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venerdì 19 settembre 2025

La valle dei sorrisi (2025)

Miracolosamente, La valle dei sorrisi, diretto e co-sceneggiato dal regista Paolo Strippoli, è uscito anche qui, così mercoledì scorso sono andata a vederlo. C'è qualche piccolo SPOILER qui e là, occhio.


Trama: Sergio, ex campione di judo traumatizzato dalla morte del figlio, viene chiamato per una supplenza a Remis, "il paese dei sorrisi". Lì scopre che gli abitanti sono tutti felici, e che la loro condizione è legata a Matteo, un ragazzo misterioso...


Partivo molto prevenuta con questo La valle dei sorrisi, perché Piove, nonostante qualche intuizione carina, mi aveva annoiata profondamente. Partivo anche stanchissima, vittima di una settimana abbastanza mortale, quindi temevo di addormentarmi nel bel mezzo del cinema. Stavolta, invece, Strippoli mi ha catturata fin dalle prime scene, coinvolgendomi nel mistero della città di Remis, dove tutti gli abitanti sorridono o, comunque, vivono sereni. Così non è per Sergio, che si trasferisce lì da Taranto per una supplenza di tre mesi. Sergio è un uomo distrutto da una tragedia familiare, che odia se stesso e il mondo intero, e cerca di procurarsi l'oblio da ricordi e sensi di colpa affogandoli nell'alcol. Una sera, stufa delle sue intemperanze, la barista Michela decide di aiutarlo e conduce Sergio da uno dei suoi studenti, Matteo, il quale è dotato di un potere miracoloso: basta abbracciarlo e ogni dolore scompare come se non fosse mai esistito. Dopo l'abbraccio, Sergio ricomincia a vivere, e ad interessarsi a Matteo come professore ed essere umano, a differenza dei cittadini che vedono il ragazzo solo come un santo da proteggere e riverire, in modo da garantirsi la possibilità di godere dell'indispensabile "miracolo". Il legame che si viene a creare tra i due porta Matteo a prendere coscienza di se stesso e delle sue reali capacità; da quel momento, il film diventa un inquietante coming of age con atmosfere che richiamano molto horror recenti come The Innocents o Thelma. Mi piacerebbe scrivere molte altre cose relativamente alla trama, ma non vorrei entrare ulteriormente nei dettagli, o rischierei di rovinare la visione a chi dovesse ancora vedere il film, per una volta graziato da un trailer ambiguo. Aggiungo solo che La valle dei sorrisi offre una riflessione non banale sul dolore e il senso di colpa, che ci rendono schiavi della nostra autocommiserazione, impedendoci di aprire gli occhi sugli altri; il film mette anche in guardia dalle soluzioni facili (la "devozione" degli abitanti di Remis è simile alla dipendenza dalla droga, soprattutto quando i benefici dell'abbraccio di Matteo, lentamente, scemano) e su quanto sia semplice lasciarsi manipolare da chi fa leva sulla disperazione, la fede e l'ignoranza per fini personali (il personaggio più deprecabile del mucchio è, non a caso, un prete).


Strippoli
, fin da subito, crea un'atmosfera straniante, sfruttando grandangoli e fish-eye, come se Remis si trovasse all'interno di una bolla separata dalla realtà, dove ogni tipo di percezione è distorta, confusa. Ciò contribuisce anche a connotare Sergio come un outsider, come se non bastasse l'ambiente montano del nord ad accogliere un uomo originario di Taranto, e a sottolineare la sua volontà di rinchiudersi in un mondo dove esistono solo dolore e colpa, con orribili visioni ad infestarlo. In seguito, questi stessi accorgimenti tecnici, accompagnati anche da suoni disturbanti (tra i quali spiccano un inquietante campanello e un altro rumore tristemente anticipatorio) e un alternarsi di punti di vista soggettivi, servono come espressione visiva del potere sempre più grande di Matteo. La valle dei sorrisi è inoltre un film che dà molta importanza alla composizione geometrica delle immagini e alle coreografie corali, soprattutto verso il finale, caratterizzato da un paio di sequenze di enorme impatto, tra le migliori e più originali viste quest'anno in campo horror (un genere nel quale l'ultima opera di Strippoli, benché presentata come thriller/drammatico, rientra in toto). Anche il casting, altra cosa che non mi aveva granché convinta in Piove, qui è praticamente perfetto, soprattutto per quanto riguarda i personaggi secondari, tra i quali spiccano le interpretazioni di Roberto Citran e Paolo Pierobon. Il sedicenne Giulio Feltri offre una prova attoriale di prim'ordine, perché Matteo non è un personaggio facile (tra l'altro, il nonno di Giulio è proprio Vittorio, non oso immaginare i commenti, se mai vedrà il film, sulla natura queer del personaggio); se la weirdness superficiale è ottenuta con un tocco di bianco tra i capelli e nelle ciglia, ci vuole dell'abilità per suscitare, nello spettatore, quel mix di emozioni contrastanti che impediscono di odiare o amare Matteo, e anche per dare al protagonista tutta una serie di sfumature contrastanti. Molto bravo anche Michele Riondino. E' rarissimo vedere uomini piangere nei film, e lui si abbandona a un pianto talmente angosciante e disperato, soprattutto nella prima sequenza in macchina, che mi è venuto un magone enorme. Spero che l'attore non abbia attinto a tragedie personali, ma nel caso spero anche che ci sia qualcuno che lo abbracci anche nella vita reale! Sproloqui a parte, non mi aspettavo nulla da La valle dei sorrisi, invece è un film splendido, un barlume di speranza per il cinema di genere italiano. Correte a vederlo e passate parola!


Del regista e co-sceneggiatore Paolo Strippoli ho già parlato QUI.

Michele Riondino interpreta Sergio Rossetti. Nato a Taranto, ha partecipato a film come Fortàpasc, Il giovane favoloso, Palazzina Laf e serie quali Distretto di polizia, Il giovane Montalbano, I Leoni di Sicilia e Il conte di Montecristo. Anche regista e sceneggiatore, ha 46 anni e un film in uscita. 


Roberto Citran
interpreta Don Attilio. Nato a Padova, ha partecipato a film come Il mandolino del capitano Corellli, Paz!, A cavallo della tigre, El Alamein, Il papa buono, Hotel Rwanda, Diabolik, Conclave e serie quali Distretto di polizia, Don Matteo e Il commissario Rex. Ha 70 anni. 


Paolo Pierobon
interpreta Mauro Corbin. Nato a Castelfranco Veneto, ha partecipato a film come Rapito, Palazzina Laf e serie quali Carabinieri, Camera Café, Distretto di polizia, I delitti del BarLume, 1993, 1994, Esterno notte e M- Il figlio del secolo. Ha 58 anni. 


Per la serie "dove l'ho già visto?": Romana Maggiora Vergano, che interpreta Michela, era la figlia della Cortellesi in C'è ancora domani. ENJOY!

martedì 3 dicembre 2024

Piove (2022)

Qualche sera fa hanno dato in TV il film Piove, diretto e co-sceneggiato dal regista Paolo Strippoli, e ho deciso di guardarlo.


Trama: gli abitanti di Roma si ritrovano in balia dei loro istinti più violenti a causa di misteriosi vapori sprigionati dalle fogne. Anche Thomas e la sua famiglia, già vittime di una terribile tragedia, vengono toccati da questo fenomeno...


Piove
è uno dei mille film mai arrivati nei cinema di Savona, nonostante avessi molte speranze per l'opera seconda del co-regista di A Classic Horror Story. Questo è il motivo per cui, appena saputo che lo avrebbero trasmesso in TV, non me lo sono fatto scappare. Purtroppo, tanta aspettativa ha raddoppiato la mia delusione davanti a un film che, per quanto mi riguarda, non rende giustizia a uno spunto interessante. Piove racconta una Roma vittima di una "maledizione", di una melma sotterranea che, a un certo punto, si mette a rilasciare vapori in grado di far piombare le persone in un vortice allucinato di violenza. La trama non specifica chiaramente l'origine di questa melma (Vigo il Carpatico, è lei?), non è importante. Interessa, però, sapere che i miasmi da essa derivati scavano nella psiche delle persone tirando fuori tutto il marcio in suppurazione a causa di traumi, disagio, antipatie, rabbia, tristezza, qualsiasi emozione negativa vi venga in mente. In particolare, Piove si concentra sulla disagiata famiglia di Thomas, padre single con a carico un figlio merda e una figlia in sedia a rotelle, e sulla tragedia che ha reso i membri incapaci di comunicare tra loro; la piccola Barbara, in particolare, funge da "cuscinetto" tra un padre che già era un belino mollo prima che la sua vita cambiasse in peggio, e un figlio che lo accusa di aver causato la tragedia di cui sopra, il quale passa il tempo a riprendersi mentre danneggia la proprietà pubblica, paga anziane prostitute per ritrovare la figura materna e si rende angoscioso come una cacca nel letto. Qui sono cominciati i miei problemi con Piove, dall'incapacità di provare qualsivoglia empatia per personaggi detestabili (tanto che la speranza era che si uccidessero tra loro lasciando in vita giusto la sfortunata bambinella) e dalla noia derivante da un'introduzione infinita, che si concentra proprio sul disagio esistenziale di questi esseri odiosi mentre, sullo sfondo, accadono cose inquietanti e violente. Se Piove fosse stato meno dramma "mucciniano" e più horror tout court, sviluppando le ottime suggestioni di genere che Strippoli dimostra di saper padroneggiare, lo avrei preferito, purtroppo la "ciccia" la si gusta solo da metà in poi, e personalmente mi sono sentita ben poco ripagata dell'ordalia che la precede.


Anche perché, parliamoci chiaro, Piove soffre dello stesso, fatale difetto di A Classic Horror Story, ovvero un sonoro a dir poco pessimo, che rende ancor più arduo capire i dialoghi pronunciati da attori biascicanti. A differenza di A Classic Horror Story, purtroppo, gli attori non si limitano a biascicare ma, forse a causa dei personaggi che devono interpretare o di una scelta stilistica che vuole tutto triste, plumbeo e squallido, risultano inespressivi e legnosi (Thomas) oppure un mix fastidioso tra un emo e un guappo con una palla da tennis in bocca (il figlio Enrico), e i comprimari non sono migliori. Salvo solamente Orso Maria Guerrini, poveraccio, costretto a interpretare il vecchio infermo, quando probabilmente era meglio dargli il ruolo del vecchio che si mette a bastonare i giovinastri irrispettosi sfogando frustrazioni sopite da anni. Ahimè, così non è, e uno si deve accontentare di quelle gustose sequenze horror che, chissà perché, sono valse al film il divieto ai minori di 18 anni, probabilmente imposto da chi non ha mai visto in vita sua qualcosa di più violento di un film di Bud Spencer e Terence Hill. E' un peccato, come ho scritto più sopra, che Piove si appoggi più alla sua natura drammatica, perché gli effetti speciali sono ben fatti (quelli artigianali, ché il mostrillo fangoso sul finale ha fatto piovere gli occhi persino a me), Strippoli è bravo a confezionare scene inquietanti e non si tira indietro davanti a dettagli un po' più disgustosetti, e anche l'idea di dotare gli "infetti" di distintive lacrime nere, per quanto derivativa, ha il suo fascino. Però, lasciatemi dire, è un po' poco per incensare Piove, che ritengo un grosso passo indietro rispetto a un'opera interessante e ironica come il precedente A Classic Horror Story. Leggo ora che Strippoli si sta dedicando a un altro horror, La valle dei sorrisi, e già tremo per la descrizione riportata da Ciak: "Un film dove gli abbracci sono molto più pericolosi delle motoseghe, un film di genere, che gioca con i codici dell’horror, con un cuore caldo, un film che credo possa parlare a un pubblico più vasto dei soli amante del genere". Mi toccherà mica maledire la A24 e il proliferare dell'elevated horror?


Del regista e co-sceneggiatore Paolo Strippoli ho già parlato QUI mentre Fabrizio Rongione, che interpreta Thomas, lo trovate QUA.


A interpretare il signor Ferrini c'è Orso Maria Guerrini, che, oltre ad essere blasonato attore teatrale e cinematografico, ha avuto per qualche anno il ruolo di "Baffo Moretti" titolare. ENJOY!

martedì 20 luglio 2021

A Classic Horror Story (2021)

Nel mese di luglio Netflix è diventata la mecca dell'horror e non si è fatta scappare neppure A Classic Horror Story, diretto e co-sceneggiato dai registi Roberto de Feo e Paolo Strippoli. Avviso già che metà post sarà spoiler free mentre il resto, inevitabilmente, potrà venire letto solo da chi ha già visto il film.


Trama: Cinque sconosciuti hanno un incidente su una strada del Sud Italia e rimangono bloccati all'interno di un bosco dove vengono compiuti strani riti pagani...


Due anni fa Roberto De Feo ci aveva fatti gioire col gotico The Nest, popolato da personaggi ambigui ma anche fragili e poetici, ambientato in una splendida villa piemontese e graziato da un finale sorprendente che arricchiva ulteriormente la preziosità dell'opera. Se The Nest era un'esordio assai simile a malinconici esponenti dell'horror spagnolo o sudamericano quali The Orphanage, A Classic Horror Story si rifà, per l'appunto, a stilemi tipici dell'horror USA/britannico, a partire dall'incidente maledetto che costringe i personaggi a perdersi in un bosco dove verranno fatti fuori da maniaci armati di accetta. A Classic Horror Story è, anzi, talmente classico da ricordare per buona parte del primo atto un paio di horror nostrani recenti, un'opera prima assai riuscita come Shadow di Zampaglione e quell'orrore innominabile de Il bosco fuori di Gabriele Albanesi, a loro volta ispirati dall'immortale Non aprite quella porta di Tobe Hooper ma comunque dotati di una forte personalità italiana. Quest'ultima non difetta al film di De Feo e Strippoli, perché l'orrore rappresentato affonda le radici nel folklore delle terre del Sud, in quelle favole macabre che i vecchi amavano raccontare ai bambini, popolate da personaggi allo stesso tempo spaventosi ma anche ridicoli; in questo caso, ai poveri cinque sconosciuti uniti nel destino da un ben sfortunato car sharing tocca affrontare Osso, Mastrosso e Carcagnosso, che la leggenda "vera" dice fossero tre cavalieri spagnoli i quali hanno fondato le tre mafie italiane, nell'ordine Cosa Nostra, 'ndrangheta e Camorra. Qui i tre vengono descritti non come cavalieri ma come demoni accompagnati da un'inquietante filastrocca e legati a terrificanti riti pagani che, a un certo punto, trasformano il film da "semplice" slasher splatter a folk horror di tutto rispetto, con pesantissimi echi di The Wicker Man e del recente Midsommar di Ari Aster (una scena in particolare è assai simile), dando vita ad alcune delle sequenze più allucinanti e belle della pellicola.


Formalmente parlando, A Classic Horror Story è una gioia per gli occhi. I due registi sfruttano alla perfezione lo splendore rigoglioso delle foreste umbre e piazzano nel bel mezzo degli alberi un luogo dove non solo il tempo sembra essersi fermato ma dove pare si sia creato uno squarcio verso un'altra dimensione demoniaca. In mezzo alla natura incontaminata, lo chalet dalla rigorosa perfezione simmetrica dove vengono a ritrovarsi i cinque protagonisti spicca come un pugno nell'occhio e fa angoscia quanto le luci rosse che, di notte, vanno a illuminare il luogo (ricordando, anche lì, soprattutto nelle inquadrature interne, il Suspiria di Argento, altro "classico" nostrano), per non parlare delle figure che lo popolano; gli elementi naturali come gli animali, il legno, i rami, i nidi, concorrono ad alimentare non solo l'angoscia di personaggi ovviamente abituati alle comodità moderne, cellulari in primis, ma anche quella dello spettatore che risponde a stimoli ormai radicati nella sua mente di "cultore dell'horror", un concetto sul quale poi tornerò nel paragrafo spoiler. Quanto agli attori protagonisti, mi tocca citare ciò che avevo già scritto nel post dedicato a The Nest: "Sapete bene quanto mi faccia male il 90% di cani maledetti che popolano le opere nostrane e non posso dire che abbia capito per intero i dialoghi di A Classic Horror Story, questo no, ché talvolta la dizione degli attori (e, aggiungo, in questo caso, anche il sonoro) andava allegramente per i fatti suoi; tuttavia, non c'è un solo personaggio all'interno del film che non sia stato interpretato alla perfezione" e poi, aggiungo, c'è Matilda Lutz che ormai è una divinità dell'horror e non ha nulla da invidiare alle sue colleghe scream queen americane, né per carisma né per bellezza. Chi ha visto il film riderà di queste mie ultime affermazioni, infatti le ho scritte apposta: se volete tenermi compagnia ancora un po' leggete il paragrafo spoiler, gli altri si astengano e corrano a recuperare subito A Classic Horror Story, perché assieme a Fear Street è l'unico motivo valido per abbonarsi a Netflix, ora come ora. 


SPOILER

Che due palle si dev'essere fatto De Feo a leggere le mille, banali recensioni di cinèfili dell'internet come me, pronti a magnificare The Nest "nonostante fosse un film italiano" o a salutarlo come "salvatore del cinema di genere italiano", o a criticarlo (alzo la mano, mi dispiace) per la terrificante dizione degli attori coinvolti. Che due palle devono farsi, costantemente, in quest'epoca di internet selvaggio e social, autori e registi che vedono massacrate le loro opere da chi si definisce cinefilo solo perché ha una connessione internet con cui guardare i film e scriverne, magari in due, tre righe frettolose sui gruppi Facebookiani dedicati al cinema (signori, ho letto cose lì sopra che vabbé) pensando di essere il nuovo Roger Ebert. In quest'epoca in cui vince chi urla più forte, in cui vale solo il fenomeno mordi e fuggi, l'autocelebrazione, la superficialità e la possibilità di esprimere la propria opinione e la propria arte anche quando non si ha nulla di interessante da dire e dove tutto viene ridotto all'atto del "guardare" e "mostrare" senza alcuna partecipazione emotiva, un twist e un finale come quello di A Classic Horror Story sono semplicemente geniali per il modo in cui ci fanno vergognare di avere, anche solo una volta nella vita, peccato di superbia approfittando di un relativo anonimato. La rivelazione di Fabrizio già è scioccante di suo (e quanto vorrei poter rivedere presto il film per riuscire a godere di parecchi dettagli rivelatori), così com'è agghiacciante tutta la sequenza del dialogo tra lui e la ragazzina, ma il vero colpo di genio di A Classic Horror Story è quel minuto dopo l'ultima scena della Lutz, quando lo snuff di Fabrizio, costato sangue, morte e disperazione, diventa uno dei tanti filmetti presenti sul catalogo di "Bloodflix", destinato a una visione distratta, buona solo per qualche chiacchiera su chat destinata a consumarsi nel giro di qualche giorno, e un click dato in pasto a un algoritmo. Se fino a quel momento avevo voluto bene al film più per una questione di forma, il finale mi ha lasciata con un sorrisone sulle labbra che mi accompagna anche adesso che scrivo, quindi non posso che definirmi "bimba di De Feo e Strippoli" e aspettare le prossime opere di questi due talentuosi narratori.


Del co-regista e co-sceneggiatore Roberto De Feo ho già parlato QUI mentre Matilda Lutz, che interpreta Elisa, la trovate QUA.

Paolo Strippoli è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. Pugliese, anche attore e produttore, ha 28 anni.


Francesco Russo
, che interpreta Fabrizio, era il Bruno Soccavo de L'amica geniale e tornerà nel prossimo horror di Paolo Strippoli, Piove, ma una menzione d'onore la merita ovviamente Cristina Donadio, la Scianel di Gomorra, che qui compare nei panni della sindaca. Ciò detto, se A Classic Horror Story vi fosse piaciuto recuperate The Nest - Il nido e Midsommar. ENJOY!

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