Ogni tanto leggo con piacere qualche racconto ‘di paura’ per ragazzi; Jeremy de Quidt non l’avevo mai sentito nominare, ma la copertina del libro avevOgni tanto leggo con piacere qualche racconto ‘di paura’ per ragazzi; Jeremy de Quidt non l’avevo mai sentito nominare, ma la copertina del libro aveva attirato la mia attenzione, e poi sono una pendolare e coi treni ci lotto ogni giorno, e così… Lettura carina; Goodreads non consente le mezze stelline, quindi non posso mostrare il voto preciso, che sarebbe di 3.5. Se lo stile fosse stato un po’ più suggestivo avrei dato anche di più, perché i racconti sono inquietanti, pur nella loro semplicità, visto il pubblico di riferimento. Abbiamo questo ragazzino che una sera riesce a prendere il treno al volo, dopo una corsa a perdifiato, ma ben presto si accorge di essere salito su quello sbagliato. Alla prima fermata il ragazzo scende, e si pente, rendendosi conto di non trovarsi in una stazione ma in una banchina isolata, con poca luce a schiarire le tenebre, una panchina e nient’altro. A parte un vecchio signore che gli si fa incontro. Reca con sé una lanterna, e ha con sé un cagnolino; lo sconosciuto sembra amichevole, si offre di tenergli compagnia fino all'arrivo del treno successivo, e per ingannare l’attesa si mette a raccontare storie terrorizzanti con protagonisti ragazzini destinati a fare una brutta fine. E devo dire che sì, l’immaginazione di de Quidt è davvero crudele. Dovendo fare un paragone con altri scrittori horror per ragazzi, mi viene in mente Chris Priestley, con la differenza che i ragazzini di Priestley sono quasi sempre degli stronzetti arroganti e presuntuosi, che in genere hanno fatto del loro meglio per meritare la fine ingrata che fanno. I ragazzini di de Quidt si ritrovano invece vittime di situazioni orribili senza averne alcuna colpa, il che ti porta a dispiacerti per loro (anziché pensare ‘hah, ti sta bene, piccolo mostro!’).
Comunque, se una sera sbagliaste treno, non scendete a una fermata in mezzo al nulla. E se un inquietante vecchio insiste perché siate voi a raccontargli una storia di paura, cercate di inventarvi qualcosa: non avete niente da perdere. ...more
In Inghilterra, da cinquant’anni ormai, nessuno osa più uscire di casa dopo l’imbrunire: la nazione è infestata dai fantasmi, e mentre alcuni si limitIn Inghilterra, da cinquant’anni ormai, nessuno osa più uscire di casa dopo l’imbrunire: la nazione è infestata dai fantasmi, e mentre alcuni si limitano a essere fastidiosi, ma innocui, l’incontro con altri è destinato a risolversi con la morte certa. Ci si può proteggere con sale, ferro, con l’acqua corrente e la lavanda, ma se si vuole estirpare il problema bisogna rivolgersi a un’agenzia qualificata; e non c’è che l’imbarazzo della scelta, a Londra. E la più piccola e scalcinata di queste agenzie è la Lockwood & Co., composta da soltanto tre talentuosi agenti. A capo vi si trova, per l’appunto, A. J. Lockwood: affascinante, suadente, misterioso e temerario… anche molto teatrale nei modi; con tanto charme è facile dimenticarsi che avrà sedici anni al massimo. Suo compagni sono lo strambo e brusco George, e Lucy, la voce narrante del libro. Ancora una volta Stroud riesce a creare personaggi che conquistano e un’ambientazione affascinante. Sempre di una Londra alternativa si tratta; qui non abbiamo un impero dominato da un’oligarchia di maghi corrotti, ma è lo stesso un mondo cupo, simile al nostro ma anche profondamente diverso. Come nei libri su Bartimeus, anche qui i protagonisti sono tre ragazzini che però ragionano e si comportano come adulti, ma non si tratta di un difetto: visto il mondo in cui sono nati e cresciuti è normale che sia così. I giovanissimi sono coloro che meglio possono vedere e percepire i fantasmi e gli indizi che li riguardano, riuscendo quindi a trovare la fonte dell’apparizione e a neutralizzarla: un talento che si affievolisce crescendo, fino a sparire già prima dei vent’anni, di solito. Quindi, all’età in cui nel nostro mondo i bambini frequentano le elementari, in questo studiano i fantasmi e vengono mandati a fare gli apprendisti presso le agenzie, o di ronda di notte, per le strade, armati di lunghi bastoni con la punta di ferro. Di fatto si può dire che l’infanzia di giochi e spensieratezza per loro quasi non esista. Confesso di essere stata un po’ dubbiosa, prima di iniziare questo libro, affezionata com’ero a Bartimeus; invece mi è piaciuto davvero molto. Non c’è l’umorismo graffiante del djinn, ma non manca l’ironia, e il tono sa essere tanto brillante quanto cupo; è un romanzo per ragazzi, certo, quindi Stroud non può ‘esagerare’ ma ci sono alcune scene davvero angoscianti e orrorifiche molto ben riuscite. Ho letto che sono stati acquistati i diritti per farne un film; ne sarei felice, se non fosse che almeno sette od otto anni fa li avevano acquistati anche per Bartimeus e poi non se ne fece nulla....more
Siamo nel 1936. Il piccolo Pierrot sette anni, vive a Parigi insieme alla madre, francese. Il padre, tedesco e reduce della Grande Guerra, è morto suiSiamo nel 1936. Il piccolo Pierrot sette anni, vive a Parigi insieme alla madre, francese. Il padre, tedesco e reduce della Grande Guerra, è morto suicida qualche anno prima; era un uomo che amava profondamente il figlio, ma anche traumatizzato dall’esperienza in trincea, e umiliato dalla sconfitta della sua patria, che sognava di veder risorgere. L’esistenza di Pierrot è tutto sommato serena, divisa tra la scuola e i giochi con il suo vicino di casa e migliore amico, l’ebreo Anshel Bronstein, un bambino sordo, orfano di padre come lui, intelligente e pieno di fantasia che sogna di diventare uno scrittore. La situazione si fa brutta quando anche la madre di Pierrot muore; per un po’ lui e il suo cagnolino D’Artagnan vanno a stare con Anshel, ma la signora Bronstein decide di affidarlo a un orfanotrofio: non può permettersi di mantenere un altro bambino. Inoltre a Parigi tira una brutta aria per gli ebrei, e teme che stare presso di loro non sia bene per lui. Così Pierrot si ritrova a Orleans, in un istituto gestito da due sorelle; non riesce a inserirsi molto bene, ma le sorelle sono gentili, e ci sono le lettere di Anshel a tenergli compagnia. La sua vita viene scombussolata ancora quando per lettera si fa viva la sorella di suo padre, che non aveva mai conosciuto prima. Sarà lei a prenderlo con sé e ad accoglierlo nella grande casa dove ha ruolo di governante; ma la casa è il Berghof, e il datore di lavoro della zia è Adolf Hitler. Pierrot diventerà così Pieter, e l’averlo portato lassù si rivelerà – come avrà poi a pentirsi amaramente zia Beatrix – un terribile errore. Questo è un libro per ragazzini, e quindi l’autore non ha potuto approfondire o dilungarsi troppo, ma il mutamento del dolce e candido Pierrot nell’arrogante Pieter è comunque molto efficace. Un bambino non ancora del tutto capace di distinguere il bene dal male è facilmente influenzabile da un uomo che gli dimostra attenzione e che ripete parole molto simili a quelle del suo defunto papà, a proposito della grandezza del popolo tedesco e dell’ingiustizia che ha subito. La voglia di crescere, di essere considerato adulto, il potere che gli appare così desiderabile, fanno il resto. Il Fuhrer è un uomo importante, eppure gli dedica del tempo, gli fa regali, gli assegna dei piccoli compiti che lo fanno sentire importante, e lo educa con letture sulla gloria della Germania. E con il Mein Kampf. Affascinato, Pieter pian piano rinnega il suo essere parigino, i sogni di un tempo, perde la sua dolcezza e ogni umiltà; smette di scrivere ad Anshel, non bada nemmeno a quanto furono prepotenti e crudeli i giovani della Hitlerjugend che aveva incontrato sul treno mentre raggiungeva la zia… o quanto fosse stato sadico nei suoi confronti l’ufficiale tedesco che aveva incontrato in stazione. Anzi, ora l’avere un’uniforme che gli permetta di esercitare il potere e intimidire le persone gli sembra molto desiderabile. Questo mutare in negativo, che si dipana negli anni, provoca amarezza e rabbia, ed è descritto molto bene; stesso però non si può dire del processo inverso, del ‘ravvedimento’ che avviene dopo la caduta. La solitudine di Pieter al Berghof abbandonato, la prigionia, il vagabondare, la sua presa di coscienza, l’ammissione di colpa, la vergogna… tutto è molto veloce, direi superficiale, e non genera lo stesso coinvolgimento del resto del libro. Resta comunque un’ottima lettura, certo mirata ai ragazzi, ma interessante anche per gli adulti. Bonus: nel corso del libro, Boyne cita un episodio avvenuto nel suo romanzo “Non all’amore né alla notte”, e il protagonista di un altro suo libro per ragazzi, “Resta dove sei e poi vai”. Adoro quando gli scrittori inseriscono questi rimandi! ...more