevole alla "sicurezza collettiva", il governo prese l'iniziativa per convincere la Società delle Nazioni ad applicare sanzioni contro l'Italia.[41] La decisione del primo ministro britannico Stanley Baldwin, di adottare un profilo deciso a favore della sicurezza collettiva, venne principalmente motivata dalla politica interna. Avendo appena vinto le elezioni, il 14 novembre 1935, in base al principio della sicurezza collettiva, il governo Baldwin premette fortemente per le sanzioni contro l'Italia a causa dell'invasione dell'Etiopia. La Società delle Nazioni votò, il 18 novembre 1935, la mozione britannica per imporre sanzioni all'Italia con effetto immediato.

La linea britannica, secondo la quale la sicurezza collettiva dovesse essere accolta per quanto riguardava l'Etiopia, fu la causa di notevoli tensioni politiche tra Parigi e Londra. I francesi ritenevano che Hitler, non Mussolini, fosse il vero pericolo per la pace e quindi valeva la pena pagare il prezzo accettando la conquista dell'Etiopia se questa proteggeva il fronte di Stresa. Lo storico britannico Correlli Barnett scrisse che per Laval "tutto ciò che contava davvero era la Germania nazista. I suoi occhi erano sulla zona smilitarizzata della Renania; il suo pensiero sulle garanzie di Locarno. Allontanare l'Italia, una delle potenze locarnesi, su una questione come l'Abissinia non piaceva alla mente contadina di Auvergnat di Laval".[42] Con Parigi e Londra apertamente in disaccordo sulla risposta corretta all'invasione italiana dell'Etiopia, per non parlare della spaccatura tra Italiani e Inglesi, in Germania tali politiche vennero interpretate come un'apertura alla rimilitarizzazione della Renania.

La controversia anglo-italiana collocò i francesi in una posizione scomoda. Da un lato, il continuo rifiuto della Gran Bretagna a un impegno continentale, convinceva i francesi che l'Italia fosse l'unica ed altra Nazione europea occidentale a mettere in campo un grande esercito contro la Germania.[43] D'altro canto, l'economia britannica contava molto di più dell'economia italiana, quindi questo fatto significava, per la prospettiva francese a lungo termine, che la Gran Bretagna potesse essere un alleato migliore. La Gran Bretagna infatti possedeva una capacità di resilienza e resistenza economica molto più elevata dell'Italia, al fine di sostenere quella che avrebbe potuto manifestarsi come un'altra guerre de la longue durée (guerra di lunga durata) contro la Germania.[43] Lo storico americano Zach Shore scrisse che: «[...] I leader francesi si trovarono nella scomoda posizione di ottenere cooperazione militare di due alleati incompatibili. Poiché gli interessi dell'Italia e Gran Bretagna nel Mediterraneo erano divergenti, la Francia non poteva di certo allearsi con uno senza alienarsi l'altro».[43] Per evitare una rottura totale con la Gran Bretagna, la Francia non utilizzò il suo potere di veto in quanto membro del Consiglio della Società, votò invece per le sanzioni contro l'Italia.[44] Tuttavia, Mussolini si sentì tradito dai suoi amici francesi, e, insieme alla Gran Bretagna, la Francia fu la nazione con la quale era più arrabbiato a causa delle sanzioni. Nonostante tutta l'indignazione di Mussolini, le sanzioni erano in gran parte inefficaci. Gli Stati Uniti e la Germania, entrambi esterni alla Società, scelsero di non rispettare le sanzioni, e, come conseguenza, le aziende americane e tedesche fornirono all'Italia tutti i beni che la Società aveva iscritto nell'elenco delle sanzioni, rendendole più un fastidio che un problema per gli italiani.[45]

I crittografi italiani avevano infranto i codici navali e diplomatici britannici all'inizio degli anni '30 e quindi Mussolini sapeva molto bene che, sebbene gli inglesi potessero minacciare la guerra attraverso mosse come il rafforzamento della Mediterranean Fleet, nel settembre 1935 avevano già deciso di non andare mai in guerra per l'Etiopia.[46] Armato di tale conoscenza, Mussolini si sentì libero di impegnarsi in ogni sorta di feroce minaccia di guerra contro la Gran Bretagna dalla fine del 1935 e di dichiarare a un certo punto che preferiva vedere il mondo intero "andare in fiamme" piuttosto che fermare la sua invasione.[47] Le frequenti minacce di Mussolini di distruggere l'Impero britannico se gli inglesi avessero continuato a opporsi alla sua guerra in Africa avevano creato l'impressione tra la fine del 1935 e l'inizio del 1936 che la Gran Bretagna e l'Italia fossero sull'orlo della guerra.

Alla fine del 1935, Neurath sparse la voce secondo cui la Germania aveva in progetto di re-militarizzare la Renania in risposta al patto franco-sovietico del maggio 1935, che Neurath insistette definire come una violazione al patto di Locarno che minacciava la Germania.[39] Nel frattempo, Neurath ordinò ai diplomatici tedeschi d'iniziare a redigere memorie legali che giustificassero la re-militarizzazione con la motivazione che il patto violava Locarno.[39] Così facendo, Neurath agiva senza ordini di Hitler ma nell'attesa che i tempi fossero maturi per la rimilitarizzazione a causa della crisi dei rapporti anglo-italiani.[39]

Per risolvere la crisi abissina, Robert Vansittart, sottosegretario permanente del Ministero degli Esteri britannico, propose al ministro degli Esteri britannico Samuel Hoare quello che venne conosciuto come il piano Hoare-Laval, in base alla quale la metà d'Etiopia sarebbe stata data all'Italia, sarebbe stato nominalmente indipendente sotto l'imperatore Hailé Selassié. Vansittart era un appassionato francofilo e un altrettanto ardente germanofobo e voleva sacrificare l'Etiopia per mantenere il fronte di Stresa contro la Germania, che vedeva come il vero pericolo.[48][49] Vansittart aveva un potente alleato in Hankey, fautore della realpolitik, che vedeva l'intera idea d'imporre sanzioni all'Italia come una grande follia.[50] Persuaso dei meriti dell'approccio di Vansittart, Hoare si recò a Parigi per incontrare Laval, che accettò il piano. Tuttavia, Alexis St. Leger, segretario generale del Quai d'Orsay, che era uno dei pochi funzionari francesi ad avere un'avversione viscerale per l'Italia fascista (la maggior parte degli altri erano filo-italiani), decise di sabotare il piano facendolo trapelare alla stampa francese.[51] St. Leger era considerato, a detta di tutti, un carattere "piuttosto strano": a volte sceglieva di minare le iniziative politiche che disapprovava.[52]

In una strana asimmetria, Vansittart era per l'approccio francese che valeva la pena consentire alla conquista italiana di continuare il Fronte di Stresa e St. Leger era per l'approccio britannico di difendere la sicurezza collettiva anche se rischiava di danneggiare il Fronte di Stresa. Quando la notizia del piano, che sostanzialmente ricompensava Mussolini, raggiunse la Gran Bretagna, vi venne causato un tale tumulto che Hoare dovette dimettersi in disgrazia. Venne sostituito da Anthony Eden e il neoeletto governo Baldwin venne quasi rovesciato da una rivolta dei parlamentari di secondo piano. Baldwin affermò falsamente alla Camera dei Comuni che il governo non era a conoscenza del piano e che Hoare era stato un ministro canaglia che agiva da solo.[senza fonte] In Francia, l'opinione pubblica era indignata dal piano tanto quanto in Gran Bretagna. La politica di svalutazione interna di Laval di forzare la deflazione sull'economia francese per aumentare le esportazioni francesi per combattere la Grande depressione lo aveva già reso impopolare, ma il patto Hoare-Laval danneggiò la sua reputazione. La Camera dei Deputati discusse il piano del 27 e 28 dicembre 1935. Il Fronte Popolare lo condannò, con Léon Blum che disse a Laval: "Hai cercato di dare e mantenere. Volevi avere la tua torta e mangiarla. Hai cancellato le tue parole con le tue azioni e le tue azioni con le tue parole. Hai svilito tutto con l'aggiustamento, l'intrigo e l'astuzia. [...] Non abbastanza sensibile all'importanza delle grandi questioni morali, tu hai ridotto tutto al livello dei tuoi metodi meschini".[53]

Mussolini respinse il piano Hoare-Laval affermando che voleva sottomettere tutta l'Etiopia, non solo la metà. In seguito al fiasco del piano, il governo britannico riprese la sua precedente politica d'imporre sanzioni contro l'Italia in modo svogliato, causando gravi tensioni nelle relazioni con Parigi, ma in particolare con Roma. Dato l'atteggiamento provocatorio italiano, la Gran Bretagna volle avviare colloqui personali con la Francia per una possibile guerra contro l'Italia.[54] Il 13 dicembre 1935, Neurath disse all'ambasciatore britannico Sir Eric Phipps che Berlino considerava eventuali colloqui personali anglo-francesi senza la Germania, anche se diretti solo contro l'Italia, come una violazione del patto di Locarno che avrebbe costretto la Germania a rimilitarizzare la Renania.[54] Sebbene le relazioni italo-tedesche fossero state piuttosto ostili nel 1935, la Germania sostenne apertamente l'invasione italiana e offrì a Mussolini una benevola neutralità.[55] Sotto la bandiera della supremazia bianca e del fascismo, Hitler appoggiò con forza l'invasione italiana e fece spedire agli italiani varie materie prime ed armi, che le sanzioni della Società delle Nazioni avevano proibito all'Italia.[56] Il supporto di Hitler per l'aggressione italiana suscitò molta benevolenza a Roma.[56] Al contrario, gli intrighi pro-italiani di Laval e i suoi sforzi per sabotare lo sforzo guidato dagli inglesi per imporre sanzioni all'Italia crearono un clima di sfiducia duratura tra gli inglesi e i francesi.[57]

La re-militarizzazione tedesca

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Neurath e i servizi segreti

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Il ministro degli Esteri britannico Anthony Eden prevedeva che entro il 1940 la Germania avrebbe potuto essere persuasa a tornare nella Società delle Nazioni, ad accettare limitazioni alle armi e a rinunciare alle sue rivendicazioni territoriali in Europa in cambio della re-militarizzazione della Renania, il ritorno delle ex colonie tedesche africane e della "priorità economica lungo il Danubio" tedesca.[58] L'obiettivo di Eden venne definito come quello di un "insediamento generale", che cercava "un ritorno alla normalità degli anni Venti e la creazione di condizioni in cui Hitler potesse comportarsi come Stresemann" (cancelliere, ministro degli esteri e democratico durante la Repubblica di Weimar[59]).

Il 16 gennaio 1936, il primo ministro francese Pierre Laval presentò il patto franco-sovietico alla Camera dei Deputati per la ratifica.[60] Nel mese di gennaio 1936, durante la sua visita a Londra per partecipare al funerale di re Giorgio V del Regno Unito, Neurath disse a Eden: "Se, invece, gli altri firmatari o garanti dovessero concludere accordi bilaterali contrari allo spirito del patto di Locarno, dovremmo essere costretti a riconsiderare il nostro atteggiamento."[61] La risposta di Eden alla velata minaccia di Neurath che la Germania avrebbe re-militarizzato la Renania se l'Assemblea nazionale francese avesse ratificato il patto franco-sovietico convinse Neurath che, se la Germania si fosse re-militarizzata, la Gran Bretagna si sarebbe schierata dalla parte della Germania contro la Francia.[61]

Vi era una clausola del patto di Locarno che richiedeva un arbitrato internazionale vincolante se una delle potenze firmatarie avesse firmato un trattato che le altre potenze consideravano incompatibile con il patto di Locarno.[62] Sia Neurath che il suo segretario di Stato, il principe Bernhard von Bülow, riferirono ad ogni diplomatico straniero che il patto franco-sovietico fosse una violazione al patto di Locarno, ma al tempo stesso consigliarono fortemente Hitler di non cercare l'arbitrato internazionale per verificare se il patto franco-sovietico fosse davvero una violazione al trattato stesso.[62] Cercare l'arbitrato internazionale era una situazione di "sconfitta" per la Germania: risolvere la controversia in entrambi i casi avrebbe rimosso la capacità della Germania di usarlo come scusa per la re-militarizzazione.[62] Anche se Neurath indicò più volte, nelle conferenze stampa nei primi mesi del 1936, che la Germania stava progettando di utilizzare la clausola compromissoria a Locarno, al fine di contribuire a convincere l'opinione pubblica estera che il patto franco-sovietico era una violazione di Locarno, il governo tedesco non invocò la clausola compromissoria.[62]

Allo stesso tempo, Neurath ricevette un rapporto riservato, il 10 gennaio 1936, da Gottfried Aschmann, capo della Divisione Stampa dell'Auswärtiges Amt. Questi, durante una visita a Parigi ai primi di gennaio, aveva parlato con un politico francese di secondo piano, Jean Montiny, amico del primo ministro Laval: costui aveva confidato che i problemi economici del paese avevano ritardato la modernizzazione militare francese e che la Francia non avrebbe fatto nulla se la Germania avesse re-militarizzato la Renania.[63] Neurath non trasmise il rapporto di Aschmann a Hitler, ma vi attribuì un grande valore. Neurath stava cercando di migliorare la sua posizione all'interno del regime nazista; assicurando ripetutamente a Hitler durante la crisi della Renania che i francesi non avrebbero fatto nulla, senza svelargli il perché della sua certezza, Neurath appariva come un diplomatico dotato di un'intuizione misteriosa, la qual cosa migliorò la sua posizione nei confronti del Führer.[64] La conduzione della politica estera spettava all'Auswärtiges Amt (Ministero degli Esteri), ma a partire dal 1933 Neurath si trovò di fronte alla minaccia di "intrusioni naziste nella diplomazia", dato che diversi ufficî del partito intraprendevano politiche estere indipendenti e spesso in contrasto colla linea del suo dicastero.[65] La più grave delle "intrusioni nella diplomazia" fu l'operato della Dienststelle Ribbentrop, una sorta di Ministero degli Esteri alternativo vagamente legato al partito, guidato da Joachim von Ribbentrop, che cercava aggressivamente di minare pressoché tutte le iniziative dell'Auswärtiges Amt.[66] Ad esacerbare ulteriormente la rivalità tra la Dienststelle Ribbentrop e l'Auswärtiges Amt vi era il fatto che Neurath e Ribbentrop si odiavano reciprocamente, poiché Ribbentrop non faceva mistero della sua convinzione di poter essere un ministro degli Esteri migliore di Neurath, mentre Neurath vedeva Ribbentrop come un diplomatico dilettante irrimediabilmente inetto che s'intrometteva in questioni che non lo riguardavano.[67]

Il barone Konstantin von Neurath nel 1939. Come ministro degli Esteri nel 1936, Neurath svolse un ruolo decisivo nella decisione tedesca che portò alla rimilitarizzazione.

La decisione di re-militarizzare

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Nel mese del gennaio del 1936, il cancelliere e Führer Adolf Hitler decise di rioccupare la Renania. Inizialmente Hitler aveva progettato di occuparla solo a partire dal 1937, ma all'inizio del 1936 scelse di anticipare la re-militarizzazione di un anno per diversi motivi, vale a dire:

  • la ratifica da parte dell'Assemblea nazionale francese del patto franco-sovietico del 1935, che gli consentiva di presentare il suo colpo, sia in patria che all'estero, come una mossa difensiva contro l'"accerchiamento" franco-sovietico;
  • l'aspettativa che la Francia sarebbe stata meglio armata nel 1937;
  • il fatto che il governo di Parigi era appena caduto e sostituito da un governo tecnico;
  • i problemi economici in patria, che richiesero un successo nella politica estera al fine di ripristinare la popolarità del regime;
  • la guerra italo-etiope, che aveva messo la Gran Bretagna contro l'Italia, rompendo effettivamente il fronte di Stresa;
  • infine perché, a quanto pare, Hitler semplicemente non aveva voglia di aspettare un anno in più.[68][69]

Nella sua biografia di Hitler, lo storico britannico sir Ian Kershaw sostenne che le ragioni principali per la decisione di re-militarizzare nel 1936, rispetto al 1937, erano la preferenza di Hitler per colpi di mano plateali per ottenere ciò che avrebbe potuto essere facilmente ottenuto attraverso colloqui tranquilli e il bisogno di Hitler di un trionfo in politica estera per distrarre l'attenzione pubblica dalla grave crisi economica che stava attanagliando la Germania nel 1935-1936.[70]

Il ministro della guerra tedesco, il generale Werner von Blomberg.

Nel corso di un incontro tra il principe Bernhard von Bülow (che non deve essere confuso con il suo più famoso zio, il cancelliere Bernhard von Bülow), segretario di Stato presso l'Auswärtiges Amt, e l'ambasciatore francese André François-Poncet il 13 gennaio 1936, in cui Bülow consegnò a François-Poncet un'altra nota di protesta contro il patto franco-sovietico, François-Poncet accusò in faccia Bülow di cercare qualsiasi scusa, non importa quanto bizzarra, strana o poco plausibile per rimandare truppe in Renania.[71] Il 15 gennaio 1936, venne inviato a Iosif Stalin un rapporto top-secret dell'NKVD dal titolo Sintesi militare e politica dell'intelligence sulla Germania. Questo rapporto riferiva che, sulla base delle dichiarazioni di diversi diplomatici nell'Auswärtiges Amt, la Germania stava progettando, nell'immediato futuro, di rimilitarizzare la Renania.[72] La stessa sintesi citò Bülow che affermava che, se la Gran Bretagna e la Francia avessero concluso qualsiasi tipo di accordo sulla cooperazione militare che non coinvolgesse anche la Germania, "lo considereremmo come una violazione del patto di Locarno e se non verremo trascinati a partecipare ai negoziati, non ci riterremo vincolati dagli obblighi di Locarno in merito alla conservazione della zona smilitarizzata del Reno".[73] Il rapporto sovietico, che avvertiva dei piani tedeschi per la re-militarizzazione, non venne condiviso né con il governo inglese né con quello francese.[73]

Il 17 gennaio 1936 Benito Mussolini, infuriato a causa delle sanzioni applicate dalla Società delle Nazioni contro il suo paese per l'aggressione contro l'Etiopia, riferì all'ambasciatore tedesco a Roma, Ulrich von Hassell, che avrebbe voluto vedere un accordo austro-tedesco "che in pratica ponga l'Austria nella scia della Germania, in modo da non poter perseguire nessun'altra politica estera se non una parallela alla Germania. Se l'Austria, come stato formalmente indipendente, diventerà in pratica uno stato satellite tedesco, non avrò avuto nulla da obiettare".[74][75] Riconoscendo che l'Austria fosse di fatto ormai nella sfera d'influenza tedesca, Mussolini aveva rimosso il problema principale nelle relazioni italo-tedesche.[75] Tali relazioni erano già piuttosto compromesse fin dalla metà del 1933, e soprattutto, dopo il putsch di luglio del 1934, quindi le osservazioni di Mussolini riferite ad Hassell e formulate all'inizio del 1936, indicando che voleva un riavvicinamento con la Germania, vennero considerate estremamente significative a Berlino.[74]

In un altro incontro, Mussolini disse ad Hassell che considerava il Fronte di Stresa del 1935 "morto" e che l'Italia non avrebbe fatto nulla per difendere Locarno se la Germania l'avesse violato.[74] Inizialmente i funzionari tedeschi non credevano nel desiderio di Mussolini ad un riavvicinamento, ma, dopo che Hitler inviò Hans Frank in visita segreta a Roma, portando un messaggio del Führer sul supporto della Germania alle azioni italiane nella conquista dell'Etiopia, le relazioni italo-tedesche migliorarono notevolmente.[74] Il 24 gennaio 1936, l'impopolare Laval si dimise da primo ministro piuttosto che essere sconfitto a causa di una mozione di sfiducia promulgata dall'Assemblea nazionale, dato che i socialisti radicali avevano deciso di unirsi al Fronte popolare della sinistra, assicurando in tal modo una maggioranza anti-Laval alla Camera dei deputati.[76] A Parigi venne formato un governo tecnico, guidato da Albert Sarraut, fino a quando non si sarebbero potute tenere nuove elezioni. Il governo Sarraut era un misto di uomini di destra come Georges Mandel, di centro come Georges Bonnet e di sinistra come Joseph Paul-Boncour, il che rese quasi impossibile al governo prendere decisioni.[77] Immediatamente, il governo Sarraut entrò in conflitto con la Gran Bretagna, dato che Eden iniziò a fare pressione alla Società delle Nazioni per sanzionare l'Italia, conseguenza giuridica a cui i francesi erano completamente contrari e sulla quale minacciarono di porre il veto.[78]

L'11 febbraio 1936, il nuovo primo ministro francese Albert Sarraut affermò che il suo governo avrebbe lavorato per la ratifica del patto franco-sovietico.[60] Il 12 febbraio 1936, Hitler incontrò sia Neurath che il suo ambasciatore straordinario, Joachim von Ribbentrop, per chiedere il loro parere sul rischio di una reazione straniera alla re-militarizzazione. Neurath appoggiò la re-militarizzazione, ma sostenne che la Germania avrebbe dovuto negoziare di più prima di attuarla, mentre Ribbentrop sosteneva di attuare la re-militarizzazione senza condizioni.[79] Ribbentrop riferì ad Hitler che se la Francia fosse entrata in guerra in risposta alla re-militarizzazione tedesca, poi la Gran Bretagna sarebbe andata in guerra con la Francia, una valutazione che non trovava d'accordo Neurath, ma che incoraggiò Hitler a procedere alla re-militarizzazione della Renania.

Il 12 febbraio 1936 Hitler informò il suo ministro della guerra, il feldmaresciallo Werner von Blomberg, delle sue intenzioni e chiese al capo dell'esercito, il generale Werner von Fritsch, quanto tempo ci volesse per trasportare un paio di battaglioni di fanteria e una batteria di artiglieria nella Renania. Fritsch rispose che ci sarebbero voluti almeno tre giorni, ma l'organizzazione era a favore della trattativa, dato che credeva che l'esercito tedesco non fosse ufficialmente in stato di conflitto con l'esercito francese.[80] Il capo di stato maggiore, il generale Ludwig Beck, avvertì Hitler che l'esercito tedesco non sarebbe stato in grado di difendere con successo la Germania contro una possibile rappresaglia francese.[81] Hitler rassicurò Fritsch che avrebbe ritirato le sue forze, se ci fosse stata una contromossa francese. Weinberg scrisse che:

"I piani militari tedeschi prevedevano che piccole unità tedesche si trasferissero nella Renania, unendosi alla polizia militarizzata locale (Landespolizei) e organizzando una ritirata dai combattimenti se ci fosse stata una controazione militare dall'Occidente. La storia secondo cui i tedeschi avevano l'ordine di ritirarsi se la Francia si fosse mossa contro di loro è in parte corretta, ma essenzialmente fuorviante; la ritirata doveva essere una mossa difensiva tattica, non un ritorno alla posizione precedente. La possibilità di una guerra venne quindi accettata da Hitler, ma chiaramente non riteneva la contingenza molto probabile."[82]

L'operazione ebbe nome in codice "Esercitazione d'Inverno". All'insaputa di Hitler, il 14 febbraio 1936, Eden aveva scritto al Quai d'Orsay, affermando che la Gran Bretagna e la Francia dovevano "entrare presto in negoziati [...] per la resa sulle condizioni dei nostri diritti nella zona mentre tale resa ha ancora un valore contrattuale".[83] Eden scrisse al governo britannico che la fine della zona smilitarizzata "non cambierebbe semplicemente i valori militari locali, ma potrebbe portare a ripercussioni politiche di vasta portata di un tipo che indebolirà ulteriormente l'influenza della Francia nell'Europa centrale e orientale".[84] Nel febbraio 1936, il Deuxième Bureau iniziò a presentare rapporti che suggerivano che la Germania stava progettando di inviare truppe nella Renania in un futuro molto prossimo.[85] Poiché i rapporti di François-Poncet da Berlino indicavano che la situazione economica tedesca era piuttosto precaria, a Parigi si ritenne che le sanzioni contro la Germania avrebbero potuto essere molto devastanti e avrebbero potuto anche portare al crollo del regime nazista.[86]

Insieme a Ribbentrop e Neurath, Hitler discusse in dettaglio la re-militarizzazione pianificata in dettaglio della Renania con il ministro della Guerra, il generale Werner von Blomberg, con il capo di stato maggiore, il generale Ludwig Beck, con Hermann Göring, con il capo di stato maggiore dell'esercito, il generale Werner von Fritsch e con Ulrich von Hassell.[87] Ribbentrop e Blomberg si espressero a favore; Beck e Fritsch si opposero, mentre Neurath ed Hassell erano favorevoli, ma sostennero che non c'era reale bisogno di agire ora poiché una diplomazia tranquilla avrebbe presto garantito la re-militarizzazione.[88] Che Hitler fosse in stretto e regolare contatto con Hassell, l'ambasciatore in Italia, per tutto febbraio e inizio marzo del 1936, mostra quanta importanza Hitler poneva all'accordo con l'Italia.[88] Dei tre leader del Fronte di Stresa, Mussolini era facilmente quello più rispettato da Hitler, così Hitler considerava l'Italia come una chiave strategica, ritenendo che, se Mussolini avesse deciso di opporsi alla re-militarizzazione, poi la Gran Bretagna e la Francia lo avrebbero seguito.[60] Nonostante le osservazioni di Mussolini nel mese di gennaio 1936, Hitler non era ancora convinto del sostegno italiano, per cui ordinò a Hassell di scoprire le intenzioni di Mussolini.[89] Il 22 febbraio 1936, Hassell scrisse nel suo diario, che la ratifica in attesa del patto franco-sovietico era solo un pretesto, scrivendo: "era abbastanza chiaro che [Hitler] voleva davvero la ratifica per giustificare la sua azione di re-militarizzare la Renania".[90] Lo stesso giorno, Hassell tenne un incontro con Mussolini, dove il Duce affermò che, se le sanzioni petrolifere fossero state applicate contro l'Italia, avrebbe "di fatto annullato il patto di Locarno", e che, in ogni caso, l'Italia non avrebbe agito se le truppe tedesche fossero entrate in Renania.[91]

Allo stesso tempo, Neurath iniziò la redazione di documenti elaborati che giustificassero la re-militarizzazione come risposta forzata della Germania al patto franco-sovietico e consigliò Hitler di mantenere in Renania un numero di truppe esiguo, in modo da permettere ai tedeschi di rivendicare che non avevano in realtà commesso una "flagrante violazione" al patto di Locarno (Sia la Gran Bretagna sia l'Italia si erano impegnate solo ad offrire una risposta militare a una "flagrante violazione").[92] Nella dichiarazione giustificativa della re-militarizzazione, che Neurath preparò per la stampa estera, la mossa tedesca venne descritta come qualcosa forzata ad una Germania riluttante dalla ratifica del patto franco-sovietico e suggerì fortemente che la Germania sarebbe tornata alla Società delle Nazioni se la re-militarizzazione fosse stata accettata.[92] Dopo l'incontro con Hitler il 18 febbraio 1936, il barone von Neurath espresse il punto di vista che "per Hitler in prima istanza erano decisive le motivazioni nazionali".[93]

Nello stesso momento in cui Frank era in visita a Roma, Göring venne spedito a Varsavia per incontrare il ministro degli esteri polacco, il colonnello Józef Beck, per chiedere ai polacchi di rimanere neutrali se la Francia avesse deciso di dichiarare guerra in risposta alla re-militarizzazione della Renania.[94] Il colonnello Beck credeva che i francesi non avrebbero agito se la Germania avesse re-militarizzato la Renania e quindi avrebbe potuto assicurare coloro nel governo polacco che desideravano che la Polonia rimanesse vicino al suo tradizionale alleato, la Francia, che la Polonia avrebbe agito se la Francia lo avesse fatto, dicendo allo stesso tempo a Göring che desiderava relazioni tedesco-polacche più strette e non avrebbe fatto nulla in caso di re-militarizzazione.[94]

Il 13 febbraio 1936, durante un incontro con il principe Bismarck all'ambasciata tedesca a Londra, Ralph Wigram, capo del Dipartimento Centrale del Ministero degli Esteri britannico dichiarò che il governo britannico (il cui il primo ministro, tra il 1935 e il 1937, era Stanley Baldwin) voleva un "accordo di lavoro" su un patto aereo che bandisse i bombardamenti e che la Gran Bretagna avrebbe considerato di rivedere i trattati di Versailles e di Locarno a favore della Germania.[61] Il principe Bismarck riferì a Berlino che Wigram aveva accennato in modo abbastanza forte che le "cose" che la Gran Bretagna era disposta a considerare di rivedere includevano la re-militarizzazione.[61] Il 22 febbraio 1936 Mussolini, ancora infuriato al causa delle sanzioni applicate dalla Società delle Nazioni contro il suo paese per l'aggressione contro l'Etiopia, disse a von Hassell che l'Italia non avrebbe onorato il patto di Locarno se la Germania avesse dovuto re-militarizzare la Renania.[95] Anche se Mussolini avesse voluto onorare Locarno, sarebbero comunque sorti problemi pratici, poiché la maggior parte dell'esercito italiano era a quel tempo impegnata nella conquista dell'Etiopia, e, non per ultimo, il fatto che non vi fosse una frontiera italo-tedesca comune.

Gli storici discutono il rapporto tra la decisione di Hitler di re-militarizzare la Renania nel 1936 ed i suoi grandi obiettivi a lungo termine. Quegli storici che favoriscono un'interpretazione "intenzionista" della politica estera tedesca, come Klaus Hildebrand ed il compianto Andreas Hillgruber, vedono la re-militarizzazione della Renania solo come una fase intermedia dello Stufenplan (piano graduale) di Hitler per la conquista del mondo intero. Quegli storici che assumono un'interpretazione "funzionista" vedono la re-militarizzazione della Renania più come una risposta improvvisata ad hoc da parte di Hitler alla crisi economica del 1936, un modo economico e semplice per ripristinare la popolarità del regime. Lo storico marxista britannico Timothy Mason sostenne notoriamente che la politica estera di Hitler era trainata da esigenze interne legate a un'economia in crisi e che furono i problemi economici interni in contrasto con la "volontà" o le "intenzioni" di Hitler che spinsero la politica estera nazista dal 1936 in poi, politica che alla fine degenerò in una "variante barbara dell'imperialismo sociale" e che portò a una "corsa verso la guerra" nel 1939.[96][97] Come ha notato lo stesso Hildebrand, queste interpretazioni non si escludono necessariamente a vicenda. Hildebrand ha affermato che, sebbene Hitler avesse un "programma" per il dominio del mondo, il modo in cui Hitler tentò di eseguire il suo "programma" era altamente improvvisato e molto soggetto a fattori strutturali sia sulla scena internazionale che a livello nazionale che spesso non erano sotto il controllo di Hitler.[98]

Il 26 febbraio 1936, l'Assemblea Nazionale francese ratificò il patto franco-sovietico. Il 27 febbraio 1936, Hitler pranzò con Hermann Göring e Joseph Goebbels per discutere la prevista re-militarizzazione, con Goebbels che scrisse in seguito nel suo diario: «Ancora un po' troppo presto».[99] Il 29 febbraio 1936, venne pubblicata sul quotidiano Paris-Midi un'intervista che Hitler ebbe il 21 febbraio 1936 con il fascista e giornalista francese Bertrand de Jouvenel.[100] Durante la sua intervista con un chiaramente ammirato de Jouvenel, Hitler si dichiarò un uomo di pace che desiderava disperatamente l'amicizia con la Francia e dava la colpa di tutti i problemi nelle relazioni franco-tedesche ai francesi, che, per qualche strana ragione stavano cercando di "accerchiare" la Germania tramite il patto franco-sovietico, nonostante il fatto evidente che il Führer non stesse cercando di minacciare la Francia.[100] L'intervista di Hitler con de Jouvenel aveva lo scopo d'influenzare l'opinione pubblica francese a credere che era il loro governo ad essere responsabile per la rimilitarizzazione. Solo il 1º marzo 1936 Hitler decise finalmente di procedere.[101] Un ulteriore fattore nella sua decisione fu che il Comitato per le sanzioni della Società delle Nazioni avrebbe dovuto iniziare a discutere di possibili sanzioni petrolifere contro l'Italia il 2 marzo, cosa che probabilmente avrebbe portato i diplomatici europei a concentrarsi sulla crisi abissina, a scapito di tutto il resto.[102]

Le marce della Wehrmacht

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Non molto tempo dopo all'alba del 7 marzo 1936, diciannove battaglioni di fanteria tedesca e una manciata di aerei entrarono in Renania. In questo modo, la Germania violò gli articoli 42 e 43 del trattato di Versailles e gli articoli 1 e 2 del patto di Locarno.[103] Raggiunsero il fiume Reno alle 11:00 e poi tre battaglioni attraversarono la riva occidentale del Reno. Allo stesso tempo, il barone von Neurath convocò l'ambasciatore italiano, il conte Bernardo Attolico, l'ambasciatore britannico, Sir Eric Phipps, e l'ambasciatore francese, André François-Poncet, a Wilhelmstrasse per comunicargli l'accusa verso la Francia di violare Locarno a causa della ratifica del patto franco-sovietico, ed annunciando che, come tale, la Germania aveva deciso di rinunciare al patto di Locarno e re-militarizzare la Renania.[104] Quando la ricognizione tedesca apprese che migliaia di soldati francesi si stavano radunando al confine franco-tedesco, il generale Blomberg pregò Hitler di evacuare le forze tedesche. Sotto l'influenza di Blomberg, Hitler quasi ordinò alle truppe tedesche di ritirarsi, ma venne poi convinto dal risolutamente calmo Neurath a continuare con l'operazione Esercitazione d'Inverno.[105] Seguendo il consiglio di Neurath, Hitler chiese se le forze francesi avessero effettivamente attraversato il confine e quando venne informato che non lo avevano fatto assicurò a Blomberg che la Germania avrebbe aspettato fino a quando ciò non fosse accaduto.[106] In netto contrasto con Blomberg, molto nervoso durante l'Esercitazione d'Inverno, Neurath rimase calmo ed esortò vivamente Hitler a mantenere la rotta.[107]

Il colpo della Renania è spesso visto come il momento in cui Hitler avrebbe potuto essere fermato con il minimo sforzo; le forze tedesche coinvolte nella mossa erano piccole, rispetto alle molto più grandi, e all'epoca più potenti, forze armate francesi. Il giornalista americano William L. Shirer ha scritto se i francesi avessero marciato nella Renania,

«[...] nel marzo del 1936 alle due democrazie occidentali venne data l'ultima possibilità di fermare, senza il rischio di una guerra seria, l'ascesa di una Germania militarizzata, aggressiva, totalitaria e, di fatto – come abbiamo visto ammettere Hitler – portare il dittatore nazista e il suo regime al crollo. Si sono lasciati sfuggire l'occasione.[108]»

Un ufficiale tedesco assegnato alla Bendlerstrasse durante la crisi disse a H. R. Knickerbocker durante la guerra civile spagnola: "Posso dirvi che per cinque giorni e cinque notti nessuno di noi ha chiuso occhio. Sapevamo che se i francesi avessero marciato, saremmo stati finiti. Non avevamo fortificazioni e nessun esercito all'altezza dei francesi. Se i francesi si fossero anche mobilitati, saremmo stati costretti a ritirarci". Lo stato maggiore, disse l'ufficiale, considerava l'azione di Hitler suicida.[109] Il generale Heinz Guderian, un generale tedesco intervistato da ufficiali francesi dopo la seconda guerra mondiale, affermò: «Se i francesi fossero intervenuti in Renania nel 1936 saremmo stati sconfitti e Hitler sarebbe caduto».[110] Il fatto che Hitler abbia affrontato una seria opposizione acquista peso evidente dal fatto che Ludwig Beck e Werner von Fritsch divennero effettivamente oppositori di Hitler, ma secondo lo storico americano Ernest R. May non c'è un briciolo di prova di ciò in questa fase.[111] May scrisse che i corpi ufficiali dell'esercito tedesco erano tutti a favore della rimilitarizzare la Renania e solo la questione dei tempi di una tale mossa li divideva da Hitler.[111] May rilevò inoltre che non vi erano prove che l'esercito tedesco stesse progettando di rovesciare Hitler se fosse stato costretto a ordinare una ritirata dalla Renania. Inoltre il fatto che Mussolini avesse umiliato Hitler durante il putsch di luglio nel 1934, forzando la Germania a colpire l'Austria senza il minimo sforzo da parte della Reichswehr per rovesciare Hitler, deve gettare ulteriori dubbi sulla tesi che Hitler sarebbe stato rovesciato se solo fosse stato costretto a ritirarsi dalla Renania.[111]

Scrivendo delle relazioni tra Hitler e i suoi generali nei primi mesi del 1936, lo storico americano J. T. Emerson dichiarò: "In effetti, in nessun momento durante i dodici anni di esistenza del Terzo Reich Hitler intrattenne rapporti più amichevoli con i suoi generali che nel 1935 e nel 1936. Durante questi anni, non c'era niente come una resistenza militare organizzata alla politica di partito".[112] Più tardi, nella seconda guerra mondiale, nonostante la crescente situazione disperata della Germania dal 1942 in poi e tutta una serie di umilianti sconfitte, la stragrande maggioranza della Wehrmacht rimase fedele al regime nazista e continuò a lottare duramente per questo regime fino alla sua distruzione nel 1945 (con la sola eccezione del putsch del 20 luglio 1944, in cui si ribellò solo una minoranza della Wehrmacht, mentre la maggioranza rimase fedele).[113] La volontà della Wehrmacht nel continuare a combattere e morire duramente per il regime nazionalsocialista, anche se dal 1943 in poi la Germania stesse chiaramente perdendo la guerra, riflette il profondo impegno della maggior parte della Wehrmacht stessa nel nazionalsocialismo.[114] Inoltre, gli alti ufficiali della Wehrmacht erano uomini profondamente corrotti, che ricevettero enormi tangenti da Hitler in cambio della loro fedeltà.[115] Nel 1933, Hitler aveva creato un fondo nero noto come Konto 5 gestito da Hans Lammers, che forniva tangenti ad alti ufficiali e funzionari pubblici in cambio della loro lealtà al regime nazionalsocialista.[115] Data la profonda devozione della Wehrmacht al regime nazionalsocialista e ai suoi alti ufficiali corrotti, è molto improbabile ritenere che la Wehrmacht si sarebbe rivoltata contro il suo stesso Führer se questa fosse stata costretta a ritirarsi dalla Renania nel 1936.

Goebbels, Hitler, e von Blomberg

Il 7 marzo 1936 Hitler annunciò davanti al Reichstag che la Renania era stata rimilitarizzata e, per smussare il pericolo di guerra, Hitler si offrì di tornare alla Società delle Nazioni, firmare un patto aereo per mettere fuori legge i bombardamenti come mezzo di guerra e un patto di non aggressione con la Francia se le altre potenze avessero accettato la rimilitarizzazione.[101] Nel suo discorso al Reichstag, Hitler iniziò con una lunga denuncia del trattato di Versailles come ingiusto per la Germania, affermò di essere un uomo di pace, che non voleva la guerra con nessuno e sostenne che stava solo cercando l'"uguaglianza" per la Germania ribaltando pacificamente il trattato "sleale" di Versailles.[116] Hitler affermò che non era giusto che, a causa di Versailles, una parte della Germania dovesse rimanere smilitarizzata, mentre in ogni altra nazione del mondo un governo avrebbe potuto inviare le sue truppe ovunque all'interno dei suoi confini, e sostenne che tutto quello che voleva era l'"uguaglianza" per la Germania.[116] Anche in questo caso, Hitler affermò che sarebbe stato disposto ad accettare la continua smilitarizzazione della Renania come Stresemann aveva promesso a Locarno nel 1925 come prezzo per la pace, se non fosse stato per il patto franco-sovietico del 1935, ritenuto una minaccia per la Germania, per cui non fu data altra scelta che rimilitarizzare la Renania.[116] Attento all'opinione pubblica estera, Hitler precisò che la rimilitarizzazione non era destinata a minacciare qualche specifica Nazione, era invece, secondo lui, solo una misura difensiva imposta alla Germania da quelle che egli sosteneva fossero le azioni minacciose della Francia e dell'Unione Sovietica.[116] Alcune persone all'estero accettarono l'affermazione, secondo la quale Hitler era stato costretto ad agire in questo modo, a causa del patto franco-sovietico. L'ex primo ministro britannico David Lloyd George indicò nella Camera dei Comuni che le azioni di Hitler sulla scia del patto franco-sovietico erano pienamente giustificate e, se non avesse protetto il suo paese avrebbe potuto essere considerato un traditore.[117]

Quando le truppe tedesche marciarono dentro Colonia, si formò spontaneamente una vasta folla trionfante per salutare i soldati, che lanciò fiori sulla Wehrmacht, mentre i sacerdoti cattolici offrivano la benedizione ai soldati.[118] Il cardinale Karl Joseph Schulte di Colonia tenne una Messa nel Duomo di Colonia per celebrare e ringraziare Hitler per aver "rimandato il nostro esercito". In Germania, la notizia che la Renania era stata rimilitarizzata venne accolta con sfrenate celebrazioni in tutto il paese; lo storico britannico sir Ian Kershaw scrisse nel marzo 1936: "Le persone erano fuori di sé per la gioia. [...] Era quasi impossibile non essere catturati dall'umore contagioso della gioia."[119] Solo con la vittoria sulla Francia nel giugno 1940 il regime nazista divenne così popolare come lo era nel marzo 1936. Rapporti al Sopade nella primavera del 1936 menzionavano che moltissimi un tempo socialdemocratici ed oppositori dei nazisti nella classe operaia non avevano altro che approvazione della rimilitarizzazione e che molti che una volta si erano opposti ai nazisti sotto la Repubblica di Weimar stavano ora iniziando a sostenerli.[119]

Per sfruttare la grande popolarità della rimilitarizzazione, il 29 marzo 1936 Hitler indisse un referendum in cui la maggioranza degli elettori tedeschi espresse la sua approvazione per la rimilitarizzazione.[119] Durante le tappe della sua campagna per chiedere il voto del sì, Hitler venne accolto da enormi folle che urlavano la loro approvazione della sua sfida a Versailles.[119] Kershaw scrisse che il 99% del ja (sì) al referendum era inverosimilmente elevato, ma era chiaro che la stragrande maggioranza degli elettori avesse veramente deciso di votare sì alla domanda se approvava la rimilitarizzazione.[120] Il giornalista americano William L. Shirer scrisse sulle elezioni del 1936:

«Tuttavia questo osservatore, che ha seguito le "elezioni" da un angolo all'altro del Reich, non ha dubbi che il voto di approvazione per il colpo di Hitler sia stato schiacciante. E perché no? La rottamazione di Versailles e l'apparizione di soldati tedeschi che marciavano di nuovo in quello che, dopotutto, era territorio tedesco erano cose che quasi tutti i tedeschi naturalmente approvano. Il voto negativo è stato approvato con una maggioranza di 540 contro 211.[121]»

All'indomani della rimilitarizzazione, la crisi economica, che aveva così danneggiato la popolarità del regime nazionalsocialista, venne dimenticata da quasi tutti.[122] Dopo il trionfo della Renania, la fiducia in se stesso di Hitler salì a nuove vette e coloro che lo conoscevano bene affermarono che dopo il marzo 1936 ci fu un vero cambiamento psicologico, poiché Hitler era assolutamente convinto della sua infallibilità in un modo che non lo era prima.[122]

Il maresciallo Maurice Gamelin, capo di stato maggiore francese, 1936.

Gli storici che scrissero senza il beneficio di accedere agli archivi francesi (che non furono disponibili fino alla metà degli anni '70), come William L. Shirer nei suoi libri Storia del Terzo Reich (1960) e Il crollo della Terza Repubblica (1969), sostennero che la Francia, pur avendo in quel momento forze armate superiori rispetto alla Germania, anche dopo un'eventuale mobilitazione di 100 divisioni di fanteria si considerava psicologicamente impreparata ad usare la forza contro la Germania.[123] Shirer citò la cifra di 100 divisioni francesi contro i 19 battaglioni tedeschi in Renania.[124] Le azioni della Francia durante la crisi della Renania sono state spesso utilizzate come supporto della tesi della décadence, secondo cui durante il periodo tra le due guerre la presunta decadenza dello stile di vita francese fece degenerare fisicamente e moralmente il popolo francese al punto che i francesi erano semplicemente incapaci di resistere a Hitler e i francesi in qualche modo ce l'avevano quando vennero sconfitti nel 1940.[125] Shirer scrisse che i francesi avrebbero potuto facilmente respingere i battaglioni tedeschi dalla Renania, non essendo, nel 1936, il popolo francese "affondato nel disfattismo".[104] Gli storici, come lo storico americano Stephen A. Schuker, che hanno esaminato le relative fonti primarie francesi, hanno respinto le affermazioni di Shirer, trovando che un importante fattore paralizzante per la politica francese era la situazione economica.[126] Il massimo ufficiale militare francese, il generale Maurice Gamelin, informò il governo francese che l'unico modo per rimuovere i tedeschi della Renania era quello di mobilitare l'esercito francese, che non solo sarebbe stata impopolare, ma sarebbe anche costata al tesoro francese 30 milioni di franchi al giorno.[127][128] Gamelin ipotizzò uno scenario peggiore in cui un trasferimento francese nella Renania avrebbe innescato una guerra totale franco-tedesca, un caso che avrebbe richiesto la mobilitazione totale. L'analisi di Gamelin venne supportata dal ministro della Guerra, il generale Louis Maurin, che disse al governo che era inconcepibile che la Francia potesse invertire la rimilitarizzazione tedesca senza una piena mobilitazione.[129] Ciò era particolarmente vero poiché il Deuxième Bureau aveva seriamente esagerato il numero di soldati tedeschi in Renania, quando inviò un rapporto al governo francese stimando che vi fossero ben 295.000 soldati. Il Deuxième Bureau aveva elaborato questa stima contando tutte le formazioni delle SS, delle SA e della Landespolizei, considerandole come truppe regolari; così i francesi credettero che solo una mobilitazione totale avrebbe consentito alla Francia di avere abbastanza soldati per espellere i presunti 295.000 soldati tedeschi dalla Renania. Ma in realtà vi erano solo 3.000 soldati.[105] Lo storico francese Jean-Baptiste Duroselle ha accusato Gamelin di distorcere l'intelligence del Deuxième Bureau, nella sua relazione al governo che convertì le unità delle SS, delle SA e della Landespolizei in truppe totalmente addestrate, per fornire un motivo d'inerzia.[130] L'affermazione veritiera di Neurath, secondo cui la Germania aveva inviato solo 19 battaglioni nella Renania, venne respinta da Gamelin come uno stratagemma per consentire ai tedeschi di affermare di non aver commesso una "flagrante violazione" del patto di Locarno per evitare che fosse invocata contro la Germania, e affermò anche che Hitler non avrebbe mai rischiato una guerra inviando una forza così piccola nella Renania.

Albert Sarraut, il premier francese al tempo della crisi.

Allo stesso tempo, tra la fine del 1935 e l'inizio del 1936 la Francia fu preda da una crisi finanziaria, con il Tesoro francese che informò il governo che non esistevano più riserve di liquidità sufficienti per mantenere il valore del franco, come attualmente ancorato dal sistema aureo in merito al dollaro USA e alla sterlina britannica, e solo un enorme prestito estero sui mercati monetari di Londra e New York poteva impedire al valore del franco di subire un crollo disastroso.[131] Poiché la Francia era vicina alle elezioni, previste per la primavera del 1936, la svalutazione del franco, vista come esecrabile da ampi settori dell'opinione pubblica francese, venne respinta dal governo tecnico del premier Albert Sarraut come politicamente inaccettabile.[131] I timori degli investitori di una guerra con la Germania non erano favorevoli alla raccolta dei prestiti necessari per stabilizzare il franco e la rimilitarizzazione tedesca della Renania, scatenando i timori di una guerra, peggiorò la crisi economica francese provocando un massiccio flusso di cassa dalla Francia, con investitori preoccupati che spostarono i loro risparmi verso mercati esteri ritenuti più sicuri.[132] Il fatto che la Francia fosse inadempiente sui debiti della prima guerra mondiale nel 1932 portò comprensibilmente la maggior parte degli investitori a concludere che lo stesso sarebbe accaduto se la Francia fosse stata coinvolta in un'altra guerra con la Germania. Il 18 marzo 1936 Wilfrid Baumgartner, direttore del Mouvement général des fonds (l'equivalente francese di un sottosegretario permanente) riferì al governo che la Francia, a tutti gli effetti, era in bancarotta.[133] Solo con un disperato braccio di ferro da parte delle principali istituzioni finanziarie francesi Baumgartner riuscì a ottenere abbastanza prestiti a breve termine per impedire alla Francia d'inadempiere sui suoi debiti e per impedire che, nel marzo 1936, il valore del franco si svalutasse troppo.[133] Data la crisi finanziaria, il governo francese temette che non vi fossero fondi sufficienti per coprire i costi di mobilitazione e che un vero e proprio spavento bellico causato dalla mobilitazione non avrebbe fatto altro che esacerbare la crisi finanziaria.[133] Lo storico americano Zach Shore scrisse: «Non fu la mancanza di volontà francese di combattere nel 1936 che permise il colpo di Hitler, ma piuttosto la mancanza di fondi, della potenza militare, e quindi dei piani operativi della Francia per contrastare la rimilitarizzazione tedesca».[134]

Un ulteriore problema per i francesi fu lo stato dell'Armée de l'Air.[135] Il Deuxième Bureau riferì che la Luftwaffe aveva sviluppato velivoli molto più avanzati di quelli in dotazione all'aeronautica francese e che la produttività superiore dell'industria tedesca e l'economia tedesca considerevolmente più grande avevano dato alla Luftwaffe un vantaggio di tre a uno nei combattimenti.[135] I problemi con la produttività nell'industria aeronautica francese significavano che l'aviazione francese avrebbe avuto molti problemi a sostituire le sue perdite in caso di combattimento con la Luftwaffe.[135] Così, l'élite militare francese credeva che, se ci fosse stata una guerra, la Luftwaffe avrebbe dominato i cieli, attaccato le truppe francesi in marcia nella Renania e bombardato persino le città francesi. Un altro problema per i francesi erano le strategie politiche degli stati del cordon sanitaire.[136] Dal 1919, avevano accettato che la Francia avesse la necessità del sistema di alleanze nell'Europa orientale per fornire manodopera aggiuntiva (la popolazione tedesca era una volta e mezza quella della Francia) e per aprire un fronte orientale contro il Reich. Senza gli stati del cordon sanitaire, si credeva impossibile per la Francia sconfiggere la Germania. Solo la Cecoslovacchia indicò fermamente che sarebbe entrata in guerra con la Germania se la Francia avesse marciato in Renania. Polonia, Romania e Jugoslavia indicarono tutti che sarebbero entrati in guerra solo se i soldati tedeschi fossero entrati in Francia.[136] L'opinione pubblica francese e i giornali erano molto ostili al colpo tedesco, ma pochi invocarono la guerra.[137] La maggior parte dei giornali francesi chiese alla Società delle Nazioni d'imporre sanzioni al Reich, per infliggere costi economicamente paralizzanti da costringere l'esercito tedesco a ritirarsi dalla Renania e alla Francia di costruire nuove alleanze e rafforzare quelle esistenti, per prevenire ulteriori sfide tedesche allo status quo internazionale.[137] Uno dei pochi giornali a sostenere la Germania fu il monarchico L'Action Française, con il titolo in prima pagina: "La Repubblica ha assassinato la pace!" e continuava dicendo che la mossa tedesca era giustificata dal patto franco-sovietico.[138] All'altro estremo ideologico, i comunisti rilasciarono una dichiarazione che chiedeva l'unità nazionale contro "coloro che ci avrebbero portato alla carneficina" che rappresentavano la "cricca di Laval", che avrebbe spinto per una guerra contro la Germania, che sarebbe stata un bene per il capitalismo.[139]

Georges Mandel nel 1932. Il combattivo conservatore Mandel fu l'unico ministro francese a sostenere la guerra in risposta alla rimilitarizzazione.

Dopo aver sentito della mossa tedesca, il governo francese rilasciò una dichiarazione in cui suggeriva fortemente che l'azione militare fosse un'opzione possibile.[129] Dalle 9:30 fino a mezzogiorno del 7 marzo 1936 si svolse una riunione del governo francese per discutere sul da farsi; si concluse che il ministro degli Esteri francese, Pierre-Étienne Flandin, avrebbe dovuto incontrare gli ambasciatori delle altre potenze locarnesi per discutere la loro reazione.[140] Georges Mandel fu l'unica voce nel governo francese che chiese alla Francia di marciare immediatamente nella Renania per espellere le truppe tedesche, indipendentemente dai costi.[141] Più tardi, quel giorno, venne convocata un'altra riunione di governo con il segretario generale Alexis St. Leger, a rappresentare il Quai d'Orsay, e il maresciallo Maurice Gamelin, a rappresentare le forze armate. Entrambi decisero di rilasciare una dichiarazione secondo cui la Francia si riservava ogni opzione per opporsi alla rimilitarizzazione.[140] Flandin, dopo aver appreso della rimilitarizzazione, si recò immediatamente a Londra per consultare il primo ministro britannico Stanley Baldwin, poiché desiderava, per ragioni di politica interna, trovare un modo per spostare l'onere di non agire sulle spalle inglesi.[142] Baldwin chiese a Flandin cosa avesse in mente il governo francese, ma Flandin affermò che non avevano ancora deciso. Flandin ritornò a Parigi e chiese al governo francese quale dovesse essere la sua risposta. I ministri convennero che "la Francia avrebbe concesso tutte le sue forze militari a disposizione della Società delle Nazioni per contrastare la violazione dei trattati".[143] L'8 marzo 1936, il primo ministro Albert Sarraut comunicò alla radio francese: "In nome del governo francese, dichiaro che intendiamo vedere mantenuta quella essenziale garanzia di sicurezza francese e belga, controfirmata dai governi inglese e italiano, costituita dal Trattato di Locarno. Non siamo disposti a permettere che Strasburgo venga presa di mira dai cannoni tedeschi".[144] Allo stesso tempo, il governo francese aveva deciso: "Metteremo tutte le nostre forze, materiali e morali, a disposizione della Società delle Nazioni [...] all'unica condizione che saremo accompagnati nella lotta per la pace da coloro che sono chiaramente vincolati a farlo dal patto della Renania".[145] In altre parole, la Francia avrebbe agito contro la Germania solo se sia la Gran Bretagna che l'Italia avessero agito allo stesso modo.[145]

Pierre-Étienne Flandin, ministro degli Esteri francese, al momento della crisi.

Poiché il governo francese, per motivi economici, aveva già escluso la mobilitazione e la guerra come mezzo per invertire il colpo di Hitler in Renania, si decise che il meglio che la Francia poteva fare in quella situazione era usare la crisi per ottenere l'"impegno continentale" , un impegno britannico a inviare grandi forze terrestri a difesa della Francia sulla stessa scala della prima guerra mondiale.[146].[147] La strategia di Flandin implicava fortemente per gli inglesi che la Francia fosse disposta a entrare in guerra con la Germania per la questione della Renania, nell'aspettativa che gli inglesi non volessero vedere i loro impegni a Locarno portarli in una guerra con i tedeschi per una questione in cui molti britannici sostenevano i tedeschi. In quanto tale, Flandin si aspettava che Londra facesse pressioni per la "moderazione" su Parigi[148] Il prezzo della "moderazione" francese, per quanto riguardava la provocazione della Renania, un'aperta violazione di entrambi i trattati di Versailles e di Locarno, doveva essere l'"impegno continentale" britannico che collegasse inequivocabilmente la sicurezza britannica alla sicurezza francese e impegnasse i britannici ad inviare un altro grande corpo di spedizione per difendere la Francia da un attacco tedesco.[149]

Durante la sua visita a Londra per consultarsi con il primo ministro britannico Stanley Baldwin e il ministro degli Esteri Anthony Eden, Flandin effettuò quella che lo storico canadese Robert J. Young chiamò "la performance di una vita", in cui espresse grande indignazione per la mossa tedesca, affermò abbastanza apertamente che la Francia era pronta a entrare in guerra sulla questione e criticò fortemente i suoi ospiti britannici per le richieste di "moderazione" francese. Tuttavia, non si offrì di fare nulla per la sécurité (sicurezza) francese.[150] Come previsto da Flandin, Eden si oppose all'azione militare e fece appello alla "moderazione" francese.[150] Non consapevoli di ciò che Flandin stava tentando di fare, gli ufficiali francesi esortarono il governo a dire a Flandin di attenuare il suo linguaggio.[151] Di fronte alle tattiche di Flandin, il 19 marzo 1936 il governo britannico fece una vaga dichiarazione, che collegava la sicurezza britannica alla sicurezza francese e per la prima volta dalla prima guerra mondiale accettò di fare colloqui personali anglo-francesi, anche se di portata molto limitata.[148] Sebbene delusi dalle offerte britanniche, che i francesi ritenevano troppo scarse, i francesi consideravano le promesse di sostegno britannico ottenute nel 1936 un risultato utile, soprattutto perché la mobilitazione per motivi economici non era considerata un'opzione realistica nel 1936.[149] Quei funzionari francesi, come il directeur politique (direttore politico) del Quai d'Orsay, René Massigli, che credevano nell'idea di un'alleanza anglo-francese come il modo migliore per fermare l'espansionismo tedesco, espressero molta delusione per il fatto che la Gran Bretagna non fosse disposta a fare di più per la sécurité francese.[152] In un rapporto a Flandin, Massigli avvertì che, se i francesi avessero accettato la rimilitarizzazione. i polacchi, gli jugoslavi e i rumeni sarebbero andati alla deriva nell'orbita tedesca e i cecoslovacchi avrebbero fatto del loro meglio per rimanere fedeli all'alleanza del 1924 con la Francia e che sarebbe stata solo una questione di tempo prima che la Germania annettesse l'Austria.[153] In particolare, Massigli avvertì che, se i tedeschi erano in grado di fortificare la Renania, essenzialmente avrebbero avuto mano libera per espandersi nell'Europa orientale.[153] Come parte di uno sforzo per assicurarsi di più in termini d'"impegno continentale", che era stato uno degli obiettivi principali della politica estera francese dal 1919, Gamelin disse all'addetto militare britannico:

«La Francia potrebbe combattere le proprie battaglie e anche inviare alcuni rinforzi immediati in Belgio, ma solo se fosse noto con certezza che un corpo di spedizione britannico sia in arrivo. La mancanza di una tale forza significherebbe che la Francia potrebbe dover riconsiderare i suoi impegni in Belgio e quindi lasciare che quest'ultimo si arrangi da solo. [...] Tale azione significherebbe concedere alla Germania potenziali basi aeree e strutture per incursioni aeree contro l'Inghilterra, a cui difficilmente potremmo essere indifferenti.[154]»

Il generalissimo dell'esercito francese, Maurice Gamelin, riferì al governo francese che, se la Francia si fosse scontrata con i tedeschi, non sarebbe stata in grado di vincere da sola in una lunga guerra e quindi avrebbe avuto bisogno dell'appoggio militare britannico. Il governo francese, con in mente le imminenti elezioni generali, decise contro la mobilitazione generale dell'esercito francese.[155] La rimilitarizzazione rimosse l'ultimo vincolo che la Francia aveva sulla Germania e quindi la sicurezza che la Francia aveva ottenuto grazie al trattato di Versailles. Finché la Renania fosse stata smilitarizzata, i francesi avrebbero potuto facilmente rioccupare l'area e minacciare l'importante area industriale della Ruhr, che sarebbe stata soggetta ad un'invasione se la Francia avesse creduto che la situazione tedesca fosse mai diventata una minaccia.[156]

Lo stesso argomento in dettaglio: Appeasement.

Le reazioni in Gran Bretagna furono miste, ma generalmente non considerarono la rimilitarizzazione dannosa. Lord Lothian disse che non era altro che i tedeschi che camminavano nel loro cortile. George Bernard Shaw affermò allo stesso modo che non sarebbe stato diverso se la Gran Bretagna avesse rioccupato Portsmouth. Nel suo diario del 23 marzo 1936, il parlamentare Harold Nicolson osservò che «la tendenza alla Camera [dei Comuni] è terribilmente filo-tedesca, il che significa che la Camera ha paura della guerra».[157] Durante la crisi della Renania del 1936, non si tennero da nessuna parte riunioni o manifestazioni pubbliche per protestare contro la rimilitarizzazione, invece vi furono diverse manifestazioni di "pace" in cui si chiedeva che la Gran Bretagna non usasse la guerra per risolvere la crisi.[158] Da quando l'economista John Maynard Keynes aveva pubblicato nel 1919 il suo libro best seller, Le conseguenze economiche della pace, in cui Keynes descriveva Versailles come un'insopportabilmente dura pace cartaginese imposta dai vendicativi Alleati, un segmento sempre più ampio dell'opinione pubblica britannica si era convinto che il Trattato di Versailles fosse profondamente "ingiusto" nei confronti della Germania.[159] Nel 1936, quando le truppe tedesche marciarono nella Renania, la maggior parte dei cittadini britannici riteneva che Hitler avesse ragione a violare l'"ingiusto" trattato di Versailles, e che sarebbe stato moralmente sbagliato per la Gran Bretagna andare in guerra per difendere il trattato "ingiusto" di Versailles.[159] Il segretario della Guerra britannico Alfred Duff Cooper riferì all'ambasciatore tedesco Leopold von Hoesch l'8 marzo 1936, che: "anche se il popolo britannico era disposto a combattere per la Francia in caso di incursione tedesca in territorio francese, esso non avrebbe fatto ricorso alle armi a causa della recente occupazione della Renania. La gente non sapeva molto delle disposizioni sulla smilitarizzazione e la maggior parte di loro probabilmente riteneva che non gli importasse un fico secco del fatto che i tedeschi rioccupassero il proprio territorio".[159]

Il primo ministro Stanley Baldwin, data sconosciuta.

Il primo ministro Stanley Baldwin affermò, con le lacrime agli occhi, che la Gran Bretagna non aveva le risorse per far rispettare le garanzie del trattato e che l'opinione pubblica non avrebbe comunque sostenuto l'uso della forza militare.[160] I capi di stato maggiore britannici avevano avvertito che la guerra con la Germania era sconsigliabile in quanto i profondi tagli imposti dalla Ten Year Rule,insieme al fatto che il riarmo era iniziato solo nel 1934, significavano che il massimo che la Gran Bretagna avrebbe potuto fare in caso di guerra sarebbe stato quello di inviare due divisioni con equipaggiamento arretrato in Francia dopo tre settimane di preparazione.[161] Inoltre, a Whitehall vennero espressi timori che, se la Gran Bretagna fosse entrata in guerra con la Germania, allora il Giappone, che dal 1931 quando i giapponesi avevano conquistato la Manciuria dalla Cina aveva affermato di essere l'unica potenza nell'Estremo Oriente, avrebbe potuto approfittare della guerra per iniziare a conquistare le colonie asiatiche della Gran Bretagna.[162]

Il ministro degli Esteri britannico, Anthony Eden, scoraggiò l'azione militare da parte dei francesi ed era contrario a qualsiasi sanzioni finanziaria o economica contro la Germania, incontrando immediatamente l'ambasciatore francese Charles Corbin per esortare a moderare i francesi.[153] Eden invece voleva che la Germania ritirasse tutte le truppe tranne un numero simbolico, il numero che dicevano che avrebbero messo in primo luogo, e poi rinegoziasse.[163] Un ulteriore fattore che influenzò la politica britannica fu la mancanza del supporto dei Dominion. Tutti gli Alti Commissari dei Dominion a Londra, con Sudafrica e Canada particolarmente espliciti al riguardo, chiarirono che non sarebbero entrati in guerra per ripristinare lo status smilitarizzato della Renania e che, se la Gran Bretagna lo avesse fatto, sarebbe stata da sola.[158] Lo storico americano Gerhard Weinberg scrisse che "[...] entro il 13 marzo 1936 i dominion britannici, in particolare l'Unione del Sudafrica e il Canada, non sarebbero stati con l'Inghilterra se fosse scoppiata la guerra. Il governo sudafricano, in particolare, era impegnato a sostenere la posizione tedesca a Londra e con gli altri governi dei Dominion".[164] .Sia il primo ministro sudafricano, il generale J. B. M. Hertzog, che il primo ministro canadese, William Lyon Mackenzie King, dovettero affrontare le circoscrizioni elettorali nazionali, rispettivamente gli afrikaner e i franco-canadesi, molti dei quali avevano obiezioni profonde ai combattimenti in un'altra "guerra britannica" contro la Germania, e come tali sia Hertzog che Mackenzie King, erano convinti sostenitori della pacificazione come il modo migliore per evitare una simile guerra. Né Hertzog né Mackenzie King avrebbero voluto scegliere tra la lealtà all'Impero Britannico e il trattare con gli elettori anti-britannici se fosse arrivata la guerra. Fin dalla crisi di Çanakkale del 1922, la Gran Bretagna era profondamente consapevole che il sostegno dei Dominion non poteva più essere assunto automaticamente e, ricordando l'enorme ruolo che avevano svolto nella vittoria del 1918, non poteva prendere in considerazione di combattere un'altra grande guerra senza il loro supporto.[senza fonte]

Il Ministero degli Esteri britannico, da parte sua, espresse una grande frustrazione per l'azione di Hitler nel prendere unilateralmente ciò che Londra aveva proposto di negoziare.. Come lamentava una nota del Ministero degli Esteri: "Hitler ci ha privato della possibilità di fargli una concessione che altrimenti avrebbe potuto essere un utile banco di contrattazione nelle nostre mani nei negoziati generali con la Germania che avevamo in programma di avviare".[165] La crisi della Renania completò l'allontanamento tra Eden, che credeva che le proposte di Hitler nel suo discorso del 7 marzo 1936 fossero la base per un "accordo generale" con la Germania, e Vansittart, che sostenne che Hitler stesse negoziando in malafede.[166] Eden e Vansittart si erano già scontrati durante la crisi abissina, con Eden che sosteneva le sanzioni contro l'Italia mentre Vansittart voleva l'Italia come alleato contro la Germania. Vansittart sosteneva che non c'era alcuna prospettiva di un "accordo generale" con Hitler e il meglio che si poteva fare era rafforzare i legami con i francesi per affrontare la Germania.[167] Il germanofobo Vansittart aveva sempre odiato i tedeschi e soprattutto non amava i nazisti, che egli vedeva come una minaccia per la civiltà. Vansittart aveva sostenuto gli sforzi di Eden per disinnescare la crisi della Renania poiché il riarmo britannico era appena iniziato, ma essendo un intenso francofilo esortò il governo ad usare la crisi come un'opportunità per iniziare a formare un'alleanza militare con la Francia contro la Germania.[167] Entro la primavera del 1936, Vansittart era convinto che non era possibile un "accordo generale" con la Germania e che Hitler stava cercando la conquista del mondo. Un funzionario del Ministero degli Esteri, Owen O'Malley, suggerì che la Gran Bretagna desse alla Germania "mano libera in Oriente" (cioè accettare la conquista tedesca di tutta l'Europa orientale) in cambio della promessa tedesca ad accettare lo status quo in Europa occidentale.[168] Vansittart commentò che consentire alla Germania di conquistare l'Europa orientale avrebbe portato «alla scomparsa della libertà e della democrazia in Europa».[168] Al contrario, Eden vide gli interessi britannici come confinati solo verso l'Europa occidentale e non condivideva le convinzioni di Vansittart su quelle che avrebbero potuto essere le intenzioni finali di Hitler.[168] Né Eden, né il resto del Consiglio dei Ministri o la maggioranza del popolo britannico condividevano la convinzione di Vansittart che la Gran Bretagna non poteva permettersi di essere indifferente all'Europa orientale.[168]

Anche se gli inglesi accettarono colloqui personali con i francesi come prezzo della "moderazione" francese, molti ministri britannici erano insoddisfatti di questi colloqui. Il segretario degli Interni sir John Simon scrisse ad Eden e Baldwin che i colloqui di stato maggiore, che si sarebbero tenuti con i francesi dopo la rimilitarizzazione della Renania, avrebbero portato i transalpini a percepire che:

«Ci hanno così legati che possono tranquillamente aspettare l'interruzione delle discussioni con la Germania. In tali circostanze la Francia sarà egoista e testarda come lo è sempre stata la Francia e la prospettiva di un accordo con la Germania diventerà sempre più debole.[169]»

In risposta alle obiezioni di Simon, i britannici chiusero i colloqui dello stato maggiore con i francesi dopo solo cinque giorni. I colloqui dello stato maggiore anglo-francese ripresero solo nel febbraio del 1939, a seguito del timore per un'invasione dell'Olanda nel gennaio del 1939. Oltre all'opposizione interna al governo, i colloqui dello stato maggiore anglo-francese generarono furiose critiche sia da parte di David Lloyd George che dalla stampa, dato che il Daily Mail pubblicò un editoriale sulle "isposizioni militari che ci impegneranno in qualche guerra su richiesta di altri"[170] Inoltre, l'Ambasciatore Straordinario di Hitler, Joachim von Ribbentrop, avvertì Baldwin e Eden che la Germania considerava i colloqui dello stato maggiore anglo-francese come una "minaccia mortale", per cui, se fossero continuati i colloqui, sarebbe finita per sempre la speranza di un "accordo generale" con la Germania.[171] Tuttavia, la dichiarazione britannica formulata in modo piuttosto confuso che collegava la sicurezza britannica alla sécurité francese non venne respinta per il timore che avrebbe danneggiato irreparabilmente le relazioni anglo-francesi, che come scrisse lo storico britannico A. J. P. Taylor significava che se la Francia fosse stata coinvolta in una guerra con la Germania, ci sarebbe stato almeno un forte motivo morale a causa della dichiarazione del 19 marzo 1936 affinché la Gran Bretagna combattesse dalla parte della Francia.[172]

Fino alla dichiarazione di Neville Chamberlain del 31 marzo 1939 che offriva la "garanzia" della Polonia, non ci furono impegni di sicurezza britannici in Europa orientale oltre al Patto della Società delle Nazioni. Tuttavia, a causa del sistema di alleanze francesi in Europa orientale, il cosiddetto Cordon sanitaire, qualsiasi attacco tedesco agli alleati francesi dell'Europa orientale avrebbe potuto causare una guerra franco-tedesca e, a causa della dichiarazione del 19 marzo del 1936, una guerra franco-tedesca avrebbe creato una forte pressione all'intervento britannico a fianco della Francia. Ciò era tanto più vero perché a differenza di Locarno, dove la Gran Bretagna si era impegnata a difendere la Francia solo in caso di attacco tedesco, la dichiarazione britannica del 19 marzo come parte di uno sforzo per essere il più vaghi possibile affermava solo che la Gran Bretagna considerava la sicurezza francese un'esigenza nazionale vitale e non distingueva tra un attacco tedesco alla Francia e un attacco francese contro la Germania in caso di attacco tedesco ad un membro del cordone sanitario. Così, in questo modo, la dichiarazione britannica del marzo 1936 offrì non solo un impegno britannico diretto a difendere la Francia (sebbene formulato in un linguaggio estremamente ambiguo), ma anche indirettamente gl stati dell'Europa orientale del cordon sanitaire. In questo modo, il governo britannico si trovò coinvolto nella crisi dell'Europa centrale del 1938, perché l'alleanza franco-cecoslovacca del 1924 significava che qualsiasi guerra tedesco-cecoslovacca sarebbe diventata automaticamente una guerra franco-tedesca. Fu a causa di questo impegno indiretto per la sicurezza che gli inglesi si trovarono coinvolti nella crisi dell'Europa centrale del 1938, nonostante la diffusa sensazione che la disputa tedesco-cecoslovacca non riguardasse direttamente la Gran Bretagna.[173]

Nel corso di una riunione del Comitato Affari Esteri della Camera dei Comuni il 12 marzo, Winston Churchill, un deputato conservatore di seconda linea, sostenne un coordinamento anglo-francese sotto la Società delle Nazioni per aiutare la Francia a sfidare la rimilitarizzazione della Renania[174] ma ciò non accadde mai. Il 6 aprile Churchill disse della rimilitarizzazione: "La creazione di una linea di forti di fronte alla frontiera francese consentirà di risparmiare le truppe tedesche su quella linea e consentirà alle forze principali di aggirare il Belgio e l'Olanda", prevedendo con precisione la campagna di Francia.

Il Belgio concluse un'alleanza con la Francia nel 1920, ma dopo la rimilitarizzazione il Belgio optò di nuovo per la neutralità. Il 14 ottobre del 1936, re Leopoldo III del Belgio disse in un discorso:

«La rioccupazione della Renania, ponendo fine all'accordo di Locarno, ci ha quasi riportato alla nostra posizione internazionale prima della guerra. [...] Dobbiamo seguire una politica esclusivamente ed interamente belga. La politica deve mirare esclusivamente a metterci fuori dai litigi dei nostri vicini.[175]»

Poiché i leader della Germania sapevano bene che né la Gran Bretagna né la Francia avrebbero violato la neutralità belga, la dichiarazione di neutralità belga significava effettivamente che non c'era più pericolo di un'offensiva alleata in Occidente se la Germania avesse iniziato un'altra guerra poiché i tedeschi erano ora impegnati a costruire la linea Sigfrido lungo il confine con la Francia.[176] Al contrario, proprio come prima del 1914, i leader tedeschi erano fin troppo disposti a violare la neutralità belga.[176] La neutralità belga significava che non potevano esserci colloqui di stato maggiore tra l'esercito belga e quelli di altre nazioni, il che significava che quando le forze tedesche invasero il Belgio nel 1940, non c'erano piani di alcun tipo per coordinare il movimento delle forze belghe con quelle di Francia e Gran Bretagna, che diede ai tedeschi un vantaggio nella loro offensiva.[176]

La Polonia annunciò che sarebbe stata onorata l'alleanza militare franco-polacca firmata nel 1921, anche se il trattato stabiliva che la Polonia avrebbe aiutato la Francia solo se la Francia fosse stata invasa.[177] Nello stesso momento in cui il colonnello Beck assicurava all'ambasciatore francese Léon Noël il suo impegno nell'alleanza franco-polacca e la volontà della Polonia di schierarsi con la Francia, diceva anche all'ambasciatore tedesco, il conte Hans-Adolf von Moltke, che poiché la Germania non aveva intenzione di invadere la Francia, l'alleanza franco-polacca non sarebbe entrata in vigore e la Polonia non avrebbe fatto nulla se la Francia avesse agito.[177] Beck volle sottolineare a Moltke che la Polonia non era stata autorizzata a firmare Locarno e non sarebbe entrata in guerra per Locarno, e che, come uno degli artefici del patto di non aggressione tedesco-polacco del 1934, era un amico del Reich.[178] Beck disse a Moltke, il 9 marzo, che la sua promessa di entrare in guerra con la Francia era "in pratica, senza effetto", perché sarebbe stata in vigore solo se le truppe tedesche fossero entrate in Francia.[179] Weinberg scrisse che la "duplicità" di Beck, durante la crisi della Renania nel dire cose diverse agli ambasciatori tedesco e francese su ciò che la Polonia avrebbe fatto "[...] non fece nulla alla reputazione personale di Beck e comportò enormi rischi [...]" per la Polonia.[180] La Polonia accettò di mobilitare le sue forze se la Francia lo avesse fatto per prima, ma si astenne dal votare contro la rimilitarizzazione nel Consiglio della Società delle Nazioni.

Durante la crisi della Renania, il governo isolazionista americano adottò una rigorosa politica "a mani libere" di non fare nulla.[181] Durante la crisi, il presidente Franklin D. Roosevelt partì per una battuta di pesca prolungata "diplomaticamente conveniente" in Florida, per evitare di dover rispondere alle domande dei giornalisti su ciò che la sua amministrazione intendeva fare in risposta alla crisi in Europa.[181] Il sentimento generale all'interno del governo degli Stati Uniti venne espresso da Truman Smith, addetto militare americano a Berlino, che scrisse che Hitler stava solo cercando di porre fine alla dominazione francese in Europa e non stava cercando di distruggere la Francia come potenza.[181] Il rapporto di Smith concluse: "Versailles è morta. Potrebbero esserci una catastrofe tedesca e una nuova Versailles, ma non sarà la Versailles che è stata sospesa come una nuvola scura sull'Europa dal 1920".[181]

Unione Sovietica

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In pubblico, il governo sovietico ebbe una linea forte nel denunciare il colpo tedesco come una minaccia alla pace.[182] Nello stesso momento in cui il commissario degli Esteri sovietico Maksim Litvinov teneva discorsi davanti all'Assemblea Generale della Società delle Nazioni, lodando la sicurezza collettiva e sollecitando il mondo ad opporsi al colpo di Hitler, i diplomatici sovietici a Berlino stavano dicendo alle loro controparti dell'Auswärtiges Amt del loro desiderio di migliori relazioni commerciali, che a loro volta avrebbero potuto portare a migliori relazioni politiche.[183] Subito dopo la rimilitarizzazione, il premier sovietico Vjačeslav Molotov rilasciò un'intervista al quotidiano svizzero Le Temps, suggerendo che l'Unione Sovietica voleva migliori relazioni con la Germania.[182] Nell'aprile 1936, l'Unione Sovietica firmò un trattato commerciale con la Germania che prevedeva l'ampliamento del commercio tedesco-sovietico.[182] Un grosso problema dell'Unione Sovietica per entrare in guerra contro la Germania era la mancanza di una frontiera tedesco-sovietica comune, che avrebbe richiesto sia al governo polacco che a quello rumeno di concedere il diritto di transito all'Armata Rossa.[184] Nonostante la sua volontà dichiarata di impegnarsi contro la Wehrmacht, il Narkomindel tendette a negoziare con i polacchi e romeni sui diritti di transito in caso di guerra, in modo tale da suggerire che volessero che i colloqui fallissero, suggerendo che la linea dura sovietica contro la Germania era solo una posizione.[185] I rumeni, e ancora di più i polacchi, espressero un grande timore che, se all'Armata Rossa fosse stato concesso il diritto di transito ad entrare nei loro paesi per andare a combattere la Germania, non sarebbero riusciti a respingerla una volta che la guerra fosse finita; il Narkomindel non riuscì a fornire rassicurazioni convincenti su questo punto.

Società delle Nazioni

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Quando il Consiglio della Società delle Nazioni si riunì a Londra, l'unico delegato a favore delle sanzioni contro la Germania era Maksim Litvinov, rappresentante dell'Unione Sovietica. Sebbene la Germania non fosse più un membro della Società, Ribbentrop venne autorizzato a tenere un discorso davanti all'Assemblea della Società il 19 marzo in cui cercò di giustificare le azioni della Germania come qualcosa imposto al Reich dal patto franco-sovietico e avvertì che ci sarebbero state gravi conseguenze economiche per quegli stati che avrebbero votato per imporre sanzioni alla Germania.[186] Nel 1936, un certo numero di paesi dell'Europa orientale, scandinava e dell'America Latina le cui economie erano messe a dura prova dalla Grande depressione erano diventati molto dipendenti dal commercio con la Germania per mantenere a galla le loro economie, il che significava che solo per ragioni economiche nessuno di quegli stati avrebbero voluto offendere la Germania.[187] Il presidente dell'Ecuador Federico Páez tenne un discorso in cui dichiarava l'idea di sanzioni contro il Reich "priva di senso".[188] A quel tempo, il Ministero degli Esteri britannico stimò che Gran Bretagna, Francia, Romania, Belgio, Cecoslovacchia e Unione Sovietica erano gli unici paesi in tutto il mondo disposti ad imporre sanzioni alla Germania.[189] Gli ambasciatori di Svezia, Danimarca, Norvegia, Polonia, Olanda, Grecia, Svizzera, Turchia, Cile, Estonia, Portogallo, Spagna, e Finlandia fecero sapere alla Società che essi consideravano le sanzioni alla Germania come un "suicidio economico" per i loro paesi.[190] Mussolini, che era ancora arrabbiato per le sanzioni applicate dalla Società contro l'Italia, tenne un discorso in cui mise in chiaro che lui sicuramente non si sarebbe unito ad eventuali sanzioni contro la Germania per la rimilitarizzazione della Renania.[191] Nell'autunno del 1935, la Gran Bretagna era stata in grado di fare in modo che la Società imponesse sanzioni limitate all'Italia, ma nel tardo inverno del 1936 l'idea di imporre sanzioni radicali alla Germania, la cui economia era quattro volte più grande di quella italiana, fece della Germania un "polpo economico" i cui tentacoli erano ovunque nel mondo, era impensabile per il resto del mondo.[192] Inoltre, affinché le sanzioni funzionassero, gli Stati Uniti dovevano unirsi. Nel 1935, il governo americano aveva dichiarato che, non essendo gli Stati Uniti membri della Società, non avrebbero rispettato le sanzioni della Società contro l'Italia, che non era certo un precedente promettente per l'idea che gli Stati Uniti si sarebbero uniti all'imposizione di sanzioni alla Germania. L'Argentina dichiarò che avrebbe votato per sanzioni contro la Germania solo se gli Stati Uniti avessero promesso di aderire.[188] Il Consiglio dichiarò, anche se non all'unanimità, che la rimilitarizzazione costituiva una violazione dei trattati di Versailles e di Locarno. Hitler venne invitato a pianificare un nuovo schema per la sicurezza europea ed egli rispose affermando di non avere "rivendicazioni territoriali in Europa" e di volere un patto di non aggressione di 25 anni con Gran Bretagna e Francia. Tuttavia, quando il governo britannico indagò ulteriormente su questa proposta di patto, non ricevette risposta.[193]

La rimilitarizzazione cambiò i rapporti di forza decisamente a favore della Germania.[194] La credibilità della Francia nell'opporsi all'espansione o all'aggressione tedesca venne lasciata in dubbio. La strategia militare francese era interamente difensiva e mancava della minima intenzione di invadere la Germania, ma prevedeva di difendere la Linea Maginot. L'incapacità della Francia di inviare anche una singola unità nella Renania mostrò quella strategia al resto d'Europa. I potenziali alleati nell'Europa orientale non potevano più fidarsi di un'alleanza con la Francia, di cui non ci si poteva fidare per scoraggiare la Germania attraverso la minaccia di un'invasione, e senza tale deterrenza, gli alleati sarebbero stati militarmente indifesi. Il Belgio abbandonò la sua alleanza difensiva con la Francia e tornò a fare affidamento sulla neutralità durante una guerra. L'abbandono da parte della Francia di espandere la linea Maginot per coprire il confine con il Belgio permise alla Germania di invadere proprio lì nel 1940. Mussolini si era opposto all'espansione tedesca, ma poiché ora si rendeva conto che la cooperazione con la Francia non era promettente, iniziò a oscillare verso la Germania. Tutti gli alleati della Francia furono delusi e persino Papa Pio XI disse all'ambasciatore francese: "Se voi aveste ordinato l'avanzata immediata di 200.000 uomini nella zona occupata dai tedeschi, avreste fatto a tutti un grandissimo favore".[195]

Con la Renania rimilitarizzata, la Germania iniziò la costruzione della Linea Sigfrido, il che significava che se la Germania avesse attaccato uno qualsiasi degli stati nel cordone sanitario, la capacità della Francia di minacciare un'invasione d'ora in poi sarebbe stata limitata.[196] Tale fu l'impatto della rimilitarizzazione sull'equilibrio di potere che anche il presidente cecoslovacco Edvard Beneš considerò seriamente l'idea di rinunciare all'alleanza con la Francia e andò invece alla ricerca di un riavvicinamento con la Germania. Abbandonò quell'idea solo quando divenne chiaro che il prezzo di un riavvicinamento sarebbe stato l'effettiva perdita dell'indipendenza cecoslovacca.[196] Allo stesso modo, re Carlo II di Romania concluse che la Romania avrebbe potuto dover abbandonare la sua alleanza con la Francia e accettare che il suo paese si spostasse dalla sfera d'influenza francese a quella tedesca.[196] Quando William C. Bullitt, ambasciatore americano di nuova nomina in Francia, visitò la Germania, nel maggio 1936, s'incontrò con il barone von Neurath. Il 18 maggio 1936, Bullitt riferì al presidente Roosevelt che:

«Von Neurath ha affermato che era politica del governo tedesco non fare nulla di attivo negli affari esteri fino a quando "la Renania non fosse stata digerita". Ha spiegato che intendeva dire che fino a quando le fortificazioni tedesche non fossero state costruite ai confini francese e belga, il governo tedesco avrebbe fatto tutto il possibile per prevenire piuttosto che incoraggiare un'epidemia di nazisti in Austria e avrebbe perseguito una linea tranquilla nei confronti della Cecoslovacchia. "Non appena le nostre fortificazioni saranno costruite e i paesi dell'Europa centrale si renderanno conto che la Francia non può entrare in territorio tedesco a volontà, tutti quei paesi inizieranno a pensare in modo molto diverso riguardo alle loro politiche estere e si svilupperà una nuova costellazione", ha affermato.[197]»

Tra il 15 e il 20 giugno 1936, i capi di stato maggiore della Piccola Intesa di Cecoslovacchia, Romania e Jugoslavia s'incontrarono per discutere della cambiata situazione internazionale. Decisero di mantenere i loro piani attuali per una guerra contro l'Ungheria, ma conclusero che, con la Renania ora rimilitarizzata, c'era poca speranza di un'efficace azione francese in caso di guerra contro la Germania.[198] L'incontro terminò con la conclusione che ormai c'erano solo due grandi potenze in Europa orientale, ossia Germania e Unione Sovietica, e il meglio che si poteva aspirare era evitare un'altra guerra che avrebbe quasi certamente significato la perdita dell'indipendenza delle loro nazioni, indipendentemente da chi avesse vinto. Weinberg ha scritto che l'atteggiamento dell'intera élite tedesca e di gran parte del popolo tedesco era che qualsiasi nuova guerra avrebbe solo giovato alla Germania e che la fine dello status di smilitarizzazione della Renania poteva essere solo una buona cosa aprendo le porte all'inizio di una nuova guerra. Riteneva che l'atteggiamento fosse estremamente miope, autodistruttivo e stupido, anche da un punto di vista strettamente tedesco.[10] Weinberg osservò che la Germania perse la sua indipendenza nel 1945 e molto più territorio sotto la linea Oder-Neiße, imposta quell'anno, di quanto ne avesse mai avuto sotto Versailles. Insieme ai suoi milioni di morti e alla distruzione delle sue città, credeva che dal punto di vista tedesco la cosa migliore da fare sarebbe stata accettare Versailles, piuttosto che iniziare una nuova guerra, che si concluse con la Germania totalmente schiacciata, divisa ed occupata.[10]

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