Ancora una volta, come già mi era accaduto grazie alla lettura di Salvare le ossa di Jesmyn Ward, che mi aveva portata all'immediata e succLe Antigoni
Ancora una volta, come già mi era accaduto grazie alla lettura di Salvare le ossa di Jesmyn Ward, che mi aveva portata all'immediata e successiva lettura della Medea di Euripide, sono debitrice per la lettura della Antigone (qui nella versione di Jean Anouilh scritta fra il 1941 e il 1942 e messa in scena per la prima volta a Parigi il 4 febbraio 1944 durante l’occupazione tedesca) a quella di La quarta parete di Sorj Chalandon, e grata a entrambi i romanzi per avermi stimolata a leggere due tragedie che avevo solo visto rappresentate a teatro.
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Prologo
«Ecco. Questi personaggi stanno per rappresentarvi la storia di Antigone. Antigone è quella piccola magra che è seduta là in fondo, e che non dice niente. Guarda dritto davanti a sé. Pensa. Pensa che tra poco sarà Antigone, che sorgerà improvvisamente dalla ragazza magra di carnagione scura, chiusa, che nessuno prendeva sul serio in famiglia e si ergerà sola in faccia al mondo, sola in faccia a Creonte, suo zio, che è il re. Pensa che morirà, che è giovane, e che anche a lei sarebbe piaciuto vivere. Ma non c’è niente da fare. Lei si chiama Antigone e sarà necessario che reciti la sua parte fino in fondo… e da quando questo sipario si è levato, lei sente che si sta allontanando a una velocità vertiginosa da sua sorella Ismene, che chiacchiera e ride con un giovane, da noi tutti, che siamo qui belli tranquilli a guardarla, da noi che non dobbiamo morire questa sera.
[…]
Creonte – Non conta nient’altro. E tu stavi per sprecarlo! Ti capisco, avrei fatto come te a vent’anni. È per questo che mi bevevo le tue parole. Ascoltavo dal fondo del tempo un piccolo Creonte magro e pallido come te e che non pensava ad altro che a dare tutto anche lui… Sposati in fretta, Antigone, si felice. La vita non è quello che credi. È un’acqua che i giovani lasciano colare senza saperlo, tra le loro dita aperte. Chiudi le tue mani, chiudi le tue mani, fai presto. Trattienila. Vedrai, diventerà una piccola cosa dura e semplice che si sgranocchia, seduti al sole. Ti diranno tutti il contrario perché hanno bisogno della tua forza e del tuo slancio. Non ascoltarli. Non ascoltarmi quando farò il mio prossimo discorso davanti alla tomba di Eteocle. Non sarà vero. Niente è vero se non quello che non si dice… lo imparerai anche tu, troppo tardi, la vita è un libro che si ama, è un bambino che gioca ai tuoi piedi, un arnese che si tiene bene in mano, una panchina per riposarsi la sera davanti casa. Mi disprezzerai ancora, ma scoprire questo, vedrai, è la consolazione derisoria di invecchiare, la vita, non è forse comunque che la felicità. Antigone – La felicità… Creonte – Una parola misera, eh? Antigone – quale sarà, la mia felicità? Che donna felice diventerà la piccola Antigone? Quali miserie bisognerà che compia anche lei, giorno per giorno, per strappare coi suoi denti il suo piccolo brandello di felicità? Ditemi, a chi dovrà mentire, a chi sorridere, a chi vendersi? Chi dovrà lasciare morire voltando lo sguardo?»
Qui, in questo interessante articolo pubblicato da Avvenire lo scorso anno, le tante Antigone della letteratura, del teatro, del cinema, a testimoniare l’importanza di un personaggio e di una tragedia la cui attualità che sembra non tramontare mai.
Per chi volesse leggerlo, qui trova un adattamento teatrale del testo di Jean Anouilh....more
Ci sono opere e Opere, romanzi e Romanzi, storie e Storie.
"I Miserabili" è un Libro di Storia, un Trattato di Psicologia e Sociologia, un Manuale di LCi sono opere e Opere, romanzi e Romanzi, storie e Storie.
"I Miserabili" è un Libro di Storia, un Trattato di Psicologia e Sociologia, un Manuale di Letteratura, un compendio di Ecologia, Giustizia, Antropologia, Arte della Guerra e, naturalmente, di Amore, un'enciclopedia della Vita. Hugo eccelle e discetta in tutto e di tutto: battaglie, legge, giustizia, pena di morte, arte, letteratura, storia, rivoluzione; ed in tutto argomenta, convince, schiaccia, incanta: che sia quando parla dell'argot, oppure delle fogne di Parigi, così come quando descrive la Battaglia di Waterloo piuttosto che le barricate in città. Io che non parlo una parola di francese mi sono incantata leggendo la descrizione del gergo, io che ne so di strategie di guerra come di fisica* ho disegnato una "A" su un post-it per riuscire a visualizzare lo svolgimento della Battaglia di Waterloo, io che sono insofferente ad ogni forma di costrizione ho partecipato ai misteriosi ritmi di vita del Convento del Petit-Picpus fino a goderne la tranquillità. In esso si incastonano, come pietre preziose, come gemme dal valore inestimabile, le storie di Monsignor Benvenue e Jean Valjean, di Marius e Cosette, di Eponina e Gavroche, quelle di Enjolras e degli amici dell'ABC, ma anche quelle dei malvagi coniugi Thénardier, del perfido Javert o dell'integro Gillenormand, che sono per Hugo tutte creature dello stesso mondo, tutti figli dello stesso cielo: i Miserabili e i miserabili, quelli che insieme, nell'intreccio inestricabile delle loro vite, compongono la nostra Umanità, tanto sublime quanto spregevole. Ah, che meraviglia questi autori dell'Ottocento, questi grandi maestri della Letteratura che, non so perché, o forse solo a causa dei luoghi comuni che sin dai tempi della scuola ce li presentano come dei parrucconi imbalsamati, ci immaginiamo sempre seriosissimi ed intenti esclusivamente a scrivere, mentre invece traboccano di vitalità! Ad esempio, quanta ironia e che lingua - o penna! - affilata c'è in questa frase: «Da ciò una conversazione da barbiere a soldato, che Prudhomme, se fosse stato presente, avrebbe arricchita di arabeschi e intitolata: Dialogo del rasoio e della sciabola.» :-) Capirete quindi perché mi è impossibile citare tutti gli episodi che mi hanno colpita, riportare i passaggi che meritavano di essere sottolineati; meglio allora citarne uno solo, non so se il più rappresentativo, forse no, ma quello che più di altri mi ha colpito per l'attualità del suo pensiero; quello in cui Eljoras, poco prima di uccidere un nemico durante le sommosse parigine del 1832, pronuncia queste strazianti parole ai suoi compagni:
«Cittadini,» disse Enjolras «ciò che ha fatto quest'uomo è spaventoso e quel che ho fatto io è orribile. Egli ha ucciso, e perciò io l'ho ucciso: ho dovuto farlo, perché l'insurrezione deve avere la propria disciplina. L'assassinio è un delitto qui, più che altrove; siamo sotto gli sguardi della rivoluzione, siamo i sacerdoti della repubblica, siamo le ostie del dovere, è necessario che non si possa calunniare la nostra battaglia. Io ho quindi giudicato e condannato a morte quest'uomo; quanto a me, costretto a fare quel che ho fatto, ma detestandolo, mi sono pure giudicato e vedrete ben presto a che cosa mi sia condannato.» Coloro che stavano in ascolto trasalirono. «Noi condivideremo la tua sorte,» gridò Combeferre. «E sia,» riprese Enjolras. «Ancora una parola. Giustiziando, ho ubbidito alla necessità; ma la necessità è un mostro del vecchio mondo, la necessità si chiama la Fatalità. Ora, la legge del progresso vuole che i mostri spariscano davanti agli angeli e che la Fatalità svanisca, di fronte alla fraternità. È un brutto momento per pronunciare la parola amore, ma non importa: io la pronuncio e la glorifico. Amore, tu hai l'avvenire dalla tua: io mi servo di te, morte, ma ti odio. Nell'avvenire, cittadini, non vi saranno né tenebre, né fulmini, né ignoranza feroce, né sanguinoso taglione. Poiché non vi sarà più Satana, non vi sarà più Michele. Nell'avvenire nessuno ucciderà alcuno, la terra splenderà e il genere umano amerà: verrà, cittadini, quel giorno in cui tutto sarà concordia, armonia, luce, gioia e vita. E appunto perché venga noi stiamo per morire.»
Perché un commento a cento pagine dalla fine? Perché mi aspettano i fuochi d'artificio e so già che dopo non potrò dire di più.
*È notorio il fatto che io di fisica non ne sappia assolutamente nulla, nemmeno in via intuitiva: se c'è da fare un qualsiasi ragionamento che implichi la fisica - matematica, nucleare, statistica, astrofisica, geofisica, etc.- io vado, sempre e comunque, nella direzione opposta.
Dimenticavo! L'ho letto grazie a questo Gruppo di Lettura meraviglioso e stimolante: ho partecipato pochissimo perché sono sempre stata "in rincorsa", ma ho letto *tutto*. Un grazie speciale a @Paolo del Ventoso Est che mi ha proposto questa lettura: ed io che non lo volevo leggere e all'inizio ti avevo detto "No, grazie"!
Letto e riletto, soprattutto ogniqualvolta mi prendono le paturnie
[7 settembre 2011] Questo, da oggi, diventa un commento in progress. Oggi ho le paturnLetto e riletto, soprattutto ogniqualvolta mi prendono le paturnie
[7 settembre 2011] Questo, da oggi, diventa un commento in progress. Oggi ho le paturnie, mi ci vorrebbero nell'ordine: - un giro da Tiffany (possibilmente a New York (da raggiungere mediante telecinesi) - un gatto rosso da spupazzare - un tubino nero da calzare a pennello con un filo di perle Aggiungerei George Peppard all'elenco ma ormai è più tra noi (e poi si era trasformato da tempo nel colonnello di A-Team).
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24 gennaio 2010 Ieri sera in tv trasmettevano il film e non sono riuscita a resistere all'impulso di rileggere questo piccolo capolavoro. Si possono amare sia il film che il romanzo pur essendo così profondamente diversi? I film possono rubare i colori, le parole, a volte anche riuscire a cogliere lo spirito di una storia; quello che però non riusciranno mai a rubargli è l'anima: neanche con gli occhi celesti come il cielo di George Peppard, il sorriso dolcissimo e sbarazzino di Audrey Hepburn ed un lieto fine inventato. Colazione da Tiffany è romanzo con l'anima, forse anche sottilmente crudele, una storia sull'inquietudine e sull'incapacità di mettersi a dimora e lasciarsi amare, il film solo una bellissima fotografia che fissa un istante che non c'è senza riuscire a catturarlo: come un gatto selvatico che si lascia nutrire ma non accarezzare. (Dio, ma quant'era bello George Peppard?)
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«Non amate mai una creatura selvatica, signor Bell,» lo ammonì Holly. «È stato questo lo sbaglio di Doc. Si portava sempre a casa qualche bestiola selvatica. Un falco con un'ala spezzata. E una volta un gatto selvatico adulto con una zampa rotta. Ma non si può dare il proprio cuore a una creatura selvatica; più le si vuol bene più forte diventa. Finché diventa abbastanza forte da scappare nei boschi. O da volare su un albero. Poi su un albero più alto. Poi in cielo. E sarà questa la vostra fine, signor Bell, se vi concederete il lusso di amare una creatura selvatica. Finirete per guardare il cielo.» ...more