Giorgio Ruffolo
Giorgio Ruffolo (1926 – 2023), politico, giornalista e saggista italiano.
Citazioni di Giorgio Ruffolo
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- [...] il benaltrismo è la malattia infantile della sinistra [...].[1]
- Di qui l'allarme, finalmente, preso sul serio. Ma di qui anche la necessità di capire che il rientro nell'ambito della respirazione regolare comporta non solo un rallentamento quantitativo, ma una "mutazione" vera e propria, qualitativa, della crescita: una trasformazione dalla formula "di tutto di più" alla formula "meno ma meglio" alla quale tutta la struttura tecnica e, soprattutto, socio e psicologica è totalmente impreparata. Ciò comporta la realizzazione di quello stato stazionario (che non è affatto uno stato statico, come un lago aperto non è uno stagno chiuso) che era considerato dagli economisti classici come l'inevitabile esito di una impossibile crescita continua, che procede oggi al ritmo catastrofico dell'interesse composto. Il senso positivo dell'allarme climatico è questo. L'emergenza di una scarsità assoluta che si credeva confinata in un futuro indistinguibile è lì, di fronte a noi. Il problema ambientale diventa non aspirazione poetica, ma, dapprima, problema energetico, quello del passaggio dalle energie non rinnovabili sprofondate nel sottosuolo a quelle rinnovabili che inondano con la luce solare la superficie della Terra; e conseguentemente problema economico, di scala sostenibile della produzione; e infine problema culturale e morale di dislocazione dei bisogni e dei desideri dal consumo distruttivo alla creatività attivistica, dal privatismo aggressivo all'individualismo sociale.[2]
- Io per me ho deciso di morire socialista. Data l'età, non si tratta di un impegno di lunga lena.[3]
Quando l'Italia era una superpotenza
[modifica]- Diversamente dalle città-stato sumeriche, elleniche e fenicie Roma non si identificò con una nazione. Non fu mai calata in uno stampo rigido, come un vecchio cliché la raffigura. Fondata fin dalle origini come un asilo che raccoglie i rifiuti dei popoli circostanti, non avrebbe mai potuto generare una cultura razzista. La sua identità non poteva riconoscerla in un sostrato organico. Fu dunque costretta a costruirla artificialmente, come una creazione della mente. La sua unità, la sua identità fu lo Stato, la Repubblica. Una struttura essenzialmente politica. (Parte prima, cap. I, p. 10)
- Nell'antichità ci sono state due forme di comunità politica: la città-stato e la Monarchia imperiale. Ma nessuna città-stato è diventata una Monarchia imperiale: tranne Roma. (Parte prima, cap. II, p. 19)
- La grandezza di Roma [...] non è solo il risultato del successo militare, ma soprattutto della capacità di tenere insieme un Impero così rapidamente conquistato. Se si fosse limitata al successo militare Roma avrebbe eguagliato i grandi Imperi orientali: degli assiri e dei persiani. Quelli durarono molto meno e lasciarono solo grandi tracce di odio. Quando cadde l'assira Ninive il mondo esultò: era scomparso l'Impero del male. Quando cadde Roma, il mondo ne fu smarrito. Roma lasciò una traccia incomparabile rispetto a quelle potenze effimere. (Parte prima, cap. II, pp. 19-20)
- Principe dei liberti, ricchissimo, [Trimalcione] è stato all'origine un piccolo schiavo asiatico, esposto con un cartello al collo su un mucchio di letame, comprato da un gran signore che, conquistato dalla intelligenza del ragazzo, lo alleva come un figlio. Un figlio particolare, dato che oltre a imparare – non la geometria e la filosofia o «altre fesserie del genere» ma a leggere e far di conto –, svolge anche funzioni intimissime, come favorito delle deliciae del padrone («e intanto, – dice lui, – contentavo anche la padrona»). Così che il padrone in punto di morte lo libera col suo testamento e gli lascia, dedotto ciò che deve all'imperatore, tutto il suo patrimonio, con il quale potrà vivere come un ricco senatore. (Parte prima, cap. II, p. 31)
- Quel che soprattutto colpisce, nella grande sorte di Ottaviano Augusto, è la sua apparente metamorfosi, dal bandito Ottaviano all'olimpico Augusto. Apparente, perché nei due volti di questo stupefacente Giano traspare evidente l'impronta caratteristica dominante dell'ipocrisia. (Parte prima, cap. II, p. 72)
- Marx, Toynbee , Weber, Rostovčev, Ortega y Gasset hanno tracciato visioni interpretative grandiose e affascinanti della decadenza e rovina dell'Impero d'Occidente. È facile oggi criticarle e confutarle per le deformazioni che l'unilateralità dei loro rispettivi punti di vista fa subire alla realtà, sempre più complessa e problematica delle loro teorie. Tuttavia, quelle grandi visioni hanno il merito di aver drammatizzato aspetti essenziali di quella realtà: Marx, il modo di produzione schiavistico; Weber, la regressione dall'economia monetaria all'economia naturale; Toynbee, la crisi delle grandi opzioni etiche valutative della civiltà ellenistica; Rostovčev e Ortega y Gasset, pur da punti di vista diversi, la rebellion de las masas contadine alle élite cittadine. Aspetti di una crisi complessa che resiste a ogni tentativo di semplificazione, di riduzione monocasuale. (Parte prima, cap. VII, p. 162)
- Ecco una possibile soluzione dell'enigma [...]: la rovina dell'Impero di Occidente come effetto combinato della debolezza dell'autorità centrale e della reazione «separatista» dei gruppi sociali alla pretesa dei grandi imperatori del Dominato, di ricentralizzare il potere. Questa reazione disgregante provocò una condizione di anarchia endemica, che indebolì la resistenza dell'Impero alla rinnovata pressione esterna. (Parte prima, cap. VII, p. 165)
- [...] Federico [II] era un affascinante personaggio bifronte. Da un lato, impersonava le caratteristiche culturali e politiche del Principe moderno. Dall'altro, era profondamente immerso nella cultura e nelle visioni del suo tempo. Il suo sguardo ripercorreva i sogni di rinascita imperiale e di pacifico ricongiungimento con l'Oriente, che erano stati di alcuni suoi predecessori: back to the future, o meglio, avanti nel passato. (Parte seconda, cap. V, p. 267)
- Se vogliamo rappresentarci un prototipo significativo del primo tipo [di quelli che si dedicano esclusivamente all'organizzazione delle loro imprese], possiamo evocare la figura del mercante pratese Francesco Datini, vissuto proprio all'inizio del secondo rinascimento: grande commerciante, grande imprenditore grande organizzatore. Un provinciale – a Roma lo avrebbero chiamato un burino – di modesta famiglia artigiana che la peste nera aveva letteralmente spazzato via: padre, madre e due fratelli. Della sua vita e delle sua impresa multinazionale sappiamo tutto grazie all'opera di Federico Melis e alla felice biografia di Iris Origo[4]. (Parte seconda, cap. VI, p. 282)
- [Francesco Datini] Sempre ansioso, preoccupato, ma instancabile. E «maninconico»[5] per il pensiero assillante della vita futura, intentissimo al guadagno, terrorizzato dalla peste e dal timor di Dio. Di certo, non premuroso verso i dipendenti più umili, lavoranti e operai, che trattava proprio «da chani». (Parte seconda, cap. VI, p. 283)
Benito Mussolini, dopo una delle sue tante umilianti sconfitte, se la prese, come spesso faceva, con gli italiani imbelli. Coronò una figuraccia, l'impresa sciagurata di Grecia, con una stentore sciocchezza. Disse che sarebbe stato meglio per l'Italia avere meno statue nei suoi musei e più bandiere strappate al nemico. Per nostra fortuna, la storia non è un supermarket dove si possano scambiare statue e bandiere. Fosse così, dubito comunque che oggi qualcuno sarebbe disposto a rinunciare alla Primavera di Botticelli per i gagliardetti di qualche vittoriosa strage.
L'essenza del miracolo italiano fu questa: di aver creato una ricchezza che non si trasformò in potenza, ma si trasfigurò in bellezza: Se questa è decadenza, la si può accettare con sereno orgoglio. Ogni cultura che s'irradia consuma, come una candela, il corpo da cui trae luce. «Quando finalmente cadde sull'Italia la notte, tutta l'Europa ne fu illuminata»[6].
Note
[modifica]- ↑ Da La bomba demografica innescata sul nuovo secolo, la Repubblica, 6 gennaio 2001.
- ↑ Da Uomini e farfalle, L'espresso, n. 28, anno LIII, 19 luglio 2007, p. 107.
- ↑ Da Il futuro del Pd in quattro mosse, la Repubblica, 3 dicembre 2008, p. 38.
- ↑ Il mercante di Prato, Bompiani, 1958.
- ↑ Arcaismo di "malinconico".
- ↑ F. Braudel, I giochi dello scambio, cit. [N.d.A.]
Bibliografia
[modifica]- Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, Torino, 2004. ISBN 88-06-16804-5
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