Trama: dopo l'incontro-scontro con la tribù dei Fremen, Paul ne impara i costumi diventando uno dei guerrieri più potenti. Ma l'ombra di un futuro sanguinoso come Messia incombe su di lui...
Sarò priva di mezze misure: Dune - Parte 2 è un trionfo. Lo dico da profana, perché dal 2021, anno di uscita di Dune, non ho mica trovato il tempo di leggermi il romanzo di Herbert e, in tutta sincerità, ero persino riuscita a dimenticarmi il primo capitolo (guardato con estrema soddisfazione, per la seconda volta, nel weekend), quindi il mio è il commento a caldo di una mente fresca. Ripeto quello che avevo giù dichiarato tre anni fa: "Gli ultimi Star Wars, ma anche quelli vecchi, con tutto il rispetto, a Dune spicciano casa", e gli spiccia casa qualsiasi saga moderna, in primis i fumettoni Marvel da cui il regista ha preso tre quarti del cast. Serio ed epico, senza alcuna concessione nemmeno alla più piccola briciola di umorismo, Dune - Part 2 mette in scena la crescita di Paul Atreides, da rampollo in fuga di una nobile famiglia a ragazzo maturo, deciso a prendere il futuro tra le sue mani senza seguire un cammino che qualcuno ha scelto per lui, almeno per buona parte del film. Il desiderio di vendetta verso chi ha sterminato la sua casata lascia presto il posto a un sentimento più complesso verso la tribù dei Fremen, alimentato sì dall'amore verso la bella Chani, ma anche dall'ammirazione verso la tenacia, l'intelligenza e gli usi di un popolo ben lontano dall'accozzaglia di selvaggi dipinta dalla nobiltà ignorante. Purtroppo per Paul, il mondo di Dune è fatto di complotti vecchi di secoli, invischiato in una tela tessuta in primis dalle Bene Gesserit, ed è difficile sottrarsi ad apocalittiche visioni di un tragico futuro, quando quella stessa ignoranza che rende ciechi i nobili viene sfruttata per aizzare il fondamentalismo di popolazioni isolate, istigandole a combattere una guerra santa in nome di segni e profezie assai facili da manipolare e fare avverare. Se i terribili Harkonnen sono i nazisti, quindi orribili e malvagi per definizione, le Bene Gesserit sono la Santa Inquisizione, gli Atreides i Crociati e gli invasati Fremen dei fondamentalisti islamici, e ben sappiamo a cosa possa portare ogni tipo di estremismo, anche quello che nasce con intenti "buoni", soprattutto quando ci si distanzia sempre più dal popolo che si vorrebbe guidare, e subentrano interessi personali.
Come già succedeva nel primo capitolo, Villeneuve fa corrispondere il valore della storia narrata alla grandeur di una fantascienza visiva fatta di mostruose navi spaziali che si muovono e crollano con la lentezza di giganti, trascinando con sé buoni e cattivi, di paesaggi sconfinati che lo schermo fa fatica a contenere, di battaglie epiche girate e montate con nitida chiarezza anche a fronte del limite del PG13 (che non impedisce la percezione di torture e morti orripilanti, soprattutto quando si ha a che fare con i mostruosi Harkonnen), il tutto con l'ausilio di una CGI mai invasiva né "finta". Un'altra cosa che adoro di Villeneuve è la capacità di dare ad ogni ambiente la sua personalità, sfruttando non solo la regia, ma anche la scenografia e i costumi, oltre che la coinvolgente colonna sonora di Hans Zimmer. Le inquadrature ampie della zona nord di Arrakis, la ricostruzione di questo deserto sconfinato, benché pericoloso, dove una comunione con la natura inclemente può garantire libertà e un futuro tranquillo, fanno a pugni con le sequenze realizzate per rappresentare la zona sud dei fondamentalisti, più claustrofobiche, con lo schermo che si riempie di impenetrabili tempeste di sabbia e folle di persone adoranti, chiuse all'interno di sotterranei dove la novella Reverenda Madre Jessica (sulla quale poi tornerò) tesse le sue trame. Il pianeta degli Harkonnen è invece un glaciale, geometrico orrore in odore di espressionismo tedesco, dove prevalgono il bianco e il nero di tristissimi fuochi d'artificio che "esplodono" silenziosi come macchie di inchiostro, mentre la natura "medievale" dei luoghi dove risiedono l'imperatore e la figlia viene richiamata da chiostri, mise che sembrano uscite dal ciclo arturiano e interni che, per quanto moderni, contengono elementi architettonici assimilabili a quelli di un castello. Alcune chicche, come l'inquadratura ravvicinata di formiche brulicanti sul cranio e sull'orecchio di un certo personaggio, oppure la rappresentazione iniziale delle truppe Harkonnen come silenziosi scarafaggi volanti, mi hanno fatto apprezzare la regia ancora di più e chissà quante cose ci sarebbero da dire dopo una seconda visione.
Per quanto riguarda gli interpreti, a me pare che Villeneuve sia riuscito a tirare fuori il meglio da ognuno dei coinvolti. Per quanto non mi sia mai strappata i capelli né per le doti recitative di Chalamet né per il suo fisico da twink, il ruolo di Paul Atreides gli calza a pennello, con quell'espressione malinconica e fiera che si ritrova, e ammetto di essermi parecchio emozionata nei momenti decisivi della sua ascesa a messia, con tanto di vecchia che urlava all'abominio e altri istanti di pura esaltazione che vi lascio scoprire. Il legame che si va a creare tra Paul e Chani viene reso alla perfezione non solo da un regista che rifugge la via dell'amore bimbominkia, ma soprattutto da due giovani attori dall'interessante alchimia, capaci di mantenere l'innocenza dei ragazzi e la consapevolezza quasi rassegnata di due persone adulte che ne hanno viste di cotte e di crude, scambiandosi sguardi e gesti che, sul finale, diventano commoventi. Tra le nuove aggiunte al cast spicca, neanche a dirlo, un irriconoscibile Austin Butler, affascinante nell'assoluta empietà di un personaggio che tiene tranquillamente testa al sempre valido Stellan Skarsgård e ad annientare il povero Bautista, mentre tra i "vecchi" non si può non citare un ottimo Javier Bardem assurto al ruolo di Paolo Brosio della situazione (grazie a Kara Lafayette, alla quale ho rubato la citazione!). Il mio cuore, però, sarà per sempre di Rebecca Ferguson. Se nel primo film l'attrice viveva di pochi sguardi fragili che la rendevano umana anche a fronte di una natura tenace e dura, ottimamente dissimulata, in Dune - Parte 2 Jessica perde ogni traccia di umanità (sia in una realtà che la vede spesso celata dietro veli e tatuaggi, ma anche in visioni da incubo) e diventa un'invasata dallo sguardo folle, pronta a tutto pur di favorire il figlio e metterla nello stoppino alle maledette vecchiacce che l'hanno resa così, trasudante di fascino e carisma dalla prima all'ultima inquadratura. Aspettare altri quattro anni per rivederla, conoscere il destino finale di Paul e cogliere più di uno scintillio della bellezza particolare di Anya Taylor-Joy sarà una cosa durissima, ma se Villeneuve riuscirà a confezionare un altro film come questo, varrà la pena soffrire!
Del regista e co-sceneggiatore Denis Villeneuve ho già parlato QUI. Timothée Chalamet (Paul Atreides), Zendaya (Chani), Rebecca Ferguson (Jessica), Javier Bardem (Stilgar), Josh Brolin (Gurney Halleck), Austin Butler (Feyd-Rautha), Florence Pugh (Principessa Irulan), Dave Bautista (Rabban), Christopher Walken (Imperatore), Léa Seydoux (Lady Margot Fenring), Stellan Skarsgård (Barone Harkonnen), Charlotte Rampling (Reverenda Madre Mohiam) e Anya Taylor-Joy (Alia Atreides) li trovate invece ai rispettivi link.
Stephen McKinley Henderson e Tim Blake Nelson hanno girato delle scene nei panni, rispettivamente, di Thufir Hawat e del Conte Hasimir Fenring, ma sono state tagliate e i due attori sono stati ringraziati nei credit, mentre Sting ha rifiutato di comparire in un cameo. Non ce l'hanno fatta, invece, Bill Skarsgård e Barry Keoghan, in lizza per il ruolo di Feyd-Rautha; addirittura, per il ruolo di Margot Fenring si erano fatti i nomi di Elizabeth Debicki, Eva Green, Amy Adams, Natalie Dormer, Olivia Taylor Dudley e Gwyneth Paltrow. Inutile dire che Dune - Parte due va visto dopo Dune e, nel caso non vi basti, potete aggiungere anche il Dune di David Lynch o la miniserie televisiva Dune - Il destino dell'universo, oltre a leggere i libri. ENJOY!