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martedì 9 marzo 2021

Il principe cerca figlio (2021)

Presa dal solito dovere di completezza, qualche giorno fa ho recuperato Il principe cerca figlio (Coming 2 America), diretto dal regista Craig Brewer e uscito da poco su Amazon Prime Video.


Trama: Akeem, diventato re di Zamunda, scopre di avere un figlio in America e si incarica di formarlo come suo erede.


La visione de Il principe cerca figlio rischia di essere frustrante a più livelli, soprattutto se siete fan accaniti de Il principe cerca moglie. Personalmente, dirò un'eresia, ma a livello di mero intrattenimento l'ho trovato superiore, non tanto per la trama o la realizzazione ma per una pura questione di ritmo: il film dura meno del predecessore e il personaggio di Lavelle, figlio di Akeem, è più scemo del padre, che ne Il principe cerca moglie passava buona parte del tempo a tirarsela, mentre il giovanotto è spesso clueless e accompagnato da parenti improbabili che vivacizzano ulteriormente la sua presenza a Zamunda. A pelle, nonostante sia scritto su un foglietto di carta velina, Lavelle mi è risultato quindi molto più simpatico di Akeem e, per quanto cartoonesco, il sequel presenta anche una sottotrama "avventurosa" che difettava all'originale, principalmente incentrato sulla commedia amorosa. Qui si ricollegano però tutti i difetti di una sceneggiatura antidiluviana, legata a un umorismo di grana grossa, molto anni '80, che risulta non solo anacronistico ma anche fastidioso e, ancor peggio, che non ha tenuto minimamente conto di un eventuale sviluppo dei protagonisti. Trent'anni sono passati e Akeem, lo stesso Akeem che era partito per l'America a cercare il vero amore, è diventato il re barbogio di un Paese dove hanno ricominciato a lanciare petali di rose ai piedi delle teste coronate e dove le donne contano quanto il due di coppe a briscola, tanto che persino Lisa, ex paladina delle fanciulle indipendenti e lavoratrici, è diventata una regina senza nerbo, dimentica delle sue radici americane e sedotta dai privilegi della nobiltà. In pratica, gli amati protagonisti de Il principe cerca moglie sono diventati (o forse lo sono sempre stati) due paraculi da primato che in trent'anni si sono coronati il loro sogno d'amore e basta, con tanti saluti alla possibilità di fare qualcosa per Zamunda, il che probabilmente era l'unico modo per reiterare tutte le gag del film precedente, "lavatrici reali" comprese.


In tempi di MeToo e con tutta l'attenzione portata al politically correct e alla non mercificazione della donna, la questione "lavatrici reali" è già di cattivo gusto, ma ne Il principe cerca figlio non è nemmeno la cosa più imbarazzante. A parte le figlie minori di Akeem, sono giusto la bella parrucchiera Mirembe e Lisa a non essere minimamente sessualizzate, per il resto c'è un tale trionfo di tette, culi e vajasseria assortita da rimanerci di tolla, soprattutto quando è in primis il personaggio di Meeka, figlia maggiore della coppia reale, peraltro interpretata dalla bellissima Kiki Layne, a sembrare un incrocio tra la Kardashian e Niki Minaj, solo un pelo più vajassa (aggiungo che ad aver fatto scandalo è la millantata imposizione di un personaggio bianco da parte degli studios, personaggio tra l'altro che si vede per 5 minuti e che risulta un omaggio carinissimo ai Dukes); non bastasse tutto ciò, che magari può dare fastidio solo a me, ci sono Eddie Murphy e Arsenio Hall che, nei panni di Akeem e Semmi, sembrano imbalsamati (già meglio quando omaggiano i vecchi personaggi come Clarence, Saul e compagnia, sempre divertenti da vedere), mentre Wesley Snipes come Generale Izzy è semplicemente imbarazzante, poveraccio. Ciò detto, staccando il cervello e tappandosi il naso, una serata spensierata la si passa, ma offrire il fianco alla tristezza e al disagio è proprio un attimo. Speriamo che Murphy non decida di girare il terzo capitolo all'età di 75 anni, come annunciato di recente.


Del regista Craig Brewer ho già parlato QUI. Eddie Murphy (Principe Akeem / Clarence / Saul / Randy Watson), Arsenio Hall (Semmi / Morris / Reverendo Brown / Baba), Leslie Jones (Mary Junson), Wesley Snipes (Generale Izzy), James Earl Jones (Re Jaffe Joffer), John Amos (Cleo McDowell) e Morgan Freeman (se stesso) li trovate invece ai rispettivi link.

Tracy Morgan interpreta zio Reem. Americano, comico del Saturday Night Live, ha partecipato a film come Jay & Silent Bob... fermate Hollywood!, Superhero - Il più dotato tra i supereroi e a serie quali Una famiglia del terzo tipo. Come doppiatore ha lavorato in Boxtrolls - Le scatole magiche e I Simpson. Anche produttore e sceneggiatore, ha 53 anni.  


Onestamente, non conosco per nulla Jermaine Fowler, che interpreta Lavelle, ecco perché non è nemmeno segnato nelle mini filmografie precedenti, mentre Kiki Layne, che interpreta Meeka, era la protagonista di Se la strada potesse parlare e Bella Murphy, come da cognome, è la figlia di Eddie e interpreta quella di mezzo di Akeem, Omma. Innumerevoli, inoltre, le guest star musicali: tra quelle che conosco persino io ci sono John Legend, che canta sui titoli di coda She's your queen e le Salt-n-Pepa. Ciò detto, se Il principe cerca figlio vi fosse piaciuto cercate Il principe cerca moglie e Una poltrona per due. ENJOY! 


mercoledì 18 dicembre 2019

Dolemite Is My Name (2019)

Altro film disponibile su Netflix (recuperato sempre in vista dei Golden Globe dove è candidato sia come film sia per Eddie Murphy) altro regalo: oggi parlerò di Dolemite Is My Name, diretto dal regista Craig Brewer.


Trama: dopo anni di difficoltà, il comico Rudy Ray Moore riesce ad azzeccare il personaggio giusto, lo sboccato Dolemite, e progetta di portarlo anche sul grande schermo...


Ho un grosso, enorme limite: non capisco e non amo la comicità americana, soprattutto quando si tratta dei cosiddetti stand-up comedian. Probabilmente c'è di mezzo una qualche barriera linguistica, perché pur conoscendo l'inglese molto bene mi ritrovo inevitabilmente a non godere dell'immediatezza, che so, di un monologo di Crozza, ma c'è anche la mancanza assoluta di divertimento davanti a un pirla che parla a mitraglietta infilando un fuck ogni due parole, che è poi quello che accade nella prima parte di Dolemite Is My Name, film che per un'ora buona mi ha fatto venire il latte alle ginocchia. Con tutto il rispetto per il "Padrino del Rap", come sarebbe poi stato definito Rudy Ray Moore, ma da "culo bianco" preferisco mille volte l'umorismo dei citati Lemmon e Matthau e probabilmente, mi fossi trovata all'epoca davanti a questo pimp di mezza età pronto a sciorinare monologhi nonsense conditi da volgarità che potrebbero giusto far ridere un bambino, avrei pregato il Signore di strapparmi occhi e orecchie. Fortunatamente, a un certo punto il film prende una via diversa, nel momento esatto in cui Moore decide di dover portare il suo Dolemite al cinema, così che i neri possano avere la possibilità di vedere un film che li faccia davvero ridere, e lì è scattato il mio interesse per tutto ciò che riguarda i retroscena delle pellicole, da quelle più famose a quelle più trash, come nel caso di quel trionfo di camp e ridicolo involontario (o volontario?) che sarebbe diventato Dolemite, realmente realizzato negli anni '70 e distribuito nel 1975. Quello è anche il momento in cui, onestamente, ho cominciato a provare molta simpatia per Rudy Ray Moore.


Dolemite Is My Name si concentra infatti molto sul concetto di Moore come "intrattenitore", come artista pieno di limiti ma mai privo di entusiasmo, che desidera sì sfondare e diventare famoso ma soprattutto creare un senso di comunità attraverso le sue opere. Ora, io non so se Rudy Ray Moore fosse davvero il santo che viene mostrato nell'ultima sequenza del film, disposto ad intrattenere le persone in fila per vedere il suo esordio sul grande schermo, tuttavia la realizzazione di un Dolemite e quella di un The Room (equiparabili in quanto a qualità artistica, probabilmente, ché il primo devo ancora vederlo) si differenziano essenzialmente nel modo in cui la "primadonna" dell'opera, il motore che ha generato l'intera pellicola, decide di creare un prodotto per tutti oppure semplicemente celebrare il proprio ego. Se in The Disaster Artist veniva mostrato un Wiseau che riteneva di avere ogni diritto di realizzare un film e diventare famoso, in Dolemite Is My Name abbiamo gente che ci prova e ci spera, che alla fine non riesce a credere di esserci riuscita e che si ritrova a gioire anche solo per quello, per aver dato uno scopo e una svolta a vite altrimenti banali e destinate alla mediocrità; è la gioia della "zingarata", di un progetto portato a termine a prescindere dal successo, della creazione stessa, e non c'è nulla di più bello da vedere messo in pellicola, almeno per me. Poi, che Dolemite Is My Name sia l'imbarazzante quota black dei Golden Globe per dare il contentino e che Eddie Murphy non sia nemmeno candidabile accanto a Di Caprio e Taron Egerton sono dati di fatto, ma io a Eddie voglio bene dagli anni '80, posso dire che anche lui e Accolla mi hanno cresciuta, quindi vederlo sullo schermo a trascinare tutti, ancora una volta, col suo sorriso da mariuolo, è sempre una gioia. Se Dolemite is My Name l'avessero distribuito al cinema probabilmente vi avrei consigliato di lasciare perdere, anche perché doppiato non si può sentire, ma lo trovate comodamente su Netflix e in lingua originale, quindi recuperatelo e divertitevi!


Di Eddie Murphy (Rudy Ray Moore), Keegan-Michael Key (Jerry), Craig Robinson (Ben), Kodi Smit-McPhee (Nick), Wesley Snipes (D'Urville Martin) e Chris Rock (Bobby Vale) ho già parlato ai rispettivi link.

Craig Brewer è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Footlose ed episodi di serie come The Shield. Anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 48 anni e un film in uscita, Coming 2 America, il sequel de Il principe cerca moglie.


Mike Epps interpreta Jimmy. Americano, ha partecipato a film come Resident Evil: Apocalypse, Resident Evil: Extinction, Una notte da leoni, Una notte da leoni 3, Il giustiziere della notte - Death Wish e a serie quali I Soprano; come doppiatore, ha lavorato in Doctor Dolittle 2. Anche produttore e sceneggiatore, ha 49 anni.


Snoop Dogg compare nei panni del deejay Roj. Dolemite è il primo film interpretato da Rudy Ray Moore ma non è stato l'ultimo: i sequel diretti sono The Human Tornado, citato nel film di Brewer assieme a Disco Godfather e, in un dialogo, a Petey Wheatstraw, e The Return of Dolemite del 2002 ma la filmografia di Rudy Ray Moore è bella nutrita, quindi se foste interessati esploratela senza timore. ENJOY!

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