Vado contro corrente e dico che per me questo romanzo è stato una d e l u s i o n e. Vero che l’autrice Susan Vreeland ha messo le mani avanti con una Vado contro corrente e dico che per me questo romanzo è stato una d e l u s i o n e. Vero che l’autrice Susan Vreeland ha messo le mani avanti con una nota di apertura che dice:
” Un romanzo storico o che riguardi un personaggio storico è e deve essere un'opera dell'immaginazione, fedele al tempo e al personaggio, certo, ma fedele ai fatti solo nella misura in cui i fatti possano fornire un intreccio credibile.”
Grazie tante ma questo ce lo avevo già spiegato il Manzoni!
Artemisia Gentileschi è stata una donna rivoluzionaria che ha lasciato all’umanità un grande patrimonio artistico. Non è certo l’alterazione della sua biografia che mi ha infastidito ma -nell’intento di dimostrare che la Gentileschi tra l’amore e l’arte abbia scelto quest’ultima – ha scritto pagine che sanno di YA concentrandosi molto sul suo sacrificio in nome della pittura (falso perché se il marito era freddo ebbe di sicuro un amante).
La passione di Artemisia è, innanzitutto, nella rinuncia; e qui scatta il secondo elemento che non ho gradito: per quanto la Gentileschi sia stata innovativa, la Vreelend la riveste di caratteri che sono esageratamente fuori fuoco non appartenendo all’epoca e al contesto. Questa idea, ad esempio, della donna che deve scegliere tra professione e famiglia appartiene a dibattiti e riflessioni impensabili nel ‘600 e vabbè il “vero poetico” ma io l’ho trovata una stonatura. Ci sono poi tutta una serie di riflessioni sulla condizione femminile che ho trovato troppo inverosimili in un'epoca in cui le donne non avevano discorsi condivisi e coscienti anche per l’ombra minacciosa dell’Inquisizione. La Vreeland sicuramente aveva non solo studiato bene le tele ma si sente che le ha amate. La descrizione dei quadri è attenta e coglie significati e particolari importanti. Sicuramente riesce bene a tratteggiare la caparbietà di questa donna che s’impone in un ambiente solitamente precluso alle donne.
Con me, tuttavia, questo romanzo non ha funzionato. Ho trovato l’intreccio narrativo troppo artificioso e forse più adatto ad un pubblico americano
«Ella si diceva che la vita è questo segno di crudeltà dispensate senza risparmio; uno spreco, uno scialo di colpi del destino».
Secondo volume del «Ella si diceva che la vita è questo segno di crudeltà dispensate senza risparmio; uno spreco, uno scialo di colpi del destino».
Secondo volume del ciclo “Una storia italiana”, Lo Scialo (1960) è la continuazione temporale di “Metello” riprendendo il racconto laddove si fermava, ossia alla vigilia della prima guerra mondiale. Lo scialo sposta, tuttavia, l’attenzione dal mondo operaio (che comunque non può essere escluso ma appare) a quello borghese e al suo opposto contadino.
Strutturato in sette libri, il romanzo si dipana dal 1914 agli anni ’30 a Firenze e nel suo contado dove entrano in scena dieci famiglie oltre ad una miriade di altri personaggi che ruotano attorno. Sono: I Vegni e Corsini/ i Batignani e i Maestri/ i Bigazzi e i Malesci/ i Falorini, i Bertini i Sangiorgi e i Neri Una vera e propria epopea fiorentina che pullula di voci a volte sovrapposte. Un romanzo allo stesso tempo appassionante e complesso proprio per questa umanità così vivace.
Sono personaggi che denunciano la dolorosa solitudine in cui si dibattono e rimangono impigliati, prigionieri di maschere sociali che l’avvento del fascismo non fa che incollare più strettamente ai loro visi.
[image] Squadra d'azione fascista "La Disperata"- Firenze 1921 -
La Storia, infatti, non è uno sfondo scenografico blandamente necessario ma il fulcro della penna di Pratolini. E’ attorno ad essa che la fantasia del romanziere incastra le esistenze dei suoi personaggi facendo spreco delle proprie energie, uno scialo, per l’appunto (Il titolo si collega a Montale: «La vita è questo scialo di triti fatti, vano più che crudele. E la vita è crudele più che vana»)
[image] Sceneggiato del 1987 con Eleonora Giorgi e Massimo Ranieri-
Il mondo precipitata, la Storia incalza e chiede prepotente di prendere posizione: l’illusione di poter stare a guardare dalla finestra, nessun può defilarsi, anche chi non si dichiara, in realtà, ha già preso posto risucchiato da un gregge famelico.
La Storia accade mentre le vite dei singoli si sfilacciano. Ognuno sembra perso nella propria immagine di Narciso.
Romanzo importante, coinvolgente e consigliato a chi non si spaventa di fronte ad oltre 1200 pagine.
"Che fare?" infine mi rispose. "So che a un certo momento gli uomini come me dovranno scegliere. E non per elezione, ma saranno i fatti, le circostanze, a costringerli, ciò che accade quotidianamente. Le intimidazioni, le stragi, dall'una come dall'altra parte. Quando ci si trova come adesso in un clima di guerra civile, è ridicolo ricercare l'origine di questa o quella provocazione. Non si può rimanere tra questi due fuochi. Ossia, lì sarebbe il nostro posto. Ma è il fuoco vero, moschetti e pistole, il piombo non consente distinzioni. Mantenersi sulla terra di nessuno, vuol dire crepare come in un limbo. L'operazione igienica di Pilato non è più possibile. Non potremo mai dire di avere le mani pulite."...more
” E incominciò a pensare che una società basata sulla superiorità della forza, su crudeltà sconosciute anche ai barbari, su delitti spaventevoli e su” E incominciò a pensare che una società basata sulla superiorità della forza, su crudeltà sconosciute anche ai barbari, su delitti spaventevoli e su una depravazione pazza e furiosa, non poteva durare a lungo. Roma dominava il mondo, ma ne era anche l’ulcera.”
Pubblicato prima a puntate nel 1894 e, poi, in un unico volume nel 1896, “Quo vadis” è un grande romanzo storico che vale tutte le trasposizioni cinematografiche prodotte. Coinvolgente per l’intreccio tra un solido impianto storico e la parte fantasiosa creata dallo scrittore polacco Henryk Sienkiewicz che, dopo pochi anni (1905), fu premiato con il Nobel.
La storia si svolge a Roma nel 64 d.C., epoca in cui domina Nerone di cui si sono narrate nefandezze di ogni genere e che, solo recentemente, gli storici stanno riabilitando. In ogni caso, qui Sienkiewicz si basa fondamentalmente su “Annali” di Tacito, opera da cui trae moltissimo materiale per mettere in scena la società romana ed i suoi personaggi. In particolare Petronio che è tra i protagonisti principali ed è il primo a d esserci presentato proprio ricalcando la descrizione fatta da Tacito: e che si riassume con l’epiteto arbiter elegantiarum. ossia, maestro di raffinatezza.
” Petronio si svegliò solo verso mezzogiorno, e, come al solito, prostrato e annoiato. La sera prima egli era stato alla festa di Nerone, la quale si era protratta fino a tarda ora della notte.”
Così si apre il romanzo. Petronio si dedica al rituale del bagno ed è in questa situazione che riceve l’immaginario nipote Marco Vinicio di ritorno da una guerra coi Parti. La visita si rivela come richiesta di aiuto: Marco Vinicio si è follemente innamorato di una fanciulla e deve assolutamente averla. Il su nome è Licia figlia di un re del nord. Arrivata a Roma come ostaggio è stata accolta ed ospitata da una conosciuta famiglia patrizia. Questo avvio crea una storia di fantasia dove, almeno inizialmente, Marco Vinicio, aderisce in pieno alla tradizione patrizia di ottenere anche con la forza ciò che si desidera. Quello che il giovane Vinicio ancora non sa è che Licia è stata iniziata ad una nuova fede religiosa.
La storia, infatti, s’inserisce in un momento storico cruciale, ossia quello in cui il cristianesimo sta prendendo forma e forza. Roma, città notoriamente liberale, in materia religiosa (i culti ammessi erano centinaia) non ha emesso editti particolari contro questo nuovo (sono passati poco più di trent’anni dalla crocefissione di Cristo) culto orientale ma sono le voci che corrono a prendere forza e sono voci che indicano i cristiani come malvagi e capaci di azioni crudeli.
Il romanzo riesce bene ad inquadrare la posizione rivoluzionaria che ebbe il cristianesimo all’interno di una società che basava la sua morale sul salomonico “occhio per occhio” e godeva ad assistere alla ferocia degli spettacoli circensi. I cristiani bisbigliano una parola nuova che si chiama “perdono” ma come ogni movimento radicale e nuovo non tardano a diventare capri espiatori delle manovre politiche.
L’incendio di Roma è descritto in modo strepitoso: l’autore ci porta a galoppo con Marco Vinicio che da Anzio ritorna a Roma e con lui il lettore si addentra nel fuoco divoratore.
Grande lettura che calibra perfettamente Storia e fantasia creando personaggi indimenticabili come quell'eroe involontario di nome Ursus.
”E così Nerone è passato come un turbine, come una tempesta, come un incendio, come passa la guerra o la morte. Ma la basilica di Pietro, dall'alto del Vaticano, domina ancora la città e il mondo. Vicino all'antica porta Capena, ancora oggi si vede una piccola cappella, coll'iscrizione alquanto logorata: Quo vadis, Domine?”
Pubblicata nel 1822, l’Adelchi è una tragedia in cinque atti in cui l’autore porta a compimento le sue innovazioni sia nei contenuti e sia nella formaPubblicata nel 1822, l’Adelchi è una tragedia in cinque atti in cui l’autore porta a compimento le sue innovazioni sia nei contenuti e sia nella forma del dramma teatrale. In breve, Manzoni, annulla le unità aristoteliche che considera troppo artificiose e definisce compito del poeta quello di mettere in scena il verosimile. Il letterato, infatti, ha la capacità di immaginazione e può quindi dotare il personaggio storico di pensieri e sentimenti, aggiungendo, così, uno spessore morale alla Storia.
L’Adelchi è la storia della definitiva sconfitta del popolo Longobardo avvenuta tra il 772 ed il 774. La tragedia ha come protagonisti principali, quindi, l’ultimo re longobardo Desiderio che incita il figlio Adelchi alla vendetta dell’oltraggio subito dalla sorella Ermengarda ripudiata dal marito Carlo Magno.
Rispetto ai fatti storici, cosi come conosciuti all’epoca del Manzoni, vi sono due anacronismi: il primo quando si apre la scena senza Asla, moglie di Desiderio, dicendo che era morta (ma in realtà fu, anch’essa imprigionata e portata in Francia assieme a Desiderio); il secondo, si riferisce alla morte di Adelchi a Verona (mentre in realtà scappò a Costantinopoli e mori più tardi).
Fedeltà e tradimenti si aggiungono al tema della provvidenza divina che ha un sapore fatalista:
”ADELCHI La gloria? il mio Destino è d’agognarla, e di morire Senza averla gustata. Ah no! codesta Non è ancor gloria, Anfrido. Il mio nemico Parte impunito; a nuove imprese ei corre; Vinto in un lato, ei di vittoria altrove Andar può in cerca; ei che su un popol regna D’un sol voler, saldo, gittato in uno, Siccome il ferro del suo brando; e in pugno Come il brando lo tiensi. Ed io sull’empio Che m’offese nel cor, che per ammenda Il mio regno assalì, compier non posso La mia vendetta! Un’altra impresa, Anfrido, Che sempre increbbe al mio pensier, né giusta Né gloriosa, si presenta; e questa Certa ed agevol fia.”
La storia dei vincitori e la storia dei vinti è un ciclo in cui ci si scambia i ruoli ma rimane immutata nella sua essenza:
”D’un volgo straniero por fine al dolor? Tornate alle vostre superbe ruine, All’opere imbelli dell’arse officine, Ai solchi bagnati di servo sudor. Il forte si mesce col vinto nemico, Col novo signore rimane l’antico; L’un popolo e l’altro sul collo vi sta. Dividono i servi, dividon gli armenti; Si posano insieme sui campi cruenti D’un volgo disperso che nome non ha.”
(Coro alla fine del II° atto)
Così la poesia fonde la storia di ieri con quella contemporanea all’autore dove l’Italia si “doveva ancora fare” e il popolo era ancora diviso....more
«In realtà, Pannychis, se c'è una cosa che mi preoccupa,» mormorò Tiresia «è che non esistono storie irrilevanti. Tutto è connesso con tutto.»
Una «In realtà, Pannychis, se c'è una cosa che mi preoccupa,» mormorò Tiresia «è che non esistono storie irrilevanti. Tutto è connesso con tutto.»
Una breve quanto densa rilettura mitologica di uno degli scrittori più pungenti che conosca. Abile nel condensare le trame che si trasformano in frecce precise.
Siamo a Delfi, la Pizia (sacerdotessa di Apollo) Pannychis XI è stufa di quel che fa: raccontare frottole alla gente credulona. Ormai, però, è troppo tardi. Lei è diventata anziana e tutto si è trasformato in un circolo vizioso: più loro ci credono, più risultano patetici, più lei si accanisce ad inventarne i destini. Così succede che quando le si presenta un altezzoso principe le viene in mente di fare ” una profezia che più insensata e inverosimile non avrebbe potuto essere, la quale, pensò, non si sarebbe certamente mai avverata, perché nessuno al mondo può ammazzare il proprio padre e andare a letto con la propria madre, . Il suo nome era Edipo...
Quando la Pizia sente avvicinarsi la morte si riunirà con il veggente Tiresia e la terribile Sfinge. Ne nasceranno racconti ingarbugliati dove la versione dei fatti si contorce e cambia pelle come un viscido rettile.
Un gran pasticcio questo mondo antico. E’ questa l’origine della cultura occidentale? Frodi, tradimenti, incesti, assassini menzogne su menzogne, corruzione e depravazione all’ordine del giorno...
”Dimentica le vecchie storie, Pannychis, non hanno alcuna importanza, in questa grande babilonia siamo noi i veri protagonisti. Noi due ci siamo trovati di fronte alla stessa mostruosa realtà, la quale è impenetrabile non meno dell'essere umano che ne è l'artefice. Forse gli dèi, ammesso che esistano, potrebbero godere dall'alto di una certa visione d'insieme, sia pure superficiale, di questo nodo immane di accadimenti inverosimili che danno luogo, nelle loro intricatissime connessioni, alle coincidenze più scellerate, mentre noi mortali che ci troviamo nel mezzo di un simile tremendo scompiglio brancoliamo disperatamente nel buio. Con i nostri oracoli sia tu sia io abbiamo sperato di portare la timida parvenza di un ordine, il tenue presagio di una qualche legittimità nel truce, lussurioso e spesso sanguinoso flusso di eventi dai quali siamo stati travolti proprio perché ci sforzavamo di arginarli, sia pure soltanto un poco.”...more
Keyla la Rossa è il romanzo scandaloso di Isaac Bashevis Singer che uscì a puntate s’una rivista yiddish di New York e poi quasi dimentiRiccioli rossi
Keyla la Rossa è il romanzo scandaloso di Isaac Bashevis Singer che uscì a puntate s’una rivista yiddish di New York e poi quasi dimenticato. Alcuni dicono che sia stata l’assegnazione del premio Nobel nel 1978 a ritardare la traduzione in inglese: Singer, infatti, scriveva in yiddish. La storia offre una panoramica degli angoli nascosti dei quartieri ebraici dove ladri e puttane fanno vergognare la gente per bene e per questo vengono marchiati e condannati alla solitudine sociale.
E’ il 1911. Keyla, detta la Rossa (cosi detta per “suoi riccioli rossi, che brillavano simili a lingue di fuoco “), è una nota prostituta che sembra essersi ritirata dalla professione dopo aver sposato Yarme, un ladro incallito. E’ il 1911 e siamo a Varsavia, città inglobata nel territorio russo e dove pullulano cerchie di oppositori al regime zarista. Una città in cui risuonano le attività di artigiani, le preghiere degli osservanti, gli sguardi d’intesa tra gli appartenenti ai gruppi segreti socialisti o anarchici e poi le voci sguaiate della feccia umana che pensa a vivere un eterno oggi.
Ma c’è un sogno che accomuna tutti. Sempre quello: la fuga in America. Il sogno di un luogo in cui ricominciare, leccarsi le ferite reinventarsi e –chissà? - per quelle come Keyla potrebbe essere, finalmente, l’occasione per cancellare ogni peccato.
Keyla, la sgualdrina trabocca d’amore ma, attorno a lei, ruotano tre uomini (Yarme, Max e Bunem) che non sanno dare ma solo prendere. Se lei è il miele, loro sono api ronzanti e pericolose, ognuno alla sua maniera.
Può bastare una fuga per cancellare il passato?
"A Bunem sembrava che gli uomini la guardassero con concupiscenza. Nonostante tutto era sempre bellissima. I capelli rossi, gli occhi verdi e la pelle candida facevano pensare a un dipinto.”...more