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Fenolftaleina

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Fenolftaleina
formula di struttura
formula di struttura
Nome IUPAC
3,3-bis(4-idrossifenile)-1,(3H)-isobenzofuranone
Caratteristiche generali
Formula bruta o molecolareC20H14O4
Massa molecolare (u)318,33
Aspettosolido cristallino bianco
Numero CAS77-09-8
Numero EINECS201-004-7
PubChem4764
DrugBankDBDB04824
SMILES
C1=CC=C2C(=C1)C(=O)OC2(C3=CC=C(C=C3)O)C4=CC=C(C=C4)O
Proprietà chimico-fisiche
Densità (g/cm3, in c.s.)0,89
Temperatura di fusione261 °C (534 K)
Indicazioni di sicurezza
Simboli di rischio chimico
tossico a lungo termine corrosivo pericoloso per l'ambiente tossicità acuta
pericolo
Frasi H341 - 350 - 361 - 314 - 290 - 410 - 301
Consigli P201 - 281 - 308+313 [1]

La fenolftaleina è un comune indicatore di pH usato nelle titolazioni acido-base. La sua formula chimica bruta è C20H14O4.

A temperatura ambiente la fenolftaleina si presenta in forma di polvere cristallina bianca inodore, poco solubile in acqua (400mg/l) e solubile in etanolo (14 g/l). Dal punto di vista chimico, è un acido molto debole.
Come indicatore, viene generalmente usata in forma di soluzione in etanolo allo 0,1%.

A pH inferiori a 8,2 è incolore, a pH superiori a 9,8 gli ossidrili perdono i loro atomi d'idrogeno e la molecola impartisce un intenso color porpora alla soluzione.

Una volta largamente usato come lassativo, se ingerito ha effetti tossici. All'uso abituale di fenolftaleina possono conseguire gravi reazioni avverse come osteomalacia e gastroenteropatia proteino-disperdente. La fenolftaleina può essere responsabile anche di gravi reazioni allergiche (es. Sindrome di Stevens-Johnson). Dati sperimentali recenti sembrano dimostrare che all'uso cronico della fenolftaleina possa conseguire un effetto genotossico e cancerogeno[2]. A tale riguardo, la FDA ha provveduto ad eliminare dai prodotti da banco la fenolftaleina ed i derivati del dantron, anch'essi sospettati di genotossicità e cancerogenicità.

La Commissione unica del farmaco, ente del ministero della Sanità, ne ha decretato la pericolosità già nel 1997. Tale decisione è stata raggiunta a seguito di alcuni studi americani che hanno riscontrato una maggiore incidenza di tumori fra i pazienti che facevano largo uso di lassativi con tale principio attivo. Gli esperimenti effettuati presso i laboratori del National Toxicology Program hanno confermato i sospetti: i ratti cui venivano iniettate dosi massicce di fenolftaleina sviluppavano cellule tumorali con una rapidità impressionante. Il 24 settembre 1997 l’agenzia europea per i medicinali ha raccomandato ai Paesi membri di adottare provvedimenti restrittivi per i farmaci che contengono tale sostanza. In Italia la prima denuncia sulla materia è stata dell'Associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori.

La Commissione Unica del Farmaco, investita del problema dall'allora ministro della Sanità Rosy Bindi, ha dato parere negativo alla vendita dei farmaci contenenti fenolftaleina[3]. I lassativi messi al bando erano in uso da moltissimi anni e avevano una larga diffusione, tra gli altri il "Verecolene", il "confetto Falqui" e l'"Euchessina". I prodotti ora in commercio con quei nomi (a cui è stata posposta la sigla C.M.) sono basati su altri principi attivi: bisacodile per Verecolene e confetto Falqui; sodio picosolfato per Euchessina.

Le stesse ditte produttrici hanno annunciato il ritiro definitivo dal mercato dei lassativi a base di fenolftaleina. Primo fra tutti il colosso Novartis, che ha annunciato la definitiva interruzione della produzione del suo "Ormobil".

Ciononostante è ancora largamente impiegato nei laboratori come indicatore di pH, dove è usato con le dovute precauzioni (evitare di annusare o di toccare con mani nude).

  1. ^ scheda della fenolftaleina su IFA-GESTIS Archiviato il 16 ottobre 2019 in Internet Archive.
  2. ^ Scheda di sicurezza Catalogo Carlo Erba, su carloerbareagenti.com. URL consultato l'8 ottobre 2010 (archiviato dall'url originale il 20 giugno 2010). (cercare "fenolftaleina" nell'elenco per accedere al pdf)
  3. ^ "Ecco i lassativi vietati", Corriere.it, su archiviostorico.corriere.it. URL consultato il 15-05-2010.

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