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martedì 3 agosto 2021

Gunpowder Milkshake (2021)

Certe volte meglio non sapere le cose. Certe volte, meglio guardare film come Gunpowder Milkshake, diretto e co-sceneggiato dal regista Navot Papushado, disponibile su Amazon Prime Video, lasciandosi ispirare dalle locandine viste su Letterboxd e dalle attrici coinvolte, e più non dimandare.


Trama: una killer a pagamento scazza gli ultimi due lavori e viene condannata a morte dall'organizzazione per cui lavora...


Perché certe volte è meglio non sapere le cose, oltre ad avere la memoria di un criceto? Perché a me, per esempio, il nome Navot Papushado non diceva nulla e mi sono guardata Gunpowder Milkshake come fosse una parodia al femminile di John Wick diretta da qualche russo rincoglionito. Purtroppo poi tocca documentarsi prima di scrivere il post e si viene a scoprire che Papushado non solo non è russo, ma era uno dei registi e sceneggiatori di quel trionfo di Big Bad Wolves, rimanendoci conseguentemente male e aggiungendo punti di ignominia a una pellicola altrimenti innocua. Gunpowder Milkshake altro non è che un mix di tutte quelle pellicole "di menare" (mi perdonino i giovini de I400calci per il prestito linguistico) tamarre che vanno per la maggiore in questi ultimi anni; l'ispirazione principale è il già citato John Wick col suo world building fatto di assassini dotati di particolari rifugi/punti di rifornimento armi (là è la catena di hotel Continental, qui c'è una biblioteca) ma si possono aggiungere anche Atomica Bionda, Hotel Artemis, l'umorismo grossolano di Guns Akimbo, un po' di Léon, persino Charlie's Angels e Baby Driver, quest'ultimo citato in un paio di "vorrei ma non posso" fatto di morti in macchina e canzoni utilizzate come elementi costruttivi della trama più che come mero sfondo. Protagonista del film è una killer che ha seguito le orme della madre scomparsa e che, un giorno, si ritrova nel mirino della sua organizzazione dopo avere sbagliato ben due lavori; una simile situazione porta con sé tutto un codazzo di sparatorie, scontri corpo a corpo, rivelazioni e personaggi tra il cazzuto e l'assurdo, insomma tutti elementi che, normalmente, mi porterebbero a leccarmi le dita, ché sapete quanto adori le storie di killer al femminile che menano come fabbri ferrai (e qui ce ne sono ben quattro), ma che stavolta mi hanno lasciata spesso perplessa e annoiata.


Nonostante un paio di sequenze invero pregevoli, nella fattispecie quella all'interno dello studio medico, il combattimento multiplo in biblioteca e il piano sequenza al ralenti finale, i tempi morti di Gunpowder Milkshake sono infatti troppi, soprattutto all'inizio, quando gli sceneggiatori si preoccupano di mettere quintali di carne di seconda mano al fuoco e lasciarla lì, a friggere per "dopo". Di fatto, il film ingrana solo con la prima sequenza meritevole, la prima ad avermi portata a sorridere di approvazione anche dopo un paio di scene più splatter del normale (il vampiro che finisce impalato è notevole), dopodiché diventa poco più di un divertissement piacevole, se si riesce ad ignorare una generale aria di scopiazzatura che rende Gunpowder Milkshake un frullato insipido sia a livello di sceneggiatura che di regia che, nonostante il cast stellare, di attori, punto assai dolente. Io non so se il personaggio di Sam è stato volutamente scritto per essere inespressivo e distaccato, ma Baby e Léon avevano un contesto che li rendeva adorabili, mentre Sam spesso sembra solo vittima della svogliatezza di Karen Gillan e nemmeno affiancandole una bambina vivace ed espressiva la situazione migliora; addirittura, i nemici maschili non sono proprio pervenuti, in particolare i "boss di fine livello", tanto che l'unico a rimanere impresso è il sempre valido Michael Smiley, mentre va un po' meglio dalla parte femminile, dove, a parte Angela Basset che fa a gara di inespressività con la Gillan, ci sono Lena Headey, Michelle Yeoh e, soprattutto, la splendida Carla Cugino a tirare su la baracca. Visti i film precedenti di Papushado, Gunpowder Milkshake mi risulta una caduta di stile proprio perché vorrebbe credersela e averne a pacchi; certo, ho visto di molto peggio e non posso sconsigliarvi la visione del film, però è proprio a "lasciar correre" simili pellicole che tentano di dissimulare la mancanza di idee con un paio di trovate esagerate che lo stile di questo genere di film si appiattisce fino ad intristire gli appassionati. E io ora sono molto, molto triste. 


Del regista e co-sceneggiatore Navot Papushado ho già parlato QUI. Karen Gillan (Sam), Lena Headey (Scarlett), Paul Giamatti (Nathan), Ralph Ineson (Jim McAlester), Carla Cugino (Madeleine), Angela Bassett (Anna May), Michelle Yeoh (Florence) e Michael Smiley (Dr. Ricky) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Gunpowder Milkshake vi fosse piaciuto aggiungete anche i due Kingsman oltre ai film citati nel post. ENJOY!  

domenica 30 novembre 2014

Big Bad Wolves (2013)

Dopo aver visto The ABCs of Death 2 mi sono ricordata che dovevo ancora recuperare Big Bad Wolves, diretto e sceneggiato nel 2013 da due dei registi dell'antologia horror per eccellenza, Aharon Keshales e Navot Papushado.


Trama: dopo una serie di brutali omicidi ai danni di alcune bambine, un poliziotto dai metodi abbastanza spicci decide di prelevare il principale sospettato e costringerlo a rivelare con le cattive il luogo dove sarebbero sepolte le teste delle povere vittime. Nel bel mezzo dell'"interrogatorio" arriva il padre di una delle bambine che, intenzionato ad ottenere risposte con ogni mezzo, tramortisce i due e li porta nello scantinato di una casa isolata...


Ah ma che bel pugno allo stomaco che è questo Big Bad Wolves! E se il tono con cui inizio il post è scanzonato è solo perché la pellicola di Keshales e Papushado è sì drammatica e violenta ma è anche talmente grottesca da ricordare i migliori film dei Coen; partendo da una cosa terribile come il rapimento, lo stupro e la tortura di povere bimbe innocenti (la sequenza iniziale, priva di dialoghi e scandita da un'incalzante colonna sonora è da brividi e serra lo stomaco ma è ancora più angosciante la ripresa della bimba seduta sulla sedia, con la parte superiore del busto volutamente lasciata fuori dall'inquadratura), i due registi e sceneggiatori mettono in piedi un dramma popolato da personaggi ridicoli, caricature di sbirri, vendicatori fai-da-te che si interrompono sul più bello a causa della telefonata della mamma, cagnolini storditi col taser e chi più ne ha più ne metta. Tutto questo fa ridere? Non proprio, nel senso che scatena quella risata isterica a cui manca tanto così per trasformarsi in un urlo di orrore. Non tanto per quello che viene mostrato ma per quello che viene dato ad intendere e, soprattutto, per la tensione costante che serra alla gola lo spettatore davanti al personaggio di Dror. Dror è un insegnante, sospettato di aver commesso tutti gli atroci delitti che danno inizio alle vicende raccontate. I registi ce lo mostrano subito nelle grinfie di poliziotti violenti, che lo picchiano e lo minacciano, cercando di costringerlo a confessare, poi, una volta liberato, vediamo come le voci abbiano raggiunto gli studenti che lo chiamano pedofilo, la direzione della scuola che lo licenzia, e via così con il poliziotto Micki che lo rapisce per torturarlo e il padre di una ragazzina che vorrebbe fare altrettanto. La storia scorre attraverso gli occhi terrorizzati di Dror e in noi sorge un terribile dubbio ad un certo punto: Ma Dror è davvero un carnefice o è solo vittima? CHI è il lupo cattivo?


La risposta, per quanto orribile, è che siamo tutti lupi cattivi. Davanti ad un delitto orribile come quello descritto in Big Bad Wolves ogni razionalità e legge va a farsi benedire perché, diciamolo, quale padre non godrebbe (temporaneamente, ovvio, ché nemmeno questo riporterebbe indietro i morti...) nell'infliggere all'aguzzino della propria figlia le stesse torture? E quale poliziotto non getterebbe volentieri alle ortiche il distintivo per il solo gusto di fare definitiva giustizia? Per una mente sconvolta dalla rabbia e dal dolore poco importano le continue e reiterate dichiarazioni d'innocenza: il lupo, quando sente l'odore del sangue, non ragiona più e attacca, non importa quali siano le conseguenze. E il lupo, ovviamente, fa branco. Bastano una parola, un sospetto, un'accusa e la vita di una persona innocente (o presunta tale, ma chi può saperlo con certezza?) diventa un inferno da cui è impossibile uscire perché si sa che ne uccide più la lingua che la spada e che l'opinione pubblica è altamente condizionabile. "Sì, lo sappiamo che non sei pedofilo però magari a scuola è meglio se non vieni più" "Sì, lo sappiamo che sei innocente però magari ti insultiamo e picchiamo lo stesso, perché gli altri lo fanno", pensieri e parole che fanno rabbrividire, che portano lo spettatore a porsi dei dubbi e ad avere paura per sé stesso e DI sé stesso, come succedeva anche in Prisoners, benché assai più serio. Qual è la verita? Come si fa a non fare agli altri ciò che non vorremmo venisse fatto a noi? Come si fa a scagionare una persona da un orribile sospetto? Keshales e Papushado ci dicono che purtroppo queste domande non hanno risposta e che comunque è sempre, sempre meglio controllare i nostri istinti e la nostra sete di vendetta, cercare di non perdere mai di vista le cose davvero importanti perché il fato sa essere molto crudele. E purtroppo non guarda in faccia nessuno.

Aharon Keshales e Navot Papushado sono i registi e sceneggiatori della pellicola. Israeliani, insieme hanno diretto anche Rabies e l'episodio F is for Falling di The ABCs of Death 2.


Se Big Bad Wolves vi fosse piaciuto guardate anche il bellissimo Prisoners e Cheap Thrills! ENJOY!

mercoledì 19 novembre 2014

The ABCs of Death 2 (2014)

Ho dovuto aspettare un po' ma finalmente sono riuscita a recuperare e vedere The ABCs of Death 2, seguito ad episodi del particolarissimo The ABCS of Death, un progetto che vede all'opera 26 registi a cui è stata assegnata una lettera dell'alfabeto e un tema, la morte. Come già nel post del primo film, di seguito scriverò 26 mini-recensioni (trovate i miei corti preferiti in rosso!) e un breve commento finale sull'opera nel suo insieme. Seguono ovvi SPOILER.


A is for Amateur di E. L. Katz (Americano, classe 1981, regista di Cheap Thrills)
Apertura perfetta. L'episodio di Katz ci mette subito del giusto umore per affrontare quest'antologia, dove la morte non è quasi mai seria e dignitosa, ma è spesso una grandissima, ignobile presa in giro. Stupenda la parodia di innumerevoli film d'azione dove i piani più folli non vanno mai storti, anzi, sono sempre puliti e lisci come l'olio. Grande Katz, è da Cheap Thrills che ti voglio bene... E Andy Nyman è sempre fantastico!


B is for Badger di Julian Barratt (Inglese, classe 1968, attore nel film A Field in England)
Bastardo! Sia il regista/protagonista sia il "simpatico" tasso che da il titolo al corto. Episodio gradevole ad alto tasso di risata.

C is for Capital Punishment di Julian Gilbey (Inglese, regista di A Lonely Place to Die)
Crudele. Dopo due episodi relativamente simpatici arriva la prima vera mazzata allo stomaco dell'antologia. Un'amara riflessione su come la paura e la necessità di trovare un colpevole possano fare regredire le persone e trasformarle in mostri assetati di sangue. Sicuramente uno degli episodi migliori ma anche uno dei più difficili da sopportare.


D is for Deloused di Robert Morgan (Inglese, classe 1974, regista di corti horror animati come The Cat With Hands e Bobby Yeah).
Disturbante. Realizzato con la tecnica della claymation, è il primo segmento davvero surreale e disgustoso, un incubo fatto di tanti piccoli elementi weirdissimi e oscuri, che entra sottopelle e mette i brividi. In questo caso, l'animazione fa molta più paura delle riprese "dal vero".


E is for Equilibrium di Alejandro Brugués (Argentino, classe 1976, regista di Il cacciatore di zombie).
Esilarante! Dopo due segmenti decisamente difficili da sostenere arriva la supercazzola che non c'entra nulla col progetto ma fa tanto ridere. Il maschilismo imbecille di fondo fa tenerezza ma è molto bella la realizzazione, con la luce solare che a poco a poco si affievolisce mentre l'amicizia dei due protagonisti viene meno.

F is for Falling di Aharon Keshales e Navot Papushado (Israeliani, registi di Rabies e Big Bad Wolves).
Fo**utamente triste. La poetica storia di una possibile, difficile amicizia tra una soldatessa israeliana e un ragazzino palestinese che, ovviamente, non potrà che finire male. Alla fine avevo un groppo alla gola un po' difficile da mandare giù.


G is for Grandad di Jim Hosking (Inglese, regista del corto Renegades).
Grottesco. Personalmente, l'ho trovato l'episodio peggiore dell'antologia, una surreale lotta tra un nipote stronzo e un nonno pazzo che, da come si mettono le cose a un certo punto, avrei virato sull'horror fantastico per darle un po' più senso. Mah.

H is for Head Games di Bill Plympton (Americano, classe 1946, regista di due corti animati candidati all'Oscar Your Face e Guard Dog, e di Cheatin').
Hhhh. Nel senso che, forse sarò limitata, ma questo tipo di animazione grottesca e assurda non mi fa impazzire. Comunque, è un bell'esempio di come la passione estrema possa diventare un odio altrettanto devastante.

I is for Invincible di Erik Matti (Filippino, classe 1965, regista del corto Vesuvius e di Tiktik: The Aswang Chronicles).
Idiota. Recitato da quelli che sembrerebbero una manica di zamarri arricchiti, racconta la storia di una vecchia che non muore e di una maledizione. Non sarebbe nemmeno brutta come idea ma, davvero, per quel che riguarda gli interpreti sembrava di aver davanti la telenovela filippina, non piemontese. 

J is for Jesus di Dennison Ramalho (Brasiliano, regista del corto Ninjas).
Jesù! Il corto più bello del film, di sicuro il più emozionante e poetico. L'omosessualità vista come "possessione demoniaca" da esorcizzare a colpi di violenza ed ignoranza, un dolore e una "passione" che non possono essere ignorati, né da Dio ne da qualsiasi altra divinità in ascolto. Se non avete il coraggio di imbarcarvi nell'impresa di vedere 26 horror diversi cercate di recuperare almeno questo.


K is for Knell di Kristina Buozyte e Bruno Samper (Lei Lituana, lui - credo - francese, lei regista di Vanishing Waves, lui alla prima esperienza dietro la macchina da presa).
Kaspita! Altro bellissimo episodio, meravigliosamente diretto e inquietante al punto giusto, mi ha ricordato Il male di Dylan Dog per il modo assolutamente casuale ed invasivo con cui, per l'appunto, il male può penetrare nel cuore delle persone e cambiarle per sempre. Per la cronaca, "knell" solitamente sta ad indicare il rintocco funebre.


L is for Legacy di Lancelot Imasuen (Nigeriano, classe 1971)
Leggero. Interessante perché si misura con miti e leggende tribali, per il resto il corto non è nulla di che, sia per la realizzazione che per la trama e si dimentica facilmente.

M is for Masticate di Robert Boocheck (Americano, classe 1976, regista del corto Horrific)
Mah. Simpatico ma ininfluente e, a causa di una mancanza di sottotitoli, non ho capito cosa diavolo abbia causato la follia zombesca/cannibale del ciccione protagonista che, tra l'altro, mette davvero ansia (peccato per gli occhi, le lenti a contatto sono palesemente finte)

N  is for Nexus di Larry Fessenden (Americano, classe 1963, regista di Habit e The Last Winter)
Non particolarmente esaltante. Bellissimo il montaggio, molto serrato, un incrocio di messaggi, orologi e distrazioni ma si sa dove andrà a parare il corto fin dalle prime immagini. Belli però gli omaggi a La moglie di Frankenstein e l'ambientazione a tema Halloween.

O is for Ochlocracy (mob rule) di Hajime Ohata (Giapponese, regista di Henge)
Originale! Dopo un paio di episodi mosci doveva arrivare la follia giapponese a salvarci tutti! L'abusata apocalisse zombie sviscerata da un punto di vista assai particolare, grottesco e anche commovente. Non sarebbe male un film dedicato all'argomento!


P is for P-P-P-P SCARY! di Todd Rohal (Regista, sceneggiatore, attore e produttore americano)
P is for P-P-P-P PUTTANATA! No, davvero. Simpatico l'omaggio ai Tre Marmittoni, alle gag anni '30, al bianco e nero, a quel che volete ma non c'era un altro regista un po' più "a tema", magari un italiano, a cui affidare la lettera P? Mah.

Q is for Questionnaire di Rodney Ascher (Americano, regista del documentario Overlook Hotel - Stanza 237)
Quasi riuscito. Nel senso che, anche lì, fin dall'inizio sappiamo dove andrà a parare il test sull'intelligenza condotto da una simpatica impiegata, però il risultato è comunque impressionante e sconsigliato ai deboli di stomaco.

R  is for Roulette di Marven Kren (Tedesco, regista di Rammbock: Berlin Undead e The Station)
Raffinato. Non si può dire che non lo sia e ad un certo punto ho pensato che una simile sequenza sarebbe stata perfetta per Bastardi senza gloria. Il soggetto è dei più abusati (lo potete capire dal titolo a quale roulette ci si riferisca) ma l'orrore dell'attesa è reso benissimo.

S is for Split di Juan Martinez Moreno (Spagnolo, classe 1966, regista di Game of Werewolves)
Superbo. Abbiamo un vincitore, signori, o perlomeno un corto che se la gioca col meraviglioso J is for Jesus. Un utilizzo incredibile dello split screen per una storia agghiacciante e violenta, un pugno nello stomaco con un finale da mascella per terra. Capolavoro, senza esagerare.


T is for Torture Porn di Jen e Sylvia Soska (Gemelle canadesi, classe 1983, registe di American Mary)
TeriBBile. E non in senso buono. Va bene la critica al maschilismo imperante nell'industria ma le patate tentacolate ormai sono demodé tanto quanto i flash psichedelici di cui è infarcito questo corto che, peraltro, continua anche dopo i lunghissimi titoli di coda del film, con la partecipazione speciale di Laurence R. Harvey (vi dice niente The Human Centipede 2?).

U is for Utopia di Vincenzo Natali (Americano, classe 1969, regista di Cube - Il cubo e Splice)
Uhm. Da un nome conosciuto come Natali mi aspettavo di più ma l'idea di un mondo fatto di centri commerciali e persone bellissime che deve "difendersi" dall'imperfezione è sempre affascinante.

V is for Vacation di Jerome Sable (Canadese, regista di Stage Fright)
Vaccata insopportabile. Non tanto per la realizzazione, interessantissima e con un furbo utilizzo del cellulare come mezzo di ripresa, soggettiva e comunicazione, quanto per i protagonisti. Due "amici" (più che altro due imbecilli) in vacanza; mentre uno telefona alla fidanzata cercando di nasconderle le prove dell'ovvio puttantour in cui si sono impelagati la sera prima l'altro, forse perché detesta la fidanzata dell'amico, prende il telefono e le mostra TUTTO. Ma proprio tutto. Vai a saper perché. Ho amato il finale, comunque.

W is for Wish di Steven Kostanski (Canadese, regista di Manborg e Father's Day)
Wow! Dopo la J e la S questo è indubbiamente il mio corto preferito. Immaginate di poter, per un giorno, finire catapultati in un universo assai simile a quello dei Masters. Uuh, direte, che figata per un bambino poter lottare fianco a fianco coi suoi beniamini! Seh, un par di ciufoli. Non aggiungo altro, guardatelo.


X is for Xylophone di Julien Maury e Alexandre Bustillo (Francesi, registi di A' l'interieur e Livide)
eXagerato. E non mi aspettavo di meno da quei due maledetti che hanno girato A' l'interieur. Come al solito i francesi strafanno e massacrano tutti gli altri 25 episodi, sia in quanto a splatter che in quanto a sonoro e musica. Il finale è il più scioccante della raccolta ma è anche molto prevedibile... è la tensione che si crea prima che conta.


Y is for Youth di Soichi Umezawa (Giapponese, al suo primo lavoro come regista)
Yew. Non che non mi sia piaciuto, anzi, è uno dei corti più originali ma alcune immagini sono davvero disturbanti, oltre che perfette per incarnare l'incoerente e dovuta ribellione di un'adolescente giapponese alle prese con due genitori che meritano ogni tortura immaginata dalla ragazzina.

Z is for Zygote di Chris Nash (Canadese, aveva già provato a partecipare al primo The ABCs of Death con un corto chiamato T is for Thread ma gli era stato preferito il devastante T is for Toilet)
Zio cantante (come direbbe Elio)! Un finale che stende, letteralmente, un body horror triste, disgustoso e opprimente come forse neanche Cronenberg l'avrebbe concepito. Certo, la trama è un gigantesco punto interrogativo ma come morte forse è la più fantasiosa della raccolta e il corto in sé non mi è dispiaciuto affatto.


E' finita anche quest'anno e devo dire che il secondo capitolo di quella che ormai è diventata la migliore vetrina horror cinematografica esistente è molto più bello del primo. A parte un paio di episodi supercazzola, la qualità dei corti è molto alta e, soprattutto, in essi c'è molto più equilibrio; il primo The ABCs of Death era soprattutto splatter e weird, questo spazia un po' in tutte le variazioni dell'horror e ha un ritmo meno forsennato, tanto che sono riuscita a guardarlo senza ritrovarmi con il mal di testa atroce e la voglia di vomitare che mi avevano attanagliato col suo predecessore... Inoltre anche i titoli di testa sono gradevolissimi, dal sapore antico. C'è da sperare che The ABCs of Dead 3: Teach Harder, previsto per il 2016 e nominato nei titoli di coda, si faccia davvero... magari con qualche italiano in mezzo! Nell'attesa, se il film vi fosse piaciuto vi consiglierei di cercare gli altri titoli diretti dai registi coinvolti, come al solito, (cosa che farò io) oppure guardare The ABCs of Death e Creepshow. ENJOY!

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