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venerdì 1 luglio 2022

Black Phone (2022)

Questa settimana, nel dubbio, ho fatto doppietta. Prima Elvis e poi Black Phone (The Black Phone), diretto e co-sceneggiato dal regista Scott Derrickson a partire dal racconto Il telefono nero di Joe Hill, contenuto nella raccolta Ghosts


Trama: il piccolo Finney finisce nelle grinfie del Rapace, un maniaco che rapisce e uccide i bambini. Nella sua disperata lotta per la fuga, troverà inaspettati alleati...


Il dubbio che mi ha accompagnata alla fine della rilettura de Il telefono nero, avvenuta poche settimane fa, è stato "Come hanno fatto a trarre un intero film da qui?". Il racconto di Joe Hill è, in effetti, una cosina breve e molto basica, che comincia nel momento esatto in cui il protagonista, Finney, viene rapito e si conclude dopo pochi giorni di permanenza nel seminterrato del suo aguzzino. Quest'ultimo non è particolarmente connotato a livello descrittivo o motivazionale, si dice solo che è grasso e che "non vorrebbe fare del male a nessuno", e lo stesso Finney viene lasciato molto all'immaginazione del lettore, al quale vengono fornite poche informazioni per quanto riguarda la famiglia, i passatempi e l'aspetto del piccolo. Questo perché il fulcro della storia è il telefono nero del titolo, che rende il racconto una rapida ed inquietante ghost story imperniata su una giusta vendetta postuma, non tra le più memorabili che ho letto, ma comunque gradevole. Gli stessi due aggettivi potrebbero valere per il film di Derrickson, il quale, assieme al fido C. Robert Cargill, trasforma Il telefono nero in un'opera ben più Kinghiana di quanto fosse in origine quella del figlio del Re. La cittadina portata sullo schermo da Derrickson sembra popolata solo da bambini o ragazzi impegnati nelle loro terrificanti battaglie personali, lasciati soli da insegnanti poco attenti e, soprattutto, da genitori completamente assenti, persi in demoni fatti di alcool, traumi e lutti mai elaborati. Per fare davvero paura, il Rapace di Ethan Hawke deve indossare maschere che richiamano quella de La maschera del demonio (opera, per inciso, di Tom Savini), ma i pericoli tangibili e reali, quelli che mettono davvero angoscia a protagonista e spettatore, sono incarnati dai terribili bulli che danno la caccia a Finney a scuola e, soprattutto, dal padre ubriacone e violento; le scene di pestaggio di Black Phone, riprese con crudo realismo, sono tra le più orribili che mi sia mai capitato di vedere, e sfido chiunque a trattenere insulti e magone davanti all'angosciante litigio con cinghiate annesse tra Jeremy Davies e la piccola attrice che interpreta Gwen (personaggio, tra l'altro, ben più riuscito e interessante del protagonista, soprattutto grazie alla bravura di Madeleine McGraw).


Tutta questa violenza quotidiana si contrappone a un Rapace che gioca quasi di sottrazione per buona parte del film. Come un totem malvagio, il Rapace attende, ammantato da un'aura sovrannaturale e accompagnato da troppi rimandi a It, talmente tanti da risultare quasi fastidiosi; è vero, i palloncini neri ci sono anche nel racconto originale, ma il vero "plagio" compiuto da Hill ai danni del padre, al limite, è N0s4a2, e direi che inserire nella trasposizione di Black Phone un tizio con della biacca sulla faccia, palloncini come se piovessero, una ragazzina con l'impermeabile giallo e un look generale che rimanda moltissimo al primo It diretto da Andy Muschietti, non era necessario per renderlo apprezzabile. Anche perché Derrickson riesce a dare personalità al tutto seguendo il proprio stile senza andare a pescare da altri, e si vede nel modo in cui sono realizzate non solo le sequenze in cui Finney usa il telefono (una in particolare nasconde il jump scare più efficace del film, vedere per bestemm... ehm, credere) ma anche quelle dei sogni di Gwen, resi come un filmino Super 8, senza contare lo scantinato, che richiama l'ormai iconica locandina di Sinister. A proposito, si vede che io ormai non ho più memoria per nulla e sono sempre meno fisionomista, ma un altro trait d'union tra il mondo di Derrickson e quello di King è James Ransone, che compare sia nei due Sinister sia in It. Ciò detto, ho sentito le peggio cose su Black Phone, quindi mi sento in dovere di spezzare una lancia sulla bontà dell'operazione. Sicuramente non si parla dell'horror più memorabile dell'anno e nemmeno uno dei migliori, ma è un ottimo prodotto "commerciale" che val la pena andare a vedere, nell'attesa che arrivino i pezzi grossi come X e Nope


Del regista e co-sceneggiatore Scott Derrickson ho già parlato QUI. Ethan Hawke (Il Rapace), Jeremy Davies (Terrence) e James Ransone (Max) li trovate invece ai rispettivi link.

Madeleine McGraw interpreta Gwen. Americana, ha partecipato a film come American Sniper, Ant-Man and The Wasp e a serie quali Bones, Outcast, Criminal Minds; come doppiatrice ha lavorato in Toy Story 4 e I Mitchell contro le macchine. Ha 14 anni e due film in uscita. 


Se Black Phone vi fosse piaciuto recuperate Sinister, Sinister 2, It e It - Capitolo due. ENJOY!

mercoledì 9 ottobre 2019

Nell'erba alta (2019)

La settimana scorsa è uscito su Netflix un altro adattamento di un racconto di Stephen King (scritto in combo col figlio Joe Hill), Nell'erba alta (In the Tall Grass), diretto e co-sceneggiato dal regista Vincenzo Natali.


Trama: attirati dalla richiesta di aiuto di un bambino, una donna incinta e suo fratello si infilano in un campo di erba alta dal quale non riusciranno più ad uscire.


Cominciamo il post con la necessaria premessa: purtroppo Nell'erba alta è una delle pochissime opere di King che devo ancora leggere, persa nel limbo di un periodo in cui non avevo neppure idea di cosa fossero degli e-book. Per noi amanti del cartaceo il racconto è appena stato inserito nell'ultima raccolta di Joe Hill, A tutto gas, che uscirà proprio nei prossimi giorni, quindi rimedierò prestissimo alla mancanza, ma nel frattempo parliamo del film di Vincenzo Natali, un trip psichedelico mica da ridere. Anzi, forse troppo psichedelico, e come tutte le cose psichedeliche a un bel momento scivola anche nel ridicolo involontario e dispiace che a farsene veicolo, assieme ad una pietra cappelliforme, sia un Patrick Wilson a cui hanno messo in bocca i dialoghi probabilmente più ridicoli della sua carriera. Ma facciamo un passo indietro, senza fare troppi spoiler. Nell'erba alta è un horror che, fin dalle prime scene, gioca con una claustrofobia strisciante e con l'atavico terrore umano di perdersi in un luogo da cui è impossibile uscire, inserendo a un certo punto un altro terrificante elemento horror, ovvero bambini ambigui ed inquietanti; tre elementi che, già da soli, a mio avviso sarebbero più che sufficienti per creare un'opera valida, a saperci ricamare sopra. L'inizio di Nell'erba alta sembrerebbe mantenere queste promesse, perché i due fratelli protagonisti, già resi più indifesi dal fatto che la ragazza è incinta, vengono subito separati e frastornati da un delirio di suoni distorti, prospettive spaziali falsate, mentre il sole picchia come un fabbro ferraio e l'apparente semplicità di un campo d'erba alta si trasforma in un incubo verde che, peraltro, ai fan di King potrebbe tranquillamente ricordare l'habitat di "Colui che cammina tra i filari", soprattutto grazie alla presenza di questo bimbo onnisciente, che parla di "cose morte che non possono essere spostate".


L'unico problema è che poi queste premesse vengono sì mantenute, ma anche inutilmente (a mio avviso, ci mancherebbe) complicate da mille altri elementi atti a rendere l'opera più cervellotica di quello che è, arrivando a toccare picchi di "lostitudine" non da poco e a frastornare lo spettatore costringendolo a non staccare gli occhi dallo schermo nemmeno per un istante, ché ci vuole pochissimo a perdere qualche elemento fondamentale (avete idea di quanti siti stiano spiegando il finale del film in questi giorni?). Insomma, l'erba alta a un certo punto viene pompata a steroidi di follia quasi messianica con paradossi e si fa esasperante, ma d'altronde dallo sceneggiatore di The Cube non mi sarei aspettata nulla di meno. Quanto alla regia, è palese che a Natali piacciano le sequenze allucinanti e allucinate, all'interno delle quali l'ingerenza della CGI si fa sentire dando un po' l'idea di posticcio ma riuscendo comunque ad impressionare lo spettatore; il pre-finale, per esempio, è un delirio di corpi striscianti, violenza e sangue, anche se il tutto è immerso in una fotografia talmente buia che a volte non si riesce ad avere proprio un quadro completo della situazione. Più interessanti ed inquietanti le scene iniziali, a dimostrazione che spesso l'orrore si insinua maggiormente sottopelle quando viene mostrato in pieno sole, proprio quando crediamo di essere più al sicuro: bastano voci che si allontanano anche se noi rimaniamo fermi, basta vedere andare in frantumi ogni nostra convinzione di poter tornare a una vita normale, bastano sinistri presagi per far davvero paura. Un peccato che questo Natali lo abbia dimenticato per strada e si sia perso in quello stesso labirinto d'erba alta che avrebbe dovuto avvincere lo spettatore per non lasciarlo più. Per carità, come originale Netflix è uno dei più interessanti visti finora e di sicuro intrattiene dall'inizio alla fine, però il suo desiderio di voler strafare lo condanna ad essere poco più di un complicato divertissement, buono magari per scervellarsi il giorno dopo con in colleghi d'ufficio. Ma se volete, per quello su Netflix c'è sempre Dark!


Di Patrick Wilson, che interpreta Ross Humboldt, ho già parlato QUI

Vincenzo Natali è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Cube - Il cubo, Splice, ABCs of Death 2 ed episodi di serie quali PSI Factor, Hannibal, Wayward Pines, Luke Cage, The Strain e American Gods. Anche produttore e attore, ha 50 anni.


Laysla De Oliveira, che interpreta Becky, ha ottenuto il ruolo di Dodge nella serie Locke & Key, tratta dal fumetto omonimo di Joe Hill e Gabriel Rodriguez, di cui due episodi dovrebbero essere diretti proprio da Vincenzo Natali; ancora non si sa quando uscirà la serie su Netflix, se mai uscirà, ma di sicuro, avendo adorato il fumetto, l'aspetto con trepidazione assieme a possibili nuove storie cartacee. Passando ad altro, Patrick Wilson ha sostituito all'ultimo James Marsden, impegnato nelle riprese di C'era una volta a... Hollywood nel ruolo di Burt Reynolds, alla fine tagliato. Detto questo, se Nell'erba alta vi fosse piaciuto perché non provate a recuperare Cube - Il cubo? ENJOY!


domenica 12 ottobre 2014

Horns (2013)

Siccome ho adorato La vendetta del diavolo di Joe Hill e non me la sentivo di aspettare, in questi giorni di malanni ho deciso di guardare Horns, diretto nel 2013 da Alexandre Aja e tratto proprio dal romanzo del figliolo di Stephen King.


Trama: Ig Perrish viene accusato del terribile omicidio della fidanzata Merrin e nessuno sembra disposto a credere alla sua innocenza. Disperato, il ragazzo affoga il suo dolore nell'alcool e un mattino si risveglia con un doposbornia e un paio di corna dotate di strani poteri...


Horns è il classico film che poteva essere un capolavoro e invece è diventato una pellicola buona giusto per passare una serata, da dimenticare il giorno dopo. Ed effettivamente sono già passati tre o quattro giorni da quando l'ho guardato, tanto che non ricordo più cos'avrei voluto scrivere, a dimostrazione che Horns è un prodotto senza infamia né lode. A dir la verità il film non comincia male, anzi. La trama rispetta molto le atmosfere del romanzo di Joe Hill e dipinge la storia d'amore di Ig e Merrin con pochi tocchi delicati racchiusi nella sequenza più bella di tutto il film, accompagnata dalle note di Heroes di David Bowie; dopodiché la nuova, terribile situazione di Ig ci viene raccontata facendo uso abbondante di humour nero e scene grottesche, un'escalation di assurde ed orribili confessioni di persone costrette a tirare fuori i loro segreti più oscuri davanti al potere delle corna del ragazzo. Fin lì, tutto bene. Il problema, come al solito, sta nel far quadrare i conti dal momento in cui le corna conducono Ig a scoprire chi abbia ucciso Merrin e perché. In casi come questi, ahimé, succede sempre che gli sceneggiatori lascino perdere tutto il resto e si concentrino solo sul fornire allo spettatore la spiegazione più rapida ed immediata, possibilmente concludendola con qualche risoluzione di sborona vendetta, senza stare tanto a ricamare sui personaggi, sulle loro motivazioni e su tutti i retroscena, ricercando costantemente la soluzione più facile e banale. Horns non fa eccezione e il tortuoso percorso di Ig, emblema di irritante bontà costretto a "reinventare" la sua innocenza tingendola di rosso, diventa così una strada diritta, lastricata di facilonerie e teatrali vendette, che rifiuta completamente il poetico, vitalissimo finale del romanzo e ricorre ad una banale scenetta da romanzo per adolescenti.


L'altro problemuccio di Horns è che dove c'è Aja non c'è più gioia. Il regista francese infatti, dopo avere esordito col botto e con uno dei film più angoscianti degli ultimi anni, ha deciso di afflosciarsi e rinunciare a qualsiasi briciolo di autorialità. Effettivamente, Horns avrebbe potuto girarlo chiunque: non c'è orrore, non ci sono soluzioni visive particolari, il gusto per l'eccesso è totalmente assente. Anzi, peggio, perché Aja si è affidato completamente alla computer graphic, che in questo caso ha partorito un paio di sequenze al limite dell'abominevole, come l'incubo ad occhi aperti di Terry (correva l'anno 2001 e l'episodio Wrecked di Buffy the Vampire Slayer mostrava una scena praticamente identica, quella in cui una Willow drogata di magia si perdeva in un mondo fatto di liane e demoni. Parliamo di TREDICI anni fa e quella sequenza è girata molto meglio!), l'attacco dei serpenti più finti mai visti in un film (nemmeno quelli di Snakes on a Plane erano così raffazzonati) e, orrore degli orrori, il finale che vede Ig trasformarsi, sul quale non entro nello specifico per evitare spoiler ma sappiate solo che è inguardabile. Peccato, perché Daniel Radcliffe e, soprattutto, Juno Temple sono davvero bravi. Avevo qualche dubbio sull'ex Harry Potter ma il suo accento americano è convincente quanto il suo aspetto malaticcio e dimesso, mentre la Temple è bellissima e perfetta ed è riuscita anche a magonarmi in un paio di scene, come il confronto con Ig o quella in cui invoca l'aiuto di suo padre mentre l'aguzzino la sta violentando (poi se il padre ha la facciotta dolce di David Morse non posso fare a meno di mettermi a piangere). Il resto del cast, purtroppo, è insignificante e dimenticabile, a cominciare da una Heather Graham sprecata. Con questo concludo, dicendo che Horns non è, nonostante quello che ho scritto, un brutto film: è semplicemente (e purtroppo) un'occasione sprecata ma probabilmente se non avete letto La vendetta del diavolo potreste anche non trovarlo così fiacco.


Del regista Alexandre Aja ho già parlato QUI. Daniel Radcliffe (Ig Perrish), Juno Temple (Merrin Williams), Heather Graham (Veronica) e David Morse (Dave Williams) li trovate invece ai rispettivi link.

James Remar interpreta Derrick Perrish. Americano, ha partecipato a film come I guerrieri della notte, 4 pazzi in libertà, I delitti del gatto nero, Mezzo professore tra i marines, Miracolo sulla 34a strada, Dredd - La legge sono io, Psycho, Le verità nascoste, Blade: Trinity, Il mai nato, RED, X-Men - L'inizio, Django Unchained e a serie come Miami Vice, Walker Texas Ranger, Nash Bridges, Settimo cielo, X-Files, Senza traccia, Sex and the City, CSI: Miami, Criminal Minds, Numb3rs, Dexter, Grey's Anatomy e From Dusk Till Dawn, inoltre ha lavorato come doppiatore nel film Ratatouille. Ha 61 anni e cinque film in uscita, tra cui The Hateful Eight di Tarantino!


Joe Anderson interpreta Terry Perrish. Inglese, ha partecipato a film come Creep - Il chirurgo e La città verrà distrutta all'alba. Ha 34 anni e un film in uscita.


Max Minghella (vero nome Max Giorgio Choa Minghella) interpreta Lee Tourneau. Inglese, figlio del regista Anthony Minghella, ha partecipato a film come Syriana, Agora, The Social Network, Le idi di marzo e Gli stagisti. Anche produttore e sceneggiatore, ha 29 anni e un film in uscita.


Shia LaBeouf era stato scelto per interpretare Ig ma alla fine lo ha sostituito Daniel Radcliffe e aggiungerei meno male perché LaBeouf è il trionfo dell'inespressività. Detto questo, se Horns vi fosse piaciuto leggete La vendetta del diavolo di Joe Hill! ENJOY!



domenica 28 settembre 2014

Il Bollodromo #2 - Letture estive

Torna il Bollodromo per un secondo appuntamento di sproloqui non cinematografici! Dato l'argomento ormai penserete che il Bollodromo si focalizzerà esclusivamente sui libri ma è solo un caso, effettivamente: ancora non so bene come gestire questo spazio (lo avrete capito!) ma mi piacerebbe anche parlare di serie TV, anime, manga, fumetti, viaggi, "esperienze", piccole manie, amori effimeri... insomma, di tutto quello che fa parte della mia vita. Per esempio, a fine ottobre sarò sicuramente a Lucca Comics in solitaria per tre giorni di immersione totale nel mondo nerd e mi piacerebbe scrivere un report dell'esperienza visto che non ho mai fatto un viaggio da sola, per quanto breve, né ho avuto modo di stare al Lucca Comics per più di mezza giornata risicata quindi probabilmente avrò un sacco di cose di cui parlare... vedremo! Nel frattempo vi lascio alle poche ma interessanti letture che hanno accompagnato la mia estete... ENJOY!

La vendetta del diavolo
Autore: Joe Hill
Titolo originale: Horns
L'ho letto perché: a breve uscirà il film omonimo di Alexandre Aja, avente Daniel Radcliffe come protagonista. Non volevo arrivare all'appuntamento impreparata.
Di cosa parla? Il libro racconta la storia di Ig, ingiustamente sospettato da tutti di avere violentato e ucciso l'amore della sua vita. Dopo un anno e una sbronza particolarmente pesante Ig si sveglia con un paio di corna dotate di un incredibile potere...
Mi è piaciuto? Moltissimo. Joe ha ereditato l'abilità paterna di evocare mostri "della porta accanto" paurosamente credibili e in più riesce ad aggiungere quel tocco nerd-pop che lo rende ancora più accattivante. Preparatevi a ridere e a inorridire davanti agli imprevedibili effetti del potere di Ig e anche a commuovervi per una storia d'amore che, nonostante alcune esagerazioni tipicamente letterarie, non potrà che coinvolgervi e farvi sognare anche in mezzo agli incubi!
Ideale per: gli irriducibili King-addicted che cercano qualcosa di nuovo ma altrettanto valido.

L'incubo di Hill House
Autore: Shirley Jackson
Titolo originale: The Haunting of Hill House
L'ho letto perché: ne sento parlare da anni, soprattutto da Stephen King. E il mio amico Ale aveva appena finito di leggerlo.
Di cosa parla? Hill House è una casa maledetta, una delle più terribili. Un gruppo di persone si reca in loco per studiarne gli strani fenomeni e ne subiscono gli effetti...
Mi è piaciuto? L'ho trovato ipnotico e molto particolare. Più che un romanzo horror è la descrizione perfetta di una mente fragile e allo sbando, il triste epilogo di un'esistenza abituata alla sconfitta e di una donna in cerca di un posto da chiamare "suo". "Ti arrise la vittoria, ti arriderà l'amor" è un ritornello che vi si insinuerà nel cervello a lungo, lasciandovi preda della malinconia.
Ideale per: chi non cerca brividi a buon mercato ma preferisce immergersi in atmosfere più riflessive.


Friend (anche ripubblicato come Deadly Friend)
Autore: Diana Henstell
L'ho letto perché: ne ha parlato Lucia QUI e mi è salita la scimmia cosmica.
Di cosa parla? Piggy è un ragazzino geniale ma introverso che ha un solo amico, il robot Bee Bee, costruito con le sue mani. Costretto a trasferirsi in una piccola città a causa del divorzio dei suoi genitori e di un "errore" da lui commesso, Piggy riesce a fare amicizia solo con Samantha, la vicina di casa, di cui si innamora. Nel giro di brevissimo tempo il ragazzino perde però sia Bee Bee che Samantha e decide di resuscitare quest'ultima impiantandole nel cervello il software del robot...
Mi è piaciuto? Da morire. Dimenticate quella belinata trash di Dovevi essere morta perché Friend fa molta più paura e non si limita semplicemente a questo. Il romanzo della Henstell scava innanzitutto nella terribile solitudine del protagonista, nell'ancor più orribile (e taciuta, ovviamente) consapevolezza che non tutti i genitori, nemmeno quelli "equilibrati", possono riuscire ad amare incondizionatamente i propri figli e offre un triste spaccato di adolescenza inquieta e difficile. Dimenticate ovviamente il teen horror che invoglia le ragazzine a limonare con dei morti perché qui lo zombie è veramente raccapricciante, quanto di più anatomicamente realistico ci possa essere; detto questo, la storia d'amore tra Piggy e Sam è una delle più commoventi che abbia mai letto.
Ideale per: chiunque abbia guardato Dovevi essere morta. Purtroppo, anche se meriterebbe di venire pubblicato in Italia al posto di quell'immonda rumenta che troppo spesso insozza le librerie, Friend si trova solo in inglese: editori, mi offro volontaria per tradurlo ovviamente!

Il seme inquieto
Autore: Anthony Burgess
L'ho letto perché: mette assieme distopia, cannibalismo, un regime che costringe all'omosessualità e altre simili amenità. Non potevo perderlo.
Di cosa parla? Il libro racconta le (dis)avventure dello sfigatissimo antieroe Tristram, i cui tentativi di "maturazione" prima e quelli di ricongiungersi alla moglie fedifraga poi vengono costantemente frustrati dagli imprevedibili cambiamenti sociali di un'Inghilterra da incubo.
Mi è piaciuto? Nonostante una traduzione a mio avviso un po' "ridondante" è sempre piacevole perdersi nel delirio linguistico e narrativo di Burgess, che qui è davvero sfrenato. Le risate che provoca inevitabilmente Il seme inquieto sono sempre seguite da un brivido lungo la schiena e un incombente presagio di sventura perché l'universo immaginato dallo scrittore sarà anche grottesco ed esagerato ma le basi fondanti della società sono pericolosamente simili alle nostre...
Ideale per: chi non ha paura di sperimentare!

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