Sono stata indecisa per un bel po’: leggere prima una delle opere di Dostoevskij che mi mancano, oppure la sua biografia scritta da Zweig, o invece quSono stata indecisa per un bel po’: leggere prima una delle opere di Dostoevskij che mi mancano, oppure la sua biografia scritta da Zweig, o invece questo memoriale della moglie? Infine ho deciso che sarebbe stato interessante vedere Dostoevskij con gli occhi della donna che lo amava, che ha cercato di donargli tutta la serenità possibile negli anni in cui gli fu accanto, e alla quale dobbiamo la riuscita stesura di alcuni capolavori. Anna Grigoryevna era una ragazza intelligente, di famiglia agiata, che non avrebbe avuto bisogno di lavorare, ma che decise di imparare la stenografia per trovare un lavoro e rendersi indipendente. Il primo lavoro, che le fu trovato da uno dei suoi insegnanti, fu quello di assistere lo scrittore Dostoevskij nella stesura de “Il Giocatore”. Lei fu al contempo entusiasta e intimorita da tale opportunità, essendo egli uno dei suoi scrittori preferiti; la primissima impressione che ne ebbe, una volta incontratolo, non fu forse delle più eccezionali, ma lavorandogli accanto ogni giorno, discorrendo con lui, le cose cambiarono; tanto che, finita la stesura del romanzo, dopo una goffa e dolce dichiarazione di Fedor, si fidanzarono e qualche mese dopo si sposarono. E Anna salvò lo scrittore in più di un modo, fin dall’inizio: quando si incontrarono lui era strozzato dai debiti, e da un contratto capestro con l’editore per cui, se non avesse consegnato il tempo Il Giocatore, avrebbe perso i diritti sulle proprie opere per dieci anni. Fu grazie a lei se Dostoevskij poté lavorare in maniera più efficiente e tranquilla, trovando anche sollievo e comprensione nella sua compagnia, portando così a termine il lavoro.
Attraverso il racconto della moglie conosciamo un uomo tenero, sensibile, ma anche impulsivo e fortemente geloso, che si abbandonava a sfuriate melodrammatiche per poi pentirsi in fretta e inginocchiarsi ai suoi piedi chiedendole perdono. Un uomo che cercava in tutti i modi di renderla felice, e che si doleva di farla vivere in condizioni sempre al limite della povertà, coi creditori alle calcagna e alla porta uno stuolo di familiari che pretendevano di essere mantenuti. Troviamo un padre affettuoso, che amava profondamente i propri figli e aveva estrema cura di loro, e un marito che, quando poteva, era felice di fare alla moglie bei regali. Lei, vedendolo contento come un bambino, non aveva il coraggio di dirgli che avrebbe preferito usare quei soldi in maniera più utile. Era buono e generoso, Dostoevskij. Sensibile, tanto forte sotto certi aspetti quanto debole in altri. Saggio, ma anche ingenuo; aveva troppa fiducia nella bontà delle persone, così che era facile imbrogliarlo e spillargli soldi; o, per gli editori, pagarlo molto meno di quanto venissero ricompensati gli altri scrittori. Anche in questo Anna lo aiutò: gestì i rapporti con editori e librai, si fece carico di molte questioni, perché non gravassero sulle spalle del marito, si occupò della gestione del denaro, e lo fece tanto bene da riuscire a estinguere tutti i debiti. Purtroppo Dostoevskij morì poco tempo dopo, e non poté godere di quella vita alleggerita dalle sue preoccupazioni economiche. Per tutti i quattordici anni del loro matrimonio, Anna visse solo per Fedor. Si consacrò completamente a lui, fece tutto ciò che poteva, e anche di più, per rendere più semplice e serena la sua vita, e rinunciò alla tanto sognata indipendenza, alle proprie aspirazioni, alle passioni, alle piccole vanità. Scelse un’esistenza difficile, accanto a un uomo ben più vecchio di lei, malato, indebitato, con il vizio del gioco… certo quell’uomo era Dostoevskij, ma fa comunque uno strano effetto leggere di come questa donna giovane e intelligente si fosse annullata per vivere solo in funzione di lui e del suo genio. Più ci penso e più sono convinta che sì, è grazie ad Anna Grigoryevna se certi capolavori hanno visto la luce, e se il loro autore ha conosciuto, almeno per un po’, la felicità. Credo anche di aver fatto una buona scelta nel leggere questo memoriale. Forse anzi sarebbe la prima cosa da leggere, prima di affrontare l’opera di Dostoevskij: aiuterebbe a capire meglio l’uomo, la sua personalità, il difficile contesto in cui si trovava costretto a vivere e a scrivere. Cinque stelline non le assegno certo per lo stile, ma per riconoscenza verso Anna, e per l’intimità che ci ha permesso di condividere con uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi. ...more
"Noi" è una distopia che ha ispirato e influenzato autori come Orwell e Huxley; avendola letta solo dopo questi due romanzi ho potuto cogliere al megl"Noi" è una distopia che ha ispirato e influenzato autori come Orwell e Huxley; avendola letta solo dopo questi due romanzi ho potuto cogliere al meglio questo aspetto, ed è stato come un ulteriore piacere nella lettura. "Piacere" tra virgolette, perché come in ogni distopia, la società qui descritta è un incubo: la morte dell'individualità, del libero arbitrio, delle emozioni, e anche della sfera privata. Gli esseri umani non hanno più nome, ma sono distinti da codice alfanumerico, vivono in case trasparenti dove nulla può essere celato, lo Stato Unico fissa orari obbligatori e comuni per ogni cosa, dalla sveglia, al lavoro, il passeggio, fino al sesso. Su questa società assimilabile a un unico grande organismo regna il Benefattore, mentre i suoi Guardiani vigilano, pronti a segnalare e catturare chiunque non si uniformi alle direttive, perché venga eliminato, in quanto dannoso e 'nemico della felicità'. La narrazione in prima persona aiuta a calarsi meglio nell'atmosfera asettica di questo mondo svuotato dalla fantasia e dai sentimenti; la paura, i dubbi e la confusione del protagonista diventano palpabili. Questo anche grazie allo stile particolare in cui il romanzo è scritto: spezzato, direi, con frasi lasciate in sospeso, con situazioni che vengono lasciate all'intuito, più che mostrate, e con accostamenti netti che rendono descrizioni lapidarie ma estremamente efficaci: il sorriso-coltello, le orecchie-ali... Ha un che quasi di futurismo, e in un certo senso è strano che mi sia piaciuto, visto che quella è una corrente che non apprezzo granché. Se apprezzate le distopie, o se anche solo avete letto '1984' o 'Brave New World', non potete mancare di leggere Zamjatin, che con questo romanzo angosciante in pratica creò un genere, e che purtroppo non gode della stessa grande fama dei suoi discepoli. ...more
A Bulgakov sono debitrice di parecchie ore di belle letture, ma questa volta, al 33% di libro (a quanto mi dice il kindle) mi tocca abbandonare il camA Bulgakov sono debitrice di parecchie ore di belle letture, ma questa volta, al 33% di libro (a quanto mi dice il kindle) mi tocca abbandonare il campo e dichiararmi sconfitta. Cercherò consolazione tra le braccia di Gogol. ...more
"L'intelligenza si ha per questo, per raggiungere quello che si desidera. Se non puoi percorrere una versta, fa' cento passi, è comunque meglio, sarai"L'intelligenza si ha per questo, per raggiungere quello che si desidera. Se non puoi percorrere una versta, fa' cento passi, è comunque meglio, sarai pur sempre più vicino allo scopo, se è verso uno scopo che stai andando. Ma se vuoi a tutti i costi giungere allo scopo in un sol passo, questo a parer mio non è affatto intelligenza. Anzi, la definirei addirittura poltronaggine. Le fatiche noi non le amiamo, a un passo alla volta non siamo abituati a camminare, secondo noi russi è meglio volare dritti allo scopo in un sol passo, oppure finire come Attilio Regolo."
Questo è il Dosto che mi sgrida dall'Aldilà. Pur non essendo io russa....more
Avevo voglia di un po’ di ‘russità’, ma che fosse lieve, e questo è stato il romanzo ideale. “Vicenda umoristica travolgente” è un'esagerazione perché Avevo voglia di un po’ di ‘russità’, ma che fosse lieve, e questo è stato il romanzo ideale. “Vicenda umoristica travolgente” è un'esagerazione perché sì, Goncarov prende un po’ garbatamente in giro la società russa, e i giovanotti con la testa piena di ideali romantici, che si credono unici e speciali e superiori a tutti, e così pure gli adulti irrigiditi dalla logica, dal calcolo e dall’autocontrollo, ma tutto ciò evoca riflessioni e al massimo qualche sorriso, nulla di umoristico nel senso moderno del termine. Certo, c’è un che di amaramente comico nel protagonista e nel suo modo di reagire alle varie delusioni, amorose o d’amicizia che siano (oh, donne ingannatrici, amico traditore, oh mondo crudele che invidia il mio talento e non lo riconosce e mi costringe a guadagnarmi da vivere lavorando in ufficio e scrivendo di patate e concimi, oh, io non amerò mai più, mai più, oh umanità squallida contro cui io, anima illuminata, mi devo scontrare etc etc) e nel vedere lo zio che spietato lo smonta, mettendo in luce i suoi errori, il suo essere egocentrico e irresponsabile, ma è appunto una satira garbata alla società del tempo e alle sue ipocrisie, non certo un racconto che susciti risate. A causa del vivere di soli sogni e ideali, che vagheggia l’amore assoluto e la vita di scrittore, anche a costo della povertà, il giovane e idealista Aduev mette a rischio il proprio futuro e la propria carriera, si strugge e deperisce; lo zio, creatura di sola logica, trova la felicità nella carriera, nei beni materiali, nella ricchezza. Per lui l’amicizia è interesse, l’amore è abitudine, e credere altrimenti è una fantasia da ragazzini, buona solo per chi abita quieto nelle campagne, non certo per chi vuole emergere a Pietroburgo. La verità starebbe come sempre nel mezzo, ma nessuno dei due sembra rendersene conto. Sul finale un po’ il dubbio allo zio viene, almeno, mentre Aduev sembra trasformato in tutto ciò che non avrebbe mai voluto. Speravo in un destino migliore, per lui, forse peccando del suo stesso giovanile romanticismo ...more
“Io non ti concepisco separato dall’amore.” È uno strano libro, questo. Divagante, onirico, a tratti affascinante, a tratti pesantissimo. Contiene alcun“Io non ti concepisco separato dall’amore.” È uno strano libro, questo. Divagante, onirico, a tratti affascinante, a tratti pesantissimo. Contiene alcuni passaggi di grande bellezza ed efficacia visiva, e alcune riflessioni che colpiscono, ma talvolta la voce narrante divaga così tanto che si perde il filo. Zeppo di riferimenti alla cultura russa: letterari, con Cechov, Gogol, Mandel’stam, e naturalmente Tolstoj e Dostoevskij, Puskin e altri ancora, ma anche musicali e cinematografici. Il romanzo già si apre con la rivelazione che Mike, il protagonista e narratore, è scomparso; il suo scritto è stato ritrovato dalla moglie, in circostanze che hanno del misterioso, nel cassetto di una camera del suo alloggio pietroburghese; camera che, alcuni anni prima, era stata affittata a Klemens. E tutto il libro è specie di lettera d’amore – e una biografia, uno sfogo, e quasi un flusso di coscienza – a questo Klemens, uno strano giovane tedesco innamorato della cultura russa, che veste una giacca ricavata da un vecchio pastrano militare della prima guerra mondiale, e sembra venire da un altro tempo e un altro luogo, da un mondo completamente alieno a quello che Mike conosce. “Questo sconosciuto, fatto di leggeri tratti di matita piuttosto che di vere e proprie linee, lo ripeto di nuovo e sono pronto a ripeterlo sotto giuramento, era avvolto dalla luce cerulea di un altro tempo e di un altro spazio.” E come verremo a scoprire, forse non ha torto Mike a pensarlo: in un certo senso, Klemens appartiene davvero a un altro universo, è veramente separato dal resto dell’umanità; in un modo che è puro e straordinario, agli occhi di Mike, ma che è solo malattia per i ‘ciarlatani in camice bianco’. Ma ‘Klemens’ non è solo un racconto d’amore: è anche, e forse soprattutto, una storia di solitudine, di incompatibilità con il mondo, una critica alle ipocrisie, un’invettiva contro la burocrazia, il nazionalismo, l’ignoranza. Talvolta è un delirio, tanto da non farti più capire cos’è fantasia e cosa realtà. È un libro ricco di passione, di humor nero, di rimpianto e introspezione, di tormento e tenerezza; come ho detto, divaga, divaga molto. Divaga al punto di contenere tre racconti slegati al romanzo stesso, e pure quelli divagano. Ad abbassargli il voto, per conto mio, sono proprio questi tre intrusi. Nonostante questo, una bella lettura, interessante e diversa dal solito. "Ma io, se non altro, avrò meritato che sulla mia modesta lapide – visto che le mie spoglie rientrano nella competenza dei servizi sociali terrestri (anche se di questo non sono del tutto certo) – appongano l’esaustivo epitaffio FECE IL POSSIBILE" ...more
Durante l’ultima parte, quella che faccio in pullman, del tragitto verso il lavoro, spesso leggo. Arrivata in ufficio, poso il libro (o il kindle) sulDurante l’ultima parte, quella che faccio in pullman, del tragitto verso il lavoro, spesso leggo. Arrivata in ufficio, poso il libro (o il kindle) sul tavolinetto che ho dietro la scrivania, metto su il tè, e accendo il computer, che risale più o meno al pliocene e ci mette un po’ a partire. Poi il lavoro inizia e il libro resta lì dietro, in fedele attesa per tutto il giorno. Talvolta capita che qualche collega mi chieda, vedendo il kindle, ‘che stai leggendo di bello?’; ovviamente, se il libro è cartaceo, di chiedere non c’è bisogno. ‘Anime Morte’ l’ho letto in cartaceo (perché ho questa specie di fissa che i classici, specie se russi, devono essere cartacei); ora, già quando si tratta di un russo in generale, chi lo vede lì sul tavolino spesso fa quei commenti tipici che probabilmente tutti gli amanti della russità si saranno sentiti almeno una volta rivolgere (quelli che contengono sempre il sottotesto ’ma perché ti infliggi una lettura del genere’). Quindi avrei dovuto immaginare cosa un titolo come Anime Morte avrebbe causato. Beh, in realtà nessun commento esplicito, quanto la semplice lettura del titolo con tono lugubre e vagamente interrogativo, e il sottotesto che oltre a quello di cui sopra, conteneva anche ‘tanto lo sappiamo che questa va in gita per cimiteri con macchina fotografica e panino, che vogliamo pretendere?’ Il che mi va bene, è anche vero, ma mica posso lasciare che Nikolaj venga così frainteso, giusto? “È molto divertente!” Esclamo quindi. “Non è nulla di lugubre, bensì la storia di questo truffatore, Čičikov, che gira per la Russia cercando di farsi cedere dai possidenti i contadini – detti anime – morti dopo l’ultimo censimento ma non ancora cancellati dai registri, e che quindi ancora risultano vivi. Il suo progetto è di riuscire a farsi assegnare delle terre, adducendone la necessità al gran numero di servi della gleba che possiede, ma che in realtà non esistono. Non solo la storia è divertente e ricca di umorismo e di equivoci (a un certo punto si diffonde persino la voce che Čičikov sia Napoleone in incognito!), ma è anche una satira e una critica spietata alla corruzione e alla farraginosa burocrazia del sistema su cui si reggeva la Russia zarista; all’ipocrisia della società, alle piccole e grandi meschinità, alle disparità, al malgoverno a tutto ciò che avrebbe poi portato al crollo di quel grande impero. E poi contiene splendidi ritratti di tipi umani che pure adesso, a centottanta anni di distanza, sono attuali, e lo saranno fra altri cinquecento, se l’umanità esisterà ancora (ma sarebbero stati attuali anche ai tempi dell’impero romano, perché la natura umana alla fine ben poco cambia). Mettiamo anche solo nel libro secondo delle avventure di Čičikov: seppur incompleto e mutilato, anch’esso presenta personaggi che colpiscono: c’è questo Chlobuev, con la proprietà che va il malora, il villaggio cadente, i contadini che gli muoiono a frotte, ma che ai debiti accumula altri debiti, pur di seguire le mode, comprare champagne, dare feste… è così simile a chi oggi fa debiti per il superfluo, invece di impegnarsi a salvare il necessario. O il comportamento di Čičikov stesso, nel momento in cui sembra che finalmente stia per pagare il prezzo di tutte le sue truffe, finendo in Siberia, e piange e si dispera, si strappa i capelli e giura e spergiura che, se riuscirà a uscirne, si comporterà onestamente, dirà addio ai lussi, non trufferà più e si ritirerà in un angolino tranquillo, pensando solo a far del bene… ma appena la situazione sembra timidamente volgere a suo favore, già la sua mente e i suoi progetti si indirizzano alla sua vita di sempre, ogni pentimento subito evaporato, i buoni propositi dissolti. E l’apatico Tentetnikov? Sembra quasi un cugino di Oblomov! E su Oblomov non è necessario dir nulla.” Ahimè il collega s’è defilato già al “È molto divertente!”, e il resto del discorso è avvenuto solo nella mia testa. Resta però veritiero: Anime Morte è un romanzo divertente, che contiene sia una spietata critica alla Russia, sia un grande amore per essa. È incompleto solo perché sappiamo che Gogol stava lavorando a un secondo tomo (e poi, mi pare, avrebbe dovuto essercene anche un terzo): il finale del libro primo è già esaustivo in sé, immaginando il nostro eroe che continua a girare per la Russia, in cerca di anime morte e facili guadagni. ...more
Leggendo mi sono imbattuta diverse volte in personaggi viscidi e dall’animo meschino, ma mai nessuno mi aveva fatto sentire il bisogno di ficcarmi sotLeggendo mi sono imbattuta diverse volte in personaggi viscidi e dall’animo meschino, ma mai nessuno mi aveva fatto sentire il bisogno di ficcarmi sotto la doccia e strofinarmi con la pietra pomice come l’untuoso Porfirij “Juduška” Golovlev. Non che gli altri personaggi si salvino: tutta la famiglia è composta da persone grette, avide, o incapaci, invidiose e piene di rancori reciproci… ma Porfirij è nauseante. È l’incarnazione di un’ipocrisia ignorante e fine a sé stessa, perché con l’ipocrisia si tenta spesso di stringere legami convenienti, mentre quella di Juduska è soltanto distruttiva e gli crea il vuoto intorno. È un finto bigotto che spende ore in preghiere e riverenze davanti alle sue icone, che si riempie la bocca di lunghi ed estenuanti discorsi sulla morale e sulla carità, ma che nei fatti si comporta all’opposto di come dovrebbe un uomo pio quale egli si definisce, arrivando a negare aiuto persino ai propri figli; il suo amato Gesù Cristo lo avrebbe definito ‘sepolcro imbiancato’ (e gli avrebbe sputato in faccia). È un uomo che si perde in fantasiosi calcoli su quanto potrebbe guadagnare, su quanto potrebbe rendergli questo e quello se avvenisse questo e quell’altro, ma che poi dinanzi ai fatti della vita reale trema, si nasconde, fugge le responsabilità. Ma tutta la famiglia Golovlev è maledetta: il patriarca Vladimir, gli altri figli: l’inetto Stepka e il cupo Pavel, le nipoti orfane Annin’ka e Ljubin’ka, e anche gli infelici figli di Porfirij. E la causa di tanto astio e disfacimento mi pare avere origine nella madre, Arina Petrovna: dura, avara, incapace di affetto, che per i figli ha avuto solo insulti e recriminazioni, distruggendo fin dall’inizio la possibilità di essere una vera famiglia. Ho da poco letto anche ‘Anime Morte’; in entrambi i romanzi è presente una netta critica alla società russa, alle sue disparità sociali, all’ipocrisia diffusa. Ma se in Gogol c’è una certa levità, c’è l’ironia, qui abbiamo invece un ritratto familiare (e sociale) cupo e amaro, privo di speranza e di qualsiasi figura positiva. Romanzo spietato ma bello, e Saltykov-Ščedrin ha tutta la mia solidarietà: per il personaggio di Arina si ispirò alla propria madre, che detestò per tutta la vita (per contrasto finì con lo sposare una specie di oca spendacciona che ovviamente, dopo poco tempo, si ritrovò a non sopportare più – fine angolo del pettegolezzo)....more