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lunedì 19 ottobre 2009

L’arte degli Anni ‘80 in mostra a Monza

Una mostra sull’arte degli Anni ‘80 è aperta a Monza, presso il Serrone della Villa Reale e il centralissimo Arengario: rimarrà aperta dal 17 ottobre 2009 al 14 febbraio 2010.

Gli anni 80. Il trionfo della pittura. Da Schifano a Basquiat ripercorrerà con cento opere di grandi dimensioni il decennio dell’esplosione del colore, dell’apparenza e del “firmato”. C’è la Transavanguardia italiana con i Nuovi Selvaggi tedeschi, il fenomeno allora nuovo dei graffitisti americani agli Anacronisti italiani. Gli artisti rappresentati sono una cinquantina: spiccano i nomi notissimi di Mario Schifano e Mimmo Paladino, di Jean-Michel Basquiat e Keith Haring… Troviamo anche Clemente, Ontani, Baselitz, Kiefer, Lupertz, Middendorf, Schnabel, Barcelò, Halley, Kapoor e Cragg.

Inoltre la mostra, curata da Marco Meneguzzo e promossa dal Comune di Monza con il patrocinio della Provincia di Monza e Brianza, esamina i mutamenti politici, linguistici e sociali degli “Eighties”, anni che vissero il fermento della perestrojka e del crollo dei regimi comunisti dell’Europa orientale.


Francesco Clemente, “Senza titolo" (Autoritratto con limone)”, 1980

mercoledì 16 luglio 2008

La beffa di Modigliani


Il 25 luglio 1984, con vasta eco sui mass media, venivano ripescate dal Fosso Reale di Livorno tre sculture, presunte opere di Amedeo Modigliani, delle teste appena abbozzate. Giulio Carlo Argan disse che erano autentiche e prese un colossale abbaglio, così come molti altri luminari della Storia dell’Arte.

Non Federico Zeri che sulla “Stampa” scrisse:

"Vere o false, le tre pietre sono pezzi di anodino livello così scarso che per esse non valgono neppure gli epiteti di giudizio qualificante. Se autentiche esse rappresentano per così dire la preistoria di Modigliani, che fece bene a disfarsene. Ma qui nascono, in folla, le considerazioni che suscita la vicenda. La prima è l'arroganza con cui la critica d'arte contemporanea impone al pubblico tutto ciò che essa considera valido e degno di nota. Il pubblico è considerato dai Vati e dai Druidi della critica come una massa amorfa, incapace di giudicare senza la guida di 'color che sanno', cioè di quella odierna varietà dei chierici di un tempo che sono i critici d'arte. Costoro adoperano un linguaggio oscuro, involuto, profetico, degno della Pizia e della Sibilla Cumana. Beninteso, dietro gli ispirati vaticini dei critici si muovono interessi commerciali: da almeno cento anni tutto il fenomeno dell'arte contemporanea riconosciuta dai critici è un colossale fenomeno di mercificazione e di speculazione, del tutto staccato dai reali interessi figurativi della società e delle masse.
Guai se queste ultime si ribellano: esse debbono restare docili, subire l'arte. In realtà l'arte contemporanea è uno smaccato fenomeno di élite, ad uso e consumo degli intellettuali. Ed è deplorevole che la corrente critica di ispirazione marxista si sia lasciata irretire da questi e non li abbia combattuti come meritano; a meno che l'autentica arte moderna destinata alle masse non vada riconosciuta nel cinema, nei fumetti, nei manifesti pubblicitari.
L'episodio inaudito di Livorno sollecita un'altra considerazione, ed è la facilità con cui si riesce a falsificare l'arte moderna. Che una o più delle teste ripescate abbiano potuto suscitare un tale clamore in quanto sospettate false, tale ipotesi, presa sul serio è di per sé una prova della vacuità di quei prodotti. Il filo tra vero e falso viene a fondersi in un unico calderone in cui, come in talune zuppe di verdura, tutto è buono, tutto fa brodo”.

La beffa dura fino al 4 settembre, quando i tre ragazzi livornesi autori delle “Teste” annunciano di avere le prove della loro falsificazione: schegge di pietra combacianti e fotografie scattate durante la lavorazione. Ma i critici d’arte, in testa Dario Durbé, soprintntende della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, non ci stanno ad essere sbugiardati.

Durbé dichiara: “Su questa storia c'è ben poco da ridere. Tutto odora squallidamente di marcio: io parlerei piuttosto di longa manus di chi ha interesse ad operare ai danni dell'arte e dell'amministrazione. Perché non parlare di mafia invece?”

Il leader dei ragazzi, lo studente Michele Genovese, “bocconiano”, continua a confermare:

"Confermo che la testa Modì 2 è stata realizzata nei giorni precedenti il ritrovamento. L'abbiamo fatta in pochi giorni di lavoro, dedicandole una o due ore al giorno. La pietra è stata lavorata con attrezzi che chiunque può avere in casa (scalpello da muratore a punta grossa, cacciavite, trapano per smerigliare) nel mio giardino. La statua è stata gettata nel fosso fra il 23 e il 24 luglio mentre una persona forse ci ha visti dal piano alto di un edificio dall'altra parte del fosso (noi l'abbiamo buttata dalla parte del mercato del pesce). Eravamo sicuri che sarebbe stata subito riconosciuta come un falso, anche perché nessuno di noi ha mai compiuto o compie studi artistici né ha dimostrato di avere doti artistiche, almeno fino ad ora".

Così il 10 settembre i tre ragazzi, davanti alle telecamere della RAI, con trapano e scalpelli scolpiscono un’altra testa, identica a quelle ritrovate.

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