Antifibrinolitici
Gli antifibrinolitici, come l'acido ε-aminocaproico e l'acido tranexamico sono utilizzati come inibitori della fibrinolisi.[1] Questi farmaci interferiscono con la formazione della plasmina enzima fibrinolitico, dal suo precursore plasminogeno da attivatori del plasminogeno (principalmente t-PA e u-PA), che si svolge principalmente in presenza di lisina sulla superficie di fibrina. Questi farmaci bloccano i siti di legame degli enzimi o del plasminogeno rispettivamente, e quindi si forma della plasmina.
Sono utilizzati nella metrorragia e nei sanguinamenti dovuti a cause diverse. La loro applicazione può essere utile in pazienti con iperfibrinolisi, perché arrestano il sanguinamento rapidamente, se gli altri componenti del sistema emostatico sono normali. Questo può aiutare a evitare l'uso di emoderivati, come plasma fresco congelato (FFP), con possibili rischi associati di infezioni o reazioni anafilattiche.
Nel 2010, il trial CRASH-2 ha dimostrato che l'acido tranexamico riduce in modo significativo la mortalità nei pazienti con trauma sanguinante.[2]
L'aprotinina è stata abbandonata dopo l'identificazione di importanti effetti collaterali, in particolare sui reni.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Antifibrinolitico, su treccani.it. URL consultato il 27 dicembre 2016.
- ^ The CRASH-2 Collaborators, Effects of tranexamic acid on death, vascular occlusive events, and blood transfusion in trauma patients with significant haemorrhage (CRASH-2): a randomised, placebo-controlled trial, in Lancet, vol. 376, n. 9734, 2010, pp. 23–32, DOI:10.1016/S0140-6736(10)60835-5, PMID 20554319.
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